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Autore: Erin87    21/07/2009    86 recensioni
"Ginny è all’ospedale. E’ in travaglio”.
“Oh” fece Piton. Non solo era stato svegliato a un orario indecente, ma Potter si era anche riprodotto. Mio Dio.
“E io vorrei che venissi con me”.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tra i numerosissimi vantaggi che la caduta di Voldemort aveva portato, curiosamente, quello che Severus Piton apprezzava di più era il ritorno ad una buona dormita.
Per troppi anni aveva dovuto rinunciarci: se in principio era stato il senso di colpa a tenerlo sveglio quasi ogni notte, negli ultimi anni ad aggravare la sua insonnia era tornato il terrore e il suo ruolo da spia.
Così, da quella notte benedetta che aveva sancito una nuova era di pace, aveva finalmente riprovato il gusto di posare il capo sul cuscino con un sonoro, appagato sbadiglio e la prospettiva che nulla, assolutamente nulla avrebbe interrotto il suo sonno nelle successive otto ore.
Quella era la sua convinzione anche in quella serata estiva. Quando il grande orologio in mogano batté le undici, decise che poteva riporre il libro che stava leggendo, e recarsi a letto per scivolare in un sereno sonno ristoratore.

Era di nuovo al vecchio parco giochi. Incredibile come tutto fosse rimasto come lo ricordava: il dondolo a forma di cavalluccio, la giostra così arrugginita che aveva perso quasi tutta la vernice verde, e le due altalene cigolanti. Soprattutto le due altalene. Quante volte l’aveva vista spingersi su quel gioco? Si spingeva su, sempre più su, con i capelli al vento e quell’espressione estatica, quel brivido che solo un vuoto allo stomaco sapeva dare.
Ora però il parco era vuoto. Nessuna Lily a dondolarsi coraggiosa. Niente di niente.
Si sedette malinconico su una delle due altalene, e prese ad ondeggiare lentamente. La magia di quel posto era davvero unica; i ricordi si accavallavano nella sua mente, immagini di lei ovunque su quel prato, e la sua voce melodiosa che lo chiamava…
Severus storse il naso: Lily non lo aveva mai chiamato per cognome. E improvvisamente quella voce cristallina divenne più aspra, più bassa, più… maschile.

Si svegliò con un grugnito furioso. Che fine aveva fatto il suo sonno sereno?
Maledetta Spinner’s End. Sperava cambiasse col tempo, ma aveva dovuto rivedere le sue speranze, o meglio, le sue illusioni. A quanto pareva, il vecchio gioco Tutti addosso allo strambo del quartiere era ancora drammaticamente in voga. E lui, naturalmente, era ancora lo strambo.
Ma questa volta ci avrebbe dato un taglio, si disse scendendo stizzosamente le scale. Avrebbero passato il peggior quarto d’ora delle loro patetiche vite, e avrebbero anche dovuto essergli grati. Presi da piccoli, sarebbero forse diventati degli adulti meno inutili. Presi da piccoli … Mio Dio, stava parlando come Greyback.

“Potter” boccheggiò incredulo, dopo aver spalancato furioso la porta e sguainato la bacchetta.
“Già. Quanto tempo ci vuole perché ti svegli? Ho urlato per ore” fece l’altro.
Severus Piton guardò allibito il suo interlocutore. Che diavolo ci faceva Potter lì, da lui, a quell’ora?
Si soffermò a guardarlo: non lo aveva più visto da quella famosa notte. Da allora lo aveva evitato come la peste. Si era defilato silenziosamente dal castello per rintanarsi in quel buco di casa polveroso, e aveva scoraggiato qualunque tentativo di avvicinamento, tanto quello di Kingsley Shacklebolt che voleva encomiarlo con l’Ordine di Merlino, quanto quello di Hermione Granger che per qualche sconosciuta ragione aveva elevato sé stessa al ruolo di mediatrice tra lui e il dannato Potter, che ora stava sulla soglia di casa sua con una strana espressione.
“Non so cosa faccia tu alle…” e guardò rapido l’orologio alla parete “… tre e mezza di notte, Merlino, ma normalmente la gente dorme”.
“Già” ripetè atono Potter. Si stropicciava le mani e si guardava nervosamente in giro, evitando accuratamente il suo sguardo. Oh, ormai aveva capito perché era lì. Certo, come non aspettarselo: visto che la Granger aveva miseramente fallito, aveva deciso di perorare la sua causa di persona. E aveva anche seguito il copione di eroe melodrammatico alla lettera: sguardo contrito, aria da martire, sentimenti puri e nobili e, soprattutto, un orario impossibile. E la cosa peggiore era che non poteva neanche sbattergli la porta in faccia. Dannata Granger e la sua lungimirante previsione. Cosa poteva saperne lui, steso in una pozza infinita di sangue, mentre gli stava dando i suoi più intimi segreti, convinto che non l’avrebbe mai più visto, che la So-tutto-io avrebbe tirato fuori dittamo in quantità industriali e una Pozione Rimpolpasangue? Diamine. Si era svegliato in un letto del San Mungo maledicendo tutto e tutti. Non l’aveva più voluto vedere; sperava che l’aver partecipato alla sua tutela fosse un ringraziamento sufficiente e che fossero pari. Ora però ce l’aveva davanti, e non poteva mandarlo via.
“Che cosa vuoi, Potter? Se sei venuto qua per parlare, e sappiamo entrambi di cosa, sono sicuro che ci possa essere un orario più consono di questo. E ad ogni modo, non ce n’era bisogno. Buonanotte” concluse, sospirando, mentre accostava la porta.
“Aspetti!” uggiolò Harry, tirando finalmente fuori un po’ di voce “Io… io ho bisogno di aiuto”.
“Di nuovo??” sbottò Piton “Credo di aver contribuito massicciamente a tirarti fuori da ogni sorta di guaio. Ora puoi ben pensarci da solo. E’ quello che si dice entrare nell’età adulta” fece, incrociando le braccia.
“Pensi che se potessi evitarlo sarei qui?” sibilò, improvvisamente cattivo.
Severus sospirò di nuovo. Non ne sarebbe uscito presto.
“Bene, sentiamo”.
Lo vide prendere un profondo respiro prima di parlare, e questo lo inquietò.
“Ginny è all’ospedale. E’ in travaglio”.
“Oh” fece Piton. Non solo era stato svegliato a un orario indecente, ma Potter si era anche riprodotto. Mio Dio.
“E io vorrei che venissi con me”.
“Per quale assurdo motivo?”.
“Senti…” balbettò “E’ il primo bambino, non so come ci si comporti. So solo che è il classico momento in cui un quasi papà vorrebbe avere accanto il proprio, e io non ce l’ho”.
Piton continuò a fissarlo perplesso.
“Continuo a non capire che cosa c’entri io”.
Harry scrollò le spalle, quasi rassegnato.
“Il signor Weasley è fantastico, ma non è mio padre. Gli unici che si avvicinano alla sua figura sono morti, quindi rimani tu”.
“Io?” strillò stridulo l’uomo “Tu hai bevuto”.
“Affatto” concluse Harry, risoluto “Non sono mai stato così serio. Quindi vestiti e scendi”.
“Potter…” tentò di ragionare “In che modo pensi di convincermi ad assecondarti?”.
Il ragazzo inspirò forte.
“Non lo so” rispose candidamente “Dimmelo tu”.
“Questa sarà l’ultima volta in cui ci vedremo. Dopo di che, mi lascerai tornare alla mia vita”.
Un cenno di assenso a malavoglia.
“Dammi un minuto” disse Piton.

Essendo un Potter, per quanto in miniatura, non poteva certo rendergli le cose facili e venire al mondo alla svelta. No, ci vollero quattro ore e non potè fare a meno di ringhiare quando un’infermiera, credendo erroneamente che fosse il nonno o un parente stretto, si complimentò con lui, asserendo serafica che era stato un parto veloce.
Erano state le quattro ore tra le più difficili della sua sventurata vita. Avrebbe tanto voluto posizionarsi su una sedia, sperando che il suo aiuto potesse limitarsi alla sola presenza, ma ovviamente non era stato così. Non solo aveva dovuto assistere ai deliri di Potter, che in quella sala d’aspetto aveva ormai fatto il solco camminando avanti e indietro, e dei fratelli Weasley, che a quanto pareva si sentivano in dovere di prodigare tutti consigli e aiuto, ma no, aveva anche dovuto sopportare le occhiate di saputa comprensione delle donne della famiglia, signora Weasley senior e Granger in primis, che sembravano dire Bravo, alla fine hai capito che vi dovete volere bene.
Fu a quel punto che si chiese cosa dovesse fare esattamente per comunicare al mondo che non ci sarebbe stato un lieto fine tra loro, perché lui non lo avrebbe permesso. Magari avvelenarlo.
Si sentì un colpo di nocche sul vetro della nursery. Come da copione, tutti si accalcarono per vedere il commosso neo papà tenere in braccio un pupo rosso e stropicciato. Quattro ore di delirio e non era neanche un bambino carino. Che spreco.
“Severus, avvicinati caro!” trillò la signora Weasley, tirandolo per un braccio.
Grugnì frustrato quando lesse il nome sulla targhetta sopra alla culla di plastica: James Sirius. Povero poppante, aveva tutta la sua comprensione.
Potter uscì dalla nursery finalmente cacciato dalle infermiere, e scavalcò a fatica l’orda di parenti in testa per raggiungerlo.
“Allora” disse Piton inespressivo “Congratulazioni”.
“Grazie” rispose l’altro, radioso.
“Dunque, direi che il problema ormai è risolto, quindi se non ti dispiace avrei molte ore di sonno da recuperare” fece, recuperando il suo mantello.
“Aspetta” lo interruppe Harry “So che vuoi andare via, ma io e Ginny vorremmo chiederti di fare da padrino a James”.
Severus lo guardò torvo.
“No, Potter. Penso di aver fatto già abbastanza. E avevamo un accordo”.
L’espressione sul viso di Harry si irrigidì.
“Naturalmente” fece, freddo “Ti auguro una buona notte, allora”.

Il clan Potter lo odiava. Era venuto al mondo solo per dargli il tormento, ormai ne era certo. E la cosa più sconcertante, era che lui lo lasciava fare. Idiota.
Altrimenti, non si sarebbe spiegato perché fosse in quella dannata sala d’aspetto, un’altra volta.
“Potter” aveva biascicato dopo aver ciabattato un’altra notte fino alla porta “Sei davanti a casa mia, ancora. A notte fonda, ancora. E mi sembrava che l’anno scorso ci fossimo lasciati con un certo impegno”.
Harry Potter aveva la stessa aria da elfo domestico maltrattato di dodici mesi prima, solo più colpevole, continuando a spostare il peso da un piede all’altro.
“Lo so, lo so. Ma Ginny è di nuovo in ospedale”.
L’uomo strabuzzò gli occhi.
“Di nuovo?? Potter, sai che esiste una varietà di passatempi? Alcuni persino molto divertenti”.
“Se ti lasci andare a simili prevedibili battute, ne devo dedurre che il tuo sarcasmo non è più quello di una volta” lo freddò Harry “Non sono venuto per questo, comunque. So di averti fatto una promessa, ma con James mi sei stato così d’aiuto…”.
“Non riesco a capire come”.
“… e così volevo chiederti se potevi venire di nuovo con me”.
Severus Piton si stropicciò il viso, sperando che l’atto lo aiutasse a svegliarsi da quell’incubo. Niente, era ancora lì. Peccato.
“Potter, non riesco sinceramente a capire il perché tu mi voglia lì”.
Harry Potter si dondolò ancora più freneticamente.
“Non lo capisco neppure io” ammise, sconvolto “Allora, vieni?”.

In un anno, il primogenito di casa Potter non era molto migliorato, né in bellezza né in simpatia. In braccio alla nonna, perché il padre era troppo occupato a ripercorrere lo stesso solco, non voleva dormire, come sarebbe stato ovvio a quell’ora di notte, ma aveva reputato un’attività più interessante additarlo, balbettare sillabe, sbavargli addosso e per ultimo colpirlo con un pesante biberon colmo di latte. Materno. Bleah.
“Mi spiace per Jamie” fece Harry, porgendogli un fazzoletto “E’ un giocherellone, ma è un bravo bambino”.
“Ah, ne vorrei cinque così” grugnì, pulendosi “Potter, l’infermiera ti sta chiamando”.
“Oh cielo!” saltò su, allontanandosi.
La lieta novella cominciò a serpeggiare tra i convenuti: un altro maschietto, e la signora Weasley decise che ancora una volta sarebbe stato suo compito avvicinarlo al nuovo arrivato, trascinandolo con un braccio solo, mentre l’altro teneva ancora in braccio l’erede della famiglia.
“Non è stupendo?” mugolò estasiata.
 Piton alzò gli occhi al cielo. Quando li ripose sul neonato, però, scoprì che aveva meno da ridire che col fratello. Almeno non era rosso e imbronciato. Sembrava quasi carino.
“Allora” fece Potter mettendogli un fastidiosissimo braccio sulle spalle “E’ bello, eh?”.
“Incantevole” sbuffò.
“Oh, andiamo” rise gioviale “Abbandonare un po’ quel broncio non ti ucciderà! E poi c’è una sorpresa per te”.
“Ma davvero?” scattò preoccupato. Non poteva essere nulla di buono.
Come volevasi dimostrare: seguì la traiettoria del dito di Potter, e si ritrovò a fissare angosciato la targhetta del nome. Che Potter avesse una nascosta ma corposa vena sadica lo aveva intuito, ma che la Weasley fosse così stupida da seguire il marito, non l’avrebbe mai detto.
“Tu odi quel povero bambino!” esclamò Severus.
“No di certo” sorrise il padre “Diciamo che potrebbe essere intesa come… una spintarella”.
Piton lo fissò truce.
“Non sarò il suo padrino, a prescindere dal suo nome!”.
Gli angoli del sorriso sfavillante di Harry virarono tempestivamente verso il basso.
“Oh” fece, deluso “Va bene”.

Harry Potter amava dire di sé che sapeva imparare dai suoi errori. Era una virtù quasi doverosa per chi aveva dovuto affrontare tante difficoltà. Per rovesciare un nemico serviva anche questo, studiare le sue mosse e non ripetere stupidi errori. Prenderlo in contropiede. Facile.
Fu così che in una fredda tarda mattinata invernale, due anni dopo la sua ultima visita, si recò baldanzoso verso l’ultima sparuta casa di Spinner’s End. Questa volta l’aveva in pugno, si disse mentre bussava alla porta. La Natura finalmente aveva deciso di essergli alleata.
Severus Piton andò ad aprire maledicendo il mondo e quell’acuto campanello. Aveva un feroce mal di testa, e ritrovarsi Potter sullo zerbino, abbigliato col peggior sorriso gongolante, non lo aiutava di certo.
“Due anni, siete migliorati. Avete scoperto il Monopoli o la contraccezione?”.
Il sorriso del ragazzo non accennò a diminuire; s’intensificò, semmai.
“Volevo solo comunicarti che abbiamo avuto un altro bambino”.
“Meraviglioso” disse Severus “Appenderò palloncini colorati in tutto il quartiere per festeggiare se non altro di non essere stato svegliato a ore indegne”.
Harry represse una smorfia. “Pensavo potessi venire con me per vederlo. Tranquillo, non ti sarà chiesto altre volte, questa è proprio l’ultima. Ginny non ne può più”.
“Mi domando come mai” sbuffò l’altro “Ad ogni modo, Potter, ti risparmio ogni fatica: no, non sarò il suo padrino. Addio”.
“Non c’è certo bisogno di stare così sulla difensiva. Ti chiedo solo di vederlo. Se poi non vorrai avere niente a che fare né con lui né con noi, bene, potrai tornare alla tua vita da misantropo e nessuno ti verrà più a disturbare”.
Piton lo stette a guardare, sospettoso.
“Dov’è la magagna?”.
“Proprio nessuna” rispose quello, angelico “Anzi, ti dirò di più. L’altro giorno mia zia Petunia mi ha recapitato un baule pieno di cose di mia madre, tra cui moltissime foto. Ce ne sono un paio da bambina con te, pensa un po’. Diciamo che, se mi dirai che assolutamente non vorrai fare parte della mia famiglia, ti lascerò libero e ti invierò quelle foto come, ecco, ricompensa per l’aiuto datomi con i ragazzi. Altrimenti … “
“Altrimenti?”.
“Altrimenti, se sarò io a vincere la partita e tu vorrai di tua spontanea volontà fare da padrino alla mia ultima creatura, sarai tu a restituirmi la mezza foto di mia madre che hai rubato in casa di Sirius”.
Severus Piton sbuffò forte, divertito. “Non credo ci sia alcuna possibilità per questo, Potter”.
“Allora, non hai nulla di cui aver paura, no?” disse, sbattendo innocente gli occhioni.

Arrivati in ospedale, Harry indicò semplicemente la nursery a Piton, senza seguirlo, per poi accomodarsi in sala d’aspetto e lasciarsi cadere su una sedia accanto al suo migliore amico e cognato.
“Tutto a posto?” chiese complice Ron.
“Direi proprio di sì” ghignò l’altro.
“Non gli hai detto che è una femmina?”.
“No”.
“Né che l’avete chiamata Lily?”.
“No”.
“E che assomiglia un po’ a tua madre?”.
“No di certo”.

Severus rimase ipnotizzato davanti al vetro della nursery per dieci minuti buoni. Non sapeva giudicare la somiglianza dei bambini con questo o quell’altro parente, non quand’erano così piccoli. Ma quel rosso non era lo stesso dei capelli di Ginevra. No davvero.
Improvvisamente, dal nulla nella sua mente si materializzò di nuovo quella scena di altalene, e la desolazione del parco, ora che Lily non poteva più dondolarcisi.
La piccola nella sua culla si stiracchiò leggermente, puntando i pugnetti paffuti verso l’alto, per poi riaddormentarsi placida, con l’ombra di un sorriso sul viso. Qualcosa di simile comparve anche su quello del suo spettatore, che decise che forse era ora di portarci qualcun’ altro su quelle altalene.
Peccato, quella foto gli piaceva.

Si sedette pesantemente accanto a Potter. Non voleva guardarlo in faccia, ma sapeva che stava ghignando.
Tirò fuori da una tasca interna quella foto e gliela porse, stizzito.
“Bastardo”.
“Allocco” rise di cuore Harry, dandogli una spallata.







 

  
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