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Autore: Shizue Asahi    13/03/2019    0 recensioni
{Mako/Korra}
Mako la osserva di nascosto, fingendo di star togliendo un pelucchio dalla sciarpa, mentre Korra rimanda indietro un disco di roccia, mancando la testa di Bolin per un pelo.
Alla perfida KumaCla
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Korra, Mako
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Scritta per la quinta settimana del COW-T9 | prompt: scontro;
 1972 parole;
 




Un calcio. Un pugno. Una parata. I gesti si ripetono in una sequenza infinita e Mako ne perde il conto, più concentrato a colpire, ferire, abbattere, che su qualsiasi altra cosa gli sia intorno.
Il Dominio del Fuoco è impetuoso, inarrestabile, chiama sangue e Mako avverte la necessità di colpire più forte, di mirare con più precisione, di trattenersi di meno. Lo scontro diventa un gioco di resistenza e i nemici solo ombre da ferire, senza faccia, senza identità. È più facile, si dice, non guardarli.
Un altro corpo cade e lui non sente niente, neanche il tonfo poco promettente di quell’ammasso di carne bruciata e sangue che fino a qualche momento prima aveva provato a far loro la pelle.
In un attimo di lucidità, cerca suo fratello con gli occhi, i muscoli ancora tesi e allerta nel caso lo scontro non sia terminato. Bolin è lì, fermo in mezzo al niente, gli occhi vitrei e l’incredulità di quel bambino che non credeva Mako in grado di fare una cosa del genere.
- Andiamo – gli dice Bolin solamente, con la voce flebile e acquosa che precede il pianto – Prima che arrivino gli sbirri -
Mako lo segue senza dire niente. Hanno provato a ucciderli e a derubarli, era necessario.
I bassifondi di Città della Repubblica sono – sfortunatamente – la loro casa ed entrambi li conoscono come le loro tasche. Si infilano in una stradina laterale, poi in un’apertura in una vecchia rete, passano dietro al deposito del fruttivendolo e si inerpicano per una stradina fetida e desolata, per poi fare di nuovo il giro in lungo e sbucare in una delle traverse laterali. A un occhio esterno potrebbe sembrare che si siano persi, ma per loro far perdere le proprie tracce è un’arte che hanno dovuto apprendere piuttosto in fretta.
Quando arrivano al loro rifugio, Bolin sparisce. Si rannicchia in una delle brandine scassate e traballanti che usano come letti e infila la testa sotto le coperte.
Mako si fissa le mani sporche e i polsini della casacca anneriti dal fuoco – o sono macchie di sangue quelle? – e avverte un prurito molesto all’altezza del petto, un fastidio che gli gratta sotto la pelle e gli fa pungere gli occhi.
Devi essere forte, vorrebbe gridare a suo, in un impeto di rabbia, dargli uno scossone e fargli capire che non vuole che faccia la fine dei loro genitori, ma poi lo guarda di nuovo e si ferma. Bolin ha solo undici anni e ancora l’animo gentile che ha coltivato loro madre.
Lui di anni non ne ha molti di più, ma non ha importanza.
 
*
 
Città della Repubblica è un luogo sporco, marcio, e lui sguscia tra i bassifondi per rimediare qualche lavoretto non proprio legale per tirare avanti. Rapinare i passanti è redditizio, ma deve spingersi nei quartieri per bene e non si sente a proprio agio, non conosce ogni strada e ogni scorciatoia ed è più rischioso; lavorare per una delle bande di strada, invece, gli dà la certezza del guadagno e, in caso di necessità, della fuga facile.
Mako ha diciassette anni e la metà li ha passati per strada e a prendersi cura di suo fratello. È sveglio e lesto e intelligente e la gente continua a ripetergli che sta sprecando la propria vita e che prima o poi farà una brutta fine. Mako ne è consapevole.
Dormono nel retro della palestra di uno degli amici di loro padre e Bolin lavora per lui: tiene in ordine l’attrezzatura, insegna ai marmocchi le basi del Dominio della Terra e fa delle piccole commissioni. Mako l’ha tenuto lontano dalle cattive amicizie e si compiace che gli sia venuto su proprio bene. Bolin è rimasto un po’ bambinone, col sorriso facile e l’altruismo radicato così in profondità nel suo animo da essere inestirpabile – e Mako ci ha provato.
Tutto sommato, se la sono cavata meglio delle aspettative. Nessuno di loro due è finito abusato o morto, hanno un tetto sulla testa e un piatto caldo all’occorrenza. Possono persino permettersi un animaletto domestico e Bolin si porta il furetto perennemente in giro. Pabu è una creatura graziosa e intelligente, col musetto pezzato e gli occhietti neri; gli si appollaia sulla testa a mo di cappello o si acciambella attorno al suo collo. Le ragazze apprezzano molto e Mako lo prende in giro dicendogli che ha trovato un ottimo modo per rimorchiare.
- Sta zitto – gli risponde sempre Bolin prima di ridere in quel modo rumoroso e genuino che mette sempre Mako di buon umore e fa saltare Pabu dalla sorpresa.
 
*
 
Una spallata lieve, una colluttazione apparentemente accidentale, una pacca sulla spalla e un sorriso furbo prima di sgattaiolare via tra la folla. È un espediente che ha temprato negli anni, da ragazzino, con Bolin che gli faceva da palo e l’ansia perenne di essere acciuffato e portato via.
Quella del borseggiatore è un’arte che ha affinato con calma, collezionando tutta una serie di tentativi non sempre ben riusciti, ma che ora gli riesce naturale e facile come esercitare il suo Dominio. Anche quando non è in giro per quello, adocchiare i passanti e soppesare quanto potrebbero fruttargli è ormai un’abitudine e quasi non ci fa caso.
Korra la incontra per caso, ma la nota subito, con quegli occhi di un azzurro acceso e i caratteristici abiti della Tribù dell’Acqua. Va in giro con un cane polare enorme. Più grosso di lei di diversi centimetri e con l’aria di chi non sa dove si trovi. Turista, la registra subito Mako e quasi si sente un po’ in colpa – come al solito – mentre le si avvicina per sfilarle il borsello.
Si scontrano come per caso, le dà una spallata e si sorprende nel trovarla solida e nel fatto che la ragazza non vacilli, ma si lui, anzi, a essere sbalzato via.
Il grosso cane lo osserva pigro, non reputandolo un pericolo.
- Scusa – gli dice, anticipandolo, come se fosse lei a essergli andata addosso.
- Non è niente – le risponde, passandole appena una mano attorno la vita, fingendo si star controllando se stia bene e sfilandole una delle piccole sacche tintinnanti che porta legate alla cintura – Buona giornata -
Fila via con le tasche piene e l’impressione di aver scampato un pericolo non indifferente.
 
*
 
Registra che l’Avatar si trova in città con poco interesse. Lo ha letto distrattamente al giornale e nelle strade se ne parla allarmati. Mako sa solo che è una ragazzina di chissà quale villaggio sperso in mezzo al niente, non un grande pericolo per i loro affari e non condivide quell’aria tesa che sembra impregnare la parte marcia di Città della Repubblica.
A differenza sua, Bolin sembra essere più eccitato del dovuto e più di buon umore del solito – come se fosse possibile.
- Conoscerà Toph? – gli chiede, più parlando tra sé e sé che davvero con suo fratello.
Mako fa roteare gli occhi e sbuffa – Non lo so, Bolin, tu che dici? –
- Beh, l’Avatar Aang conosceva Toph. Quindi tecnicamente sì? –
- Sai, sono piuttosto sicuro che non funzioni proprio così –
 
*
 
Quando un pomeriggio fa ritorno a casa e la trova seduta sul suo divano con suo fratello dire che è sorpreso è un eufemismo. Bolin neanche lo sente arrivare, preso a raccontare qualcosa di divertente – o imbarazzante – con Pabu che gli pende da una spalla e le gambe incrociate; la ragazza, invece, si volta e lo fissa.
- Hai qualcosa che mi appartiene – esordisce, allungando una mano col palmo aperto verso do lui. Per qualche assurdo motivo Mako rimane a fissarlo, studiando i piccoli calli che ne deturpano i polpastrelli, identici a quelli di Bolin. Dominatrice della Terra, registra il suo cervello.
- Come mi hai trovato? – le chiede, senza troppi giri di parole. Non ha l’aria di uno sbirro e in fin dei conti è consapevole che non sia particolarmente difficile, trovarlo. Insomma, non è esattamente un segreto dove viva – colpa di Bolin e della sua lingua lunga.
- Ho chiesto in giro – gli risponde, senza dargli sorpresa, col sorriso, quasi a prenderlo in giro. – Puoi tenerli, i soldi, ma mi devi un favore –
Bolin segue in silenzio quello scambio di battute, senza riuscire a seguirlo in pieno e Mako avverte già la fregatura arrivare.
 
*
 
I lavori, soprattutto quelli non pagati, non proprio,  sono una seccatura non indifferente e quello non fa eccezione. Mako fa domande in giro, va della persone giuste e alla fine lo trova, il bersaglio.
Korra, così ha detto di chiamarsi, è bella, ma non passa inosservata. È rumorosa come Bolin e mena le mani con troppa facilità. Non conosce le regole della civiltà, non è mai stata in città prima e quelli come lui lo notano immediatamente.
- Smettila di fare casino – le dice crucciato, dopo che Korra ha quasi fatto crollare una palazzina col Dominio della Terra.
Korra brontola qualcosa sulla gente di città e dà un calcio a un idiota che ha provato ad atterrarla.
- Hai trovato me, potevi trovare anche lui – le dice un’altra volta, piuttosto seccato. Non ha tempo per occuparsi di altro, se non aiutare quella ragazzina strana e che non gliela conta giusta.
- Non avresti dovuto derubarmi – gli risponde altrettanto seccata Korra, impegnata a fissare due marmocchi che si rincorrono.
 
*
 
Alcune sere Korra passa a casa loro e cenano insieme o studiano le nuove informazione che ha trovato Mako e organizzano piani troppo cervellotici per essere attuabili.
Più tempo passano insieme, più Mako trova Korra meno irritante; a Korra, invece, Mako non è mai dispiaciuto. Bolin rimane con loro e di volta in volta si sente più fuori posto, con Pabu che gli fa le fusa sulla testa e lo fissa con pietà, finché una sera non decide si andare a dormire insolitamente presto e di lasciarli da soli.
La mattina dopo non fa domande a Mako sui rumori discutibili che ha sentito la sera prima.
 
*
 
Un calcio. Un pugno. Una parata. Mako ripete i movimenti meccanicamente e il suo corpo si muove da solo, spinto dal bisogno famelico del proprio Dominio. Il fuoco esplode e il nemico cade.
Korra è altrettanto efficiente, anche se non è in grado di seguire uno schema e i suoi attacchi sono un miscuglio di movimenti che imitano vari stili di combattimento. Mako non ha mai visto qualcun altro combattere in quel modo, ma lo trova così da Korra da non poterla immaginare muoversi in modo diverso.
Quando il lavoro è finito e il bersaglio è stato catturato, Mako prova uno strano disagio nel realizzare che il suo rapporto di lavoro con lei è terminato e non ci saranno più incontri di nascosto e cene e riunioni serali; poi Korra lo costringe a scortarla alla centrale di polizia per consegnare l’uomo che hanno catturato e Mako suda freddo e una parte di lui gli sussurra che forse è meglio per la sua pelle che non lavori più per lei.
 
*
 
Scoprire che Korra è l’Avatar è uno shock così grande che lei è costretta a ripeterglielo così tante volte da perdere il conto.  È impossibile, né Bolin né Mako riescono ad associare il personaggio dell’Avatar alla figura della ragazza e ci vuole un quarto d’ora buono prima di convincerli: Korra si stufa e domina davanti a loro i quattro elementi, riproducendo in scala molto ridotta incendi, terremoti, onde e tornado.
- Nessuno doveva sapere che sono qui – dice loro, gesticolando, un po’ a disagio.
- Siamo la Squadra dell’Avatar, quindi? – le chiede, facendo riferimenti a come venissero chiamati i compagni di Aang mezzo secolo prima.
 
*
 
- Potresti presentarmi Toph? – le chiede Bolin e Mako gli assesta un pugno in testa.
 




 
   
 
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