Anime & Manga > Il mistero della pietra azzurra
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Autore: Vitani    14/03/2019    0 recensioni
Dopo la sconfitta di Gargoyle, i superstiti del Nuovo Nautilus cercano lentamente di far tornare alla normalità le proprie esistenze. Non è semplice, quando si è vissuta un'avventura come la loro.
Electra ha visto morire l'uomo che amava e si trova da sola con un bambino da crescere. Nadia non riesce a smettere di guardare al passato nonostante abbia ormai la vita che desidera.
Presto, troppo presto, l'incubo di Atlantide torna ad addensarsi sul futuro.
E, stavolta, sembra esigere la vita dei suoi Figli.
Basteranno a salvarli l'abnegazione di una madre, il legame di una sorella e di un fratello?
Basterà il comandamento di un padre, "vivi"?
Basterà l'amore?
"Nadia, noi non siamo obbligati a dare o ricevere amore. Noi siamo amore."
Genere: Science-fiction, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Medina Ra Lugensius, Nadia Ra Arwol, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VISSERO FELICI E CONTENTI
 
 


 
C’era anche un altro motivo dietro alla decisione di Electra di andare in Francia e di rimanere fino al nuovo anno. Aveva ricevuto a Tangeri, qualche mese prima, una partecipazione di matrimonio. Immaginava che sarebbe arrivato quel giorno, sin da quando Icolina le aveva comunicato la sua decisione di trasferirsi a Marsiglia.
«Studierò in un vero ospedale», aveva detto «e prenderò il diploma.»
E sarò vicino a Echo.
Questo Icolina non l’aveva detto, ma Electra sapeva bene che il giovane addetto ai sonar era imbarcato su una nave che batteva bandiera francese e faceva avanti e indietro da e per Marsiglia. Aveva dato alla ragazza la sua benedizione, se la meritava d’altra parte. Era rimasta con lei molto oltre la nascita di Etienne, e questo senza obblighi di sorta. Suo nonno, invece, aveva scelto di restare a lavorare come medico in un ospedale del Marocco.
«C’è più bisogno di gente come me qui che in Europa, e Icolina è grande abbastanza da cavarsela da sola.»
Electra non si era sorpresa quando aveva ricevuto una busta proveniente dall’Europa, né quando aveva letto il contenuto. Era stata semplicemente felice e aveva iniziato subito i preparativi per il viaggio verso la Francia, per sé ed Etienne.
Aveva deciso di approfittare dell’occasione e di restare qualche settimana, in modo da vedere anche Nadia, Jean e Marie.
Aveva quindi trascorso il Natale a Parigi e poi, insieme a Jean, Nadia e Marie si era diretta a Marsiglia. Il nonno di Icolina e Raoul li avrebbero raggiunti direttamente là, in tempo per il matrimonio.
 

Il tempo si manteneva eccezionalmente mite, un buon auspicio per quel matrimonio.
Icolina ed Echo si sposarono i primi di gennaio, con la benedizione del nonno di Icolina e dei loro parenti. Il nonno di Icolina, in particolare, era commosso. Non avrebbe mai pensato di avere occasione di assistere al matrimonio dell’unica nipote che gli era rimasta. Non dopo tutto quello che avevano passato. Anche lui, come gli altri, aveva temuto di non sopravvivere. C’erano stati momenti in cui era stato certo di morire. E invece… forse sarebbe vissuto abbastanza da vedere addirittura un pronipote.
A proposito di bambini, Icolina aveva voluto Marie come damigella d’onore ed Etienne come paggetto per le fedi. La mattina della cerimonia, tutte loro ragazze erano in camera di Icolina per aiutarla a prepararsi. La sera precedente, Electra era andata con Etienne a salutare Echo. Lui l’aveva salutata con calore, si aspettava di vederla ma non s’aspettava il bambino, di cui non sapeva niente.
Etienne aveva fatto con lui quel che aveva fatto con Nadia.
Si era avvicinato, gli aveva sorriso, l’aveva chiamato per nome.
«Echo!»
Electra l’aveva preso in braccio.
«Gli racconto del Nautilus, ogni tanto. Conosce tutti voi per nome. Per lui sono ancora solo favole, ma capirà un giorno.»
Era anche un modo per iniziare a parlargli di suo padre, per prepararlo quando sarebbe venuto il momento doloroso. Non disse a Echo che quel bambino era figlio di Nemo. Il giovane lo capì da solo, perché Etienne aveva gli stessi capelli, la stessa carnagione, talvolta la medesima espressione. Echo trattenne le lacrime. Era sempre stato un bravo ragazzo.
Quella mattina, avevano vestito Marie con un abitino color crema decorato da nastrini verdi.
A lei era piaciuto, le sembrava di essere una principessa.
Dopo era toccato a Etienne, un piccolo completo da bambino sempre color crema, decorato di blu in modo che si intonasse ai suoi occhi. Electra gli aveva spiegato ancora una volta cosa fare e gli aveva raccomandato di stare attento a non cadere.
La cerimonia si sarebbe svolta nella basilica di Notre-Dame-de-la-Garde, che svettava sul porto vecchio della città con la sua architettura bizantina. Videro scintillare la madonnina quando uscirono, dorata ed enorme sulla cima del campanile.
Icolina era raggiante, coi lunghi capelli bruni sciolti, un fiore bianco tra i capelli e gli orecchini di perle.
Aveva al collo un monile dorato lasciatole da sua madre e aveva scelto un abito particolare, candido e che ricordava nella foggia quelli delle donne irachene.
Si avviarono verso la chiesa in carrozza, mentre gli uomini li avevano ovviamente preceduti.
Il nonno aspettava Icolina sul sagrato, pronto ad accompagnarla all’altare.
Electra scese per prima, con Etienne in braccio, e si accomodò all’interno della chiesa.
Nadia aiutò Marie e Icolina a scendere e la seguì, prendendo posto vicino a Jean.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma era emozionatissima.
In quel momento Icolina, al braccio del nonno, si avviò lungo la navata.
Echo, davanti all’altare, faticava a nascondere l’emozione.
Nadia strinse piano la mano di Jean.
Electra sorrise.
Era felice che tutto stesse pian piano tornando alla normalità e che i ragazzi si stessero facendo una vita. Per lei, chi più chi meno, erano stati una famiglia. Dietro al suo carattere rigido e scontroso, aveva voluto bene a tutti quanti loro.
Quella mattina aveva chiesto a Icolina dove sarebbero andati in viaggio di nozze.
Lei aveva risposto che sarebbero rimasti a Marsiglia, al massimo avrebbero fatto una gita di qualche giorno in campagna.
“Perché?”
“Abbiamo viaggiato tanto col Nautilus, abbiamo visto luoghi inimmaginabili. Anche adesso Echo è sempre imbarcato. Preferiamo approfittarne per stare tranquilli.”
Quella era stata l’unica nota stonata.
L’aver vissuto così tanto, così giovani, da desiderare soltanto la tranquillità di una vita normale.
L’aver rischiato la morte così tante volte da avere il solo desiderio di stare insieme, per sempre.
Lei non aveva mai avuto quell’occasione e non l’avrebbe avuta mai.
Sentì la guancia morbida di Etienne premere leggermente contro la propria.
Non avrebbe cambiato le sue scelte per tutto l’oro del mondo.
 

 
Attraversano la soglia dell’antico palazzo in silenzio, a braccetto.
C’è sempre una luce lieve sulle rovine di Tartesso, anche se si trovano molti metri sottoterra.
Se sia merito dell’energia che ancora vi alberga o della pietra azzurra di Elusys, Medina non sa dirlo.
Non ha avuto cuore di chiedergli come mai siano andati proprio lì.
Si tratta di quello che una volta era il palazzo reale di Tartesso.
Quello in cui Elusys e la sua famiglia vivevano.
Quello che stava in cima a una collina, che lei, ragazza del popolo, aveva sempre osservato da lontano.
Mai avrebbe pensato di varcarne la soglia, men che meno in circostanze come quelle.
Se la regina Sana’a fosse stata ancora viva, se il colpo di stato di Tartesso non fosse mai avvenuto, lui non avrebbe avuto bisogno di lei. Non l’avrebbe mai neppure conosciuta. Al massimo avrebbe incrociato il suo sguardo dall’alto della balconata, senza realmente vederla, una faccia confusa tra la folla.
Non avrebbe mai avuto bisogno di lei, né come figlia, né come vicecomandante, né come amante.
Elusys percepisce la sua esitazione perché si volta, la guarda.
Sorride.
È per quel sorriso che ormai lei vive.
Quel sorriso dolce, così insolito sul viso di lui da essere indimenticabile.
Un sorriso che le mozza il fiato come la prima volta, sempre.
Un sorriso che è solo di lei, per lei.
Medina socchiude le labbra, sta per parlare.
Lui la anticipa.
La prende per mano.
La conduce su per una scalinata, fino ai piani superiori.
Solo quando varcano una soglia, la soglia della camera della regina, Medina ha il coraggio di parlare.
È sinceramente stupita.
“Perché siamo qui?” chiede.
Ancora ricorda l’ingenuità nelle sue parole.
Davvero non capisce, non ancora.
Poi si guarda intorno, vede che quella stanza è vissuta.
Il letto ha lenzuola pulite, ci sono in giro libri, carte, appunti.
Capisce che è qui che lui viene nei giorni in cui si assenta dal Nautilus, quando vuole stare solo.
Torna da lei la notte, a cercare conforto fra le sue cosce.
È un pensiero che fa un po’ male.
Medina sa di non poter competere con Sana’a. Sa che la regina era un’atlantide purosangue, una donna bella, gentile, buona come lei non sarà mai. Sa che il suo ricordo resterà sempre indelebile e non vuole nemmeno cancellarlo.
Le basta, sì, riuscire a consolarlo almeno un poco.
Si dà della stupida, interiormente.
Talvolta ha ancora quelle insicurezze.
Talvolta le parole di Grandis, “lui non ti amerà mai”, tornano a colpirla con la ferocia della prima volta.
Sono amanti, è vero, ed è già molto più di quanto avesse mai osato sognare.
Non deve essere avida. Non può pretendere altro, lo sa, non da un uomo così ferito.
Non da un uomo che vive ogni giorno in un inferno.
Se il suo corpo può, anche solo per lo spazio di un amplesso, aiutarlo a respirare, allora così sia.
Altro non cerca, non c’è per lei gioia più grande.
A parte, forse, quel sorriso per cui ormai vive.
Elusys la osserva, non dice niente, si siede sul letto e le fa cenno di avvicinarsi.
Le prende le mani, accarezza le nocche col pollice, bacia le dita una a una.
“Amore mio…” sussurra, una volta, due, così piano che Medina a malapena lo sente.
Un sentimento tanto intimo che può solo mormorarlo come a se stesso, perché Elusys mai avrebbe creduto possibile amare di nuovo.
Però ama quella sua cara ragazza al punto da sentire il cuore in gola.
L’ha amata per anni, senza neanche saperlo.
Senza avere il coraggio di vedere.
Ha capito tutto nell’attimo in cui lei s’è schiusa tra le sue braccia.
La guarda, a lungo, bella come l’alba sul lago che circondava Tartesso.
“Vuoi sposarmi?” le dice.
 

Quel giorno, Medina crollò. Letteralmente, come se non avesse più forze, crollò su di lui e lo abbracciò, sedendogli in grembo. Si rese conto a malapena del fatto che lui la ricambiava, la abbracciava tanto forte da far male. Sì, aveva sussurrato, sì, mille volte sì. Lui l’aveva stretta come se avesse avuto il terrore di perderla, che gli scivolasse via dalle mani. Dopo l’aveva accarezzata piano, e baciata. Le aveva mordicchiato le labbra, fatto il solletico coi baffi sul collo, aveva riso.
«Ti amo.»
E lei pianse, di gioia e di sollievo. Pianse perché era stata una stupida, perché l’aveva sottovalutato e invece avrebbe dovuto soltanto fidarsi, di sé e di lui.
S’erano amati a lungo, quel giorno. S’erano dati tutto, gustando ogni attimo.
Dopo, Elusys le aveva messo la fede al dito ed erano rimasti vicini, sdraiati su quel letto e stretti l’uno all’altra. Avevano ascoltato i propri respiri, senza guardarsi, con le dita fra i capelli e le palpebre socchiuse, un morso leggero di tanto in tanto sulle spalle, sul collo, sopra il seno, come a volersi mangiare. Medina aveva dormito, rannicchiata contro di lui come un cucciolo, avvolta nel calore della pelle e sicura di trovarlo ancora lì al risveglio.
Era stato così. L’avevano accolta un bacio sulla fronte, una carezza fra i capelli e il viso di un uomo felice come non l’aveva visto mai. Un viso bello, acceso di gioia, e la certezza di quell’amore fu tanto intensa da far quasi male. Era rimasto accanto a lei fino a sera. Che avrebbero detto i membri dell’equipaggio, non vedendoli ritornare? Non importa, era stata la risposta, voglio stare con mia moglie.
Medina non aveva più avuto incertezze, non dopo quel giorno. Aveva vissuto appieno come donna, non come moglie di un re ma come compagna di un capitano. Quello era stato il suo matrimonio. Aveva amato Elusys fino all’ultimo istante, lo amava ancora, amava suo figlio come nient’altro al mondo.
Per lei non ci sarebbe mai stato un altro uomo.
Di questo ne aveva la certezza da sempre, dall’esatto istante in cui aveva capito di amare Nemo.
Era ancora solo una ragazzina eppure già le albergava nel cuore quella certezza, assoluta, incontrovertibile. Non si sarebbe mai fatta una vita al fianco di qualcun altro. Non dopo aver amato lui. Era un fuoco, quell’amore. Bruciava. Una passione tanto intensa da oscurare qualsiasi altra.
Era indimenticabile, Nemo.
Stava dentro di lei come la prima volta, come nell’istante in cui da adolescente aveva ammesso di esserne innamorata.
Ragion per cui si sarebbe accontentata di crescere serenamente suo figlio. Avrebbe trascorso una vita tranquilla e anonima, lontano finalmente dai campi di battaglia, testimone della felicità altrui e custodendo nell’animo il ricordo della propria.
Era sinceramente contenta per Echo e Icolina che si scambiavano le promesse sull’altare.
Avevano tutta la vita davanti.
Certo qualcuno avrebbe potuto dire lo stesso di lei, che aveva ancora solo ventott’anni.
Ma lei, il suo cuore, l’aveva perso sul Red Noah durante quell’interminabile notte.
«Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.»
Toccava a Etienne.
Accompagnò il bambino fino a metà della navata, poi gli diede il cuscinetto con le fedi e lasciò che andasse da solo. Non sarebbe caduto, lo sapeva. Era sicuro di sé e di quello che faceva, poco importava che avesse solo due anni.
Il bambino, infatti, andò fino all’altare con quel suo gran sorriso e porse il cuscino con le fedi.
Dopo che si furono scambiati gli anelli, il sacerdote li benedisse.
«Per Echo e Icolina, ora uniti in matrimonio: il Signore li sostenga nella donazione reciproca e renda la loro unione gioiosa e feconda. Preghiamo.»
Rimasero tutti per qualche istante in silenzio mentre Electra recuperava Etienne.
«Etí bravo?» esultò il bambino.
«Molto», sorrise Electra, e gli baciò una guancia.
Non s’accorse che, in fondo alla chiesa, qualcuno li guardava.
 

Grandis fu tentata di andarsene. Della cerimonia gliel’avevano detto Nadia e Marie, esortandola a esserci perché avrebbe fatto piacere a tutti. Grandis si era lasciata convincere, era contenta di rivedere almeno Jean, Nadia e Marie, ma in quel momento decise che li avrebbe salutati più tardi.
Guardò Electra, i suoi capelli biondi che spiccavano in mezzo alla folla. Teneva il bambino di nuovo in braccio, per evitare che si perdesse chissà dove in mezzo ai piedi degli altri invitati. Era la prima volta che Grandis vedeva Etienne. Il bambino era come l’aveva sempre immaginato, bellissimo. Assomigliava alla madre, ma Grandis non dubitava che un giorno sarebbe cresciuto a immagine del padre, determinato e fiero.
Electra doveva volergli molto bene ed era sicuramente una buona madre.
Anche in quel momento lo teneva stretto a sé in un modo che faceva capire quanto profondamente tenesse a proteggerlo. Grandis era sicura che l’avrebbe protetto coi denti, col sangue se necessario. Davvero, una parte di lei avrebbe voluto lasciarsi tutto alle spalle. Avrebbe voluto andare, salutarla, fare una carezza al bambino e presentarsi come una zietta spensierata. La intristì scoprire che ancora non ci riusciva. Forse, sotto sotto, la invidiava ancora un poco. Le invidiava il fatto che lui l’avesse amata, le invidiava quel figlio che le aveva dato una ragione di vita. Non si perdonava per averla sottovalutata, per aver sottovalutato il legame che li univa, ma aveva capito quanto grande fosse il loro amore in quell’ultimo momento, quando l’aveva vista toccarsi il ventre col dolore negli occhi. Aveva potuto soltanto tacere.
Era una donna forte, Electra. Forse la più forte che avesse mai conosciuto.
In modo diverso da Grandis, certo, ma per l’uomo che amava era stata capace di dare tutto.
Non aveva esitato a sacrificare la sua felicità.
Non aveva esitato quando s’era trattato di fronteggiare la morte.
Infine, li aveva salvati da Gargoyle.
Se non ci fosse stata lei, dal Red Noah non sarebbero usciti vivi.
Le riconosceva ogni merito.
Anche lei, però, aveva un po’ di orgoglio.
A fine cerimonia andò da Marie, la piccola, graziosa Marie col suo vestito a balze.
«Ciao, Marie, come sei cresciuta!»
E Marie, dimenticando le buone maniere, le saltò al collo.
«Grandis!»
Jean e Nadia, ugualmente, la salutarono con calore e la invitarono a parlare con gli sposi.
 

«Electra?»
Si voltò. Dietro di lei c’erano Raoul e buona parte dell’ex equipaggio del Nautilus.
Non si aspettava di vederli, ma era prevedibile che Icolina ed Echo li chiamassero. Quello che si era creato fra loro era un legame che andava ormai al di là del semplice cameratismo. Avevano vissuto insieme, avevano rischiato la morte insieme, cercavano di tornare a vivere come meglio potevano.
«Buongiorno, ragazzi. Mi fa piacere vedervi.»
Parlò tranquillamente, ma una strana emozione la pervase mentre li guardava. Era mai possibile che le mancasse quella vita? Non c’entrava Nemo, con quel sentimento. Non c’entrava il fatto che lui fosse ancora vivo quand’erano imbarcati. Era un sentimento di nostalgia che difficilmente sarebbe riuscita a spiegarsi. La vita in un sottomarino, in mezzo a uomini, senza vedere quasi mai la terraferma… qualunque altra donna sarebbe rabbrividita al solo pensiero. Lei no. Lei stava bene sul Nautilus. Certo c’erano stati momenti di difficoltà, ma oltre alle battaglie e alle privazioni ricordava anche momenti felici. Ricordava le feste, gli spettacoli teatrali allestiti dai macchinisti, i compleanni, i bigliettini e le battutine indirizzati a lei e Icolina, uniche donne dell’equipaggio. In realtà qualsiasi pretesto era buono per svagarsi un attimo. Erano per la maggior parte ragazzi giovani, ne avevano bisogno. Questo Nemo lo sapeva benissimo.
Più di tutto, inoltre, avevano viaggiato.
Avevano svelato gli abissi sottomarini, scoperto cose che l’umanità non avrebbe forse mai trovato. Per lei, che da sempre era donna che amava lo studio ed era curiosa di apprendere, era stata l’esperienza più bella della sua vita.
Era per quello che Nemo l’aveva cresciuta e le aveva insegnato tutto quello che sapeva.
Già, lei non aveva ragione di competere con Sana’a.
Lei non era e non sarebbe mai stata una regina.
Lei era un comandante.
Tale sarebbe rimasta fino all’ultimo giorno della sua vita, anche se non avesse mai più messo piede su un ponte di comando.
Electra li osservò mentre uno dopo l’altro abbassavano lo sguardo. Avevano visto Etienne, attaccato alla sua gonna. Provò una fitta al cuore nel notare la consapevolezza crescente sui loro volti. Neppure loro avevano mai saputo niente, ma capirono immediatamente. Qualcuno sorrise, qualcuno addirittura si commosse.
È figlio di Nemo, avrebbe voluto dire, ma le parole non le uscirono.
La loro relazione era sempre stata qualcosa di intimo al punto che lei non era abituata a parlarne.
Bastava l’aspetto del bambino. Quello parlava da sé.
Etienne guardava quegli sconosciuti con occhio un po’ stranito, poi riconobbe Raoul.
«Nonno Raoul!» disse, e andò ad abbracciarlo.
Raoul ricambiò e lo presentò al resto dell’equipaggio.
«Questo è Etienne», disse «il figlio del capitano Nemo.»
Electra sorrise. I ragazzi fecero a gara per salutare e prendere in braccio il bambino.
Poco lontano, Jean li guardava.
Nadia, vicino a lui, sembrava un po’ distratta. Osservava la volta della chiesa, poi le panche che si svuotavano, infine Icolina che parlava con Grandis.
«Sai, Jean?» disse all’improvviso con un sorriso timido «Mi chiedo quand’è che ci sposeremo noi.»
Mancò poco che Jean svenisse.
«Eh?!» esclamò, arrossendo.
Nadia sbuffò.
«Stupido.»
Lei sarebbe tornata a Londra, ancora per un po’, ma al suo ritorno in Francia sperava proprio di trovare ad attenderla un bell’abito bianco. Tempo al tempo, concluse.
Tempo al tempo…
 
 
Il bambino sogna.
La chiesa.
Le gambe delle persone in piedi vicino alla sua mamma.
Il bambino vede il bambino che porta gli anelli, sua mamma che sorride.
Vede la sposa davanti all’altare, lo aspetta raggiante.
Cerca Nadia.
Eccola lì, sta parlando con qualcuno che non conosce, una donna dai capelli rossi.
Il bambino capisce che è un sogno di quel pomeriggio.
Vede se stesso dormire, esausto, in braccio alla madre.
Nadia si volta, come se avesse sentito qualcosa.
Il bambino è sveglio.
 

 
- continua -



 
N.d.A. Buongiorno! Abbiamo ancora un capitolo piuttosto tranquillo, in cui però vengono tracciati dei primi passetti importanti verso il futuro. Prima di tutto, però, parliamo del flashback: ho inserito una nuova scena riguardante Electra e Nemo perché sì, continuano a essere la mia coppia preferita. Il matrimonio è stato inoltre una buona occasione per parlare di Electra come donna e del fatto che lei non sia, in un certo senso, fatta per vivere una normale vita casalinga. Tra le altre cose, il fatto che resterà fedele a Nemo l’ho ricavato dall’epilogo dell’anime, in cui viene detto che sta crescendo da sola il suo bambino. Dopo dodici anni. Tra l’altro non l’ho mai immaginata come una madre particolarmente tenera. Insomma, Etienne è la sua vita, ma ci terrà sempre alla disciplina e a crescerlo in una certa maniera. È un comandante, Electra. L’unica persona con cui si lasciava andare, almeno qui nella fanfic, era Nemo nei loro momenti di privacy. E per lui valeva lo stesso. A proposito. Io ho sempre il terrore che Nemo mi esca troppo, tra virgolette, sdolcinato. In realtà io l’ho sempre immaginato come una persona in origine molto appassionata e dolce ma profondamente ferita e chiusa in se stessa. Sono convinta anche del fatto che abbia amato profondamente Electra/Medina per una lunga serie di motivi che verranno esplicitati nel corso dei capitoli (riprendendo quello che ho già scritto in altre fanfic e aggiungendo probabilmente pezzi nuovi).
Spero inoltre che sia chiara, in minima parte, la sensazione di “spaesamento” che provano i membri dell’equipaggio del Nautilus nel tentare di rifarsi una vita dopo tanti anni trascorsi imbarcati e impegnati in un’impresa che non sapevano quando avrebbe avuto fine.
Da ultimo: Etienne. Ho detto che in questo capitolo si fanno passetti importanti verso il futuro. Si fanno, per quanto riguarda Etienne, per quanto riguarda Electra e per quanto riguarda Nadia. Nel prossimo saranno già passati tre anni, Etienne ne avrà cinque e diventerà un po’ più chiara la natura delle sue capacità. Inoltre, probabilmente, farà il suo ingresso nel team un nuovo personaggio.
Mi auguro quindi che il capitolo vi sia piaciuto. Alla prossima settimana!
 
Vitani
   
 
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