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Autore: VenoM_S    12/03/2019    1 recensioni
Miss Plinkett era un'insegnante solitaria e poco incline al lasciar trasparire le sue emozioni. Una sera d'ottobre, però, un nuovo piccolo ospite si presenta alla sua porta.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al “COWT” di Lande di Fandom
Settimana: Quinta
Missione: M2
Prompt: Tenerezza
N° parole: 2010
 
Miss Plinkett

 
Miss Plinkett era un’insegnante.
Aveva circa cinquant’anni e non si era mai sposata, o per lo meno nessuno dei suoi studenti era mai riuscito a vederla in un ristorante o comunque in pubblico in compagnia di un uomo che potesse sembrare suo marito. Insegnava matematica in un liceo, ed era una donna molto precisa che avrebbe potuto ripetere gli stessi concetti anche mille volte, se glieli avessero chiesti.
Ma non rideva, e non faceva mai battute.
Certo, non che fosse gelida o insensibile, era solo difficile che mostrasse agli altri una qualsiasi emozione.
Era una donna alta, di bella presenza, con morbidi capelli biondi che le ricadevano ondeggiando sulle spalle ed occhi castano scuro profondi e comprensivi. Si vestiva sempre con ricercatezza, ma senza mai indossare colori troppo chiari oppure accesi, ed inoltre portava gli occhiali, due ovali semplici ed allungati, trasparenti e senza montatura, sorretti da due sottilissime astine color oro.
Non le piaceva ricevere troppa attenzione.
Ma è difficile restare sempre totalmente impenetrabili per tutto il giorno, per tutta la vita, e Miss Plinkett di certo non era così.
 
Aveva una casa fuori città, che si sarebbe detta troppo grande per una donna che viveva da sola. Ma, dopotutto, nessuno sapeva se lei lo fosse realmente. Era una costruzione tipicamente inglese, di pianta rettangolare, l’esterno ricoperto di piccoli mattoncini rossicci su cui diverse piantine di rose rampicanti avevano trovato un buon appiglio, e che durante il periodo di fioritura si ricoprivano di meravigliose corolle bianche e profumate. La porta, in contrasto con il colore dominante della casa, era di legno e dipinta di bianco, così come lo erano le quattro larghe finestre – due per ogni piano – che si affacciavano sul giardino donando all’interno della casa una buona dose di luce naturale. Il tetto spiovente era anch’esso rossiccio come la facciata, ed alle due estremità svettavano due comignoli perfettamente identici, uno per il grande camino della sala, l’altro per quello più piccolo nello studiolo al secondo piano, dove Miss Plinkett si rinchiudeva regolarmente nel pomeriggio a correggere compiti e preparare le lezioni successive.
Davanti alla casa infine c’era un giardino non esageratamente grande, perfettamente in ordine e curato, picchiettato di vasi piccoli e grandi, di varie forme e colori, in cui crescevano cespugli di piante da fiore che facevano da ottimo contorno all’erba verde sempre ben tagliata.
A separare la casa dalla strada solitaria e poco trafficata, vi era poi un recinto nero e lucido chiuso da un cancello. 
 
Una sera di fine ottobre, con la pioggia che aveva cominciato a cadere copiosa fin dal primo pomeriggio senza poi accennare ad affievolirsi, mentre Miss Plinkett era intenta da alcuni minuti ad accendere il camino in sala – stava diventando davvero freddo per essere ancora in pieno autunno – si sentì un flebile lamento provenire da oltre la porta d’ingresso. La donna si fermò per un istante, seduta a gambe incrociate sulla morbida moquette chiara della stanza, la busta di diavolina ancora in mano mentre le prima fiammelle iniziavano a crepitare tra la legna, cercando di tendere l’orecchio per capire se la causa di quel rumore fosse o meno la pioggia o il vento. Dopo alcuni istanti, da fuori provenne un nuovo lamento, e poi un altro ancora, stavolta più flebile dei precedenti.
Miss Plinkett quindi si alzò per avvicinarsi alla porta, aprendola poi lentamente e riparandosi dal vento e dalle gocce d’acqua con il giornale lasciatole all’ingresso dal postino quella stessa mattina. Guardandosi intorno non vide nulla, inizialmente, ma poi volse lo sguardo in basso. Ai suoi piedi, piccolo e completamente zuppo, vi era un gattino raggomitolato su sé stesso per cercare di scaldarsi e ripararsi dall’acqua, che tremava come una foglia e miagolava sempre più piano.
La donna lo prese in braccio con delicatezza, e se lo avvolse nel maglioncino di lana viola che indossava per stare in casa, poi rientrò velocemente e salì le scale verso il piano superiore, dirigendosi in camera per prendere il piccolo plaid verde scuro che era solita usare durante l’inverno per coprirsi le gambe quando leggeva distesa sul divano. Tornata al piano terra, poi, andò spedita verso il camino ed accomodò la morbida coperta davanti al fuoco come a formare un piccolo e caldo nido, nel quale posò il gattino, coprendolo bene e cercando di asciugarlo con movimenti lenti e leggeri. Mentre lo faceva, lo osservò con più attenzione: il mantello, anche se zuppo ed un po’ sporco, era di un nero lucido e profondo, morbido e folto, la testa era piccola ed affusolata, le orecchie triangolari non erano troppo grandi e gli occhi con cui la guardava sospettoso erano di un meraviglioso verde smeraldo. Accarezzando il corpicino minuto di quell’inaspettato ospite, la donna poté notare che era piuttosto magro. Probabilmente aveva un paio di mesi, o forse meno.
Dopo che si fu assicurata che il gattino fosse ben asciutto, Miss Plinkett andò a prendere il cellulare che aveva lasciato sul tavolino da tè per poter chiamare il veterinario, chiedendogli una visita a domicilio per assicurarsi che venisse subito controllato.
 
Dopo una ventina di minuti, che la donna passò osservando da vicino quel minuscolo corpicino tremante, si sentì suonare un paio di volte il campanello. Alla porta, il giovane e cordiale viso del veterinario della città la salutò con un sorriso un po’ stanco ma sempre gentile.
«Buonasera Magdora, sono felice che abbia deciso di prendere di nuovo con sé un cucciolo» le disse, allargando ancora, se possibile, il suo sorriso.
Miss Plinkett osservò pensierosa le pareti che circondavano l’ingresso: tre splendidi Labrador Retriever color miele, nero e cioccolato la osservavano da una decina di piccole foto appese tutto intorno. In alcune di queste c’era anche lei, abbracciata o semplicemente in compagnia dei tre animali, e sorrideva.
«Non lo so, Jack, non lo so. Prima mi dica come sta per favore» rispose lei, lanciando una veloce occhiata al piccolo involtino verde scuro lasciato solo di fronte al camino.
Il piccolo felino risultò essere un bel maschietto di meno di due mesi, infreddolito e decisamente magro, probabilmente abbandonato dalla madre oppure disperso in quella serata dal meteo così avverso. Andava ancora svezzato, ma era piuttosto debole ed avrebbe avuto bisogno di cure costanti. Miss Plinkett si decise a tenerlo con sé solo fino a quando avesse avuto bisogno di cure, successivamente sarebbe stato pronto per essere adottato da qualcun altro. Non gli avrebbe quindi dato un nome, perché secondo il suo modo di pensare dare un nome ad un animale significava considerarlo proprio, in qualche modo, e lei era convinta di non essere pronta per qualcosa del genere, non ancora.
Nei giorni seguenti la donna accudì il gattino come meglio poteva, assicurandosi di tenerlo al caldo e di nutrirlo adeguatamente, anche se inizialmente dovette munirsi di una siringa e di molta pazienza, perché quella creaturina testarda si rifiutava di mangiare quella sconosciuta mistura di latte in polvere e umido da svezzamento per gattini. Era evidente però che quel frugoletto possedeva uno spirito forte, dato che più di una volta cercò di tirarsi su dal suo piccolo nido verde scuro e di andarsene per i fatti suoi, nonostante non fosse ancora abbastanza forte da riuscire a mettere per bene una zampa davanti all’altra, finendo quindi irrimediabilmente per accucciarsi sul pavimento in attesa che Miss Plinkett non accorresse in suo aiuto. Le era impossibile credere che potesse essere arrivato fin davanti alla sua porta di casa in quelle condizioni.
Dopo poco più di una settimana il gattino sembrava aver acquisito un po’ più di forza, e spesso la donna lo scorgeva a ballonzolare goffamente per il soggiorno, con la codina dritta sull’attenti, infilandosi spesso sotto o dietro i mobili in cerca di nuovi luoghi da esplorare, ma più frequentemente finendo per inciampare sui suoi stessi passi in modo decisamente buffo. Mangiava ormai di gusto il morbido cibo in scatola che Miss Plinkett gli preparava due volte al giorno, scaldando leggermente la pappetta semi solida al microonde per renderla più digeribile ed appetibile, e si rivelò inoltre essere un gran chiacchierone. Per ogni suo bisogno aveva imparato a sviluppare un miagolio di tonalità ed intensità diverse, insomma sapeva come farsi ascoltare.
 
Un mercoledì pomeriggio Miss Plinkett stava tornando finalmente a casa da un’intensa giornata di lavoro contornata da un compito in classe che si prospettava non essere andato proprio a meraviglia. Girò la chiave nella serratura della porta di legno dipinta di bianco ed entrò in casa togliendosi immediatamente le scarpe lanciandole di lato, in un gesto che chiunque non la conoscesse abbastanza avrebbe giudicato troppo poco impostato per il suo modo di fare. Si tolse la giacca, appendendola ad uno dei ganci fissati al muro e si voltò verso la sala, cercando con lo sguardo una piccola macchia nera da coccolare per scacciare un po’ dello stress accumulato nelle ore precedenti. La donna però si accorse quasi subito che la casa era fin troppo silenziosa rispetto al solito. Entrò quindi in salotto per controllare meglio, poi si spostò in cucina, guardando dietro tutti i mobili.
Niente, il gattino sembrava scomparso.
Continuò a cercare meccanicamente, guardando anche più volte negli stessi punti, e mentre lo faceva temette di non rivedere mai più quel frugoletto zampettare per il soggiorno, di non sentire più il suono dei suoi mille miagolii diversi e sonori, di tornare ad essere di nuovo sola in quella grande e silenziosa casa di periferia. Suo malgrado, dovette ammettere a sé stessa di essersi affezionata a quel gattino, che le aveva dato di nuovo la sensazione di essere di conforto a qualcuno, di essere importante, indispensabile, amata, le stesse sensazioni che i suoi tre cani li avevano dato per anni, prima di andarsene in un modo o in un altro.
Continuava a girare ormai senza una meta precisa per la casa, la sala da pranzo, il bagno degli ospiti, il ripostiglio con i suoi scaffali di ferro ricolmi di cianfrusaglie polverose, la cucina, il soggiorno con quel piccolo nido verde scuro ormai vuoto. Con la coda dell’occhio scorse le scale, e si avviò verso il piano superiore in cui non aveva ancora pensato di cercare, anche se non era possibile che un gattino ancora così piccolo riuscisse a salire tutti quei gradini.
Controllò il secondo bagno ed il piccolo studio cercando sotto la scrivania e tra i libri, senza risultato, ed infine si fermò di fronte alla porta della sua camera da letto, socchiusa come sempre. Era la sua ultima possibilità, se il gattino non fosse stato lì significava senza ulteriore dubbio che in qualche modo se ne era andato. Spinse delicatamente la porta per poi entrare a piccoli passi, e la prima cosa che vide fu il suo grande letto matrimoniale, con ai lati i due comodini di legno chiaro. Sopra il piumino candido e morbido era raggomitolata una piccola macchietta di un nero profondo e lucido. Il comodino di destra era stato messo completamente a soqquadro, la lampada era caduta e la sveglia spostata nel tentativo di raggiungere il letto arrampicandosi alla meno peggio.
Doveva aver fatto qualche rumore senza accorgersene, o comunque il gattino aveva avvertito nonostante il sonno lo sguardo della donna su di lui, perché si svegliò tirando su la testolina rotonda e guardandola con quei suoi occhi incredibilmente verdi. Si prodigò in un vistoso sbadiglio, apostrofando poi Miss Plinkett con un sonoro miagolio di disapprovazione per essere stato svegliato.
La donna ricambiò il suo sguardo e sorrise, anzi, si mise proprio a ridere di gusto contro quella macchiolina così impertinente.
«Ti piace dare l’impressione di sparire nel nulla, vero? Credo che Illusion sarebbe un ottimo nome per te!» gli disse poi con dolcezza mentre si avvicinava al letto. Dopo aver sistemato il piccolo disastro che il gattino aveva combinato sul suo comodino, si distese accanto a lui circondandolo con le braccia e attirandolo leggermente verso il suo petto. Si guardarono ancora una volta, poi Illusion appoggiò la testolina sul braccio destro di Miss Plinkett, fece delle profonde fusa di approvazione mentre la donna gli grattava leggermente il collo e la schiena, ed infine tornò dolcemente a dormire.
  
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