Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Jeo 95    15/03/2019    2 recensioni
Un esperimento, ispirata dalla fanfiction inglese "RimFire" di Nightmare-Taichou.
***
Sei strade che s'incrociano alle porte dell'orfanotrofio "SkyReach".
Crescono, giocano, affrontano il dolore a cui la vita li ha sottoposti, sempre insieme tendendosi per mano, trovando conforto e coraggio l'uno nell'altro.
Le partite di street basket sono iniziate quasi per gioco, un modo come un altro di passare del tempo insieme, ma quando conquistano una vittoria dietro l'altra nei tornei locali, l'idea di poter diventare qualcosa di più si fa strada nei loro cuori e nelle loro menti.
Ed è così che la leggenda prende forma, di coloro che dal nulla hanno scalato la vetta, riuscendo insieme a toccare il cielo.
Genere: Angst, Demenziale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorpresa
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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N.d.A.- Chaossu! 
Non so esattamente come mai ho deciso di pubblicare questa..."cosa", forse spinta dalla curiosità di provare qualcosa di nuovo in questo fandom, forse perchè ultimamente mi è tornata la passione verso Kuroko, o semplicemente perchè sono masochista e mi voglio male ^o^
Come detto questa storia è stata ispirata da una letta nel fandom inglese, ma soltanto la parte dello street basket e del team, il resto è farina del mio sacco!
Solo che l'accostamento di questi determinati personaggi mi ha affascinata, e volevo assolutamente scrivere qualcosa su di loro! Spero la storia possa anche solo attrarre la curiosità di qualcuno, non sono brava nelle intro quindi perdonate se non è un gran che >-<
Buona lettura e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay


 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*


Con un considerevole numero di eventi a caratterizzare la propria vita, Seiko poteva vantare una vasta conoscenza della natura umana, dovuta anche all'esperienza maturata durante tutti gli anni in cui aveva gestito l'orfanotrofio "Skyreach": in cinquant'anni di lavoro e dedizione aveva visto crescere un considerevole numero di bambini, tanto da riuscire ormai a comprendere il carattere di una persona in poche occhiate.

Il linguaggio del corpo spesso comunicava più di quanto non venisse detto a parole, e Seiko preferiva fidarsi del suo istinto, di ciò che leggeva nei gesti e nei movimenti di una persona piuttosto che fidarsi delle sole parole; un'abilità che i suoi ragazzi avevano aiutato ad affinare, e sulla quale si basava spesso per giudicare se le famiglie che si presentavano da lei per un'adozione fossero adeguate o meno. Nella maggior parte dei casi la sua intuizione si rivelava corretta.

Seiko amava il suo lavoro ed amava i bambini che avevano la sfortuna di entrare nel suo istituto -perchè non importa quanto impegno mettesse nel rendere i suoi ragazzi quanto più felici possibili, restare orfani non era mai un'esperienza felice- per questo avrebbe fatto di tutto affinché crescessero nel migliore dei modi, nelle cure di persone che potevano svolgere quel compito con effettiva competenza.

Nonostante l'affetto che provava per tutti loro, tendeva tuttavia a restare distante, senza mai instaurare un rapporto più profondo di quello che poteva esserci tra un'insegnate ed un allievo, amando ognuno dei suoi preziosi bambini senza però legarsi a nessuno in particolare.

Fino a quel momento Seiko era sempre stata fedele a quella filosofia, ripromettendo di occuparsi dei ragazzi con fermezza e serietà, sempre con professionalità ed imparzialità, senza coinvolgere sentimenti personali ed avendo così la certezza di poter prendere la miglior decisione possibile con la massima lucidità possibile: una teoria che aveva sempre funzionato, poi erano arrivati loro, e tutto aveva assunto nuovi colori.

Tetsuya era stato il primo. Aveva quattro anni quando l'aveva visto per la prima volta, vittima innocente di una rapina finita nel peggiore degli scenari, il massacro di una famiglia intera, l'unico sopravvissuto ad una tragedia di cui nessuno sembrava voler parlare.

Secondo le ricostruzioni, Tetsuya era rimasto nascosto nell'armadio per giorni prima che qualcuno si ricordasse di lui, trovato quasi per caso durante le indagini per cercare di approfondire il movente ed il modus operandi del criminale; quando i referti medici le erano stati presentati davanti agli occhi, Seiko avrebbe voluto prendere a calci chiunque avesse esplorato la casa nei giorni precedenti, mentre le budella le si torcevano nello stomaco solo al pensiero di ciò che Tetsuya aveva dovuto passare.

La prima volta che lo aveva incontrato era stato in ospedale, una settimana dopo l'accaduto, accompagnata da Ogai -il maggiore dei suoi figli- colui che l'aveva trovato e soccorso non appena accertatosi delle sue condizioni.

A Seiko si era stretto il cuore nel vedere un bambino così piccolo disteso sul letto dell'ospedale, pieno di tubi con cui cercavano di integrare il nutrimento che era venuto a mancargli durante i giorni nell'armadio: il suo corpo era stato irrimediabilmente compromesso, ma i dottori erano positivi che con le cure adeguate il piccolo Tetsuya avrebbe potuto vivere una vita normale senza troppe complicazioni.

La seconda volta che aveva potuto incontrarlo era stato al funerale dei genitori un mese dopo l'accaduto, a cui aveva Seiko partecipato per onorare la nonna di Tetsuya, sua sempai ai tempi del liceo, nonché finanziatrice del suo progetto per l'accoglienza e la riabilitazione degli orfani. Ogai l'aveva accompagnata, più come un favore per la madre che non per vero interesse verso la morte di alcuni civili come lo erano tanti altri.

Mentre lo cercava, Seiko aveva notato con disappunto come nessuno sembrasse essersi ricordato di lui, come se niente fosse rimasto da quella tragedia se non un vuoto per la perdita di tre brave persone: un nuovo moto di rabbia e tristezza si mosse nel cuore della donna, che con passo spedito aveva setacciato la stanza in cerca del bambino come se da questo dipendesse la sua vita.

L'aveva poi trovato accanto alle bare aperte dei famigliari, testa china e sguardo fisso, calmo all'apparenza, completamente solo e abbandonato. A colpirla maggiormente era stata la maturità con cui Tetsuya -aveva solo quattro anni- sembrava affrontare la situazione, controllato e inespressivo, reprimendo la voglia di piangere ed urlare che, Seiko sapeva, lo stava logorando dentro.

In quella grande sala triste e solitaria, Seiko sembrava essere l'unica a vederlo.

C'era qualcosa negli occhi azzurri del piccolo che l'avevano conquistata, risvegliando in lei qualcosa che si era spendo non appena l'ultimo dei suoi figli aveva abbandonato il nido, non lasciando spazio all'esitazione quando si era avvicinata a Tetsuya sorridendo, Ogai sempre accanto, pochi passi dietro di lei.

«Sei un bambino forte.» gli aveva detto, senza mai staccare lo sguardo dagli occhi cerulei e sinceri del bambino.«Come ti chiami?»

Lui l'aveva guardata intensamente, nessuna emozione apparente sul viso tondo e dai lineamenti dolci. «Tetsuya.»

Seiko non aveva perso il sorriso, chinandosi per guardarlo bene in viso, stringendogli attorno al collo la sciarpa di seta rossa che indossava poco prima.

«Ti va di venire con me, Tetsuya? Ti porto nella tua nuova casa.»

Aveva visto l'esitazione negli occhi del piccolo, prima di prendere le mani della donna ed annuire timidamente, probabilmente consapevole che nessuno si fosse proposto per prendersi cura di lui in ogni caso: ed era così che il giovane aveva fatto il suo ingresso a "Skyreach".

Shoichi e Yukio erano arrivati insieme, sei mesi dopo Tetsuya, mano nella mano, inseparabili dal momento in cui l'aereo su cui viaggiavano si era schiantato al suolo, privandoli di ogni cosa.
Un modo terribile di conoscersi, ma il legame che ne era nato aveva superato ogni aspettativa Seiko aveva sperato potesse nascere tra i due: il supporto l'uno dell'altro sarebbe stato essenziale per il loro futuro recupero.

Yukio non aveva parenti che potessero occuparsi di lui, mentre nessuno dei famigliari di Shoichi aveva voluto prendersi la responsabilità di accogliere nella propria casa un ragazzino che era nulla più di un peso.

Era stato quasi inevitabile portarli da lei, ma Seiko non se ne era lamentata: la sua porta era sempre aperta per qualunque bambino ne avesse avuto bisogno.

L'incontro con Tetsuya poi era stato quasi un miracolo.

Nei sei mesi trascorsi alla struttura, il bambino non aveva fatto amicizia con nessuno -sempre solo in un angolo, dimenticato dagli altri bambini e dallo stesso personale dell'orfanotrofio- trovando conforto solo nelle visite giornaliere di Seiko, l'unica con cui era lui stesso a cercare un approccio: questo fino all'arrivo di Yukio e Shoichi.

Mentre il primo piangeva spesso -in disparte, sempre nell'abbraccio protettivo di Shoichi- il secondo guardava con diffidenza e sospetto chiunque si avvicinasse, proteggendo Yukio da qualunque cosa ritenesse un pericolo.

Tetsuya aveva fatto ciò che gli altri bambini ed il personale dell'orfanotrofio non erano riusciti a fare.

Forse perché i sentimenti erano gli stessi, forse perché avevano vissuto esperienze simili più o meno nello stesso momento, Tetsuya era stato l'unico a penetrare il muro di tristezza che aleggiava nei due bambini, insinuandosi in quel legame e divenendo presto parte di qualcosa che Seiko aveva visto accadere altre volte, ma mai in modo così rapido e intenso: si era ripromessa di guardare attentamente gli sviluppi successivi, prendendo sotto la propria ala il trio di bambini che -ancora non lo sapeva- erano già diventati per lei speciali.

Kazunari era arrivato un anno dopo, il corpo ancora pieno delle ferite che la madre gli infieriva ogni giorno, prima che i servizi sociali decidessero finalmente di togliere il ragazzino dalle sue grinfie.

Non era stato facile per lui ambientarsi, sempre scontroso e arrabbiato, seduto in un angolo mentre aspettava qualcosa che nessuno sapeva, litigando e azzuffandosi spesso con altri bambini che avevano la pessima idea di infastidirlo: aveva addirittura morso una delle ragazze quando questa aveva provato a toccarlo, un errore per cui Seiko l'aveva aspramente rimproverata, ricordandole le procedure che aveva insegnato a tutti loro su come comportarsi con bambini che avevano subito certi tipi di abusi per non peggiorare le loro ferite.

Dopo quell'evento, Kazunari era diventato ancor più schivo e violento, e dopo un mese di tentativi falliti, Seiko aveva quasi temuto che per lui fosse tardi, che qualsiasi tipo di recupero fosse ormai impossibile: le si spezzava il cuore, pensare che Kazunari non avrebbe mai potuto ridere e giocare come un bambino normale, che le ferite inferte al suo corpo e al suo spirito fossero così profonde da non poter essere curate.

Non era sicura di sapere come accadde: pioveva quel giorno, le lezioni erano finite e Seiko stava girando per i corridoi dell'istituto in cerca dei suoi tre protetti per pranzare insieme e parlare come ormai facevano ogni giorno. Li trovò in giardino sotto la pioggia, mentre la risata di Kazunari le riempiva le orecchie come una dolce canzone, accompagnata dalle grida gioiose di Yukio, Shoichi e Tetsuya.

Erano sporchi di fango dalla testa ai piedi, stesi a terra sotto la pioggia battente, senza alcuna preoccupazione a poterli disturbare.

Seiko non aveva avuto cuore di rimproverarli, richiamandoli solo quando lo scroscio si era fatto più intenso e violento, portandoli tutti e quattro nel bagno più vicino e asciugandoli attentamente, mentre strappava loro la piccola promessa di non scappare più a giocare sotto la pioggia senza avvisare nessuno.

Quando era stato il turno di asciugare Kazunari aveva esitato, attendendo trepidante il permesso di poterlo toccare anche solo con l'asciugamano, avvicinandosi con lentezza solo quando il bambino aveva annuito e abbassato il capo.

Anche attraverso il tessuto ruvido, Seiko poteva sentire il corpo di Kazunari irrigidirsi, tremando ad ogni suo movimento non per freddo -di questo era certa- ma per paura: non le era stato riferito tutto ciò che Kazunari aveva subito, ma era evidente che non ci fossero andati leggeri.

Tetsuya gli strinse la mano quasi inconsciamente, un contatto che a Kazunari non sembrò dispiacere, come non parve infastidito dalla vicinanza di Yukio e Shoichi alle sue spalle: sembrava più rilassato quando li aveva attorno.

«M-Mi dispiace aver morso Uta-san...» e forse quella era la prima volta che sentiva la sua voce.
Seiko si abbassò per guardarlo in volto, sorridendogli come una madre -una nonna- avrebbe fatto col suo bambino:«È stata anche colpa sua, ti ha toccato all'improvviso sapendo che non ti avrebbe fatto piacere, non è così?»

Kazunari aveva abbassato lo sguardo, e Seiko ne aveva approfittato per porgergli una mano. «Tuttavia morderla non è stato carino, sono felice che tu l'abbia capito. Ti va di andare insieme a chiederle scusa?»

Aveva aspettato, e quando il piccolo le aveva afferrato la mano spontaneamente, Seiko l'aveva stretta con dolcezza, convertendo i suoi sentimenti più chiaramente possibile.

Ed in quel momento, ebbe la certezza che il suo gruppo di bambini speciali fosse cresciuto.

Suo nipote Kotaro era semplicemente stato trascinato nel mezzo, l'estate di quello stesso anno, quando sua figlia l'aveva lasciato a lei per le consuete due settimane che passavano assieme.

Solitamente Seiko non andava mai all'istituto quando Kotaro era con lei, ma decise di fare un eccezione soltanto per quella volta, per esaudire il desiderio dei bambini -i suoi bambini- di conoscere il nipote di cui tanto aveva parlato.

Non era difficile per Kotaro fare amicizia, era come un sole allegro e spensierato, capace di trascinare nella sua gioia chiunque lo avvicinasse: questa volta era stato lui ad essere trascinato.

A sorpresa era stato Kazunari -dal carattere spontaneo e sicuro, riemerso dopo anni di paura e dolore- ad approcciarlo per primo, trovandosi in sintonia con Kotaro più di quanto Seiko stessa avesse creduto, inglobando così anche il nipote nel bizzarro gruppo che si era creato all'orfanotrofio.

Di lì a poco erano iniziati i pigiama party: che fosse Kotaro a restare all'istituto o che fosse Seiko ad accordare un'uscita speciale ai quattro bambini -normalmente non sarebbe stato possibile, ma era ormai palese che la donna avesse un occhio di riguardo per quel gruppo in particolare, quindi nessuno provava ad opporsi- per soggiornare a casa sua non aveva importanza, ogni scusa era buona per passare del tempo insieme.

E con Kotaro era arrivato il basket: anche a distanza di anni Seiko non avrebbe mai potuto dimenticare il ruolo che il basket aveva avuto nella riabilitazione dei quattro bambini, e di come questo fosse stato il collante che aveva accresciuto il già forte legame che si era instaurato tra i suoi bambini.

Erano appassionati, si divertivano a guardare gli altissimi giocatori dell'NBA mentre volavano verso il canestro con salti incredibili, mentre dribblavano ed eseguivano tiri da tre punti, e quando a Natale aveva regalato loro il primo pallone, Seiko non esagerava nel confermare che nemmeno la neve sembrava poter fermare i suoi bambini -perché ormai li considerava tali- dall'uscire sul campo a giocare per ore ed ore. Molti vasi dell'istituto avevano incontrato la loro fine nei giorni di pioggia, quando era davvero impossibile per loro uscire di casa a giocare.

Tatsuya era stato l'ultimo ad aggiungersi -sebbene a distanza- al gruppo.

L'amico americano di Kotaro, che era stato suo compagno di giochi durante il soggiorno a Los Angeles, partecipava attivamente a chiamate via computer piuttosto frequenti -controllate da adulti in entrambe le parti- ad orari convenienti sia per loro in Giappone che per Tatsuya e la sua famiglia in America.

Seiko credeva fosse un buon allenamento, e spesso chiedeva al giovane di parlare in inglese, così che anche i suoi bambini potessero impararlo al meglio ed esercitarlo in attuali conversazioni.

Seiko era orgogliosa dei suoi bambini, di come si erano trovati insieme ad affrontare le difficoltà che la vita gli aveva posto davanti; erano cresciuti insieme, e ancora lo avrebbero fatto, un passo alla volta, mano nella mano, e se mai avessero avuto bisogno di un sostegno, lei sarebbe stata al loro fianco pronta a sorreggerli, a curargli le ferite qualora fossero caduti lungo il percorso.

Mentre li osservava giocare in cortile, Seiko non poté che augurarsi che quella pace trovata durasse per sempre.

 


 

   
 
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