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Autore: solemiosole    12/03/2019    1 recensioni
La prima volta che Loki vide il sole fu quando due braccia calde lo sollevarono, per stringerlo contro un petto di ragazzo che presto sarebbe fiorito in uomo. (...)
Nessuno aveva mai visto il sole, non sapevano nemmeno cosa fosse.
(...)
Prima di diventare il dio degli inganni, Loki era sempre stato Loki.
Eppure agli occhi di tutti questo non bastava. Non bastava che lui fosse intelligente e un ottimo mago o fosse dotato di un acume straordinario. No, non bastava. Perché la realtà faceva male e per questo Loki ha scelto di vivere nella falsità e nell’illusione. Era più semplice credere in qualcosa piuttosto che arrendersi all’amara consapevolezza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Frigga, Loki, Odino, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Allora pensò che per quanto la vita sia incomprensibile, probabilmente noi la attraversiamo con l’unico desiderio di tornare all’inferno che ci ha generati, e di abitarvi al fianco di chi, una volta, da quell’inferno, ci ha salvato. Provò a chiedersi da dove venisse quell’assurda fedeltà all’orrore, ma scoprì di non avere risposte. Capiva solo che nulla è più forte di quell’istinto a tornare dove ci hanno spezzato, e a replicare quell’istante per anni. Solo pensando che chi ci ha salvati una volta lo possa poi fare per sempre. In un lungo inferno identico a quello da cui veniamo. Ma d’improvviso clemente.
E senza sangue.
A. Baricco, Senza sangue
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La prima volta che Loki vide il sole fu quando due braccia calde lo sollevarono, per stringerlo contro un petto di ragazzo che presto sarebbe fiorito in uomo.
Nel regno dell’eterno inverno era un lusso che non si poteva avere, quello di guardare il sole, perché non appariva mai. Tutto era buio, freddo, solitario.
Le generazioni nascevano e morivano all’ombra di un vento penetrante e ingannevole, di una luna che non calava mai, di una bufera che non si placava mai. L’odore della morte impregnava il terreno e lo sentivi, dovevi sentirlo, non potevi farne a meno.
Nessuno aveva mai visto il sole, non sapevano nemmeno cosa fosse.
Loki, invece, lo vide.
Il primo della sua razza.
lo vide in quei capelli biondi che incorniciavano un viso sorridente e anche se non lo toccò, Loki seppe già, fin da bambino, che il sole aveva quel calore e quella forma e quel profumo.
Profumo di casa e sicurezza.
Loki ha visto il sole ed è dal sole che riceve il primo bacio, la prima carezza, il più piccolo abbraccio.
Venne cresciuto in una corte di luce e caldo, al fianco di un padre magnanimo e temibile, tra le braccia di una regina bianca come le stelle e d’un fratello dorato.
Loki venne amato dal sole anche se era ombra, anche se era oscurità e anche se il popolo lo temeva.
Aveva la notte tra i capelli e occhi cangianti di verde.
Quando era venuto al mondo piangeva. Piangeva e si agitava in quel freddo che gli mordeva la pelle nuda ma Laufey non ha sentito ragioni.
Era un re di un popolo in guerra e doveva prendere le sue decisioni.
La vita di un bastardo per la salvezza di un popolo.
Uno scambio più che equo.
E così Loki è stato abbandonato.
Non aveva fatto nulla di male, aveva solo la colpa di essere nato, ma era già abbastanza. Eppure c’era una ragione, se era nato e quella ragione nessuno lo sapeva, tranne chi il Fato lo decide e lo seleziona.
Un triste scherzo, quello delle Norne filatrici: era lì, era vivo, respirava, ma non bastava.
Eppure, per contro, Loki era forte, a dispetto di tutto e tutti.
Su Jotunheim sopravvivevi solo se lo eri e lui lo era ma il re aveva deciso di abbandonarlo all’abbraccio del gelo. Forse era una morte misericordiosa quella concessagli e di certo non poteva occuparsi di un piccolo bastardo urlante con un popolo in guerra.
Sarebbe stato meglio per tutti.
Loki, avvolto in una pelliccia di lupo, piangeva e le lacrime si cristallizzavano sulle guance blu.
Nessuno veniva in suo aiuto ed era solo, solo come un chicco di neve.
Era un bambino, un neonato, aveva appena poche ore di vita e già sentiva che c’era qualcosa di strano, di sbagliato in lui. Perché nessuno l’aveva ancora preso in braccio, nessuno l’aveva consolato o cullato.
Solo il freddo era lì con lui ma il suo era un tocco freddo, che più che consolare ti uccideva, lentamente e con bramosia.
E Loki intanto piangeva.
La sua immagine si rifletteva in mille fiocchi di neve che cadevano senza fermarsi.
Finché venne Odino.
Odino il grande, Odino il terribile, il dio corvo.
Raccolse quel fagotto di solitudine e pellicce e tornò ad Asgard. Lo crebbe come suo figlio, lo mostrò con orgoglio e solo lui e Frigga sapevano le sue origini.
Loki assunse un aspetto inconsueto per gli Asgardiani: aveva capelli neri e occhi verdi e pelle di neve.
Frigga lo accudiva dolcemente nella sua culla intarsiata nel legno dorato e lo guardava con amore, gli dava il suo latte ma non l’aveva ancora preso in braccio. Non era suo figlio dopotutto e il marito l’aveva portato a casa così, senza preavviso. Lei aveva già un figlio, un bellissimo bambino di sole e per accettare l’altro le sarebbe servito tempo.
Il primo a toccarlo fu proprio Thor, dio di sole e luce.
Quando Thor nacque, il tempo scorreva da molte e molte lune su di una sanguinosa guerra.
Thor nacque in una notte in tempesta, quando la pioggia infuriava e i lampi albeggiavano.
E quando pianse, un tuono squarciò il cielo e il giorno sorse prima, illuminando di mille bagliori la vallata di Asgard.
Thor crebbe in una reggia ridente e amorevole, all’ombra di una madre e un padre per cui era la luce della loro vita.
Ma era solo, tremendamente solo.
Per questo, quando la madre gli aveva mostrato quella nuova meraviglia, si era sentito scoppiare di gioia. Nella culla c’era un bambino, un bellissimo bambino, suo fratello e lo guardava dubbioso, con quegli occhi verdi così magnetici.
-Posso prenderlo in braccio?
Frigga annuì e Thor aveva sollevato quell’esserino e l’aveva stretto al petto. Era caldo, Thor, e il bambino era così freddo e così piccolo.
-È minuscolo…
La regina sorrise amorevolmente, carezzando i capelli del figlio amato.
-È piccolo perché deve crescere ancora. Il tuo compito sarà di proteggerlo da tutto ciò che potrà ferirlo.
Come la verità” avrebbe voluto aggiungere. Ma una madre sa quando tacere e Thor è troppo giovane per comprendere il peso di quelle parole.
-E lui? Cosa mi darà lui, in cambio della mia protezione?
La regina si prese un momento per pensare. Loki avrebbe potuto dare tutto a Thor: gioia, amore, felicità, compagnia. Ma avrebbe dato anche così tanto odio e rabbia e rancore. Glielo si leggeva in quegli occhi di bambino. Loki aveva già dentro di sé una rabbia inconsueta, un marchio che l’avrebbe contraddistinto per sempre.
- Il suo amore. Se lo proteggerai, ti darà tutto il suo amore.
E Thor lo strinse più forte. Fu in quel momento che Loki capì che forse, dopotutto, non era solo in quel mondo. Frigga guardava la scena e sorrideva, nonostante nell’animo un oscuro presagio di rovina le stesse nascendo.
I due principi crebbero l’uno al fianco dell’altro e i fili delle loro vite venivano intrecciati sempre più stretti.
Le Norne avevano un progetto per quei due principi: Urðr l’aveva scelto, accuratamente e con minuzia e Skuld l’avrebbe avverato ma Verðandi aveva il potere di cambiarlo. Perché il passato e il futuro non sono niente senza il presente ed è lui che ha più potere.
Ed Asgard vide la bellezza di due principi di luce ed ombra, notte e giorno ed essi erano felici.
Ma le Norne non avevano scritto per loro un facile destino.
 
*/*


Fin da subito si era capito che Loki era diverso.
Schivo, magro, silenzioso, con un sorriso mellifluo e duttile. Non era portato per le armi ma per le parole; non aveva forza fisica ma possedeva un’intelligenza inconsueta.
Era stato difficile da crescere.
Se Thor era allegro e turbolento, Loki era silenzioso e dubbioso. Adorava leggere e far di conto, i libri erano i suoi amici mentre per il maggiore lo era una spada ben affilata. Non aveva bisogno di urlare per farsi valere perché le sue parole le sceglieva accuratamente e miravano a ferire e annientare.
Era il bambino più minuto dell’intera corte, forse anche dell’intera Asgard. Nella luce del sole che sempre splendeva sulla città, Loki cresceva nell’ombra, accompagnato da quei capelli corvini che tanto ricordavano i corvi, animali prediletti del padre.
Però sembrava sempre triste, anche quando sorrideva.
C’era qualcosa nei suoi occhi cangianti, qualcosa di antico, di sbagliato, fuori luogo. Gli altri non lo notavano ma Thor lo vedeva perché anche lui dopotutto era un buon osservatore. Vedeva e osservava ma quasi mai parlava. Non era bravo a discutere quanto il fratellino e temeva che, se avesse iniziato una discussione, avrebbe rotto quel magico legame che c’era tra loro.
C’era volte in cui Loki non riusciva a dormire. I loro genitori non lo sapevano ed era meglio così. Non tutti i genitori avrebbero capito e gli incubi erano comuni in un bambino ma quelli di Loki erano diversi. Lui sognava di ombre fredde, di ghiaccio, di occhi rossi che lo fissavano e di bocche marce che lo mordevano. Allora si svegliava di soprassalto nel cuore della notte e correva nella camera vicina di Thor.
Lì trovava sempre un rifugio, lì c’era sempre una porta aperta, lì era amato. Era un luogo sicuro e a Loki piaceva. Era una stanza calda, accogliente e il camino era sempre acceso. C’era luce in quella stanza. In quella di Loki invece, sembrava fare sempre freddo. Le tende di broccato ricamato coprivano la figura di Thor, raggomitolato tra le lenzuola. E allora Loki si arrampicava sul grande letto e si stringeva contro di lui, svegliandolo.
-Loki, un altro incubo?
La voce era assonnata e impastata ma gli piaceva perché era buona, non era come quelle dei servitori o degli altri bambini, piene di cattiveria e sibili.
Si limitava ad annuire, non sempre c’era bisogno di parole, e Thor lo abbracciava più forte. Era in quell’abbraccio fresco d’estate che Loki si sentiva al sicuro, che quegli occhi rossi erano finalmente scacciati e quel freddo che aveva sfumava lontano dalla sua pelle.
Era bello stare tra le braccia di Thor perché ti sentivi al sicuro e lui allontanava ogni mostro sotto al letto. Loki avrebbe tanto voluto passare il resto dell’eternità tra le sue braccia. Ma i doveri di un erede si facevano sentire e Thor ogni giorno era sempre più occupato.
Per loro due rimanevano solo le notti, i combattimenti amichevoli e i banchetti lenti e monotoni.
Con il tempo, Thor aveva anche smesso di domandare al fratello. Era chiaro che quando Loki andava nella sua camera era perché un incubo o l’insonnia lo turbavano. E così ha smesso di chiedere, non ce n’era bisogno.
E Loki non raccontava mai i suoi incubi. Non perché non avesse fiducia nel fratello, anzi. Semplicemente, non voleva. Forse Thor non li avrebbe capiti o forse l’avrebbe preso in giro e questo sarebbe stato peggio di tutto. Teneva tutto per sé, riflettendo stretto al corpo caldo dell’altro, chiedendosi perché Thor non facesse mai incubi e perché invece lui sognava occhi rossi e risate stridule.
Una notte, sognò grandi mani che lo tiravano verso l’abisso. Giù, giù, sempre più giù. E intorno a lui c’era il niente e il silenzio fischiava. Si agitava mentre cadeva e gridava, gridava così tanto da ferirsi la gola. Poi toccò il fondo. Era una grotta marcia, traboccante di scheletri e dalle ombre emersero pallide figure ammantate, dagli occhi rossi e scintillanti. Gli si gettavano contro e lo mordevano, lacerandogli le carni. E c’era sangue e c’era dolore. Poi arrivava Thor, lucente nell’armatura troppo grande per la sua età. E stava per andargli incontro quando una delle ombre lo fermava, posandogli una mano sulla spalla.
-Lascialo perdere, figlio di Odino. Non vale la pena di essere salvato. Non vale niente.
E Thor lo guardava e Loki tendeva una mano sporca di sangue verso di lui. Ma non c’era nessuno a stringere quella mano. Thor se ne andava ridendo e lo lasciava lì.
Il sogno finiva così, e Loki si svegliò urlando e le sua mani cercarono subito le ferite e i suoi occhi il sangue. Urlò così forte che quella volta venne Thor nella sua camera. Aprì la porta frettoloso e lo vide chino sulle sue gambe, a inseguire come lucciole ferite che non c’erano. Lo abbracciò di slancio, senza fare domande e Loki tremava contro di lui. Passò un’ora o un giorno, il tempo non era rilevante. Ora importava solo di tranquillizzare Loki. Ad un certo punto il minore sussurrò con una voce così stanca e roca da far spavento.
-C’eri anche tu, in quel luogo e…non mi salvavi.
Strinse i pugni contro la leggera tunica del fratello. Thor era sempre caldo. Perché non l’aveva salvato?
Io ti chiamavo e tu non mi salvavi. Te ne andavi…perché? Mi hai lasciato lì e te ne sei andato.
Thor lo strinse con forza, inspirando l’odore dei suoi capelli neri. Il suo piccolo fratello, il suo Loki, così fragile e sottile.
-No Loki. Io non ti abbandonerò mai. Ti salvo, fratello. Ti salverò sempre.
Loki si addormentò contro di lui, era così gracile da non pesare nulla e Thor per quella sera vegliò. Vegliò sul suo fratello al lume della luna, in attesa che altri mostri lo terrorizzassero nel sonno.
Stretti l’uno all’altro, la notte e il giorno si completavano.
 
*/*


A corte giravano delle voci. Voci maligne e infide e false, nate da un seme di invidia e paura.
Il popolo rumoreggiava, la gente voleva risposte che sapeva di non poter avere e per questo inventava storie.
Non si sa come sia iniziato tutto. Forse con la pubblica presentazione di Loki, quando Asgard aveva visto per la prima volta quel bambino pallido in braccio alla regina, o forse un paio di anni dopo, quando Loki cresceva e diventava sempre più diverso nell’aspetto e nel carattere, o ancora quando era nato e già da allora c’era un segno sopra la sua pelle, un segno invisibile ma indelebile. O forse, semplicemente, non era mai iniziato niente ed era così che doveva andare, perché era stato scritto.
Si diceva che Loki fosse figlio della regina ma non del re.
L’avete visto? È troppo diverso dal sovrano, con quei capelli scuri e quegli occhi verdi.
Ve lo dico io, la regina l’ha tradito durante la guerra, ma Odino è troppo misericordioso per cacciarla e ha accettato quel bastardo sotto il suo tetto.
Il principe Thor, lui sì che è il degno figlio. Sarà un ottimo re.
Bastardo. Bastardo. Bastardo. Bastardo.

Era così che lo chiamavano. Nessuno faceva nulla per impedirlo: i suoi genitori non prestavano orecchio a queste malelingue e nemmeno Thor, anche se quando le sentiva si rabbuiava in volta.
Lascia stare, dicevano, un re saggio sa quando dare ascolto a delle voci di nicchia per trarne vantaggio e quando, invece, capire che sono false.
Già, lascia stare. Ma è dura fingere quando ti avvolgono in insinuazioni. La vita di Loki agli occhi del popolo non era degna di essere vissuta. Lui non ne era degno perché era diverso, perché era gracile, perché aveva la notte nei capelli e un sorriso sempre triste.
Ci provava, davvero, a non ascoltare. Ma le menzogne crescevano con lui così come il freddo che sentiva e una consapevolezza amara germogliava nel suo cuore.
Frigga osservava tutto con la saggezza di una madre e taceva. Taceva perché sapeva il comando di Odino, di lasciare che Loki se la cavasse da solo; taceva perché era una regina e anche lei aveva i suoi doveri. Ma vedere quegli occhi lucidi di lacrime ogni volta che un servo guardava il suo bambino con odio la faceva infuriare. Avrebbe voluto strappare le carni a ciascuno di loro.
Con il tempo ha imparato ad amare Loki per quello che era. Nessuno, neppure Odino, sapeva quanto Loki fosse speciale e dolce e fragile e bellissimo. Avrebbe sempre preferito Thor in quanto primogenito e figlio naturale ma quel bambino di neve la rendeva felice come non mai.
Frigga vedeva Loki e le si stringeva il cuore. E così l’ha iniziato al Seiðr.
Il Seiðr, la magia antica, ciò che tutto possiede ed è posseduto in tutto, la magia dell’anima e della natura. E Loki era bravo, eccome se lo era. Aveva una qualità innata e fin da subito Frigga se n’era accorta perché gli Jǫtnar sono portati per la magia ma Loki lo era di più.
Ma la sua bravura non poteva certo compensare la fragile forza fisica che lui aveva. 
Thor aveva provato più volte a combattere contro di lui, in quelle battaglie con le spade di legno dai bordi smussati. Ma ogni volta Loki perdeva nonostante avesse dalla sua l’agilità e la furbizia. E le risate dei compagni di Thor gli arrivavano alle orecchie e lo ferivano. E allora si alzava, scacciando in malo modo la mano che Thor gli porgeva, sempre, e correva nelle sue stanze. Non voleva smettere di combattere perché il suo orgoglio lo impediva e volere rendere fiero suo padre, che credeva che lui mai sarebbe divenuto un guerriero. E poi era uno dei pochi momenti in cui stare assieme a Thor perché era sempre impegnato con lezioni o battute di caccia. Nemmeno i lividi e i graffi che riportava come trofeo riuscivano a indurlo a smettere.
Finché, durante uno dei soliti incontri amichevoli, Loki non ha pronunciato un incantesimo. Si era scontrato contro Volstagg, uno degli amici di Thor ed era inchiodato a terra sotto il peso dell’altro, senza possibilità di uscita. Così aveva sussurrato a fior di labbra una magia. Era semplice, l’aveva imparata mesi prima, ma soprattutto era efficace.
La spada che Volstagg gli puntava alla gola era mutata in un serpente dalle squame smeraldine e argentate. L’avversario era saltato in piedi, dimentico del combattimento e aveva gettato via il serpente, che catapultato nella polvere dell’arena sibilava velenoso. Prima che Loki potesse farlo sparire, Thor gli sfracellò la testa con un colpo netto di spada.
Credeva che tutti gli avrebbero fatto i complimenti per l’incantesimo, si sarebbero congratulati con lui per l’arguzia. Invece quando aveva sollevato gli occhi, aveva visto il disapprovo di Fandral e la rabbia di Sif e la confusione di Thor. Sif lo aveva additato, con quei suoi occhi severi e di pece, chiamandolo “mago” e “bugiardo”.
Quando lo venne a sapere, Odino si infuriò. Poteva essere un re giusto e magnanimo ma la sua ira non aveva eguali.
-Un guerriero non usa la magia! È l’arma degli inetti e dei codardi! Vuoi diventare un codardo o un eroe? Se non ci fosse stato tuo fratello, quella tua magia poteva ferirvi! È questo quello che vuoi? Vincere con l’inganno?
Anche Frigga non era stata felice. Lei, che l’aveva istruito, aveva scosso la testa e dato ragione al marito. Una madre non dovrebbe forse appoggiare il figlio? Non dovrebbe aiutarlo e sostenerlo e proteggerlo? Frigga non l’aveva fatto.
-Ti avevo avvisato di non usare la tua magia in pubblico.
Loki non capiva. Perché non poteva mostrare l’unica cosa di cui andava fiero? Perché non poteva avere anche lui una qualità? Perché ogni volta Thor doveva prendersi il merito per una sua azione?
Da quel momento il popolo lo soprannominò Lingua D’argento, per il ricordo di quel serpente che giaceva ormai nell’arena, polvere nella polvere.
Loki capì che avrebbero sempre preferito Thor a lui, perché Thor era quello coraggioso, forte e leale mentre lui era un bugiardo e un macchinatore.  
Quella sera si svegliò, ancora da un incubo. C’era stridii e urla in quel sogno, occhi di fiamme e paesaggi ghiacciati e vuoti. Loki si svegliò di soprassalto e si strinse nelle coperte. Aveva freddo ma non andò da Thor questa volta. Non ci andò più, in realtà.
Solo anni dopo, quando le ferite di una guerra che non poteva vincere contro il tempo e i rimasugli di una vita passata segnavano la sua pelle, bussò a quella stessa porta.
Per adesso, si sarebbe limitato a proteggersi da solo. Guardare in faccia il nemico, ecco come avrebbe fatto. Ma se tu guardi dritto e sei da solo, chi ti guarda le spalle?
Non aveva nemmeno potuto dire che quel serpente era innocuo. Aveva modificato la magia di modo che il serpente non possedesse né denti né veleno. Nessuno se n’era accorto, a nessuno era importato.
 
 
*/*

Prima di diventare il dio degli inganni, Loki era sempre stato Loki.
Eppure agli occhi di tutti questo non bastava. Non bastava che lui fosse intelligente e un ottimo mago o fosse dotato di un acume straordinario. No, non bastava. Perché la realtà faceva male e per questo Loki ha scelto di vivere nella falsità e nell’illusione. Era più semplice credere in qualcosa piuttosto che arrendersi all’amara consapevolezza.
Crescendo aveva iniziato a capire, a cogliere dei piccoli dettagli, insignificanti per altri forse ma che per lui conservavano un’importanza immensa. Erano luccichii che vedeva negli occhi della regina quando Thor tornava vittorioso da una battaglia; erano questi gesti velati di irriverente imbarazzo che i compagni del fratello facevano quando lui spuntava da un angolo mentre loro parlavano; erano i sussurri che l’avvolgevano la notte, che risvegliavano i mostri, che non gli consentivano di dormire il sonno dei giusti.
Ci ha messo del tempo per capire, per evincere la situazione per quella che era: chiara, senza veli a coprirla.
Era chiaro come il sole. Tutti amavano Thor e non lui.
Una parte di lui comprendeva. In fondo, era Thor il primogenito e il degno re, era lui ad essere forte e invincibile. Loki lo sapeva che ad Asgard la prima lingua parlata è la forza e lui non era forte. Lo sapeva, e gli andava bene così.
Ma pian piano, il parassita di un’idea gli aveva morso la vista ed allora una consapevolezza amara come veleno si era fatta strada. Non solo preferivano Thor, ma per lui non ci sarebbe mai stato posto. Era palese che in lui c’era qualcosa di sbagliato, qualcosa di inadeguato e di diverso. Non solo nell’aspetto ma doveva essere più radicato, più a fondo, nel suo essere, nella sua anima. Doveva per forza essere così, o non vi era altra spiegazione.
E da allora ogni suo atto, ogni sua parola fu mirata al compiacere e rendere orgoglioso qualcuno. Che fosse suo padre, sua madre, il popolo non gli importava. Solo, voleva che qualcuno fosse fiero di lui.
Ma ciò non avvenne mai. Ogni sua azione portava solo delusione nell’occhio del padre e guadagnava solo un’esile carezza, veloce e sfuggevole, da parte della madre. E intanto Thor continuava a riscuotere ovazioni e grida di giubilo.
Poi venne la verità. Infida, bastarda e traditrice verità. Poi seppe tutto. Ecco perché nessuno lo voleva. Ecco perché tutto ciò che faceva non sarebbe mai potuto essere apprezzato.
Mai odiò la verità come in quel frangente di tempo.
Lo spezzò, lo distrusse e al contempo lo forgiò in una nuova convinzione. Come una spada è forgiata dal fuoco del fabbro, così lui creò una nuova idea.
Se fosse riuscito a creare un’illusione tanto potete da nascondere la verità, da ecclissarla, allora avrebbe potuto avere l’amore che tanto bramava.
Ma non era così facile.
Nella sua cella ad Asgard era questo quello che occupava le sue giornate, altrimenti vuote e grigie.
Dopo il suo attacco in quella stupida città midgardiana, il Padre degli Dei aveva voluto imprigionarlo, come punizione per i suoi crimini.
Quanto tempo era passato? Un mese, un anno o un secolo? Da quando non aveva altro compagno che quel perpetuo buio, pungente e maestoso?
Era freddo in quella stanza, davvero freddo ma non abbastanza per farlo trasformare. Non avrebbe concesso anche quello. Non l’avrebbero visto nella forma sbagliata, no.
Non riusciva a togliersi dalla mente gli occhi lucidi di Frigga o la cocente delusione nello sguardo di Odino. I sussurri del popolo sibilavano anche lì dentro e lo infastidivano. Persino Thor lo guardava con amarezza, con paura. Ed era doloroso, molto doloroso.
Tutto quello che voleva era appartenere a qualcosa, amare qualcuno, avere qualcuno. Era così tanto da chiedere?
Sì, era tanto, era troppo e lo sapeva. Perché lui era uno Jotun, era un mostro della notte, i bambini tremavano al suo nome. Non poteva avere nient’altro che una vita di disprezzo e bugie.
Per questo, lì in quella cella fredda, decise che non gli sarebbe più importato. Non gli sarebbe importato della famiglia, del bene comune, della felicità. Avrebbe abbandonato ogni cosa. Come suo padre aveva abbandonato lui e come lui era stato abbandonato da tutti coloro che l’avevano incontrato dopo. Niente sarebbe più servito a niente.
Ma la tentazione era dietro l’angolo e si ammantava di ombre chiare e melliflue.
Quando la notte giungeva e le grida lo risvegliavano, tutto quello che voleva era qualcuno al suo fianco, che lo abbracciasse o lo consolasse. Dimentico dei suoi propositi, non poteva non rifugiarsi in quell’illusione di un tempo che sembrava essere passato da mille e mille lune.
Era proprio la notte il momento più orribile. Nelle tenebre che tanto aveva bramato, occhi rossi e sangue scuro lo circondavano.
Prima di sentirlo, vedeva il dolore. Era tangibile e reale, un coltello che apre il petto che gli squarcia la carne. E poi il sangue, quel sangue scuro e denso che scorre e non si ferma mai. E allora si svegliava urlando. Erano passati i tempi in cui andava a cercare pace tra le braccia del fratello. Sfumati come sabbie in un deserto arido. Ora, tutto quello che può fare è stringersi tra le braccia e cercare di non tremare e non chiudere gli occhi.
Era di giorno che Thor lo andava a trovare, quando il sole splendeva ed Asgard riluceva d’oro. Quella luce non poteva illuminare le prigioni ma non era il buio il problema: era nato in un mondo perennemente avvolto nelle tenebre, avrebbe resistito all’assenza di un lume. Si era abituato a quello, pur bramando la luce. Era la solitudine di quel silenzio ad ucciderlo lentamente. I suoi pensieri rimbombavano e sibili acuti gli perforavano le orecchie.
-Sei più pallido. Hai da mangiare a sufficienza?
Più delle visite giornaliere di Thor, era intollerabile il tono preoccupato della sua voce, come a indicare una parvenza di amore cui Loki non apparteneva più. Nel lerciume della sua misera cella, nemmeno la luce dei biondi capelli dorati riusciva ad illuminare quel luogo.
Ad Asgard ogni bambino veniva cresciuto nell’odio verso gli Jotun. Con loro due era stato così: Loki e Thor avevano imparato a disprezzare quella razza. Ora che sapeva di essere uno di loro, Thor non aveva alcun dubbio e sapeva che durante la notte Loki si doveva svegliare per gli incubi. Lo vedeva sul suo volto emaciato e in quell’aria distrutta che aveva sempre. Era la stessa di quando era bambino, solo che allora c’era Thor a poterlo consolare. Ora invece, solo il buio e il freddo gli erano vicini.
-Non fingere che ti importi. L’ipocrisia non ti si addice, principe, lasciala a chi di competenza.
Principe. Ora Loki lo chiamava così. E c’era un tale distacco nella sua voce da far male quanto una spada nel petto. Thor non sapeva quando esattamente il loro legame si era spezzato. Eppure aveva sempre creduto che le Norne avessero deciso di concedere loro un destino unito. Ma il tempo era ingannatore e bastardo e lasciava dietro di sé solo dolore. E Loki, di dolore, ne aveva patito così tanto e per così tanto tempo da essere stato avvolto da esso. Thor avrebbe dato qualunque cosa -il trono, la sua vita, tutto- per di tornare indietro e sistemare ogni cosa. Ma non poteva, perché non c’è ritorno per il passato.
-Loki, io sono preoccupato. Non sarei qui altrimenti.
-Vorresti farmi credere che non ti riempie di muto orgoglio vedermi qui? Eppure sei stato tu a segregarmi in questa cella. Il principe di Asgard che conduce in catene il principe maledetto, il bastardo ingannatore.
Le parole erano sempre state la forza di Loki e Thor lo sapeva, l’aveva sempre saputo. Ora, in quegli occhi, leggeva un mondo di rabbia e odio e rancore e tristezza. Erano occhi magnetici, Loki li aveva sempre avuti.
-Io ti voglio bene, lo sai…
-Non è vero! - il prigioniero urlò, colpendo il vetro con un pugno. Un sordo rimbombo riecheggiò nel vuoto dei corridoi. Due guardie accorsero ma Thor le mandò via con un muto gesto della mano. Ora dovevano esserci solo loro due.
-Tu non mi vuoi bene, nessuno me ne vuole. Tu, come tutti gli altri, vedi solo ciò che vuoi vedere. Ho ucciso mio padre per voi, tutti voi e cosa ho guadagnato? Altro disprezzo e l’epiteto di parricida.
-Loki come fai a dire queste cose? Sei mio fratello, io ti voglio bene…
-Non sono tuo fratello! – un nuovo pugno colpì il vetro e sulla pallida mano si disegnarono dei graffi rossi ma il dolore non era niente paragonato a una vita di illusioni. –Tu mi disprezzi per quello che sono, non hai mai accettato la verità di avere al tuo fianco un mostro come me.
Si fermò e prese un respiro. Si stava lasciando andare e quello non era programmato. Nulla di tutto ciò era stato previsto. Volse un attimo il volto, per non fare vedere le lacrime che gocciolavano dalle ciglia. Non avrebbe mai dovuto mostrarsi debole di fronte a lui, di fronte a qualcuno, ma aveva così tanto timore di restare solo di nuovo. La sua fragile allucinazione di un’apparente felicità cominciava a sgretolarsi al pensiero e pezzi di cristallo cadevano e diventavano polvere.
Il maggiore osservava in silenzio. C’era ira e delusione e sofferenza nella voce di Loki e sapeva di meritarsele tutte. Era vero quello che insinuava. Lui non aveva esitato a voltargli le spalle, una volta scoperta la verità. Era stato codardo e lo sapeva e se ne pentiva; era una macchia sulla sua anima che voleva detergere ma che era indelebile.
-Loki.
La voce gli tremava e si odiava per questo perché lui doveva essere forte e resistere per entrambi. Doveva farlo, per lui, per la loro madre, per Odino ma soprattutto per suo fratello.
-Loki, guardami. – e no, non era un ordine ma una richiesta a fior di labbra, sussurrata nel vuoto. Il prigioniero si voltò lentamente e quegli occhi meravigliosamente verdi lo fissarono senza parlare. Thor poggiò una mano sul vetro, come a cercare un contatto che mai sarebbe potuto accadere.
-Non è mai stata mia intenzione ferirti. Io l’avevo promesso. Tu non lo sai, come potresti eri appena un neonato, ma quando madre ti mostrato a me, io ho giurato di proteggerti. Eri così indifeso e io dovevo farlo, dovevo prendermi cura di te. Non ci sono riuscito, lo so che non l’ho fatto e mi dispiace. Hai ragione, ti ho ferito anch’io e forse più di tutti gli altri ma ero più giovane e impulsivo e so che non è una scusa per i miei errori, ma non ho altro da offrirti. -Thor si rese conto di quanto la sua voce fosse tremula e singhiozzante eppure non piangeva. Non aveva più lacrime ormai da spendere. Loki non lo guardava più con odio ma i suoi occhi erano sempre impassibili. -Avevo fatto una promessa e non l’ho mantenuta e sono stato incosciente e uno spergiuro e lo so, me ne rendo conto. Tu eri il mio fratellino e dovevo proteggerti. Non credo tu abbia mai capito quanto io ti amassi. Loki, ti giuro che se ci fosse un modo per tornare indietro e cancellare tutto il dolore che ti ho causato, lo farei.
Loki non parlava ma osservava. Era tutto troppo assurdo per essere realtà. Thor non era bravo quanto lui a mentire e pertanto quella doveva essere la verità. E a Loki niente era sembrato più dolce.
Quando il principe finì di parlare, Loki lo fissava senza parlare. Non c’era espressione sul suo viso e solo gli occhi erano in tempesta.
Thor lo guardò e vide che gli occhi parlavano da soli.
Le infinite maschere di Loki stavano cadendo e ne era felice e al contempo spaventato. Avrebbe significato riavere suo fratello come era una volta, quando non c’erano dolore e bugie a separarli.
Ma Thor non sapeva più chi ci fosse dietro quel volto mutevole, e non avrebbe saputo dire se Loki effettivamente era ancora lì. Ma lui lo doveva proteggere, doveva fare ammenda ai suoi errori. Valeva la pena tentare.
Forse fu per questo che si sedette dinanzi a lui. C’era il vetro a dividerli ma non era un ostacolo insormontabile o almeno non più degli altri che avevano passato.
Non seppero per quanto stettero lì, in silenzio, ad osservarsi. In un muto sguardo che non aveva nulla di imbarazzante o malvagio, ma racchiudeva tanta riflessione. Entrambi pensavano, a ciò che era successo, ai loro errori e alle lacrime e al sangue. E i ricordi riaffioravano e Loki allora chiudeva gli occhi e tornava a quei momenti e si stupiva di trovarli ancora vividi e luminosi. Era come se niente fosse cambiato.
Erano solo loro, lì, ora.
Un principe di sole, con occhi di cielo mentre piove e calde lacrime sulle guance.
E, davanti a lui, un principe di oscurità e neve, con occhi verdi e meravigliosi e pieni di dolore e rimpianto. Eppure tutto era cambiato, e loro lo sapevano.
C’era il tempo filato da Urðr con le sue rugose dita di vecchia e mai sarebbe tornato. Ma era il presente che contava ed entrambi sapevano che il presente altro non è che una splendida illusione, in cui tutto sembrava andare bene e dove le bugie e le ferite spariscono per un momento infinito.
Per ora, volevano credere che andasse tutto bene.
Finché Loki parlò, con voce flebile e sottile.
-Non puoi invertire il corso del tempo. Torna alla luce del sole, principe. Qui non è posto per te.
E non parlò più.
Thor si alzò sospirando e se ne andò, il mantello che volteggiava nella polvere, nello stesso istante in cui tre guardie entravano nella cella, reggendo un grosso filo e un ago. Loki si permise di guardare un’ultima volta la figura scura del fratello affondare nelle tenebre.
Poi due mani fredde lo immobilizzarono, e di lì fu solo dolore rosso e bianco.
 
*/*


-La sua punizione è stata decisa.
-Padre non…
-Silenzio!
Nella sala del trono riecheggiò solo la voce tonante del Padre degli Dei. Tutto riluceva d’oro ma per Thor c’erano solo ombre in quel frangente. Ora Frigga piangeva in silenzio, nelle sue vesti blu come la notte stellata, le mani a coprirsi il volto.
-Loki merita di essere punito. Ha sbagliato e non sono diventato re per lasciare crimini impuniti. Ho già provveduto affinché venisse eseguita la condanna. – la voce era baritonale e tonante. Se Odino provava cordoglio e rimpianto, non lo fece vedere neppure per un istante. Il Padre degli dei deve essere inflessibile.
-Non puoi averlo fatto! – tutto il corpo di Thor fremeva di ira e non gli serviva Mjöllnir per apparire temibile e furioso: bastava la rabbia dentro di lui. Odino non era il solo a riuscire ad apparire terribilmente iracondo pur senza armi in mano –È già stato imprigionato! Come puoi averlo fatto?
-La segregazione era per i suoi atti commessi ai danni di Midgard. Ora invece è punito per il suo essere ingannatore e bugiardo.
Frigga piangeva ancor di più, non vergognandosi di quelle lacrime, simbolo del dolore e della perdita di una madre ma Thor non aveva la forza per muovere passi ed abbracciarla. I suoi occhi erano fissi su Odino che sembrava non curarsi del peso delle parole appena usate.
-Ma come…come farà a mangiare? A parlare?
-Il castigo è stato scelto appunto per negargli questa sua capacità, così un giorno ricorderà quanto sono importanti le parole, da usare con cautela. In quanto al cibo, il filo non è comune e lui rimane pur sempre un dio.
Con quella spiegazione Odino lasciò la stanza.
E in Thor crebbe la disperazione, la rabbia, il disgusto. Corse alle prigioni, con il cuore in gola e le lacrime agli occhi e poi lo vide.
Lì, rannicchiato in un angolo buio, una figura pallida e tremante. I capelli ricadevano sul volto sanguinante come fronde morte di un albero e sulla bocca cordoli nerastri spiccavano.
-Fratello…
Loki lo fissava ma non parlava, la bocca orribilmente deturpata.
Quella notte Thor dormì al di là del vetro, al fianco del fratello. Incubi e sangue li accumunavano e per Thor era straziante udire nel sonno da guerriero, leggero e mutabile, le urla soffocate che Loki lanciava. La cucitura non permetteva a nessun suono di uscire e le grida morivano in gola.
Nessuno dei due poteva portare indietro il tempo, quando erano ragazzi, quando erano felici e quando non c’era sangue nero tra di loro.
Ora, Thor lo sapeva, sarebbe stato tutto più difficile, tremendamente difficile.
Ora, Loki lo sapeva, non poteva far altro che sperare che i mostri della notte lo uccidessero in fretta, in modo indolore.
A dividerli, c’era sempre quel vetro. E la speranza di un mondo e una vita diversa, migliore.
E senza sangue.


















 
   
 
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