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Autore: NyxTNeko    17/03/2019    2 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 8 - Una mente intelligente è quella che è in costante apprendimento -

Dopo l'adorata matematica si passò al latino, una materia in cui Napoleone non era particolarmente portato, nonostante fosse un grande appassionato della  letteratura classica, che aveva quasi sempre letto in italiano e che adesso stava scoprendo in francese. Suo zio e maestro Giuseppe lo aveva fatto esercitare molto nella lettura sia in prosa, sia in poesia e il ragazzino, aveva sempre dato prova di grande impegno, seppur con pochissimi miglioramenti.

- Buonaparte, leggi dal punto in cui il tuo compagno ha concluso - gli ordinò il professore, dopo averlo squadrato per pochi secondi.

Ovviamente al corso non sfuggì il suo sguardo, ma non disse e fece nulla, se non quello che gli fu ordinato, con il dito puntato sul libro, e gli occhi grandi e grigi che ormai conoscevano la parola da cui partire. Conosceva quel brano, era l'egloga quarta delle Bucoliche, quella in cui si credeva che Virgilio avesse ipotizzato la nascita di un bambino e che i cristiani identificavano con il Salvatore.

'Teque adeo... 
de...decus hoc aevi
te consuleinibit...
Pollio, et...incipi...ent 
magni procedere menses...
te duce, si qua ma...manent 
sceleris... vestigia nostri... 
inri...ta perpetua 
solvent... formidine terras'

- Basta, basta così - lo interruppe il maestro, avendo notato l'estrema difficoltà e il suo continuo incespicare nella lettura, il mangiarsi le parole, senza seguire la metrica, non riuscendo a dare un tono melodioso alla propria voce.

Il corso, un po' imbarazzato per la deludente prestazione, annuì con il capo, udendo, alle sue spalle, le risatine maligne che i compagni di classe gli rivolgevano. Dovette soffocare la rabbia, non tanto rivolta a loro, in questo caso, ma a se stesso, cercando di capire come migliorare per essere al passo con la maggior parte dei colleghi. Nervoso, tentò di restare il più possibile fermo, per quanto fosse difficile, con le gambe. Evitando, quindi, di battere il piede sul pavimento, istintivamente si morse le unghie, come faceva sempre quando voleva scaricare l'ansia e l'agitazione. Non voleva essere da meno.

- De Bourienne continua tu - disse il maestro gesticolando con la mano, invitandolo a proseguire.

- Sì - affermò il ragazzino, che quasi sobbalzò, poiché era rimasto distratto dall'atteggiamento di Napoleone, subitamente si ricordò il pezzo e procedette
'Ille deum 
vitam accipiet 
divisque videbit 
permixtos heroas 
et ipse videbitur illis
pacatumque reget 
patriis vitutibus orbem...'

Il suo compagno di banco, invece, era bravissimo in lingua latina: riusciva a pronunciarlo con armonia e precisione, assomigliava davvero ad un poeta romano che decantava i versi appena elaborati dinnanzi all'imperatore e alla sua corte. E come Louis Antoine era rimasto incredulo di fronte alle straordinarie doti matematiche di Napoleone, così il corso lo fu, nei confronti del francese, per tutta la lezione.

Al termine di quest'ultima Louis Antoine, leggendo lo stupore e un pizzico di invidia, gli confessò di essere così abile nel parlare in latino perché fin da piccolo era stato allenato a farlo; non aveva nulla di eccezionale in confronto ai suoi compagni. Napoleone evitò di dire che pure lui la studiava da tempo, per non dover dare ragione agli altri compagni, i quali avevano ripreso a canzonarlo, di essere solo un testone incapace.

- Ti dico che in battaglia è più utile la matematica che il latino - gli ripeté, tentando di sminuire le sue capacità pur di non farlo sentire ulteriormente a disagio, stava imparando a conoscere il suo carattere orgoglioso, e soprattutto, testardo - Quella lingua serve solo per le funzioni religiose o per fare citazioni colte, nient’altro - rise alla fine - Leonardo da Vinci ad esempio, non conosceva né il latino, né il greco, ma ciò non sminuisce il suo genio

- Lo so benissimo, ma in questo momento non siamo su un campo di battaglia! E quanto meno mi posso paragonare a Leonardo, per il momento - precisò il corso, per nulla intenzionato a farsi mettere i piedi in testa - Quindi dovrò impegnarmi al massimo se voglio superare gli esami di latino - effuse alla fine Napoleone con determinazione. Il suo orgoglio non gli permetteva di vedere altri individui che lo superassero in qualcosa. Anche se li ammirava, allo stesso tempo, non riusciva a sopportarli, la tentazione di migliorare lo bruciava.

- Posso darti una mano se vuoi - chiese, per poi pentirsi di aver detto una cosa simile - Perdonami, è stata una domanda retorica sfuggita senza mio volere...

Napoleone lo squadrò, senza dure nulla, perché stava per iniziare la lezione di tedesco: quella lingua era, come l'altra, per lui una vera e propria spina nel fianco, se il latino era quanto meno comprensibile, il tedesco, pareva più illeggibile dell'arabo, ai suoi occhi. Ciò, però, non gli impediva di impegnarsi per arrivare alla sufficienza. Questa volta persino Louis Antoine si trovava nella sua stessa situazione d’emergenza, quindi anche se avesse voluto, non poteva contare sul suo aiuto.
 

- Avanti! - esclamò una voce maschile e giovanile da dietro la porta.

- Monsieur Pichegru, scusate il disturbo, ma vorrei parlarvi di un ragazzino molto bravo in matematica, arrivato da pochissimi giorni - informò mestamente Padre Patruolt, non appena entrò: era stanco e provato, per via del tormento che gli aveva creato la lunga riflessione, fatta fino a quel momento su cosa avrebbe dovuto fare con quel ragazzino.

S’inchinò leggermente, porse un foglio pieno di calcoli e di numeri ad un ragazzo giovanissimo di nome Jean-Charles Pichegru, di appena diciotto anni, eppure già promettente, stimato soldato e matematico, che ricevette l'incarico di istruire i ragazzi a partire dai dodici anni, più inclini alle discipline matematiche. Era figlio di un contadino, ma mostrò fin da piccolo grandi qualità e capacità di apprendimento che lo portarono ad un discreto prestigio.

- Ah si? - emise curioso con il sopracciglio alzato, afferrò il foglietto - Di chi si tratta? - chiese scrutando interessato il foglio, sul quale c'erano dei numeri e dei segni eseguiti da un mano giovane, impetuosa e decisa.

- Di un ragazzino di origine corsa, si chiama Buonaparte - rispose con reverenza il monaco.

- Quanti anni ha? - domandò, senza scomporsi, muovendo solo gli occhi.

- Nove e mezzo, monsieur - precisò il vecchio monaco tutto tremolante e sudato.

- Interessante - disse Pichegru sorridendo lievemente, sempre più curioso di saperne di più - Davvero interessante - aggiunse massaggiandosi il mento tondo - Iscrivetelo pure al mio corso di matematica - disse dopo aver taciuto per parecchi minuti.

- Cosa? Ma non ha l'età adatta, non vi sembra un po' troppo giovane...

- Cosa c'è padre? - si stupì il ragazzo in seguito ad lungo silenzio, in cui osservò, con sorpresa, la paura negli occhi del monaco, che non riusciva a controllare - Avete terrore di un ragazzino di appena nove anni? Anche io ero molto giovane quando mostrai il mio talento...

- No, non è questo il punto - lo interruppe tempestivamente il monaco - Il problema è il suo carattere, un tipo difficile da gestire...

- Un caratterino, insomma - precisò continuando a massaggiarsi il mento - Sono ansioso di conoscerlo, iscrivetelo al corso, altrimenti non comprendo il motivo per cui me ne avete parlato e mi avete mostrato questo foglio - controbatté sempre più incuriosito.

- C-come volete, monsieur - assecondò il monaco scrivendo il nome di Napoleone sulla lista. Era andato lì per avere dei consigli su come comportarsi con lui, invece non aveva fatto altro che peggiorare la situazione, forse non avrebbe dovuto cedere e continuare ad esitare...

30 maggio

Nei giorni successivi Napoleone iniziò a frequentare il corso avanzato di matematica: l'unico bambino di nove anni in mezzo a ragazzini e ragazzi dai dodici in sù, tuttavia non si sentiva per nulla a disagio. Pichegru lo notò subito e rimase colpito dai suoi brillanti risultati: non aveva un carattere facile, proprio come il padre Patruolt gli aveva riferito, si fidava poco dei suoi compagni e persino del maestro, che avrebbe apprezzato ed ammirato negli anni. Era cupo, introverso, solitario e taciturno, a volte mostrava aggressività e irascibilità, però, se gli si affidava un compito lo svolgeva diligentemente e con una precisione quasi maniacale.

"Diventerà un grande ufficiale, ne sono più che sicuro" rise pensando al fatto che probabilmente sarebbero diventati colleghi o oppure compagni d'armi in qualche battaglia, e durante i momenti di tregua, si sarebbero raccontati dei tempi dell’Accademia e di quanto fossero ancora immaturi e sognatori. Non avevano, in fondo, molti anni di differenza. Non poteva sapere che il destino li avrebbe fatti incontrare nuovamente in un'altra e ben più drammatica circostanza.

12 luglio

Man mano che i giorni e i mesi passavano, Napoleone inquadrava sempre meglio le materie in cui aveva bisogno di molto più tempo per apprenderle, come le lingue, alle quali dedicava intere notti di studio, diminuendo o privandosi totalmente del sonno. L'insonnia non era un problema, anzi, gli sembrò quasi un bene, perché aveva tutta la struttura a disposizione, ormai conosceva ogni angolo dell'Accademia ed era un gioco da ragazzi nascondersi per sfuggire alla perlustrazione. Come un gatto, si muoveva nel buio, accompagnato dalla flebile luce della lanterna, si chiudeva nell'aula e lì si immergeva nella lettura a voce bassa delle parti in cui aveva più difficoltà, fino a poco prima dell'alba. 

E c'erano altre materie alle quali bastava un'occhiata per impararle: tra queste vi erano la storia e la geografia, discipline fondamentali per un ufficiale, che studiava con piacere ed interesse. Infatti, incominciò a divorare l'intera ala biblioteca dedicata ai personaggi storici più celebri e importanti del passato, una delle sue opere più amate e lette era senz'altro 'le Vite Parallele' di Plutarco, in cui erano descritti un personaggio romano paragonato ad uno greco. "Solo se si studiano i grandi lo si diventa per davvero" si diceva.

Inoltre aveva redatto, sul suo quaderno, una lista di tutte le terre allora conosciute, tra cui le innumerevoli colonie dell'Impero Britannico e sull'ultima pagina aveva annotato anche il suo possedimento più piccolo e insignificante: 'Sainte-Hélène, petite île'.

Si chiedeva, ogni volta che osservava la cartina del mondo allora conosciuto, ancora priva dell’Antartide, a cosa gli servisse quell’isola minuscola,  sperduta nel bel mezzo dell’Oceano e quasi completamente disabitata. "Gli inglesi sono davvero strani, molto più degli olandesi che l'avevano in precedenza, avrà pure un'importanza strategica per i commerci, tra Oriente e Americhe, ma la reputo inutile" sentenziò. "Ed io credevo che fossero i francesi quelli strani".

Il suo occhio si fermò poi sul Mediterraneo, intravide la sua Corsica, anch'essa minuscola, insignificante in confronto al mondo, quasi sconosciuta, in quel momento, parve non importargli, rimosse persino il fatto che l'avesse sentita stretta, le mancava terribilmente. La nostalgia lo pervase. Sospirò profondamente, spostò lo sguardo verso il cielo, sereno, di un azzurrino placido, non era lo stesso di quello con cui era cresciuto, che era, bensì, quasi accecante, tanto era intenso e uniforme. Il sole splendeva in quei giorni d'estate, i suoi compagni si lamentavano del caldo, non lui, per Napoleone era addirittura fresco "Si vede che sono nati e cresciuti nel continente".

Mal sopportava quell'umidità che gli si appiccicava addosso e lo faceva sudare, non poteva lavarsi come faceva sulla sua isola, perciò quando poteva, bagnava un panno per togliersi tutto e avere l'illusione di essere completamente pulito. Infine pensò al fatto che avrebbe festeggiato il suo primo compleanno lontano dalla sua famiglia. Sospirò di nuovo "Chissà come stanno? Spero che mio padre non lasci soli la mamma e i miei fratelli, che non stia sempre in giro per lavoro" Chiuse il quaderno con un gesto secco. 


Dopo quasi sei ore di lezioni tendenzialmente teoriche, si passò a materie pratiche, come la scherma in cui ci si poteva sfidare a duello in un'immensa aula, ognuno con un proprio istruttore personale che annotava miglioramenti e considerazioni. Era una delle discipline più apprezzate e amate dai ragazzi, anche da Napoleone che poté migliorare la sua abilità e conoscere anche tecniche specifiche che non conosceva. E soprattutto poté addestrare meglio la mano sinistra, utilissima per confondere l'avversario; doveva sfruttare al massimo ogni sua dote, se voleva emergere su tutti.

   
 
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