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Autore: Kerberos 1001    10/03/2019    0 recensioni
Una frase che si sente dire spesso: i vecchi soldati non muoiono, semplicemente svaniscono.
Riflettendoci a fondo, è un concetto poetico, perché il ricordo delle loro imprese permane nella memoria collettiva, nel bene e nel male.
Ma ... e se fosse vero? Se veramente i soldati, un certo tipo di soldati non morisse? Mai?
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io, Lucio Caio Vetulo, centurione della X Legio Fretensis, giuro sull’aquila della legione che quanto sto per riferire corrisponde fedelmente a ciò che vidi durante l’assedio della fortezza di Masada. Durante l’ultima settimana prima dell’assalto finale, l’ausiliario Hansenus, un celta di enorme statura e stazza non comune, chiaro di pelle e biondo come tutti quelli della sua gente, passò molto tempo sugli spalti rivolti verso il deserto, sia durante l’espletamento delle sue mansioni sia durante i turni di riposo: si comportava in modo strano, curioso, fissando per ore intere, immobile, le sabbie e il lontano scintillio del mare interno.
Incurante delle raccomandazioni dei compagni, si ostinava ad esporre il torso nudo al sole nelle ore più calde della giornata, dicendo che un vero celta come lui non si preoccupava di certo di qualche misera scottatura, anche se in più di un’occasione i medici della legione hanno dovuto costringerlo con la forza a ripararsi sotto una tenda perché febbricitante ed in preda ad un colpo di calore. Questo comportamento non è passato inosservato ai suoi commilitoni che hanno riferito ai superiori per stretta via gerarchica, così che, nonostante le sue energiche proteste, il giorno dell’assalto Hansenus venne comandato di riserva nelle retrovie, per evitare che arrecasse danno alle operazioni militari con uno dei suoi soliti colpi di testa. Io ero stato ferito abbastanza seriamente durante una scaramuccia sotto le mura, attorno alla rampa e maledicevo la malasorte per avermi costretto a cedere il comando della mia unità in quella giornata tanto importante; poiché mi sentivo abbastanza in forze per muovermi, mi diressi alle salmerie, per aiutare come potevo e fu lì, presso la controvallazione, che vidi Hansenus aggirarsi furtivo come un ladro attorno al cancello: sapevo di lui perché me ne aveva parlato uno degli altri centurioni – le voci si spargono in fretta in un accampamento – e decisi di seguirlo a distanza, a scanso di equivoci. Rimasi sorpreso quando mi resi conto che in realtà non si stava dirigendo al cancello, bensì agli spalti da cui aveva osservato il deserto, borbottando qualcosa tra sé e sé in una lingua sconosciuta che supposi essere un qualche dialetto celtico. In pochi minuti, raggiungemmo il cammino di ronda e il punto che si affacciava direttamente sul deserto. Ora, giuro solennemente che quanto sto per riferire io l’ho visto con i miei stessi occhi, possano gli dei punirmi con la cecità se mento: Hansenus, guardandosi attorno, mi vide e mi rivolse il saluto, pugno sul cuore, nonostante io mi fossi tenuto al riparo dietro un montante; fatto questo, si arrampicò sulla palizzata, la scavalcò e si gettò di sotto; convinto di trovare il suo cadavere spiaccicato sul fondo del fossato mi precipitai a guardare, montando su una cassa che si trovava lì vicino: imprecai, di sicuro, anche se non me ne ricordo, perché invece del cadavere, vidi il celta correre tranquillamente verso il deserto, liberandosi in tutta tranquillità dell’armatura e della tunica. Deve essere sicuramente morto di sete laggiù, se non l’hanno prima ucciso i ribelli. La cosa più assurda di tutte è che cantava, mentre si allontanava.
   
>>> 0074 – TEST DI RESISTENZA IN CLIMI ARIDI E/O DESERTICI: SUPERATO. AVVIARE SOGGETTO AL TEST SUCCESSIVO. <<<

«Friedrichsen! Hansen? Dov’è andato a cacciarsi, Hansen?»
«Signore! Non lo so, signor tenente. Forse è fuori con la pattuglia di ricognizione, signore!»
«Con la pattuglia!? Con tutta questa neve?! E cosa sperano di trovare? Un lupo forse?»
«Andrebbe bene anche quello signore, ridotti come siamo … sempre di carne si tratta, in fin dei conti.»
«Lo sai che potrei farti fucilare, per queste tue parole, soldato?»
«Mi dispiacerebbe un poco, signore. D’altra parte, non dovrei più torcermi per la fame: un miglioramento notevole, non trova?»
«Che non ti senta nessun altro, poltrone disfattista! Tornando a noi, chi diamine ha ordinato una ricognizione in queste condizioni, si può sapere?»
«Credo sia stato il nuovo, quello arrivato poco prima che partissimo, tenente.»
«Quel damerino che spandeva una scia di profumo lunga un miglio?»
«La spande ancora, signore, anche se che io sia dannato se riesco a capire come ci riesce!»
«Bè, bè, questo non ha molta importanza: ciò che importa è che quel pivello non ha ancora imparato il valore dei nostri uomini! Mandarli fuori in mezzo ad una tale tormenta! Inutile! Friedrichsen!»
«Comandi, signore!»
«Quando tornano – se tornano – si assicuri che ricevano un trattamento adeguato, per quanto possibile. Dì pure che è un mio ordine, hai capito?»
«Sì, signore! Lei è un santo, signor tenente!»
«Oddio! Hai visto la mia aureola? Ed io che speravo di averla nascosta per bene!»
«Tenente! Posso … posso farle una domanda?»
«Riguarda Hansen? O il damerino?»
«Nessuno dei due, signore: riguarda me, insomma, tutti noi …»
«Avanti, anche se non posso assicurarti che risponderò.»
«Crede che attaccheranno? I russi, intendo.»
L’ufficiale fissò lo sguardo nel bianco della tormenta: «A dirtela tutta, mi meraviglio che non l’abbiano già fatto: siamo con le spalle al muro, soldato.»

>>> 16xx - TEST DI RESISTENZA IN CLIMI ARTICI: SUPERATO. AVVIARE SOGGETTO AL TEST SUCCESSIVO. <<<

«Mi ripeta quello che è accaduto un’altra volta. Con parole sue, senza omettere nulla.»
«Non c’è molto da dire, signor giudice: eravamo in dieci, a presidiare la polveriera. Tutto sembrava tranquillo e ci stavamo preparando al cambio di guardia …»
«Non avete visto nulla?»
L’interrogato parve riflettere, poi scrollò la testa come un mulo: «Nulla di nulla, signore, mi spiace.»
«Va bene, va bene: continui, prego.»
«Stavamo smontando dal servizio, alcuni di noi terminavano di controllare le chiusure degli accessi, gli altri vigilavano sulla strada: come stavo dicendo, eravamo in attesa del cambio. E il cambio arrivò: indossavano la divisa regolamentare del reparto, portavano a tracolla l’arma d’ordinanza …»
«E così voi li lasciaste entrare! Abbandonaste il vostro posto senza verificare! Questa è diserzione!» scattò uno degli alti gradi che presenziavano alla corte marziale.
L’interrogato si strinse nelle spalle: «Conoscevano le parole d’ordine, signor generale: che altro avremmo dovuto fare? Con tutto il rispetto, lei cosa avrebbe fatto?»
«Non sono io quello sotto processo qui! Ciò che avrei fatto io non ha alcuna …»
«Generale, per favore: sta interferendo con il procedimento. La pregherei di non intervenire più senza il permesso della Corte.»
«Mi scusi, Vostro onore. Temo di essermi lasciato trasportare dalle emozioni.»
«Certamente, comprendo. Può succedere, a volte, soprattutto in situazioni come queste.» rispose il giudice, conciliante, prima di tornare a rivolgersi all’interrogato: «Lei stava dicendo che quegli uomini conoscevano le parole d’ordine del giorno?»
«Sì, Vostro onore. È così.»
«Ciò è decisamente grave: può soltanto significare che abbiano intercettato un corriere, ma nella peggiore delle ipotesi …»
«Abbiamo un traditore tra i nostri ranghi, forse più d’uno; oppure una spia infiltrata: la situazione non cambia.»
«Se posso, Vostro onore, c’è un particolare che mi pare degno di nota.»
«Quale, colonnello?»
«Le divise! Il soldato qui presente ha affermato che i nemici indossavano divise regolamentari ed erano armati con armi di regolare dotazione: com’è possibile? Risulta per caso qualche denuncia di furto o qualche ammanco dai depositi?» La domanda era stata posta direttamente ad uno dei testimoni, responsabile  per gli approvvigionamenti.
«Non che mi risulti, colonnello, no. Però vedrò di indagare più a fondo appena tornato al comando, può starne certo!»
«Bene. Tornando a noi: che è successo dopo il cambio?»
«Ci siamo avviati per tornare agli acquartieramenti, signore: stanchi morti com’eravamo, non vedevamo l’ora di gettarci in branda … subito dopo il rancio, ovviamente!»
«Però qualcosa vi ha fatto cambiare idea e siete tornati indietro, è corretto?»
«È corretto, Vostro onore, anche se in realtà si è trattato di una banale dimenticanza: il soldato Hansen aveva lasciato sul posto – o gli era caduto di tasca senza che se ne accorgesse, vai a  saperlo! – un effetto personale cui teneva moltissimo e quando se n’è reso conto, ha fatto dietrofront ed è partito di corsa.»
«Voi lo avete seguito?»
«Non subito, signore: a distanza di una trentina di passi. Quel dannato corre come una lepre, signore!»
«Così non avete avuto modo di assistere alla scena.»
«Solo da lontano, Vostro onore: il piazzale era illuminato e il picchetto stava accatastandovi casse di munizioni e barili di polvere, con l’evidente intento di portarseli via.»
«E il soldato Hansen, resosi conto della situazione, ha fatto quella cosa …»
«Esatto, Vostro onore: ha sparato nel mucchio.»
«Con mucchio intende dire che ha sparato ad altezza uomo tra i nemici, con l’intento di disperderli?»
Il soldato si imporporò e trasse alcuni profondi respiri per calmarsi, prima di rispondere: «No signore! Intendo dire che quel bastardo ha sparato direttamente sul più vicino barile di polvere per farlo saltare! Ha persino perso la mira, figlio di buona donna
che non è altro!»
Il giudice militare avrebbe preferito che l’interrogato moderasse il linguaggio, per rispetto alla corte, ma riusciva benissimo a comprendere il motivo di quell’esplosione di rabbia, così decise di soprassedere; chiese solo, il più gentilmente possibile: «Che è successo dopo?»
«Dopo il primo colpo andato a segno? Non è ovvio?! È saltato tutto quanto in aria, dannazione a voi! Ho visto i miei compagni volare come bambole rotte, signore! Io mi sono salvato soltanto perché sono inciampato e caduto e lo stesso lo spostamento d’aria mi ha scorticato la schiena a sangue! Non so neppure io come abbia fatto a rialzarmi, ha capito?!»
«Un po’ di decoro, per favore! Siamo in tribunale, dopo tutto! Che diamine!»    
«Mi scusi, Vostro onore, ma ogni volta che ci ripenso mi viene voglia di strangolare qualcuno!»
Il giudice accantonò lo sfogo con un cenno: «Tornando all’argomento in discussione, ha visto qualcuno dei ladri abbandonare la zona?»  chiese urbanamente. Di primo acchito, l’interrogato scoppiò a ridere amaramente; calmatosi, rispose con una domanda che gelò il sangue nelle vene a tutto l’uditorio: «Vostro onore include anche i frammenti, nel novero? Perché, se è così, i nemici si sono allontanati, sicuro. In parte.» 
«Quindi non c’è stato alcun sopravvissuto, a parte lei?»
Lo sguardo dell’interrogato si indurì nell’odio più feroce e implacabile che la Corte avesse mai visto: «Oh, sì, c’è stato un altro sopravvissuto!» sputò, quasi fosse veleno: «Hansen, sia maledetto il suo nome in eterno!»

>>> 18xx - TEST DI RESISTENZA ALLA CONCUSSIONE/DETONAZIONE: SUPERATO. AVVIARE SOGGETTO AL TEST SUCCESSIVO. <<<

L’infermiere entrò di corsa nel bunker, agitato al limite del parossismo: «Capitano! Venga, presto! C’è … c’è qualcosa di strano, in ospedale. Qualcosa di assurdo …»
Il capitano medico alzò lo sguardo assonnato dagli incartamenti che stava esaminando: con tutto quello che aveva avuto da fare in quei giorni, le scartoffie si erano accumulate sino a diventare maggiorenni, come si divertivano a dire gli scarsi piantoni assegnati, tra l’altro saltuariamente, alla segreteria del corpo medico; che anche con i tempi che correvano il Comando si ostinasse a richiedere sterili rapporti come quelli che stava cercando di compilare era una cosa che gridava vendetta a Dio, secondo l’umile parere del capitano. Maledetti burocrati! Loro se ne stavano al sicuro nelle retrovie e non mettevano mai fuori il naso dai loro lussuosi uffici, questo era certo. Ah, se avesse potuto …
«Capitano?» La voce stridula dell’infermiere si fece strada nelle dolci nebbie dell’intorpidimento che lo aveva colto mentre rimuginava, ma lui, lungi dal volersi riscuotere, scacciò l’interruzione con un cenno, quasi fosse una mosca e non una persona. «Signore, la prego! Deve venire in ospedale con me! Subito!»
Sussultando, il capitano si alzò dalla tavola: se quel poveraccio era giunto addirittura ad alzare la voce rivolgendosi ad un ufficiale, doveva esserci un motivo davvero impellente! Infilandosi alla bell’e meglio la camicia nei calzoni – quando ne era uscita? Non riusciva minimante a ricordarlo – raggiunse l’attaccapanni nell’angolo, indossò la giacca dell’uniforme affibbiando un bottone ogni due e si avviò verso il tunnel d’uscita: «D’accordo, d’accordo! Vengo! Cosa ci sarà mai di tanto urgente …» Si voltò per assicurarsi che l’altro lo seguisse: sul piano della scrivania, oltre alle scartoffie, c’era un vassoio con un servizio da caffè fumante; il vassoio era di comunissimo peltro, ma il resto era argento massiccio, un’eredità di famiglia e a voler essere sinceri, al capitano non era piaciuto lo sguardo cupido che l’infermiere aveva tenuto fisso sulla cuccuma per tutto il tempo: magari si mandava a male per un sorso di vero caffè caldo, magari stava già immaginando quanto avrebbe potuto fruttargli un simile bottino presso uno dei ricettatori che seguivano l’esercito in ogni suo spostamento, per cui meglio stare in campana e mettere il pepe al culo a quel ragazzino. D’altra parte, era stato lui a mettergli fretta, in primo luogo. «Allora? Vuoi muoverti, razza di pelandrone? Preferisci forse che ti faccia rapporto?!» Alzare la voce sortì l’effetto desiderato: il giovanotto rimise a fuoco lo sguardo, mormorò qualcosa di inaudibile in tono di scuse ed imboccò l’uscita a passo di marcia: «Da questa parte, signore. Faccio strada.» A scanso di equivoci, il capitano si attardò un minuto per chiudere bene a chiave la porta dello studio, facendo risuonare forti e chiare le mandate della serratura …
L’ospedale da campo si trovava nelle retrovie, ovvio; un po’ meno ovvio era il fatto che, invece che in un bunker a protezione di pazienti ed apparecchiature – come logica e buon senso avrebbero voluto – fosse stato sparso in una serie sempre crescente di tende rizzate attorno ad un unico pezzo di tubatura ancora funzionante ed alla caldaia che serviva a bollire l’acqua fangosa e putrida che ne sgorgava. Come ogni volta che vi si avvicinava, il dottore scosse il capo disgustato: pensare di dover prestare cure a pazienti anche molto gravi in quelle condizioni indecenti! E il Comando aveva anche il coraggio di elevare formali proteste quando il tasso di mortalità superava i limiti che imponeva per salvare la faccia con l’opinione pubblica! Maledetti! La voglia prepotente che aveva di mandarli al diavolo e mollare tutto quanto! Purtroppo però, questo avrebbe significato venir meno al suo giuramento; peggio, avrebbe significato lasciare in mano a chissà quale ciarlatano i pazienti: l’idea di quei poveri ragazzi in balia di un incapace costituiva un deterrente più efficace di una minaccia di fucilazione, motivo per cui il capitano medico stringeva i denti e continuava ad esercitare al fronte, sperando che in un futuro prossimo la guerra giungesse al termine. Seguendo l’infermiere lungo i passaggi fangosi ingombri di casse e rifiuti tra un padiglione e l’altro, il medico si rese conto che si stavano dirigendo all’Ultima Speranza, il reparto in cui venivano ricoverati i soldati vittime dell’ultima trovata del nemico, le armi chimiche, e un brivido involontario gli corse lungo la spina dorsale: odiava quel posto, eretto per praticità proprio accanto alle fosse comuni perché sapevano tutti che con i polmoni bruciati dall’iprite era soltanto questione di tempo – poco – prima di finire sotto terra. «Perché mi ha portato fin quaggiù? Doveva chiamare il cappellano, piuttosto!» chiese seccamente, scostando con la mano il telo all’entrata. Non si udivano lamenti, probabilmente i feriti non avevano più neppure la forza per quello, si disse, guardandosi attorno; nel frattempo, l’infermiere si era portato in fondo alla tenda, fermandosi accanto ad un letto sulla destra, facendogli freneticamente cenno di avvicinarsi. «Che diavolo ci sarà, adesso, da agitarsi tanto …» Giunto accanto al letto, il medico si sentì capitano tutto d’un colpo: «Tu mi avresti disturbato, sottraendomi a compiti ben più importanti, soltanto per farmi vedere un letto sporco e vuoto?! Ti farò rapporto, povero idiota! Vedrai se non lo farò, parola mia!» lo redarguì furioso, notando però che l’altro neppure ci badava, gli occhi fuori dalle orbite per lo stupore e, ebbene sì, per il terrore: «Era qui! Qui! Glielo giuro, signore, era qui!» farfugliò l’infermiere, indicando vagamente la cartella appesa ai piedi del letto.
Vagamente preoccupato, il medico si avvicinò per vedere meglio: in effetti, riconobbe la grafia di un collega sui pochi fogli, una scarna descrizione delle condizioni del paziente, un volontario straniero pesantemente colpito dal gas nel corso dell’ultimo attacco. Le sue condizioni erano risultate talmente gravi che lo scrivente si era limitato a prescrivere della morfina per lenirne le ultime sofferenze in attesa del decesso, previsto entro poche ore. Anzi, in una nota scribacchiata a margine, si diceva stupito che l’uomo non fosse morto sul colpo, con oltre il novanta per cento di tessuto coperto da vesciche, quasi che si fosse esposto volontariamente al gas. «L’avranno seppellito mentre venivi da me.» disse all’infermiere, leggermente rabbonito da quel che aveva appena letto: «A volte capita»
L’altro scosse la testa, disperato: «Signor capitano, sono io che mi occupo delle sepolture! Ero stato mandato a vedere se fosse spirato, per raccogliere i suoi effetti personali da rispedire alla famiglia, in patria.» quasi urlò, più agitato di prima «Ma lui era migliorato!»
«Migliorato! Adesso! Quale competenza medica hai maturato per affermare una cosa simile …»
«Le vesciche stavano scomparendo! In tutto il corpo! E non rantolava più! Respirava liberamente!»
«Follia! Questo è impossibile! Ti sarai confuso con qualcun altro!»
A quel punto, l’infermiere sembrò ricordarsi improvvisamente di qualcosa e frugandosi in tutte le tasche, alla fine tirò fuori una fotografia dalla patta sul petto della divisa: rappresentava un uomo steso su di un letto – quel letto! – gli occhi chiusi, un’espressione serena in viso. Il medico, sconvolto, gliela strappò di mano, fissandola incredulo per lunghi minuti: per quanto fosse incredibile, era indubitabile che quel viso, quella pelle fossero quasi del tutto prive di vesciche. L’uomo, evidentemente, era guarito e se n’era andato sulle sue gambe, chissà dove…
«Ma come diavolo è possibile?» mormorò disfatto il capitano, crollando seduto sul letto.

>>> 19xx – TEST DI RESISTENZA ALLE ARMI CHIMICHE: SUPERATO. AVVIARE SOGGETTO AL TEST SUCCESSIVO. <<<

«Buone notizie, signori! Con l’ultimo test, durante lo scambio diplomatico di Ganimede, abbiamo completato il Progetto Metuselah. Uno strepitoso successo! Leggete il rapporto di fronte a voi, prego.»
Sfogliare di pagine nella sala riunioni: quei dati erano troppo importanti per essere trasmessi attraverso una qualsiasi rete che potesse venire hackerata, questo lo sapevano tutti fin troppo bene. Per cui, ecco rispuntare dal passato dei raccoglitori colmi di sottili lamine di plastica flessibile lattescente, ricoperte di complicati diagrammi e codici a barre che le unità di decrittazione incorporate nei globi oculari dei presenti provvedevano a tradurre in linguaggio comprensibile. Effettivamente, i dati presentati erano impressionanti: il prototipo utilizzato per lo sviluppo del progetto aveva superato tutti i test riportando lesioni minime, al punto che le operazioni di manutenzione, al ritorno dalle singole operazioni, si erano limitate ad un semplice bilanciamento dei degli indici metabolici. Strettamente correlato al progetto, il vettore di trasporto si era ugualmente rivelato un successo, portando e riportando senza intoppi il soggetto dal luogo delle operazioni. Visibilmente soddisfatto, il relatore attese pazientemente che i suoi ospiti assimilassero a fondo i dati, registrandoli in modo permanente nei rispettivi moduli mnemonici olografici, prima di riprendere la presentazione: «Come potete vedere, il soggetto Hansen ha dimostrato di saper resistere agli stimoli proposti come da programma, elaborando strategie efficaci per portarsi nelle condizioni più significanti ai fini della sperimentazione. Ogni volta.» Pausa ad effetto, necessaria a far penetrare a fondo il concetto nella coscienza dei presenti: in fin dei conti, erano loro quelli che avrebbero deciso per la trasformazione o meno del progetto in una produzione in serie, i finanziatori e le alte sfere del Governo; un approccio al mercato privato sarebbe stato impensabile, senza la loro approvazione. «Con l’ultimo test in ambiente di guerra nucleare spaziale, il nostro prototipo ha inoltre dimostrato di essere in grado di resistere anche in condizioni composite; infatti, nel corso dello scambio diplomatico erano presenti tutte le condizioni basilari dei test precedenti, aggravate dalla mancanza di atmosfera e dalla presenza di radiazioni dure, sia naturali che derivanti dalle esplosioni delle testate. Come dicevo, un successo strepitoso!» A questo punto, il relatore lasciò che fossero le immagini a parlare per lui, sequenze subliminali proiettate ad alta velocità sullo schermo alle sue spalle che avevano l’unico scopo di riassumere e magnificare gli aspetti principali del Progetto Metuselah. Trascorsi i canonici tre minuti necessari a che le immagini registrate ricevessero il nullaosta dai firewalls cerebrali, il relatore tornò a rivolgersi sorridente alla platea: «Signori, questo è tutto! Grazie per la vostra attenzione. Nella sala attigua, se lo desiderate, vi attende un rinfresco, per permettervi di riflettere con calma sulla nostra proposta. Mi auguro vivamente che vorrete gradire.»
Le luci in sala si riaccesero, i presenti si alzarono dalle poltrone ed abbandonarono a gruppetti la sala riunioni: solo un paio di funzionari di secondo piano si diressero direttamente alle piattaforme di decollo, tutti i pezzi grossi sparirono oltre le doppie porte istoriate all’altro capo della sala. «Che ne pensi?» mormorò il relatore. La risposta giunse inaudibile sul canale protetto: «Le previsioni sono buone: abbiamo surclassato la concorrenza, persino quella dei militari, e la convenienza dell’accoppiata Hansen-vettore non può non saltare all’occhio dei più esperti.»
«Bisognerà porre delle limitazioni …»
«Ovvio: non possiamo permettere che qualche nostro concorrente mandi un Hansen a pasticciare nel tempo per cercare di strapparci il monopolio!»
Il relatore si volse stupito: «Monopolio? Siamo già a questo punto? Non ne ero stato informato!»
«Lo sei ora. Cambia qualcosa, per caso?»
«Certo! Se lo avessi saputo, avrei impostato la presentazione in un altro modo!»
«Uhmm, probabilmente sì. Comunque non avrebbe fatto alcuna differenza. Gli impianti sono pronti, attendiamo unicamente l’autorizzazione.»
«Non sarà troppo azzardato? Se venissero a saperlo, potrebbero negarcela; peggio, potrebbero considerarlo un crimine e confiscarci legalmente l’intero progetto. Sarebbe un disastro!»
«Non preoccuparti, non verranno a sapere proprio nulla, la nostra sicurezza è impenetrabile.»
«Sei così fiducioso … Certo sarebbe un peccato che andasse tutto a rotoli, dopo quello che hai passato in questi secoli/giorni.»
«Non accadrà. Ora vai pure a goderti il rinfresco: te lo sei meritato!»
«Lo farò, contaci! Chiudo.»
Chiuso nella sua stanza di controllo, la mano poggiata al vettore, Hansen annuì, pur sapendo che l’altro non poteva vederlo; passeggiando attorno alla capsula monoposto affusolata, si vide riflesso nelle sue superfici a specchio: sorrideva, beffardo, conscio della verità sottintesa dai risultati del Progetto, talmente macroscopica ed evidente che nessuno, sino a quel momento, era riuscito a scorgerla: i test erano stati centinaia e lui era là, sano e salvo, dopo essere sopravvissuto a tutto. Abbagliati dalle proiezioni di guadagno a breve e lungo termine, loro non se ne erano minimamente preoccupati; non se ne erano neppure accorti, a voler essere precisi …
«Hanno creato un immortale. Un vero immortale, con tanto di prove scientifiche che lo dimostrano. E sono ansiosi di produrne degli altri!» mormorò rivolto al suo riflesso: «Credi che ne saranno contenti, quando se ne renderanno conto e sarà troppo tardi per rimediare?»
Ridendo senza emettere suono, Hansen si tolse l’auricolare, spense la luce e uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
   
 
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