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Autore: VenoM_S    15/03/2019    0 recensioni
Il giorno in cui ricevette la sua iniziazione iniziò con una fitta pioggia scrosciante. Le due ghiandole poste alla base della sua gola, proprio dietro la lingua, prudevano e gli facevano male da giorni ormai, e sapeva benissimo che sarebbe stata solo questione di tempo, a quel punto.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al “COWT” di Lande di Fandom
Settimana: quinta
Missione: M1
Prompt: Scontro
N° parole: 6250

[Questa storia la stavo covando da un bel po' di tempo, anni potrei dire, senza essere mai riuscita ad iniziarla per mancanza di tempo, o forse per paura che potesse uscir fuori una schifezza. Si basa su un testo di "fanta-fisiologia" che lessi su internet davvero un sacco di anni fa, in cui veniva spiegata la fisiologia dei draghi ed un particolare sul loro processo di corteggiamento mi piacque molto: il Dragon-Slide appunto, ovvero la manovra che i draghi compiono come corteggiamento rituale, un atto adrenalinico e pericoloso attorno al quale ho sempre voluto creare una mia storia. Spero di esserci riuscita almeno degnamente, buona lettura XD]
 
Dragon-Slide
 

Il giorno in cui ricevette la sua iniziazione iniziò con una fitta pioggia scrosciante. Le due ghiandole poste alla base della sua gola, proprio dietro la lingua, prudevano e gli facevano male da giorni ormai, e sapeva benissimo che sarebbe stata solo questione di tempo, a quel punto.
 
Si alzò dal suo giaciglio, un soffice tappeto di foglie larghe che si prodigava a tenere sempre ordinato ed uscì dalla piccola grotta che si era accaparrato qualche mese prima a discapito di una famigliola di cinghiali che, dopotutto, era stata decisamente succulenta e gli aveva concesso almeno una settimana di rilassante digestione. Si mise in equilibrio sulle zampe posteriori, aggrappandosi alla roccia con le unghie delle anteriori e si tirò leggermente indietro per darsi una bella stiracchiata, prima di procedere a controllare le ali membranose che ormai avevano raggiunto le giuste dimensioni, mordicchiando con cautela quei punti ancora ricoperti delle soffici squame giovanili che si stavano via via staccando. La pioggia non gli dava particolarmente fastidio, anzi era grato di ricevere un po’ di fresco dopo quei giorni di calura quasi asfissiante. Dopotutto, non apparteneva a quelle stirpi di draghi che popolavano le zone vulcaniche giù a Sud, ed il caldo intenso non gli era mai andato particolarmente a genio.
Si diresse verso uno specchio d’acqua bassa che si trovava a qualche decina di metri dal suo rifugio, per placare la sua sete e dare un po’ di tregua a quelle ghiandole brucianti, prima di dirigersi alla rupe di Byal e completare la sua entrata nella comunità adulta.
 
Osservando il suo riflesso mentre beveva, non poté fare a meno di notare quanto fosse imponente la crescita delle caratteristiche draconiche nei giovani prossimi alla maturità come lui. Non era in grado di fare paragoni abbastanza convincenti, ma se doveva prendere come esempio le creature che lo circondavano poteva affermare di essere passato in meno di un anno dalle dimensioni di un grosso alce a quelle di tre di loro impilati uno sull’altro. Quando si metteva in posizione eretta, poi, le sue dimensioni diventavano davvero impressionanti, sfruttando la lunghezza di tutto il corpo. Ed il bello è che sarebbe cresciuto ancora, durante il corso della sua vita, come le incredibili dimensioni della matriarca della zona, Byal, stavano lì a dimostrare.  
Le sue lucide squame rossastre avevano passato giorni migliori, intente com’erano a seguire quell’assurda crescita con continui ricambi, donandogli in quel momento un curioso insieme di sfumature che andavano dal rosso scuro per quelle nuove e forti, passando per toni sempre più chiari fino a quelle poche più vecchie, ormai aranciate, che aspettavano solo il momento buono per cadere facendo spazio al suo definitivo colore da adulto. Sull’addome, invece, aveva già completato la muta sfoggiando grandi scaglie piatte di un meraviglioso color perla che rifletteva la luce ed era un ottimo alleato in volo, lasciando alle prede ben poco preavviso prima di vederselo piombare addosso. Aveva già sviluppato da tempo la dentatura completa, ed i grossi canini spuntavano dalle labbra sottili e tirate sul lungo muso affusolato. La cosa di cui andava più fiero erano le sue corna, sicuramente: ne aveva sviluppate ben quattro, due più piccole si estendevano all’indietro partendo dalla nuca, diritte ed acuminate, ottime per difendersi dagli eventuali attacchi alle spalle dei rivali che avrebbero trovato una via più difficile del previsto per affondare i denti nella delicata carne del collo, mentre le altre due che si innalzavano dalla sommità della sua testa erano molto più grandi, incurvate in avanti e poi verso l’alto, scure e minacciose. Non faceva altro che rimirarsele in continuazione, immaginando il momento in cui avrebbero finalmente adempiuto al loro compito di micidiali armi d’attacco.
Dopo aver bevuto a sufficienza, il giovane drago si stirò un’ultima volta allungando in avanti le lunghe zampe artigliate, sentendo scricchiolare piacevolmente le ossa della schiena, infine si diede una vigorosa scrollata così da eliminare un po’ dell’acqua che gli si era infilata tra le scaglie. Allargò le poderose ali membranose, che complessivamente erano lunghe quasi il doppio del suo intero corpo e, dopo essersi leggermente acquattato tendendo i muscoli, si diede una forte spinta verso l’alto aiutando il suo corpo ad alzarsi in volo con un leggero balzo.
 
Si compiaceva sempre di quanto gli fosse stato facile imparare a volare con scioltezza, guidando il suo corpo affusolato in manovre sempre più complesse tra le nuvole. Adorava stare in alto, scrutando il terreno con i suoi attenti occhi dorati che riuscivano a vedere a distanze incredibilmente elevate.
Quella volta però non era di certo il massimo, con la pioggia insistente che ostruiva la vista annebbiando l’orizzonte, costringendolo a planare molto più basso del suo solito per conservare una buona visione di dove stesse andando senza perdere l’orientamento.
La rupe della matriarca era ad alcuni chilometri dalla sua grotta, e gli ci vollero pochi minuti a coprire quella distanza esigua. Gli si presentò davanti quasi all’improvviso, sbucando da una fitta coltre nebbiosa creata dalla pioggia. Era nata naturalmente dal fianco di una montagna, probabilmente per uno strano evento erosivo che di certo non era compito dei draghi decifrare, e si allungava nel vuoto per alcune decine di metri, come una grossa lingua di roccia liscia e nera. Il giovane atterrò con cautela circa a metà di quel grande corridoio in pietra, facendo attenzione a dove poggiava le zampe per non scivolare sul bagnato. Si guardò intorno mentre sentiva il ritmo della pioggia diminuire leggermente sul suo corpo fradicio, segno che forse entro poco sarebbe tornato il sereno, e cercò con lo sguardo un segno qualsiasi che indicasse la presenza della grossa femmina nei paraggi.
«Spero non sia a caccia con questo tempo, potrebbe metterci ore a tornare» pensò roteando leggermente gli occhi al pensiero della quantità immane di cibo di cui Byal avesse sicuramente bisogno per saziarsi.
Si decise quindi a sedersi al centro della passerella rocciosa, certo che in quel modo la femmina l’avrebbe notato subito nel caso fosse stata nei dintorni. Visitare quel luogo per qualunque giovane drago nato in quella vasta zona boschiva era sempre stato un avvenimento di estrema importanza e solennità. Erano infatti le matriarche di ogni stirpe a decretare la maturazione dei giovani, accogliendoli finalmente tra gli adulti ed assegnando loro un nome. Da quel momento, avevano il permesso di dirigersi verso i Lidi, un vasto arcipelago dove i draghi andavano a radunarsi per trovare un compagno o una compagna.
 
Un rumore gutturale proveniente dal fianco della montagna riscosse il giovane drago rosso dai suoi pensieri. Voltandosi, con la pioggia che finalmente era cessata lasciando cadere la cortina nebbiosa che aveva avvolto quella zona fino a quel momento, riuscì a scorgere una caverna dalla quale si affacciava il poderoso muso della matriarca. Il drago si alzò quindi in piedi, dirigendosi verso l’apertura e portandosi di fronte a Byal, osservandola attentamente da vicino per la prima volta da quando era uscito dall’uovo.
L’anziana femmina di drago era davvero imponente, grande quasi tre volte un giovane come lui. Il muso corto e sottile era adornato da numerose corna pallide – più minute rispetto a quelle di un qualunque drago maschio – che a partire dalla fronte si estendevano all’indietro verso il collo, mentre un paio partivano anche dalle guance andando invece leggermente verso il basso. Inoltre dallo stretto spazio tra le narici partiva una fila di piccole punte cornee di forma conica, che si susseguivano una dopo l'altra fino alla sommità della testa, e poi giù lungo il collo ed il dorso fino ad arrivare alla base della coda. Più si scendeva lungo questo tragitto rettilineo, più le punte andavano allungandosi ed assottigliandosi formando un’alta cresta appuntita. Le lunghe zampe artigliate erano mollemente adagiate sul terreno roccioso, a riposo, e la lunga coda si era attorcigliata attorno ad un grosso masso alla sua sinistra. Byal lo guardò con i suoi enormi occhi color zaffiro, le pupille nere, verticali e sottili che si muovevano veloci sul corpo del giovane per valutare che tutto fosse al suo posto. Allungò il collo fin quasi ad arrivare a sfiorarlo con il muso, annusandolo con attenzione per percepire la carica ormonale sempre più in aumento, e l’odore caratteristico delle ghiandole retro-linguali colme di metano accumulato nel tempo durante le digestioni. Sembrava tutto pronto in effetti.
«Seguimi fuori» disse soltanto, alzandosi appena sulle zampe per riuscire ad uscire quasi strisciando da quella caverna che ormai era diventata un po’ troppo piccola per lei. Una volta uscita, la luce investì le scaglie perlacee e pallide della matriarca, facendole quasi risplendere e creando giochi di luce iridescenti lungo tutto il suo corpo. Era una visione davvero incredibile, ed il giovane drago non poté fare a meno di fantasticare su come sarebbe stato essere, in un futuro forse lontano, patriarca di una stirpe insieme alla sua compagna, così come era stato per il compagno di Byal, Golyam, un drago color oro di dimensioni colossali di cui ancora si parlava nonostante fosse deceduto alcuni anni prima. Durante la loro lunga vita insieme avevano generato più di un centinaio di cuccioli, che a loro volta si erano riprodotti colonizzando quella vasta zona boschiva. Dopo la sua perdita, Byal non aveva mai spiccato di nuovo il volo verso i Lidi alla ricerca di un nuovo compagno.
 
Giunti alla fine della rupe, la matriarca si voltò verso il giovane che gli camminava di fianco, guardandolo dall’alto con serietà.
«È giunto per te il momento, piccolo mio. Concentrati, senti le fiamme crescere dentro di te, senti l’incontenibile calore che generano nel profondo della tua gola, immaginale prendere una forma di tua scelta e poi sputale fuori!» disse, poi come quasi a volergli dare una dimostrazione aprì le enormi fauci e fece scivolare fuori con estrema facilità una lingua di fuoco che si avvolse a spirale prima di scomparire. Il giovane drago chiuse gli occhi prendendo un profondo respiro e trattenendo poi il fiato per alcuni secondi, cercando di concentrarsi per riuscire a percepire il suo corpo, i muscoli e tutto ciò che avveniva al suo interno. Sentì le due ghiandole fremere ed il loro bruciore si fece quasi insopportabile, mentre nella sua bocca si spandeva uno strano sapore che non avrebbe saputo descrivere in nessun modo, a metà tra il delizioso ed il nauseante. Nella sua mente si materializzò una debole fiamma ed immaginò di espellerla sottoforma di una piccola sfera, poi stringendo le palpebre per mantenere ancorata alla sua mente quella forma aprì le fauci e senza guardare soffiò fuori qualunque cosa avesse accumulato in bocca durante quei lentissimi momenti. Socchiuse leggermente un solo occhio, per sincerarsi di aver effettivamente prodotto qualcosa nonostante la sua totale mancanza di esperienza, e si compiacque di vedere un piccolo globo infuocato che velocemente si allontanava da lui. Certo, con un attacco – se così si poteva davvero chiamare quella minuscola sfera – del genere probabilmente non sarebbe riuscito ad arrostire nemmeno un giovane cinghiale, ma decisamente ora aveva qualcosa su cui lavorare.
Girò il muso verso Byal, che nel frattempo si era seduta arrotolando la lunga coda attorno alle zampe e che stava osservando la scena annuendo lentamente.
«Sei pronto, dunque» disse soltanto, per poi alzarsi e voltarsi verso di lui, sovrastandolo.
«Gli Elementi che abbracciano la nostra esistenza siano testimoni di questo giorno, in cui un altro giovane drago raggiunge finalmente lo stadio adulto» continuò, fissandolo con solennità «come matriarca di questa regione, finalmente ti concedo un nome e, con esso, una nuova vita. Cherven è quello che ho scelto per te»
 
******
 
Quel giorno qualcosa dentro di lui si era acceso, e non solo in senso figurato. Dopo la fine della sua iniziazione, Cherven si era alzato in volo assieme a Byal per compiere un lungo giro attorno alla montagna, cercando di rimanerle davanti o sopra per non essere investito dalle forti correnti d’aria che le sue ali generavano ogni volta che le muoveva. Ogni drago della zona, vedendoli, avrebbe saputo che era giunto al completamento della sua maturazione. Durante quel lungo volo, la matriarca dispensò anche una precisa spiegazione su dove fossero i Lidi e quali correnti avrebbe dovuto seguire per raggiungerli, anche se non si soffermò minimamente a rispondere alle numerose domande che Cherven le pose su come comportarsi una volta lì. Avrebbe dovuto cavarsela da solo da quel punto di vista, a quanto pareva.

Passarono circa due settimane prima che le correnti d’aria cambiassero direzione permettendogli di partire, e durante quel lasso di tempo Cherven continuò ad allenare la sua mente ed il suo fisico a produrre qualcosa di meglio che una specie di piccolo ciottolo infuocato. Non fu affatto semplice, almeno non quanto lo era stato per lui imparare a volare, ma gli allenamenti avevano lentamente iniziato a dare i loro frutti.
Finalmente arrivò il momento della partenza, ed il drago si alzò in volo di buon’ora dato che a detta della matriarca ci sarebbe voluto un giorno ed una notte interi per giungere fino ai Lidi, tenendo sempre il vento dalla propria parte. Era decisamente il viaggio più lungo che Cherven avesse mai affrontato nella sua vita, e nei due giorni precedenti non aveva fatto praticamente altro che riposare e mangiare, così da essere pronto ed in forze. Per giungere a destinazione avrebbe dovuto sfruttare un vento caldo che proveniva da Sud, dalle regioni vulcaniche, e che si spingeva poi verso Nord-Est passando sull’oceano. Per mantenersi calda la corrente non saliva troppo in alto, così Cherven poté ammirare con tutta calma il paesaggio a lui familiare che piano piano mutava sotto di sé, con la protettiva e mite foresta che via via lasciava il posto ad immense pianure erbose su cui pascolavano enormi branchi di erbivori. Alla sua sinistra erano sempre presenti le grandi catene montuose come un enorme barriera che proteggeva quell’angolo di mondo ancora inesplorato e selvaggio. Alla sua destra, invece, la sottile riga del mare che, investita dai raggi del sole mattutino, risplendeva di un meraviglioso celeste andava via via allargandosi mentre, sempre seguendo la corrente calda, voltava leggermente verso di esso. Non aveva mai visto il mare da troppo vicino, e volarci sopra fu per lui una totale novità. Osservava curioso le onde infrangersi sugli scogli solitari che a volte emergevano da sotto la superficie, oppure scontrarsi tra di loro, producendo sbuffi di schiuma bianca. L’odore di pesce e di sale gli riempì le narici, e per un attimo fu tentato di buttarsi in picchiata per provare a catturare una creatura grigiastra che solcava le onde compiendo eleganti salti, ma subito si riscosse da quel pensiero per accantonarlo, perché di certo non voleva rischiare di perdere la corrente e dover tornare indietro.

Il giorno mutò presto in notte, e una grande luna piena circondata da una moltitudine di stelle illuminarono la via per Cherven, che intanto continuava il suo viaggio ad ali spiegate. La forte corrente riusciva a sostenere il suo peso permettendogli di planare per la maggior parte del tempo quasi senza difficoltà, ed a lui non restava che sbattere le ali di tanto in tanto per mantenere costante l’altezza. Ebbe molto tempo per pensare, durante quel viaggio, cercando di immaginare come potesse essere un luogo che accoglieva draghi di diverse stirpi, provenienti da diversi ambienti, e per rimuginare sull’essere più o meno pronto a trovare una compagna, eventualmente battendosi per lei.
I primi raggi di una nuova alba lo investirono mentre ancora rimuginava, e guardando in avanti riuscì finalmente a vedere, in lontananza, la sagoma sbiadita della prima isola dei Lidi. Eccitato da quella vista e dalla fine di quel tedioso viaggio, Cherven stese in avanti il lungo collo lanciando un breve ruggito di gioia, per poi accelerare sbattendo con forza le vigorose ali, distaccandosi ormai da quella calda corrente che lo aveva cullato durante il giorno precedente ma di cui ora non aveva più bisogno. Man mano che si avvicinava, il drago rimase estasiato dalla vista che gli si presentò di fronte: i Lidi erano un arcipelago composto da sei enormi isole vicine disposte in due cerchi concentrici, ognuna delle quali era ricca di vegetazione tranne quella centrale, distinta da un alto vulcano e ricoperta solo di impervia roccia e magma indurito. Di certo non sarebbe stata quella la sua destinazione finale. Scese invece sulla prima isola che aveva avvistato da lontano, felice di posare di nuovo le zampe sulla terraferma e di poter finalmente riposare le ali, che richiuse lungo la schiena dopo avergli concesso una breve sessione di pulizia. Era assetato, quindi si diresse verso l’interno dell’isola per cercare un qualche bacino d’acqua potabile a cui abbeverarsi, e magari per procacciarsi anche del cibo. Per il momento non vedeva draghi nei paraggi, probabilmente perché era ancora molto presto e stavano ancora dormendo in qualche caverna.
Il clima era mite ed un bel sole faceva capolino tra le fronde degli alberi sotto cui Cherven si stava avventurando. Era molto simile al luogo in cui era nato, anche se c’erano alcune piante che non gli sembrava di aver mai visto nella sua zona. Si addentrò ancora di più nella foresta, seguendo più che altro il suo istinto dato che non aveva la minima idea di dove andare, non volendo alzarsi in volo per non affaticarsi ancora e soprattutto per concedersi il lusso di un po’ di esplorazione in tranquillità, magari per trovare anche un buon punto in cui dormire qualche ora. Alle sue orecchie arrivò infine il rumore scrosciante dell’acqua, portandolo a girare verso destra per seguirlo, e conducendolo in una radura erbosa in cui un fiume ricadeva da una piccola cascata in una pozza d’acqua stretta ma evidentemente profonda, dalla quale fuoriusciva poi un fiumiciattolo che si dirigeva lontano, probabilmente verso il limitare della foresta per poi immettersi nel mare. Il drago si accucciò davanti allo specchio d’acqua e bevve avidamente per un paio di minuti, lasciando che il liquido gelido gli rinfrescasse la gola, dopodiché fece qualche passo dentro la pozza e vi si rotolò, permettendo all’acqua di penetrare tra le sue scaglie per ripulirle dalla fastidiosa salsedine che vi si era accumulata durante il viaggio sul mare. Tornato a riva, si diede una vigorosa scrollata e si stirò la schiena sentendo i muscoli e le ossa che lo ringraziavano, poi sentendosi immensamente stanco si arrotolò su sé stesso e si concesse un paio d’ore di sonno riscaldato dal sole e cullato dallo scrosciare dell’acqua.

Si svegliò quasi controvoglia, con la strana sensazione che da qualche parte lo stessero osservando. Aprì un occhio per guardarsi intorno, e si scoprì circondato da alcuni draghi che lo stavano fissando in modo alquanto interrogativo. A quel punto si tirò su di scatto, facendo un paio di passi indietro e schiarendosi la gola con fare piuttosto imbarazzato.
«Ehilà!» riuscì a dire soltanto, osservando quella moltitudine di creature. Una femmina color rame piccola e sinuosa lo salutò di rimando, chiedendogli poi quando fosse arrivato e perché non si fosse diretto verso il centro della foresta, dove una piccola collina ospitava numerose grotte perfette per riposare piuttosto che fermarsi in un posto qualunque a dormire per terra. Imbarazzato, Cherven rispose che non sapeva ancora dove si trovassero i vari punti chiave delle isole, essendo appena arrivato ed avendo abbandonato l’idea dell’esplorazione in volo non appena aveva toccato terra alcune ore prima. Poi, ringraziandola per l’informazione, spiccò il volo con un balzo per allontanarsi da lì ed andare a scegliere la sua nuova, momentanea casa.
 
******
 
Erano passati cinque giorni dal suo arrivo, e Cherven non aveva faticato a comprendere perché i Lidi fossero considerati una specie di paradiso. Il cibo non scarseggiava mai nonostante la quantità di draghi presenti, il clima era ottimo e sulle isole erano incredibilmente presenti quasi tutti i biomi nativi delle varie stirpi di draghi. Foreste, pianure erbose, spiagge rocciose ed al centro quell’enorme vulcano permettevano ad ogni drago di trovare il luogo adatto per sé ed anche di cercare un compagno o una compagna affine. C’era da dire che, riguardo quest’ultimo punto, Cherven non si era impegnato più di tanto nei giorni precedenti. Aveva dato la priorità a comporre un buon giaciglio morbido, esplorare e cacciare, incrociando spesso altri draghi ma senza dar loro particolare importanza, se non per qualche sporadica lotta territoriale o per il cibo, finita senza particolari incidenti. Quel pomeriggio, però, qualcosa sembrava fosse pronta a fargli cambiare idea.
 
Cherven era alla pozza d’acqua vicino cui aveva dormito pochi giorni prima, disteso su una roccia a prendere un po’ di sole. Finalmente aveva completato la muta delle scaglie, e non faceva che specchiarsi nell’acqua limpida per ammirare il suo colore rosso scuro. La sua attenzione però venne ben presto attirata da qualcos’altro: una giovane femmina si era appena posata nella radura, raggiungendo la pozza per iniziare a bere.
Era leggermente più piccola di stazza rispetto a lui, con il corpo longilineo sorretto da zampe sottili ma dotate di lunghi artigli cornei. Le sue scaglie erano di un meraviglioso blu – colore che a Cherven ricordò il mare che aveva attraversato per arrivare fin lì – che e andavano via via sfumando in un viola pallido sulla parte inferiore del corpo, contraddistinta da scaglie più grandi e piatte. Dalla base del collo e poi lungo la spina dorsale fino alla punta della coda si dipartiva una piccola cresta membranosa, composta da sottili protuberanze blu tra le quali si estendeva un lembo di pelle violaceo. Dello stesso colore erano anche le grandi ali membranose che la giovane aveva accuratamente ripiegato ai lati del corpo per non intralciare i suoi passi. Dopo alcuni secondi la femmina si girò a guardarlo, e Cherven poté notare le sue due minute corna bianche che si estendevano all’indietro dalla fronte, le guance contornate da piccole creste membranose ed i suoi occhi gialli e brillanti.
«Non ti hanno mai insegnato che fissare qualcuno non è proprio educato?» disse lei con voce melodiosa e tranquilla, da cui Cherven fu subito catturato.
«No...cioè sì…ovviamente!» balbettò Cherven «solo che non mi sembrava di averti mai vista da queste parti» concluse poi in fretta, distogliendo lo sguardo.
«Stavo solo scherzando» ridacchiò lei, mettendosi seduta con il collo ben dritto «mi chiamo Seleste, sono qui solo da un paio di giorni. Tu invece chi sei?» aggiunse poi guardandolo con curiosità.
«Cherven, e anche io sono qui da poco tutto sommato»
I due si misero a parlare, avvicinandosi man mano l’un l’altro quasi senza accorgersene. Si raccontarono dei luoghi da dove provenivano, delle loro impressioni sui Lidi e su qualunque altro argomento venisse loro in mente, senza seguire un preciso filo logico. Cherven non si era mai sentito in quel modo, era come stregato dalla voce di Seleste, si perdeva ad osservare le sfumature delle sue scaglie, i suoi occhi dal colore così acceso, i minimi movimenti delle sue zampe e della coda, sempre così precisi e composti, e notò che anche lei indugiava spesso ad osservarlo mentre parlava.

Quei brevi momenti furono però interrotti dall’arrivo di due nuovi draghi, due maschi che atterrarono pesantemente al loro fianco. Sembravano conoscere Seleste, che infatti li guardò con aria scocciata, girandosi verso quello più grosso aprendo leggermente le ali.
«Cherno, Zelen ancora voi? Sono giorni che mi girate attorno» disse poi.
Il drago nero, che subito si era fatto avanti per coprire la breve distanza che lo separava dalla femmina, le girò attorno circondandola con la coda e parlandole in maniera sdolcinata.
«Mai dai, so benissimo che in fondo ti fa piacere venir corteggiata da qualcuno, soprattutto se quel qualcuno sono io, insieme a mio fratello! E invece chi altro abbiamo qui?» disse poi ponendo l’accento sulle ultime parole, voltandosi verso Cherven che era rimasto in disparte ad osservare la scena, e soprattutto ad osservare i due fratelli.
A parlare era un drago veramente grosso per essere un suo coetaneo. Il suo corpo maestoso era ricoperto da scaglie nere e lucide che lasciavano intravedere sotto di loro il profilo dei muscoli ben sviluppati, le zampe erano possenti ed adornate di lunghi artigli neri, la coda potente frustava l’aria con impazienza. Le ali membranose erano ben più estese di quelle di Cherven, considerato anche il peso che dovevano sorreggere, di un colore più grigiastro che lasciava intravedere la fitta rete di capillari che attraversava le membrane sottili quando queste venivano colpite dai raggi solari. Tutto il suo corpo era attraversato da un’alta cresta che partiva dalla sommità della fronte, dando l’impressione che fosse ancora più alto. La cosa sicuramente più inquietante era il suo grosso muso però, largo e corto, il naso leggermente ricurvo verso il basso, con i canini superiori che fuoriuscivano dalle labbra andando ad appoggiarsi alla mascella. Dal mento scendevano diverse protuberanze cornee come a formare dei barbigli, e da dietro le guance si allargavano due creste membranose, sovrastate da corna imponenti, lisce, nere come la notte e decisamente appuntite.
Cherno si mise tra lui e Seleste gonfiando il petto, mentre Zelen, suo fratello, si faceva da parte per godersi la scena.
Era incredibile pensare che quei due fossero usciti da una stessa covata, da quanto erano diversi. Rispetto al fratello, Zelen era più minuto, con scaglie estremamente più chiare color ocra, attraversate da leggere striature verde scuro che gli conferivano un aspetto molto particolare. L’unica cosa che avevano apparentemente in comune era l’alta cresta membranosa lungo il collo e la spina dorsale, che si concludeva sulla punta della coda. Le membrane delle ali erano anch’esse chiare lungo la base ossea, ma sfumavano poi verso le punte nel verde. Il muso era allungato, adornato di punte ossee scure e due corna incurvate verso l’alto, minute rispetto a quelle del fratello e di Cherven. Particolari erano anche i suoi occhi, di un verde smeraldo brillante, che facevano risaltare la nera pupilla lineare. Il suo unico problema era evidentemente il complesso di inferiorità rispetto al fratello, che lo portava a cercare di compiacerlo seguendolo ovunque e concordando sempre con lui, senza avere mai una sua opinione valida su ciò che accadeva loro. Cherven immaginò che probabilmente l’unico modo in cui un drago come Zelen potesse trovare la compagna adatta ed iniziare a vivere la propria vita sarebbe stato attendere che Cherno trovasse la propria e lo abbandonasse.

«Sai, non credo tu sia adatto per una come Seleste, forse dovresti imparare a stare al tuo posto e lasciare agli altri le cose da grandi» aggiunse poi Cherno facendo due passi in avanti.
«Fagliela vedere, fratello!» disse Zelen dopo essersi seduto al margine della radura, proprio come ci si sarebbe aspettati da lui.
Cherno in realtà non aveva bisogno di sentirsi dire parole del genere, ma dopotutto gli faceva piacere avere sempre qualcuno dalla sua. Si voltò leggermente verso Seleste, ammiccando.
«Tranquilla tesoro, ci metto un attimo a sistemare questa scartina» le disse, anche se lei accolse quelle parole con un’espressione di disgusto ben poco velata. Le regole degli scontri di corteggiamento dei draghi erano ferree, una volta che due sfidanti si erano dati battaglia, il perdente doveva abbandonare l’idea di corteggiare quella femmina e passare altrove, e questo Cherno lo sapeva bene. Anche se Seleste non lo apprezzava, avrebbe scacciato qualunque sfidante a costo di rimanere l’unico drago disponibile per lei su tutte e sei le isole.

Tornando a voltarsi verso Cherven, il possente drago nero scoprì i denti ringhiando sommessamente, mentre con cautela si avvicinava all’altro, che non sembrava essersi davvero reso conto di quello che stava per succedere. Fu il ruggito di Cherno a riscuotere il drago rosso, che fece appena in tempo a vedere l’altro acquattarsi sulle zampe e scattare in avanti prima di ritrovarselo addosso, gli artigli puntati contro il petto. Fortunatamente, nonostante la sorpresa, Cherven sapeva come contrastare un attacco frontale di quel tipo, avendo dato una lezione in merito ad un altro drago giusto un paio di giorni prima, che di certo ci avrebbe pensato due volte in futuro prima di cercare nuovamente di rubare le prede altrui. Con un poderoso colpo di reni, il drago rosso intrecciò le zampe anteriori con quelle di Cherno, tirandolo su in posizione verticale e rimanendovi avvinghiato ruggendo e ringhiando mentre entrambi cercavano a vicenda di mordersi i punti più morbidi del collo. Cherno riuscì ad avvolgere le lunghe zanne affilate vicino all’attaccatura delle ali dell’altro, che nonostante fossero ricoperte da scaglie troppo dure per riportare gravi ferite, conferivano al drago nero un ottimo punto su cui fare leva.
Cherven cercando disperatamente di divincolarsi da quella stretta decise di buttarsi a terra verso sinistra, portandosi dietro Cherno che gli finì sotto perdendo leggermente la presa e consentendo al primo di tirarsi indietro ansimante per quel primo attacco. Rialzatosi, il grosso drago nero lo puntò di nuovo, ma stavolta Cherven era pronto, ed abbassò la testa in una mossa difensiva per ammortizzare l’impatto con la cresta corazzata dell’altro. Le corna dei due si intrecciarono, schioccando ad ogni movimento, mentre ognuno cercava di trovare la posizione adatta per sfondare la guardia dell’altro, usando anche le altre armi di cui la natura li aveva dotati. Dopo qualche secondo di stallo Cherno roteò la grossa coda sbattendola poi con forza sulle costole di Cherven, che con il fiato mozzato cercò di arretrare per ritrovare l’equilibrio perduto, cosa non facile con quel corpo enorme, mentre l’altro iniziava a spingerlo all’indietro verso la pozza d’acqua. Poggiando le zampe posteriori sul terreno scivoloso, il drago rosso finì per perdere la presa, cadendo rovinosamente a terra sospinto anche dalle corna dell’altro, ancora intrecciate alle sue. Fu a quel punto che Cherno, trovandosi il muso di Cherven a portata, gli assestò una potente zampata che lo colpì sulla guancia e sotto la gola, aprendo un varco tra le scaglie più chiare e morbide che ricoprivano la parte bassa del suo corpo, che subito si tinsero di rosso vivo mentre copiose gocce di sangue cadevano nell’acqua sotto di lui.
Cherven non aveva mai provato un dolore così pungente in vita sua, e quel momento lo lasciò interdetto più di qualsiasi altra cosa. Percepiva lo scorrere del sangue caldo sul suo collo, e forse fu proprio questa sensazione di crescente sgomento e pericolo a dargli la giusta spinta per compiere la mossa successiva. Ormai non era più un cucciolo, questa sfida poteva decidere del suo futuro e, se non prestava attenzione, anche della sua vita. Cherno stava per tornare ad infierire su di lui, ma con un poderoso scatto in avanti Cherven lo spinse fuori dall’acqua, torcendo poi la testa da un lato per liberare le corna dall’intreccio con quelle dell’avversario. Poi, aiutandosi con un piccolo balzo, spalancò le lunghe ali e spiccò il volo, certo che l’altro non avrebbe tardato nel seguirlo.
Una volta in aria, i due draghi si fronteggiarono per alcuni secondi, osservandosi e cercando di cogliere il momento in cui qualcuno avrebbe attaccato per primo, riprendendo un po’ il fiato. Stavolta fu Cherven a muoversi, sfruttando il suo corpo più agile per scattare verso il grosso drago nero e poi, all’ultimo, compiere un’agile virata verso destra per attaccarlo di lato, aggrappandosi al lui con gli artigli e mordendolo alla base del collo, sentendo tra le fauci il sapore metallico del sangue che iniziava a scorrere. Cherno emise un potente ruggito di rabbia e dolore, e roteò su sé stesso a mezz’aria per cercare di costringere l’altro a mollare la presa mentre provava a spingerlo via con le zampe posteriori. Fu a quel punto che Cherven decise di attuare la mossa finale del duello, ed ancora con le fauci strette sulla carne del suo avversario si concentrò il più possibile per percepire le due ghiandole alla base della sua gola e per formare nella sua mente una fiamma delle giuste dimensioni, così come gli aveva insegnato la matriarca tempo prima. Un momento dopo lasciò la presa e batté una volta le ali per tirarsi leggermente indietro, prima di spalancare la bocca e lasciar uscire una grande palla di fuoco che si abbatté su Cherno, investendolo in pieno e facendolo precipitare a gran velocità sul terreno sotto di loro.
Il drago nero non si mosse per qualche secondo, e subito suo fratello Zelen coprì la breve distanza che li separava per sincerarsi delle sue condizioni. Quando si rialzò, zoppicante e leggermente ustionato, fu chiaro che non sarebbe stato in grado di combattere oltre. Cherven aveva vinto, al suo primo e serio duello.
Stentava davvero a crederci.
Una volta atterrato, Cherven si accostò di nuovo a Seleste, che si mise ad osservare preoccupata la ferita sotto la sua gola da cui ancora usciva un rivolo di sangue, ed in un gesto del tutto inaspettato vi passò lentamente la lingua cercando di asciugarla e disinfettarla un po’. Cherven sobbalzò a quel tocco, un po’ per il bruciore ed un po’ per l’immenso imbarazzo che quel contatto così ravvicinato ed intimo gli stava provocando. A quella vista, Cherno ringhiò sommessamente verso di loro, aggiungendo poi in un commento sprezzante che era stata solo fortuna, una dannata fortuna da principiante, prima di allontanarsi scortato come sempre dal suo fidato fratello, che cercava di sostenerlo dal lato su cui zoppicava.
 
Cherven e Seleste rimasero fermi per un po’ ad osservare quei due che se ne andavano, mentre sopra di loro il sole aveva iniziato lentamente a tramontare.
«Vieni con me» gli disse poi lei, prima di alzarsi in volo dirigendosi verso il limitare dell’isola, dove le spiagge rocciose si univano al mare. Cherven la seguì con il cuore in gola, conscio che quello che stava per succedere era forse persino più spaventoso di un combattimento tra draghi.
Il corteggiamento rituale, nella loro specie, è qualcosa da non prendere alla leggera, dato che una coppia di draghi è destinata a rimanere insieme per tutta la vita. Spesso, durante quei giorni trascorsi nei Lidi, Cherven aveva visto lo spettacolare atteggiamento delle coppie di draghi che cercavano di determinare se davvero fossero giusti uno per l’altra: i due salivano in volo per alcune centinaia di metri, per poi avvinghiarsi uno con l’altra e lanciarsi in una spettacolare picchiata ad ali chiuse, nel vuoto. Poco prima di schiantarsi a terra, poi, si staccavano riaprendo le ali e volando via. Poteva sembrare qualcosa di incredibilmente stupido ed inutilmente rischioso, ma l’amore dei draghi per la velocità, il coraggio e soprattutto la fiducia reciproca era quello che li spingeva a compiere questa acrobazia. Se uno dei due si staccava troppo presto infatti, spinto dalla paura, né l’altro né probabilmente la maggior parte degli altri draghi lo avrebbero mai scelto come partner, portando così avanti in maniera selettiva le caratteristiche che venivano ritenute migliori.

Sopra la spiaggia, Cherven e Seleste erano immobili a mezz’aria uno di fronte all’altra, guardandosi negli occhi. Erano saliti davvero parecchio, e da quell’altezza si riusciva a vedere bene tutto l’arcipelago illuminato da una meravigliosa luce dorata.
«Sei pronto?» gli chiese lei, trattenendo il fiato ed avvicinandosi fino a sfiorarlo con le zampe.
«Andiamo» rispose soltanto Cherven, prima di annullare la distanza tra loro stringendosi con tutte e quattro le zampe al caldo corpo della femmina, chiudendo le ali e gli occhi ed iniziando la picchiata verso il terreno.
Durante quella corsa folle verso il basso, il drago rosso si sentì incredibilmente calmo a dispetto delle sue aspettative. Il soffice respiro di Seleste gli sfiorava il muso, sentiva i muscoli della femmina contrarsi sotto la stretta delle sue zampe, il cuore di lei battere all’unisono con il proprio, separati solo da uno strato di pelle e scaglie, ed era sicuro che lei lo stesse guardando con quegli occhi gialli e luminosi, aspettando il momento giusto. Smise di pensare con timore a quello che sarebbe potuto succedere, spalancando le palpebre ed incontrando, come aveva previsto, le pupille lineari di Seleste davanti a lui, che lo osservavano con sicurezza. Intanto, sentiva il proprio corpo sferzato dalle raffiche di vento generate dalla picchiata, ed una crescente sensazione di pesantezza allo stomaco, con i sensi che lo avvisavano del fatto che il terreno era sempre più vicino. Si sentiva inebriato ed eccitato da quelle sensazioni, padrone di sé stesso e allo stesso tempo in dovere di proteggere quella creatura che stringeva tra le zampe. Voltò il muso verso il basso, scoprendo che ormai mancavano solo un paio di decine di metri allo scontro con le rocce sottostanti. Ma non era abbastanza, dovevano ancora aspettare qualche secondo, quando i metri di stacco con il terreno fossero stati solo tre o quattro.

Ancora un po’.

«Adesso!» gridarono all’unisono, staccandosi dal loro abbraccio ed aprendo le ali come un paracadute, battendole più volte per restare in aria ed allontanarsi dal terreno che li attendeva appena tre metri più in basso, mentre le onde vi si infrangevano rumorosamente. Lo avevano fatto davvero, avevano completato la picchiata rituale senza che nessuno dei due si ritirasse, e senza incidenti.
Cherven si avvicinò di nuovo a Seleste mentre atterravano lentamente, ed una volta toccato il terreno si accorse che le zampe gli tremavano per l’eccitazione, tanto che per un momento stentò a restare in piedi. Sfiorò il muso della femmina con il suo, e lei ricambiò strusciandosi affettuosamente sotto la sua gola, producendo un caldo rumore gutturale simile a delle fusa. In quel momento, con gli ultimi raggi rosati del tramonto che investivano le scaglie blu della compagna premuta su di lui, Cherven sentì che la sua avventura nei Lidi era conclusa, e che un’altra sarebbe iniziata dal mattino seguente.
«Vieni, andiamo, ti mostro la mia caverna» disse poi ridacchiando e dando un colpetto sul naso di Seleste, che rispose roteando gli occhi. I due si alzarono di nuovo in volo, dirigendosi verso il centro dell’isola per poter iniziare, a partire da quella prima notte, la loro nuova vita.
 
  
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