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Autore: Enchalott    14/03/2019    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Preghiera al vento
 
Azhulio procedeva ad ali spiegate, ormai lontanissimo dal palazzo reale, nel sole splendente di mezzogiorno.
Le sue piume nere dai riflessi cobalto vibravano leggere al vento e si spiegavano docili per sfruttare al massimo, pur senza eccessivo sforzo, la portanza delle correnti ascensionali. Lo strik percepiva il violaceo cambiamento in atto nell’odore dell’aria e nella variazione continua che era costretto ad imprimere al suo volo. Grazie all’istinto innato e all’intelligenza vivida che lo contraddistingueva, era in grado di riconoscere i luoghi al di sopra dei quali si librava leggero, ma se si fosse affidato solo all’etere circostante non avrebbe più potuto distinguere quei paesaggi prima tanto familiari.
I suoi acuti occhi d’argento lampeggiarono feroci e si spostarono rapidamente sulla distesa di sabbia multiforme che scorreva veloce a basso, al ritmo del suo incedere.
Il suo cuore di rapace pulsava forte, non solo perché avvertiva un’urgenza nell’essenza stessa del creato, ma anche perché non era più tanto giovane e, talvolta, era necessario per lui planare al suolo per riprendere fiato.
La notte precedente, per la prima volta, aveva sentito freddo. Non il freddo consueto del deserto, ma un gelo diverso, innaturale, che sapeva di quello che gli uomini chiamavano neve e che lo aveva turbato, poiché non era stato in grado di spiegarselo. Aveva trovato un riparo tra le rocce e si era rifocillato cacciando un paio di sprovveduti roditori; poi, all’esplodere dell’alba bianca, si era nuovamente levato in volo per portare a termine il compito che la regina - madre gli aveva affidato.
Azhulio distingueva chiaramente le semplici parole che lei gli rivolgeva e, in quell’occasione, aveva compreso che la donna era terribilmente in pena.
Mosse lievemente l’artiglio sinistro e captò con chiarezza il peso dell’anello che portava legato alla zampa. Lo avrebbe recato a destinazione a qualsiasi costo, anche se le sue ampie ali si facevano pesanti con frequenza sempre maggiore, più si allontanava dalla rossa Erinna.
Sotto il suo ventre piumato le dune cambiarono colore, virando all’ocra, e una piccola oasi lampeggiò come uno specchio di segnalazione.
Lo strik piegò con sicurezza verso oriente, come se nella sua mente fosse scolpita una carta geografica dettagliata, aumentando il ritmo di volo. Poi vide le nubi grigie all’orizzonte e fu come se il mondo in cui era nato e vissuto avesse acquistato un’altra identità. Rimase con i sensi tesi e comprese il motivo per cui la regina umana era tanto angosciata: quel colore innocuo portava in sé il sapore della fine. Lo sentì chiaramente sulla lingua, come un gusto indesiderato in mezzo a un ottimo pasto. Un disturbo infinitesimale nello scorrere dell’eterno.
Gridò contrariato, emettendo un lungo verso di protesta, che si perse nel cielo. Una preghiera al vento, che le folate d’aria lieve dispersero e, forse, consegnarono a chi era uso ad ascoltare.
Il suo sguardo pungente individuò un modesto accampamento di tende color tortora, assiepate lungo un tratto di roccia nei pressi di un pozzo. Azhulio lanciò un lungo stridio di vittoria e volteggiò a terra in un’armoniosa spirale discendente.
 
 
La grandine era divenuta una pioggia sottile che cadeva esile ma incessante, con l’aspetto di una miriade di spilli trasparenti che istoriavano pigri il suolo sassoso e impermeabile della vallata.
I tuoni erano cessati dopo che il ponte, Tasautia, invitto dalle ere cosmiche, aveva ceduto; la notte era piombata sull’altura come una spessa coltre gettata a coprire l’unica fonte di luce e calore in una stanza. Impossibile scorgere qualunque cosa a un palmo di naso, figurarsi tentare di distinguere l’eventuale presenza di altri sopravvissuti oltre la minacciosa voragine.
Speranze tenui come un fuoco fatuo, cui era inutile e deleterio aggrapparsi.
Raggiungere quel riparo fortuito tra le rupi era stato un puro colpo di fortuna, così come trovare una breccia nella parete rocciosa in quell’inferno di ghiaccio, vento e saette della sera precedente. Tutto ciò che avevano ottenuto erano quei pochi metri all’asciutto, mentre all’esterno la tempesta livida infuriava come un demone sfuggito all’aldilà. Forse, di quello si trattava. Di una creatura spietata e famelica sorta dall’oltretomba per spezzare le loro esistenze, che aveva urlato la propria frustrazione per non aver portato a compimento il malvagio intento.
Narsas non aveva mai creduto agli spiriti e neppure alle superstizioni. Aveva fede nella Profezia, quello sì, ed era lì per impedire al Traditore di ostacolarne il corso. Ma i lampi che aveva scorto nel cielo, sconvolto dal male, si erano davvero tinti di viola e il solido gelo piovuto dall’alto aveva la sfumatura della pece. Credeva ai propri occhi e aveva fiducia in se stesso. Il terremoto, indubitabilmente, non aveva avuto origini naturali, così come quell’apocalisse cui erano miracolosamente sfuggiti. Impossibile. Un’entità perversa aveva scatenato contro di loro le forze della natura e lui era certo di averne intuito le ragioni.
Tale coscienza lo disponeva in due condizioni d’animo contrastanti: da una parte, Adara non poteva essere l’ingannatore di cui parlavano gli antichi testi, se qualcuno o qualcosa aveva tentato di ostacolarla con estrema ratio. Il suo cuore aveva dato un battito di sollievo, quando aveva realizzato l’equivalenza. Tuttavia…
D’altra parte, la principessa era ancora viva ed era molto lontana da Jarlath, pertanto avrebbe dovuto stare costantemente in guardia per proteggerla da altri eventuali attentati. A conti fatti, era già il secondo in pochi giorni. A quel pensiero, una ruga angosciata gli solcò la fronte. Erano rimasti in due: lui e Dare Yoon. Solo in due per preservare quella vita da un avversario infido e potente.
Tra le sue braccia, la ragazza si mosse leggermente. L’arciere abbassò lo sguardo, osservando il suo volto, pallido e segnato dalle lacrime.
Aveva gridato e pianto fino a restare senza voce, mentre lui l’aveva trascinata lontana dal baratro che aveva ingoiato tutti gli altri. Si era dovuto imporre con la forza, impedendole di uscire da quell’unico luogo sicuro in cerca di Aska Rei. Lei si era dibattuta, nonostante il dolore lancinante che il Crescente colorato di cremisi le stava arrecando e il buon senso di chi la stava pregando di non tentare un suicidio anziché un soccorso.
Fortunatamente, anche il sospettoso soldato della guardia gli aveva dato man forte ed erano riusciti a farla ragionare, con la promessa che avrebbero tentato una sortita quando il pandemonio lo avrebbe permesso.
Nonostante l’occhiata di sprezzante biasimo di Dare Yoon, Narsas aveva continuato a stringere a sé Adara, nell’impossibile prova di alleviare la sua sofferenza, sentendo attraverso la casacca la spalla inzupparsi del suo pianto disperato.
Quando il tatuaggio con la Luna aveva iniziato a riacquisire il suo colore naturale, concedendole almeno una tregua fisica, lei era precipitata in un sonno agitato, scossa da brividi di choc e freddo. L’Aethalas l’aveva avviluppata nel suo mantello ed era rimasto seduto a terra a sorreggerla, esausto, ma impossibilitato ad addormentarsi a causa dell’adrenalina che sentiva in circolo. Aveva suggerito al riottoso compagno di prendersi un po’ di riposo, offrendosi per fare la sentinella e il soldato aveva accettato senza neppure troppo discutere. Anche quell’uomo serio e rigido appariva fortemente turbato dagli eventi occorsi. Aveva certamente perduto alcuni amici nella rovina, ma avrebbe dovuto tentare di mantenere le mente lucida in quel frangente, ne era consapevole, o ne sarebbe andata della loro sicurezza. Di quella della principessa, soprattutto.
Narsas aveva letto quei pensieri nel suo sguardo angosciato, costernato, e nel suo remissivo condividere la proposta dei turni di veglia. Avrebbero dovuto fidarsi l’uno dell’altro. Avrebbero dovuto collaborare allo scopo di difendere lei. E non sarebbe stato semplice senza la preziosa presenza di Aska Rei. L’arciere sapeva che il valoroso capitano non lo aveva in particolare simpatia, ma l’uomo aveva sempre posto la missione di fronte alle divergenze personali.
 
Adara socchiuse stancamente le palpebre e la luce tenue che filtrava tra i massi sconnessi le penetrò negli occhi. Il dolore riprese alloggio, implacabile, nel cuore.
Non era stato un sogno o si sarebbe risvegliata nella sua tenda, al benevolo richiamo di Rei, che la invitava a spicciarsi per non ritardare la partenza. Ci sarebbe stato lui, come in ogni giorno della sua vita, e l’avrebbe presa in giro per la sua chioma arruffata del mattino… e lei gli avrebbe tirato dietro la spazzola, scacciandolo gioiosamente dal padiglione per cambiarsi in santa pace. E lo avrebbe sentito diventare il comandante di polso che dirigeva le operazioni, cui nessuno osava disobbedire per stima e non per timore. Invece…
Se tutto ciò fosse stato una mera visione, anzi, si sarebbe destata nel suo letto, a Erinna e sarebbe corsa immediatamente a salutare i suoi cari, liberandosi di quella terrificante sensazione di assenza! E Rei l’avrebbe guardata sottecchi, ridacchiando divertito al racconto del suo incubo, mentre Dionissa l’avrebbe rassicurata con il suo atteggiamento materno e composto. Invece…
Il peso oneroso della realtà la riportò in toto al contingente.
Avvertì le braccia solide e instancabili che la cingevano e sollevò il volto verso quello del giovane uomo che l’aveva salvata.
Narsas.
Il suo viso era reclinato nel dormiveglia e le folte ciocche brune gli ricadevano sulla fronte abbronzata, nascondendo la fascia colorata che portava intrecciata tra i capelli e gli scendeva sulla spalla sinistra. Le ciglia gli ombreggiavano gli zigomi alti, ma non riuscivano a celare la sua espressione inquieta. Di certo, non si era riposato quella notte. Di certo, aveva vegliato su di lei senza risparmiarsi.
La ragazza si mosse e il mantello che la copriva le scivolò sulle gambe: un’altra premura dell’arciere nei suoi riguardi. Il suo petto si sollevava e si abbassava con regolarità ed emanava il calore che lei ancora percepiva in sé. Un singolare contrasto con il sangue freddo che gli aveva consentito di agire nel migliore dei modi la notte precedente. Non aveva perso la testa e aveva impedito a lei di compiere una sciocchezza.
L’Aethalas si riscosse e rivolse a lei gli occhi scuri, in silenzio.
“Grazie…” mormorò Adara con commozione, faticando ad articolare la voce.
Le sue dita gli strinsero la casacca color ocra, macchiata di terra e lacrime. Il suo orecchino scarlatto, baluginò nella penombra.
Lui rispose con un sorriso accennato e infinitamente triste, che tuttavia riuscì a infonderle la forza necessaria.
“Dobbiamo andare, vero?” domandò lei con mestizia.
“Sì…”
Adara annuì, esitando a rinunciare a quell’abbraccio tanto confortante. Ma si impose il distacco, ripetendosi per l’ennesima volta di essere la Prescelta. Se lo disse con un’evidenza più ferma del solito: le sue dita corsero al Crescente, che in quel momento non si faceva più sentire ed era ritornato nero e inerte. Rabbrividì al ricordo di quel segno che aveva preso vita dal nulla, sbattendole in faccia una verità che aveva pensato di scansare.
“Dare Yoon?” chiese, notando la mancanza del soldato.
“È uscito per cercare di recuperare i cavalli. Sicuramente saranno corsi via in preda al panico, ma non dovrebbero essere troppo lontani. Sono tutto ciò che ci resta, non possiamo perderli”.
La principessa ascoltò senza parlare, sistemandosi nervosamente i lunghi capelli castani, mentre una vena di sofferenza le attraversava i lineamenti.
“Lo so…” disse pacatamente il giovane, levandosi in piedi e aiutandola a fare lo stesso “Te l’ho promesso, ma non vorrei che questo ti infliggesse un altro dolore…”
“Dobbiamo tentare, Narsas… o non avrò pace”.
L’arciere del deserto le strinse con forza la mano e si diresse verso il passaggio, portandola con sé.
 
Li accolse il chiarore latteo di un giorno fluttuante di foschia, un velo lieve che non consentiva di scorgere l’orizzonte spezzato dalla linea delle montagne.
L’aria stagnava, priva di vento, in quell’alba umida e cupa. Nessun rumore proveniva dall’abisso, nessun richiamo, nessun lamento che potesse far pensare a qualche superstite bisognoso di soccorso.
Le colonne d’ingresso al ponte giacevano al suolo in mille pezzi e la strada lastricata si interrompeva brutalmente dopo qualche metro, emanando una sensazione di paura non sopita, di vuoto, di morte.
Adara avanzò prudentemente di qualche passo, affiancata dall’Aethalas, e gridò più volte il nome dell’amico d’infanzia. La risposta fu il medesimo silenzio che li aveva ricevuti come sgraditi ospiti.
Un pilastro, che era stato posto a sostegno di una delle arcate, si ergeva diroccato e solitario dalla voragine, ricoperto di polvere cinerea. La pietra di cui era costituito era annerita, come se fosse stato acceso un immenso falò che lo aveva consumato quasi totalmente, conferendogli l’aspetto di un misero tizzone. Più distante, quasi oltre la metà del tragitto, una volta semi distrutta segnava un altro frammento del ponte, mostrando un segmento intatto di strada. Era impossibile andare oltre con lo sguardo nella nebbia indifferente di quel mattino.
Un rumore ovattato di zoccoli li distolse dallo spettacolo desolante: Dare Yoon sgusciò dalla bruma con passo trionfante, tenendo per le redini i tre cavalli dispersi, che lo seguivano docilmente.
“Ottimo…” mormorò Narsas, raggiungendo il suo destriero, che portava in arcione le sue bisacce apparentemente intatte.
L’animale emise un leggero nitrito di approvazione e si lasciò avvicinare, strofinando il muso rosato contro il suo ritrovato cavaliere.
Adara non poté fare a meno di sorridere, pensando al fatto che erano solo pochi giorni che il guerriero del deserto aveva preso confidenza con un quadrupede da montare. Che quell’uomo introverso non smetteva di sorprenderla.
L’arciere trasse dalla borsa di cuoio un acciarino e innescò la punta della freccia che aveva tra le dita. Lo strale prese fuoco e la sua luce si accese, più intensa di quella naturale, emanando riflessi aranciati ben visibili nella foschia.
Alzò l’arco verso l’ombreggiata mole di ciò che restava di Tasautia e mirò con sicurezza: il dardo abbandonò la corda tesa, vibrando e descrivendo una lunga traiettoria luminosa. Si conficcò nella pietra, fiammeggiando ancora per qualche tempo. Poi si esaurì. Come la speranza.
La principessa continuò a trattenere il fiato, quando Narsas approntò il secondo lancio e poi il terzo.
“Maledizione…” esalò Dare Yoon, giocherellando nervosamente con i finimenti del proprio cavallo “Se ci fosse stato qualcuno vivo, avrebbe visto almeno il fuoco e avrebbe in qualche modo segnalato la sua presenza…”
“Magari è privo di coscienza o in una posizione sfavorevole…” azzardò Adara.
I due uomini la guardarono con empatia, ma nei loro occhi c’era solo la risposta che lei aveva temuto di dover ricevere. Sapeva perfettamente che sarebbe stato inutile sprecare altre frecce per chi non aveva più vista per distinguerle.
Bloccò le lacrime prima che potessero nuovamente sgorgare inarrestabili e strinse i pugni per darsi coraggio, per evitare che i suoi compagni di viaggio fossero costretti a provare ancora pena per lei. Non sarebbe stato giusto.
“Narsas” sussurrò, osservando i ruderi del ponte “Saresti in grado di colpire laggiù?” domandò, indicando un punto lontano e indistinto dalla parte opposta della voragine.
L’arciere strizzò le palpebre e individuò il bersaglio quasi impossibile.
“Sì, ci posso provare. Il dardo infuocato è più instabile e si comporta diversamente, ma l’assenza di vento ci è propizia in questo momento…”
“Non servirà un altro segnale luminoso” precisò lei.
Il giovane la fissò incuriosito.
Adara frugò nella sacca di tela impermeabile agganciata alla sella e ne trasse un minuscolo quadrato di carta velina. Scrisse poche parole e lo passò all’Aethalas.
Lui sollevò un sopracciglio, leggendo rapidamente le parole vergate sul foglietto, ma poi lo arrotolò intorno all’asticella, fissandolo con un legaccio. Si passò tra le labbra l’impennaggio e incoccò.
I muscoli delle sue braccia e della sua schiena si tesero armoniosi, mentre stabilizzava l’arco e prendeva la mira. Sul suo volto si diffuse la concentrazione.
Tutto si fermò per un istante.
Poi il dardo partì con un sibilo verso l’obiettivo. Un leggero rumore crepitante fece loro intendere che il tiro non era andato a vuoto.
Adara si rilassò, mentre l’arciere abbassava l’arma micidiale.
“Sei magnifico, Narsas…” disse con sentita ammirazione.
“Dovere” rispose lui, imbarazzato dal complimento.
Non fece in tempo ad arrossire, perché la ragazza lo prese per mano e raggiunse allo stesso modo anche Dare Yoon, che non si oppose, salvo un borbottio costernato con cui si auto definiva indegno di essere sfiorato dalla sua signora.
La principessa di Elestorya elevò una preghiera al vento, affinché accogliesse le anime di chi più non era in questo mondo e ne concedesse il passaggio verso l’ignoto. Affinché asciugasse le lacrime di chi restava e spazzasse via il dolore.
 
Avevano imboccato l’unica strada ancora percorribile, quasi senza consultarsi vicendevolmente, dirigendosi a malincuore verso il Pelopi.
In testa allo sparuto gruppo, Adara conduceva il cavallo al trotto leggero, per non farlo inciampare sul sentiero accidentato. La missione andava compiuta ad ogni costo. Nonostante il cuore in pezzi.
Dietro di lei, i due uomini cavalcavano quasi affiancati, chiusi nel flusso dei loro remoti pensieri.
Dare Yoon ruppe il silenzio, rivolgendosi a Narsas quasi con riguardo.
“Che cos’ha scritto?” domandò, riferendosi al messaggio lanciato oltre le macerie.
L’Aethalas lo fissò per un istante con i suoi penetranti occhi scuri, valutando se soddisfare la richiesta o meno. Poi rispose, inespressivo.
“Ci vediamo a Jarlath”.
Il soldato scosse la testa e spronò il destriero.
   
 
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