Fanfic su attori > Coppia Cumberbatch/Freeman
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Autore: Izumi V    11/03/2019    2 recensioni
Il primo capitolo di questa long ha partecipato all'evento "Happy Birthday Ben" indetto dal gruppo facebook "Johnlock is the way... and Freebatch of course!"
Il compleanno imminente di Ben diventa il pretesto per un incontro fuori programma. Non è quella sera che cambierà le cose, ma forse è quella sera che rimetterà in circolo ciò che si era bloccato.
Restano orgogli da calpestare, promesse da mantenere, bugie da smascherare, prima che la verità possa trovare la propria strada.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Benedict Cumberbatch, Martin Freeman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao! Ben ritrovati qui (:
Chiedo perdono per i tempi biblici di attesa, ma in questo periodo va così.
Disclaimer dovuto: naturalmente, nulla di quanto scritto qui sotto rispecchia fatti realmente accaduti. È tutto frutto – purtroppo – della mia fervida immaginazione (forse).
Piccola nota: la dedica di questo capitolo va a Susy. A fine capitolo capirà il perché!
 
Buona lettura!
 
  
 
In Between
 
 
Capitolo 2. Lasciar andare
 
 
La vibrazione del telefono interrompe improvvisamente l’assoluto silenzio che riempie la stanza dell’appartamento.
L’uomo sdraiato a pancia in giù, avvolto nelle coperte, affonda ancora di più col viso nel cuscino.
Deve farsi la barba, è il suo primo pensiero.
La vibrazione persiste un altro po’, lui grugnisce in tutta risposta, soffocando l’irritazione nel cotone della federa. Poi, sollevando appena la testa, dà libero sfogo a uno sbuffo.
Ovviamente, non appena tende la mano per afferrare il telefono, quello tace.
“Fanculo,” si lamenta, ricadendo sul cuscino, e “Chi cazzo è?” borbotta.
Cercando di mettere a fuoco e combattendo la luce del sole che filtra dalla finestra, osserva lo schermo per un minuto buono. Poi intravede un “Josh Horowitz” come mittente.
Adesso la sua curiosità è del tutto risvegliata. Non fa in tempo a realizzarlo che proprio dallo stesso gli arriva un messaggio.
 
“Nemmeno mio nonno dorme fino a quest’ora la mattina.”
 
“Fossi tuo nonno anch’io mi alzerei presto per venire a prenderti a calci.”
 
Emoji che ride. Poi un cuore.
Josh ha sempre avuto la passione per le emoticons su whatsapp. A lui non vanno particolarmente a genio, ma può tollerarle. Soprattutto da Horowitz. Almeno compensa in simpatia.
 
“La prossima volta che ti invito da me in radio parliamo dei problemi della terza età, ok?”
 
“La prossima volta che mi inviti da te in radio declinerò gentilmente l’invito.”
 
“Lei è proprio un lord, Mister Freeman.”
 
A quel punto però Martin si stufa di chattare. Va bene un messaggio, va bene due, ma così sarebbero andati avanti tutto il giorno. Josh per lo meno ne era capace. Digita il numero alla velocità della luce e lo chiama. Ascoltando gli squilli, si rigira a pancia in su. Ok, così va meglio.
“Pronto!”
“Josh.”
“Ma che piacere, milord!”
“Guarda che riattacco e non rispondo più ai messaggi.”
Dall’altro capo del telefono, il ragazzo ride di gusto.
“Peccato che hai interrotto la nostra chat, ero già pronto all’invito romantico… ah no scusa, quello lo riservi per qualcun altro.”
“Va bene, riattacco.”
Ridendo, l’altro lo frena implorando perdono.
“Giuro che la smetto! Ma…”
A quel “ma” Martin già teme. Sente il suo tono complottista avere il sopravvento.
“…giusto a proposito di lui…”
Martin sospira. Probabilmente resiste solo perché si tratta di Horowitz. Dopo tutto, gli vuole bene. Ma non è possibile che tutte le volte che parlano tiri in ballo… lui.
“Senti Josh, non è il momento.”
“Perché, lo è mai? Anzi scusa, lo è mai stato negli ultimi tre anni?”
Dall’altra parte nessuna risposta.
“Ehi, mi hai attaccato?”
“Ma secondo te ti ho attaccato? Sono ancora qui!”
Un’altra risata.
“Ecco, bravo. Stavo dicendo… a proposito di Ben. Hai visto l’ultima intervista a RadioTimes?”
“Sapevo che doveva avere un’intervista, sì.”
“E l’hai già vista?”
Oddio, Josh sembra la reginetta del gossip del liceo. E davvero Martin non capisce perché gli dia sempre corda. Sospira di nuovo. Non gli darà quella soddisfazione.
“No.”
“Bene, ti mando il link. Enjoy!” E riattacca.
Eh?!
Martin rimane un attimo interdetto. Fissa il telefono come se non lo avesse mai visto.
Quel ragazzo è pazzo.
Nuovo messaggio: “Ovviamente non l’ho bevuta nemmeno per un secondo. So che l’hai vista, nonnetto!”
Ok, Josh Horowitz è decisamente pazzo.
Però il link gliel’ha mandato davvero. L’intervista – recentissima – di Ben a RadioTimes, in occasione dell’uscita del Grinch.
Osserva le lettere dell’URL. Le legge. Le conta. Le rilegge. “Naughty-or-nice-list”: sa benissimo cosa ha detto Ben, ma dopo averla ascoltata una prima volta non ha avuto il coraggio di rifarlo.
Il pollice oscilla sullo schermo, indeciso se poggiarsi o meno sulla scritta azzurra.
“Fanculo,” si dice, e il dito si preme sul link.
 
The Watson to your Holmes, Mr Martin Freeman!
 
Definitely on the naughty list.
 
“…Martin couldn’t abide being on a nice list.”
 
Martin chiude gli occhi, li strizza in realtà, dopo aver rivisto di nuovo quell’intervista.
La voce di Ben gli si è impressa nel cervello. Il modo in cui scende appena parla di lui. La dolcezza che la vela quando dice che Martin non potrebbe sopportare di stare sulla lista dei buoni. La confidenza che la riempie. Quelle cose ci sono ancora tutte.
Perché doveva essere tutto così dannatamente complicato?
Come se non fosse abbastanza, gli torna in mente il loro ultimo incontro, avvenuto in assoluta segretezza nel loro angolo protetto al parco di Kensington. Era il compleanno di Ben.
Si sfiora con due dita una tempia, là dove si era premuta quella dell’altro.
Avrebbe voluto dimenticare, ammette con amarezza. Eliminare completamente quei ricordi. Ma per farlo, avrebbe dovuto rimuovere interi pezzi del suo cervello.
I suoi occhi vagano per la stanza, un cenno involontario del capo, le labbra che si curvano all’ingiù al solo pensiero.
Una bella lobotomia, ecco cosa.
“Uff…” sbuffa, esausto. Finalmente decide di darsi una mossa, si alza e va a farsi una doccia.
“Stupido Horowitz,” borbotta.
 
***
 
 “Vedi di non fare altri danni, intesi? Interviste del genere non le voglio più vedere.”
“Faccio il cavolo che mi pare nelle interviste.”
“Non credo proprio!”
“Vieni qui a dirmelo allora. Ah no scusa, sei bloccata a Londra con i bambini…”
“Sei tanto bravo a fare il brillante quando sei lontano da qui.”
“Mentre tu sei una strega sia da vicino che da lontano, non preoccuparti.”
E mette giù prima che Sophie possa avere il tempo di ribattere.
La morsa che lo prende allo stomaco, come tutte le volte in cui è costretto a vederla o a parlarci, si allenta un pochino al pensiero che il suo soggiorno negli States durerà ancora per qualche giorno.
Accidenti, se si sente bene lì. È come rinato.
Ben apre il frigo in un improvviso moto di generosità verso se stesso e si prepara un frullato di verdure. Non è ancora del tutto certo che questa dieta vegana sia il massimo della vita: ma il principio è buono, e aver conosciuto altri attori che la pensano allo stesso modo lo ha convinto un po’ di più.
Certo, essere pescetariani sarebbe peggio…
E ridacchia da solo. Un sorriso luminoso, genuino, si dipinge sulle belle labbra in quel periodo sovrastate da un paio di baffi non troppo affascinanti.
Solo pensare a Martin gli procura un misto di sensazioni assurde. Contraddittorie e assuefacenti.
Con il labbro inferiore va a lambirsi i baffetti: chissà se l’ha visto, chissà cosa ne pensa di questo look orribile. Già immagina i commenti.
E soprattutto, chissà se ha visto l’intervista…
Drrr Drrr
Il telefono vibra per un paio di secondi.
“Se è ancora quella lì…” impreca a bassa voce, afferrando il telefono.
Il frullato gli va di traverso non appena vede il mittente del messaggio. Ci mette qualche minuto a elaborare l’informazione. Gli è bastato pensare a lui per…
E solo allora realizza che – “Coglione!” – dopo avergli promesso che l’avrebbe richiamato per il compleanno, non si era più fatto sentire.
 
Sì, lo scorso 8 settembre, forte di come era andato il loro ultimo breve incontro, Ben aveva provato a telefonargli per fargli gli auguri a voce. Pessima idea. Ascoltando il cellulare squillare, si era ricordato che in quel momento Martin era probabilmente con la sua fiamma del momento. Aveva attaccato in preda all’irritazione.
“Dice tanto di me, e poi si va a mettere con una tipa del genere…”
Non poteva dire di conoscerla, per carità. Ma lo vedeva, era interessata solo alla fama di Martin. E che cazzo.
Quindi che fare? Non farsi sentire non era un’opzione.
 
“Martin. Happy birthday, man. Il tempo passa e sembri sempre lo stesso. Eterno quindicenne. Ti chiamo uno dei prossimi giorni.”
 
Poteva funzionare.
Chissà se avrebbe colto quel “eterno quindicenne”. Ma una vocina nel suo cuore gli suggeriva la certezza che alla testa mancava.
La risposta di Martin, a distanza di qualche ora, gli aveva dato la conferma definitiva:
 
“Grazie, Ben. Fai attenzione ai draghi negli US. Aspetto la tua telefonata.”
 
Il suo cuore aveva ballato a un ritmo selvaggio, leggendolo. In occasioni del genere, gli pareva davvero che fossero a tanto così da tornare indietro. A com’era prima.
Era ancora possibile?
Ma la realtà si infiltrava di continuo nei suoi sogni ad occhi aperti. Sfondava le porte dei ricordi e distruggeva tutto, senza chiedere il permesso. L’entusiasmo non era durato abbastanza, spazzato via da una delle solite telefonate acide della moglie.
E il coraggio di richiamare Martin non era mai arrivato.
 
La pena per la sua codardia non aveva tardato ad abbattersi su di lui: adesso è lì, a farsi andare di traverso un frullato, perché gli è appena arrivato un messaggio niente meno che da Martin stesso.
Quell’irritante bastardo adorabile uomo.
Non è nemmeno più abituato a sentirlo così spesso. Per lo meno per gli standard recenti. Ma quell’incontro in occasione del proprio compleanno sembrava aver smosso qualcosa. Non voleva nemmeno cantare vittoria troppo presto, ma non era sicuro che con quella instagrammer da strapazzo sarebbe durata molto.
Ben, cazzo, ma ti ascolti da solo?” si rimprovera con un sospiro affranto, finendo di bere dal bicchierone. Il telefono è a pochi centimetri dalla sua mano. Muove di poco un mignolo, sfiorandolo.
“Forza. È solo un messaggio.”
Solo.
Con Martin non è mai solo un messaggio. Con Martin diventa un tutto. Tutto ciò che può avere di lui in quel momento.
Deglutisce sonoramente, e si decide a leggere.
 
“E così sarei un bambino cattivo, eh?”
 
Un ghigno divertito si dipinge spontaneamente sulle labbra di Ben. Un pizzicorino familiare alla pelle lo percorre per tutto il corpo.
 
“Non ho forse ragione?”
 
“Io sarò anche cattivo, ma tu con quei baffi sei decisamente brutto.”
 
Ben si morde un labbro. Digita una frase velocissimo, per poi stare a fissarla un minuto buono prima di inviare.
 
“Allora tu non guardarmi.”
 
Il cuore comincia a martellargli in petto. Ogni secondo in attesa di una risposta gli sembra durare decenni. Come attendere che la spada di Damocle si abbatta sulla propria testa.
“Avanti…” si trova a pensare, impaziente. Ha esagerato? Sembra disperato?
Il telefono vibra, per poco non gli vola nel lavandino.
 
“Sai che non ci riesco.”
 
Sente il cuore accelerare ancora, in una corsa impazzita. Fa per sorridere, forse lo fa davvero, ma prima che possa rendersene conto le lacrime cominciano a inondargli gli occhi. Scoppia a piangere senza ritegno. Il cellulare viene lasciato scivolare sul tavolo e una mano va al viso, i singhiozzi che riempiono l’appartamento.
Non risponde a quell’ultimo messaggio, non ne ha la forza.
Martin, solo a casa propria, percepisce quel silenzio come una lama dentro il petto. “Hai scelto tu, Ben…” mormora al vuoto. “Hai scelto per entrambi.”
E sospira, gonfiando al massimo i polmoni e rilasciando tutta l’aria di cui dispone.
Si gratta distratto l’addome ancora scoperto dopo la doccia, indeciso sul da farsi. Quello scambio telefonico lo ha lasciato senza energie, senza pensieri coerenti in testa. Tutto d’un tratto, non ha la più pallida idea di cosa fare della propria giornata.
“Cazzo… ‘fanculo…”
Se lo sentisse Horowitz non perderebbe occasione di parlare della sua finezza. Ma lui non era certo l’unico a rompergli le scatole per il suo uso eccessivo dell’imprecazione.
 
“Lo sai, Martin, che a letto dici un sacco di parolacce?”
“Ben, io dico sempre un sacco di parolacce.”
“Sì, ma…”
“La differenza quando siamo a letto è che le dico solo per te e per come mi mandi fuori di testa.”
Ben era diventato di un bel rosso pomodoro, rannicchiandosi contro di lui. Poi aveva sorriso: uno di quei suoi sorrisi bellissimi, timidi ma pieni. E Martin se lo era tirato addosso, baciandolo con tenerezza e avidità.
 
Inspira forte, Martin, ricordando tutto. Ogni singolo secondo, minuto, ora, giorno, trascorso insieme a lui. E la sua mano, che fino a poco prima accarezzava lo stomaco, scende un po’ più in basso. Supera l’ostacolo dell’asciugamano legato in vita, che con un fruscio silenzioso scivola a terra.
In quel momento, il telefono vibra di nuovo. Altra imprecazione, questa volta parecchio volgare.
“Adesso mi avete proprio rotto i cogl– Oh, merda.
Risponde alla chiamata: “Tu sei peggio di una donna, lo sai, sì?”
Ben, dall’altro capo del telefono, fatica a interpretare il tono. Coglie una nota irritata, ma anche una vibrazione nella voce che sa di tutt’altro. Ha deciso di richiamarlo nel preciso istante in cui è riuscito a smettere di piangere, ma ora, in realtà, non sa nemmeno cosa voglia dirgli.
“Uno dei miei tanti pregi,” e sorride.
“Che hai stamattina?”
“Guarda che hai iniziato tu!”
“Sì, beh… colpa di Josh,” borbotta.
“Come?”
“Niente, lascia stare. Beh, che volevi dirmi?”
“Uhm… mah, nulla di particolare. Cioè, sai, non ti avevo più chiamato, da quando…”
“Sì, l’avevo notato.”
“Eh, hai ragione. Ma, ecco… ehm…”
“Con parole tue, per piacere!”
“…P-potremmo vederci,” riesce finalmente a balbettare Ben.
Martin ci resta di sasso. “Ma sei in America.”
“Già, e scommetto che a breve lo sarai anche tu…”
“Non tirare in ballo Jeanne proprio ora.”
“Perché no? Non stai forse per raggiungerla a LA?”
“Può darsi, ma non sono affari tuoi.”
Dall’altro capo, un silenzio esitante.
“Forse non più, no.”
Martin strizza gli occhi, serrando le labbra. Che fatica. Che fatica.
“Non lo so, Ben. Non mi sembra una grande idea, comunque.”
“Perché?”
Perché, perché, perché.
Martin ne avrebbe un centinaio, di perché. E invece Ben continua a chiedere, chiedere, chiedere. Fingendo di non sapere la risposta. Pretendendo di poter fare finta di nulla. Tanto tempo prima, in tempi non sospetti, lui gli aveva chiesto una cosa. E Ben non aveva mai risposto. Se solo lo avesse fatto, forse ora sarebbe stato tutto diverso.
Magari è il momento di tirarla fuori di nuovo, giusto per ricordargli perché no, non sia il caso di incontrarsi in America.
“Te lo dico io, Ben, il perché. Te lo dico se rispondi a ciò che ti ho chiesto tempo fa.”
Non c’è bisogno che specifichi ulteriormente, sanno bene entrambi di cosa si sta parlando.
“Martin…”
“No, Ben, basta giocare.”
Martin sente le proprie nocche diventare bianche, nello sforzo di stringere il telefono. Sente la tensione montare dentro di lui, l’istinto prepotente di gettare via il telefono prima di udire la risposta. E l’esitazione dell’altro comincia a diventare eloquente. È come se si trovasse di fronte a lui in quel momento.
Non lo fare, Ben.
Lo sente, ancora una volta, barricarsi dietro quella stupida, inutile bugia. Perché Freeman lo sa, che quella è una bugia. La più grande, la peggiore. Ed è tutta per lui.
“Sto aspettando.”
“Martin…”
“Dillo e basta. Sarà meglio così.”
Silenzio. Il battito del cuore rimane l’unico suono udibile per entrambi.
“No. Non ti amo.”
E Martin chiude la telefonata.
 
***
 
Trascorrono settimane. Si portano via man mano l’Avvento e il Natale. Passa il Capodanno.
Il profilo instagram di Jeanne Jo vomita una foto di coppia dietro l’altra.
Benedict Cumberbatch vede tutto e tace, logorandosi dentro. Non gli resta altro da fare.
Poi arriva gennaio, e con esso la nuova intervista di Martin al The Guardian.
Non ci mette molto ad arrivare sotto gli occhi acquamarina dell’attore britannico, ora tornato a Londra per girare il nuovo film.
La legge tutta senza nemmeno prender fiato, senza riuscire a scollare gli occhi dallo schermo per un dannato secondo.
L’ansia gli procura un nodo a metà della gola. Legge e rilegge, non vuole credere ad alcune di quelle risposte.
E poi c’è anche quella maledetta frase. Crudele e distruttiva nella sua concisione. C’è anche Ben in quella intervista: la sua codardia, la sua bugia.
Fa male.
Tutto fa male. Sapere di avergli causato quella delusione, di aver rovinato tutto. Ricordare com’era un tempo, e la nostalgia ingestibile che ne deriva. La gabbia in cui è tuttora rinchiuso. La propria incapacità di venirne fuori, e di accettare aiuto. Tutto fa tremendamente male.
Lobotomia. Martin ha parlato di lobotomia. Questa parola comincia a rimbalzargli da una parte all’altra del cervello, senza coerenza. Non riesce a gestirla, gli fa troppa paura. Martin lo avrebbe cancellato dal proprio cervello, se avesse potuto. Lo avrebbe fatto?
Non ha nessuna certezza che si riferisse a lui e al loro passato insieme. Eppure, allo stesso tempo, non gli serve alcuna garanzia. Lo sa, se lo sente. Tanto quanto sente di…
Il cuore fa un tuffo.
L’ha pensato.
L’ha pensato davvero.
Dopo tutto quel tempo…
 
Tanto quanto sente di amarlo.
 
 
***
 
I giorni passano, gennaio finisce, comincia febbraio. Non si sono più sentiti, non per questo non si sono pensati. Ma Martin è anche stanco di soffrire.
Per di più, con Jeanne non va affatto bene.
Le ultime settimane, dopo un Capodanno per nulla negativo, sono state rivelatrici di un meccanismo inceppato. A breve sarà al Pinter per The Dumb Waiter e intorno a lui è tutto un casino.
Perché finire una relazione con Jeanne non significa solo non avere più qualcuno con cui condividere la quotidianità e il letto. I suoi figli si erano affezionati a lei, accidenti.
Tutta colpa sua, non era stato cauto. L’aveva introdotta in famiglia troppo presto, le aveva permesso di prendersi spazi per i quali, probabilmente, sarebbe stato meglio aspettare.
E, di nuovo, si trova in mezzo a un vero disastro senza sapere come tirarsene fuori.
Finisce per gestirla nel modo peggiore possibile, ponendo fine anticipata al suo soggiorno negli States. Non è con lei a San Valentino, le ultime discussioni avvengono per telefono.
Non che gli interessino particolarmente le conseguenze a livello mediatico: sa che lei è costantemente sui social – per un po’, suo malgrado, vi si è lasciato trascinare – ma a lui non importa e non è mai importato nulla. Gli affari suoi sono suoi, la gente può farsi l’idea che gli pare.
Solo un volto gli balena in mente, gli fa domandare quale sarà la reazione.
“Concentrati Martin, a breve sarai in scena,” si ripete allo specchio.
 
È il 22 febbraio, intorno alle sei di sera.
Ben è a casa, a Londra. Sophie fuori coi bambini. Un po’ di pace.
Continua a fissare il calendario, ripercorrendo avanti e indietro i giorni da fine gennaio a fine febbraio: le date di Martin al Pinter. Freme per lui, si chiede come sarà la sua performance questa volta – “Straordinaria, come sempre, cosa te lo chiedi a fare…” – e se Jeanne sarà lì coi bambini. In realtà di lei non sa nulla, ma dello spettacolo, ovviamente, ha sentito parlare… anche parecchio bene, com’era prevedibile. Perfino Graham l’ha contattato, dopo tanto tempo che non si vedevano al suo programma, per chiedergli se fosse andato.
 
“Ma con che coraggio?” gli aveva risposto.
“Tiralo fuori, il coraggio che ti serve,” aveva ribattuto il conduttore, da tempo anche un grande amico.
 
L’affetto reciproco che nutrono per entrambi è risaputo: Ben è probabilmente uno degli ospiti più acclamati al Graham Norton Show. Non tanti sanno però che Graham gli era stato confidente in più di un’occasione, soprattutto riguardo a Martin. Già durante le serate del programma ogni tanto si era lasciato andare a qualche battuta, qualche sketch che li vedesse in qualche modo associati. Ben sa bene che tutta quella storia della lontra e del riccio si sarebbe diffusa la metà, se non fosse stato per Graham. E, nonostante tutto, non riesce a non sorriderne.
Coraggio. “Tiralo fuori, il coraggio che ti serve.” E da dove?
Ben chiude gli occhi, e tutto ciò che vede è Martin. Gli torna in mente quel pomeriggio sul set, in North Gower Street a girare una scena davanti allo Speedy’s.
Martin gli si era avvicinato e, con finta nonchalance, gli aveva tolto col dito qualcosa dal colletto della camicia. Ben aveva tentato di non reagire, ma il rossore sulle guance era stato inevitabile. Quel semplice tocco sapeva di intimo, ed entrambi ne erano consci. Se solo avesse potuto lo avrebbe baciato lì, davanti a tutti. E invece aveva dovuto aspettare che venisse sera e tutti lasciassero il set. In quel momento si erano limitati a scherzare, e ridere, e recitare, e bere il tè tra un ciak e l’altro. Quella, per Ben, era vita. Era la vita che sognava.
Riapre gli occhi, afferra il telefono. Solo un messaggio, e con quello si giocava tutto.
 
Il 22 febbraio, un venerdì, Martin Freeman aveva deciso di passare a salutare i fan allo stage door, dopo lo spettacolo. Quell’anno in realtà si era dato come regola di fare solo i primi giorni della settimana: arrivava a fine settimana troppo stanco, troppo stressato. In più, temeva una comparsata di Jeanne in cerca di visibilità, e il fine settimana era probabilmente il momento migliore per lei. Quel giorno, tuttavia, aveva in mente di fare un’eccezione. Con questo pensiero si era svegliato la mattina.
Poi erano arrivate le sei di sera.
Già al Pinter, pronto a calarsi nuovamente nei panni di Gus, Freeman riceve un messaggio.
“Ma che diavolo…?”
Un minuto dopo, sta avvisando il suo bodyguard che quel giorno lo stage door non ci sarà. Gli altri ragazzi della sicurezza, sentendolo, alzano gli occhi al cielo: già le sentono, le fan inferocite o deluse…
“Se posso, Martin, ma come mai?”
“Un impegno improvviso, molto urgente. Mi dispiace.”
 
“Stai proprio facendo una cazzata, amico,” diceva a se stesso Martin, salendo sulla macchina nera che lo attendeva, pronta a partire, davanti all’entrata principale del teatro. Gli dispiaceva anche per la folla che già sapeva assembrata fuori dalla stage door, ma d’altronde…
 
“Martin, so di aver fatto una cazzata. Anzi, so di averne fatte tante, e tu hai ragione: basta così. Ma ho bisogno di te… ho sempre avuto bisogno di te. Sophie è fuori coi bambini fino a tardi stasera, puoi passare da me dopo lo spettacolo? Non me lo merito, lo so. Se mi dirai di no, capirò.”
 
Stronzo. Ben e il suo vittimismo, Ben e il suo irrimediabile senso di inferiorità.
Ben e tutto ciò che ama di lui.
 
“Verrò.”
 
Arrivati nei pressi di Hampstead, Martin si fa lasciare a un angolo poco frequentato e non troppo vicino a casa dell’altro. Si tira su il cappuccio della grossa giacca pesante che indossa e si aggiusta gli occhiali sul naso. “Forza,” sospira, infilando le mani stretta a pugno nelle tasche alte.
Giunge davanti a casa di Ben. Il cuore gli batte furiosamente nel petto: cosa deve aspettarsi? Come dovrà comportarsi? Ma soprattutto, perché è lì? Preferisce lasciar perdere tutte le eventuali risposte, che probabilmente non lo porterebbero che a girare i tacchi e tornarsene a casa.
Sospira, e bussa piano.
 
Dall’altra parte della porta, Ben è dritto come un fuso, appoggiato al muro. Teso.
Lo hai visto arrivare dalla finestra, e ancora non gli sembra vero. Sa cosa è davvero giusto, il suo cuore lo sa da sempre. Ma quella maledetta testa, così presa dai suoi ragionamenti materiali sul successo, la carriera, le strategie pubblicitarie – lei ostacola tutto.
Liberati da tutto, Ben, lascia andare,” mormora a se stesso, tenendosi forte le tempie.
Il suono delle nocche contro la porta lo fa sobbalzare.
Guarda le proprie dita, tremanti, chiudersi intorno alla maniglia. Tira un bel respiro, e apre.
È davvero lì. Bellissimo e strafottente, con le piccole mani nascoste nelle tasche e il colore stupendo dei suoi occhi coperto dalle lenti colorate.
“Ehi,” lo saluta lui, con un cenno del capo e un mezzo sorriso.
“M-Martin… Entra.”
 
Imbarazzo. L’imbarazzo tra loro, in quel momento, regna sovrano. Come se entrambi percepissero che sono a un punto di svolta, che da quello non si torna indietro. È la resa dei conti.
“Ehm… vuoi qualcosa da bere? Gin, whiskey, vino…”
Martin ghigna. “Già sai.”
“Un bel tè caldo?” ammicca Ben, sentendo già il nodo allo stomaco allentarsi di un poco.
“Proprio quello,” risponde lui, guardandosi in giro.
“Ah, la giacca buttala pure sul divano!”
“Quindi sei… da solo?”
“Stasera sì, Sophie è dai suoi coi bambini. Probabilmente faranno tardi.”
“E tu? Non sei stato invitato?”
“Sai, avevo un terribile mal di testa e…” – finge una brutta tosse – “…credo di starmi ammalando, sai com’è.”
“Beh, malato sembri malato,” afferma Martin, squadrandolo. Negli occhi un misto di scetticismo e preoccupazione. Ben scorge quest’ultima e il suo cuore fa un piccolo tuffo.
“Sì, uhm… sai, con questa dieta vegana e…”
“…e una vita di merda…” continua l’altro per lui. Serissimo.
Ben non risponde, mentre si dirige in cucina per preparare il tè. Si limita a sospirare.
Martin lo segue, fermandosi dall’altra parte del tavolo posto al centro della stanza. Ma a quel gioco del silenzio non ci sta.
E lui a provocare è bravissimo.
“Che fai, non rispondi?”
“Cosa vuoi che ti dica, Martin. Uhm?” domanda lui, mettendo due bustine di tè nelle rispettive tazze.
“Che ho fottutamente ragione. Ultimamente non ti si vede manco più in giro. Un fantasma. Quasi quanto tua moglie. Per non parlare della tua comparsata misteriosa ai Bafta.”
Ben si volta con aria aggressiva. “Non tirare in ballo Sophie. Io la tua amichetta non l’ho nominata… e avrei potuto, visto quanto vi divertite a postare selfie su instagram.”
Martin finge una risata che di divertita non ha nulla. “A-Ah. Indovina chi stalkera Jeanne su instagram, adesso.”
“Oh, ma piantala. Fai tanto l’ironico, ma qui quello incoerente sei tu.” – sbatte i palmi sul tavolo, guardandolo dritto negli occhi – “Eri tanto fissato sulla privacy tua e dei bambini, e adesso me li trovo pure nei video musicali di Weller.”
Colto sul vivo. L’altro tira su col naso e sbuffa, per prender tempo. Su questo Ben non ha tutti i torti. Lo sa anche lui, sa bene di aver sbagliato. È che… vorrebbe dirglielo, ma apparirebbe sulla difensiva e non vuole. Quella è una vera e propria battaglia, non può scoprire così le proprie falle.
Tuttavia, si conoscono troppo bene, perché Ben non capisca di aver colto nel segno. Martin aveva fatto della propria privacy un baluardo per tutta la vita, per poi mandare tutto a puttane negli ultimi mesi. Quanto meno vorrebbe una spiegazione. Ne approfitta per incalzare ulteriormente.
“E poi quell’intervista al The Guardian, Martin… che cazzo vuol dire, eh?” – alza la voce, la tristezza e la rabbia si mischiano rinforzandosi a vicenda – “Una lobotomia. Ma sei impazzito? Di cosa stavi parlando? Devo saperlo.”
“Non sta a te giudicare, Ben. Impazzito? Forse. Di certo in quel caso asportarmi un po’ di cervello non potrebbe farmi che bene, no? Ma soprattutto… a te cosa importa?” Gli punta un dito contro, abbassando la voce a un ringhio cupo.
“C-Cosa importa a me?” Non riesce a credere che gli stia davvero facendo quella domanda. La frustrazione lo fa esplodere, fino a farlo gridare: “Importa tutto, Cristo santo!”
“Oh no. No no no.” Martin scuote la testa, sulle labbra un sorriso deluso. “A te non importa un cazzo di niente, se non della tua fottuta carriera. Altrimenti perché avresti mandato quel ‘tutto’ a puttane così, eh?”
Ben deglutisce. Accidenti, non si era immaginato che andasse così, quella sera. E invece stava venendo fuori ogni cosa.
“N-non ho fatto niente che non sarebbe accaduto da sé. Era destino. Ci avrebbe distrutti.”
“No, Ben. Sei tu che hai distrutto tutto. Vuoi rendertene conto?”
Martin sospira, affranto. No, non sta andando come avrebbe sperato. È diventato un gioco di rinfacciamento reciproco. E con tutto quello che era successo tra loro, sarebbero potuti andare avanti tutta la notte. Meglio rinunciare.
Fa un passo verso di lui, cercando di convincersi che è tempo di chiudere la conversazione e levare le tende. “Hai distrutto ogni cosa,” mormora, e nella voce adesso c’è tristezza, “e per cosa? Uno stupido Oscar? Andiamo, Ben… tu non sei l’uomo che…”
Ben alza gli occhi dal tavolo. Nota che Martin si è avvicinato, eppure lo sente solo più lontano di prima, in fuga. Martin vuole andarsene.
Lo vedi? Lo vedi che sei un cretino? E dire che con questa sera volevi rimediare a tutto…” parte la vocina nella sua testa. Senza rendersene davvero conto, costeggia il tavolo e fa un passo anch’egli verso l’altro.
“L’uomo che…?” alza gli occhi, incrociando i suoi. La propria espressione tradisce una speranza che davvero non vuole morire, e continua a sopravvivere sotto ogni colpo inferto. Un velo di lacrima brilla alla luce artificiale della cucina.
Martin risponde al suo sguardo, incapace di spezzarlo. Lo guarda bene, e sotto la maschera che ha imparato a portare, scorge ancora l’uomo di cui si era innamorato tanto tempo prima.
“Ben…” mormora, facendo un altro passo verso di lui. Il mento alto, la sfida e la voglia di riscatto si accendono nel blu scuro delle sue iridi. “Non hai bisogno di queste stronzate nella tua vita.”
L’altro inspira silenzioso. Manda giù il groppo in gola, ricaccia indietro le lacrime. E la risposta gli arriva da chissà dove, forse da un passato insieme che non si può cancellare.
“No, è vero. Di stronzo nella mia vita basti tu.”
E a quel punto Martin, finalmente, sorride. Sorride come sorrise John Watson a quel “Sherlock’s actually a girl’s name.”
Volta il viso nuovamente verso di lui. Il sorriso si spegne per un attimo. Ed è già troppo tardi.
Ben lo afferra per il colletto della camicia e se tira addosso, baciandolo con l’urgenza di un uomo che sta affogando e ha disperatamente bisogno di tornare a respirare.
Martin non aspettava che questo.
Risponde affamato al bacio, mordendogli con foga il labbro inferiore, così pieno e godibile, prima di far scivolare la propria lingua nella bocca dell’altro. Ben gli lascia il comando, come sempre tra loro. Si abbandona totalmente in quella lotta che vuole perdere, e perdere, e perdere.
“M-Martin…” annaspa, incapace di interrompere il contatto ma bisognoso di sentire quel nome sulle proprie labbra.
E l’altro risponde con un ghigno basso, roco, virile. Un “Ben” che a fatica si distingue, mentre lo spinge contro lo spigolo del tavolo e, afferrandogli con prepotenza i glutei, lo solleva con facilità per farcelo sedere sopra.
“Mmh… sei troppo magro,” mormora a occhi chiusi, leccandogli piano le labbra e accarezzando con avidità il sedere e le cosce.
“Rimedieremo,” risponde lui, con quella voce eccitata e profonda che lo fa letteralmente impazzire. Ben gli stringe le gambe intorno alla vita, mentre Martin a sua volta si spinge maggiormente contro di lui.
E tornano a baciarsi con più forza.
Ciascuno sente il proprio corpo risvegliarsi a ogni tocco dell’altro, in un modo così intenso che nemmeno ricordavano di aver provato, e che gli era mancato come l’aria.
Martin sente vibrare lungo la propria schiena ogni gemito che Ben gli soffoca tra le labbra, e comincia a perdere il controllo. Con una mano gli solleva una coscia per avere maggiore accesso tra le sue gambe. Lo spinge di più sul tavolo, si struscia contro di lui fino a farlo impazzire. Fino a perdere lui stesso la ragione.
 
“Cazzo.”
L’imprecazione di Martin sembra riportarli entrambi, bruscamente, alla realtà.
Senza smettere di attaccargli il collo con morsi e baci, questi borbotta: “Ben… staranno tornando. Che ore sono?”
L’altro fatica a riconnettere le sinapsi. “Merda… non lo so.”
Si separano con estrema fatica. Mentre Ben va a cercare il telefono, abbandonato chissà dove, Martin respira forte, cercando di calmarsi. Si passa più volte le mani sul viso e tra i capelli, con scarsi risultati.
“Accidenti. 4 chiamate perse. Temo stiano tornando,” dice l’altro, tornando in cucina col telefono in mano.
“Forse… per stasera meglio così. N-non potevamo mica…” Martin si schiarisce la voce, lascia la frase in sospeso.
“Già…”
“E adesso?”
“Adesso…” mormora Ben, riavvicinandosi a lui e stringendolo tra le braccia. Soffia ogni parola sulle labbra dell’altro, dolcemente. “Adesso tu torni a casa e finisci questo tour de force al Pinter.”
“E tu?”
“Io… farò quello che devo fare. Sarà un periodaccio, Martin. Non so nemmeno da dove cominciare…”
“Dalla verità.” Afferma l’altro, serissimo. “Dille la verità, e agisci di conseguenza. Senza più mezze misure, senza più gabbie, né bugie, né maschere. Fallo per te. Fallo per noi.”
Ben annuisce piano, affogando i propri occhi affilati in quelli grandi di Martin.
Si abbracciano, e premendo il viso sulla sua spalla, Ben sente che è possibile.
La sua rinascita comincia da lì.
 
 
 
Let me apologize to begin with
Let me apologize for what I’m about to say
But trying to regain your trust was harder than it seemed
And somehow I got caught up in between
Between my pride and my promise
Between my lies and how the truth gets in the way
The things I wanna say to you get lost before they come
The only thing that’s worse than one is none
(In Between, Linkin Park)
 
 
The End
 
Contrariamente all’idea iniziale, questo secondo capitolo sarà l’ultimo. Non posso che ringraziarvi per essere arrivati fino a qui.
A presto,
Izu
 
 
  
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