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Autore: DanzaNelFuoco    13/03/2019    0 recensioni
COW-T #9: tristezza
--- Juan ricordava Penelope come la ragazza dolce e gentile che lavorava al forno, quella che più di una volta aveva badato a lui nelle uggiose giornate di aprile quando sua madre doveva correre da una casa all’altra con le sue stoffe e i suoi metri e i suoi aghi per allungare orli e stringere giacche in previsione dell’estate.
Gli si stringe un po’ il cuore pensando ai grissini che gli regalava di nascosto, un dito premuto sulle labbra mentre gli faceva l’occhiolino. “È il nostro piccolo segreto.”
Certo, ora il forno è chiuso da anni.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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COW-T #9: tristezza
Peneolope - Joan Manuel Serrat
 

Dicen en el pueblo (que un caminante paró)
 

Il suono dei suoi tacchi sulle piastrelle è puntuale come un orologio svizzero. 

Juan solleva lo sguardo dal pavimento e la vede passare, l’orlo del vestito verde - quello della domenica, ormai liso dall’uso - che sfrega contro le sue gambe nude. 

Ci sono sei gradi fuori, ma in vent’anni di servizio, Juan non l’ha mai vista indossare nient’altro. Sempre lo stesso vestito verde scuro, le stesse scarpe di pelle marroni con la suola ormai lisa, la borse ormai crepata, un cappotto d’inverno e un ventaglio d’estate. Penelope è una fotografia fissata nel tempo, i bordi rovinati dall’usura, ma sempre uguale a sé stessa. 

“Buongiorno, signorina Serrat!” Juan si solleva il cappello e quella gli sorride, ogni giorno le rughe attorno alle sue labbra sono più profonde, gli occhi sono un po’ più infossati, la pelle un po’ meno soda. Juan era un bambino quando la storia di Penelope aveva fatto il giro del paese. Dovevano essere passati almeno trent’anni da quel giorno. 

“Buon giorno, Juan!” 

Juan ricordava Penelope come la ragazza dolce e gentile che lavorava al forno, quella che più di una volta aveva badato a lui nelle uggiose giornate di aprile quando sua madre doveva correre da una casa all’altra con le sue stoffe e i suoi metri e i suoi aghi per allungare orli e stringere giacche in previsione dell’estate. 

Gli si stringe un po’ il cuore pensando ai grissini che gli regalava di nascosto, un dito premuto sulle labbra mentre gli faceva l’occhiolino. “È il nostro piccolo segreto.” 

Penelope ridacchiava e tutto il suo viso si illuminava quando sua padre brontolava, perché il piccolo Juan avrebbe dovuto pagare proprio come tutti gli altri e poi, doveva proprio dargli i grissini? Avrebbe potuto dargli un tozzo di pane nero, invece che le prelibatezze bianche che sarebbero dovute finire sulla tavola di Don Rinaldo. Le prime volte Juan era arrossito, ma Penelope aveva scossato il capo, raggiante, e aveva continuato a ridacchiare del tono burbero di Carlos. Faceva sempre così Carlos, era come un vecchio cane, uno di quelli grossi e pelosi, che abbaiava in continuazione, ma dopo poco Juan aveva imparato che non mordeva e aveva smesso di guardarlo con quegli occhi piene di timore reverenziale. 

Certo, ora il forno è chiuso da anni, Carlos aveva dovuto venderlo quando Penelope aveva smesso di lavorarci. 

Poverini, aveva sussurrato l’intero paese, povera famiglia Serrat. Una figlia svergognata e per di più impazzita, avevano scosso il capo. 

Juan aveva smesso di passare le sue giornate al forno. 

“Imparerò a preparare il pane e quando sarò abbastanza grande ti sposerò!” le aveva detto Juan dall’alto dei suoi dieci anni e Penelope gli aveva spettinato i capelli e aveva sorriso con un “vedremo”. 

Alle volte Juan si chiede ancora - ora che di anni ne ha quaranta e a casa sua ha una moglie e un bambino e la babysitter è una sedicenne svogliata più intenta a giocare a Snake sul telefonino che non ad aiutare con i compiti il piccolo Manuel - come sarebbe stata la sua vita se avesse davvero provato a sposare Penelope. 

Alle volte gli piaceva immaginarsi come il cavaliere senza macchia e senza paura che, ignorando le male lingue, sarebbe arrivato a bordo del suo cavallo bianco - una bicicletta mezza arrugginita e un po’ troppo piccola per lui - e l’avrebbe costretta a smettere di passare le sue giornate alla stazione, facendola salire sul portapacchi dietro al sellino e portandola a casa, rompendo il perfido maleficio che le era stato gettato addosso. 

Aveva vent’anni Penelope quando Joan era arrivato - Joan, il suo stesso nome in catalano, Juan avrebbe potuto ridere delle coincidenze della vita se l’ironia non fosse stata troppo amara da mandare giù quando era stato abbastanza grande per capirlo. 

Del suo arrivo non si era accorto nessuno, nessuno lo aveva visto scendere dal treno, lui con i suoi modi affascinanti, la sua borsa logora su una spalla e un cigarillo che gli pendeva dalla bocca, perennemente spento. Era un bell’uomo Joan e Penelope si era innamorata come si erano innamorate tutte le ragazze della città. 

Carlos l’aveva avvertita, “sta attenta” gli aveva detto, “quello porta guai.” Ma Penelope era giovane e innocente, un fiore in sboccio, e ci era cascata, oh se ci era cascata. 

Joan le baciava la mano, comprava il pane e le rivolgeva il suo sorriso sghembo che le faceva tremare le ginocchia. E poi un giorno Penelope era in ritardo ad aprire il negozio. “Ho dormito troppo” si era giustificata arrossendo con il padre, lei che si svegliava sempre al canto del gallo. 

Suo padre l’aveva guardata storto, non con il solito cipiglio bonario, e per la prima volta Juan aveva pensato che Carlos avrebbe morso. “Sta attenta a quello che fai.” 

Penelope aveva annuito, stringendo le labbra. “Non ho fatto niente.” Per la prima volta non aveva né sorriso né ridacchiato. 

“Non ancora, forse.” 

Juan non aveva capito, ma gli era sembrato comunque uno scambio a cui lui non avrebbe dovuto assistere. 

Le voci avevano cominciato a circolare per la città, pettegolezzi sussurrati in fondo alla fila dal droghiere e tra comari che facevano il bucato, chiacchiere su come la figlia del fornaio e il bello sconosciuto del sud fossero così vicini, passassero così tanto tempo insieme da essere quasi un’indecenza. Voci cattive che tacevano non appena Penelope entrava in una stanza e riprendevano non appena se ne usciva. Quella maligna della moglie del macellaio aveva persino insinuato che quando si fossero sposati - se si fossero sposati, aveva ridacchiato la serpe - Penelope non avrebbe potuto indossare un vestito bianco. C’era voluto poco perché le comari cominciassero a valutare le dimensioni del suo addome o il suo modo di camminare. Il suo ventre non si era mai cominciato a gonfiare, ma nessuno si sarebbe stupito se invece fosse successo. 

Quando se ne era andato, lei lo aveva accompagnato alla stazione. 

“Non piangere, amore mio, tornerò” gli aveva detto lui, prendendole la mano e lei, in lacrime, lo aveva baciato, senza curarsi di quello che avrebbero potuto dire di lei. 

Lui l’aveva presa tra le braccia, una mano sulla sua vita stretta e le aveva sussurrato, “Pensami”, all’orecchio. 

Penelope piangeva ancora quando il treno era diventato nient’altro che un punto lontano su binari infiniti. 

Aveva passato un giorno intero a piangere, chiusa nella sua stanza, accasciata sul letto. Suo padre aveva tirato un sospiro di sollievo. Era tutto finito, il mascalzone se ne era andato e forse, forse Penelope non avrebbe più trovato marito, ma i tempi stavano cambiando e lei avrebbe comunque ancora avuto il forno. 

Penelope era uscita il giorno dopo con il suo vestito migliore, quello verde bottiglia che la madre di Juan aveva cucito due anni prima, quando Juan era ancora abbastanza piccolo per poter assistere alla prova degli abiti delle signore, passando gli spilli e tenendo fermi gli orli. Penelope era uscita ed era andata al binario ad aspettare che tornasse. 

Erano trent’anni che aspettava il suo ritorno. 

E ancora gli occhi le si illuminavano quando arriva un treno, facendo scorrere lo sguardo su ogni singola persona che scendeva nella speranza di vederlo. 

Juan si chiede cosa sarebbe successo se l’avesse afferrata per le spalle e scrollata, se le avesse urlato in faccia che dopo cinque anni senza nemmeno una lettera, Joan l’aveva dimenticata, Joan aveva trovato un’altra donna, Joan era andato avanti, e lei avrebbe dovuto fare lo stesso. 

Ma povera Penelope, aveva detto l’intero paese, lasciandola seduta su quella panchina che era già vecchia quando Juan aveva dieci anni. E Juan aveva avuto altro a cui pensare, una vita da vivere. Una scelta più facile. 

Il treno arriva e Juan si calca il berretto da capostazione sul capo, controllando di avere il fischietto nella tasca della giacca, prima di salirci. 

Penelope, seduta sulla panchina scrostata, è una punta di colore contro il cemento grigio della stazione.

  
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