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Autore: Moony16    17/03/2019    2 recensioni
Berlino non era ancora una città sporca di sangue quando Caroline vi arrivò contro la sua volontà in quell'estate del 1940, quando nessuno avrebbe potuto immaginare la piega che avrebbe preso la storia. Con sè, solo una nuova identità, un nuovo nome, la stella di Davide finalmente strappata via dai vestiti e una vita intera lasciata alle spalle.
L'accompagna Joseph, un giovane ufficiale delle SS, il perfetto ariano, uno di quei uomini che potrebbe benissimo stare tra le figurine che la ragazze si passano tra i banchi di scuola, in una rivista del partito nazionalsocialista o in un volantino che incita alla guerra, per riprendersi il "Lebensraum", lo spazio vitale tedesco.
Cosa li lega? Nulla in realtà, se non un'infanzia passata insieme e un debito che pende sulla testa del giovane come una condanna.
***
LA STORIA E' INCOMPLETA QUI, MA LA STO REVISIONANDO E RIPUBBLICANDO SU WATTPAD NELL'ACCOUNT Moony_97, DOVE LA COMPLETERO'
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Storico
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Quando Caroline si svegliò quella mattina, si stupì della comodità e del calore del letto. Insomma non le era mai capitato in quella casa di svegliarsi con un tale tepore tra le coperte, nonostante sentisse le sue gambe nude. La camicia da notte le si era arrotolata in vita? E poi c’era quell’odore strano tra le lenzuola, un misto tra alcool e il tipico odore di Joseph.
Questi pensieri le passarono in mente mentre era ancora con gli occhi chiusi, la testa svuotata e dolente a causa del troppo champagne, la bocca asciutta e impastata. Quando aprì gli occhi però fu sconvolta da quello che vide. Joseph dormiva accanto a lei, dandogli le spalle e il suo corpo era interamente coperto dal piumone pesante: riusciva a vedere solo l’inconfondibile testa bionda. La camera poi era nel caos: c’erano vestiti e gioielli sparsi ovunque. Lei invece, costatò guardandosi, indossava ancora il vestito della sera prima, stropicciato e arrotolato in vita. Inorridì al pensiero di averlo rovinato e si alzò lentamente, ricordando sempre più stupita gli avvenimenti della sera prima. Sperò con tutto il cuore che l’uomo non si svegliasse e che fosse stato abbastanza ubriaco da pensare, al risveglio, che quello fosse solo un brutto sogno. 
In punta di piedi raccolse le calze sfilate, i gioielli, la pelliccia e le scarpe sparse lungo stanza e il corridoio, per poi chiudersi in camera sua. Si cambiò di fretta e furia, si sciacquò il viso e cercò di riprendersi dall’intontimento. Poi, presa dal nervosismo, si sedette nel tavolo della cucina e iniziò a mangiare quanti più biscotti riusciva a trovare. 
Joseph si era svegliato molto prima di lei, trovandosi avvinghiato alla ragazza e con una sbarra di ferro tra le gambe. Inorridito si era staccato di botto e le aveva dato le spalle, senza sapere che fare se non aspettare che lei si svegliasse, e allo stesso tempo impaurito da quella eventualità. Comunque non dovette rimanere nell’attesa troppo a lungo, probabilmente il suo movimento brusco aveva turbato il sonno della ragazza, così poco dopo lei si mosse tra le lenzuola. La sentì trattenere il respiro alla vista di quello che avevano combinato, e poi sgattaiolare via come una ladra. Lui rimase immobile, troppo inorridito, turbato, desideroso del suo corpo e stanco di quella battaglia interiore. Non si mosse di un millimetro e impiegò almeno mezz’ora per riuscire a trovare la forza di staccarsi dal letto e andare in bagno. Il suo corpo pareva non rispondere più a lui, gli sembrava di essere tornato un ragazzino alle prese con gli ormoni, e questo non gli piaceva per niente. Per l’ennesima volta si infuocò al pensiero delle sue mani su quella carne candida e a quel punto decise che o si sfogava o sarebbe finita male per entrambi. 
Non ci mise molto e uscì dal bagno poco dopo, un po’ più sollevato di come vi era entrato ma ugualmente turbato. Trovò Caroline notevolmente ansiosa che mangiava biscotti meccanicamente, la radio che suonava in un angolo e lo sguardo terrorizzato rivolto al suo indirizzo. 
«buongiorno …» mugolò con la voce stanca. Lei gli rispose pigolando così lui riprese a parlare sedendole davanti.
«ieri sera … » non sapeva come continuare il discorso che voleva fare. La guardò e vide che era sbiancata, così decise che per il momento avrebbe anche potuto scegliere la via più facile, tanto che era meglio per tutti.
«come siamo tornati a casa? Non ricordo granché da dopo il brindisi» disse con la faccia più sofferente che riuscì a mettere su.
«con l’autista … eravamo entrambi piuttosto alticci, credo. Tu avrai bevuto molto più di me, visto il tempo che io ho passato a ballare» gli rispose lei, evidentemente sollevata.
«non ci hanno scoperti vero?» lei negò decisa con la testa.
«erano tutti lì a fare i complimenti a entrambi. È stato strano, come se …  come se stessi recitando la parte di me stessa in un mondo in cui io non sono ebrea» aveva detto lei, pentendosene un secondo dopo, ma convinta che Joseph non ne avesse colto in pieno il significato. E invece lui aveva capito benissimo, e ora la guardava pensieroso, affascinato da quella realtà.
Immaginò come sarebbero andate le cose se lei non fosse stata ebrea … perché sapeva, in fondo all’anima, che se avesse lasciato a briglia sciolta il suo cuore lui se ne sarebbe innamorato proprio come l’amava da bambino, ma in un modo tutto nuovo. Se le non fosse stata ebrea non avrebbero mai smesso di scriversi e alla prima occasione sarebbe andato a trovarla, molto prima di partire per la guerra. Lo avrebbero accolto come un figlio ritrovato, come aveva sempre sognato che facessero, suo padre con dei bei baffoni ingrigiti dal tempo e la pancia prorompente, sua madre con i suoi modi gentili e i sorrisi che le arrivavano sempre agli occhi verdi come quelli di Caroline. Lei invece, lei sarebbe stata la più felice delle ragazze di Friburgo, rivedendolo dopo anni. Gli sarebbe corsa in contro ridendo e lui l’avrebbe sollevata, stupito di trovarla tanto cresciuta, bella e donna, e si sarebbe ritrovato a trattenere le lacrime come si addice ad un vero uomo, mentre lei invece gli bagnava tutta la giacca di felicità salata, gli occhi più chiari che mai per le lacrime. L’avrebbe corteggiata come si farebbe con una regina, le avrebbe dato tutto se stesso e anche di più, avrebbero festeggiato insieme il suo ingresso nell’esercito e il diploma che lei avrebbe sicuramente conseguito, e anche tutti i compleanni, si sarebbero visti quanto più spesso potevano e magari chissà, si sarebbero anche sposati.
«Joseph, a che stavi pensando?» 
L’uomo si riscosse dalle sue fantasie e guardò in faccia la realtà, con quella Caroline che lo disprezzava e con quel soldato che vedeva allo specchio ma che non riconosceva più. La fissò spaesato per un momento, un groppo in gola per quel brusco ritorno al presente, poi abbassò gli occhi.
«a niente di importante …» sussurrò, sapendo di mentire. Lei lo guardò preoccupata, fece per dire qualcosa, ma ci ripensò e tacque. 
«che vuoi per colazione?» disse invece, cercando di evitare il suo sguardo, come se si vergognasse.
«solo caffè … tanto che tra poco sarà ora di pranzo, e poi ho lo stomaco chiuso» lei annuì sovrappensiero e iniziò ad armeggiare ai fornelli.
«per pranzo che vorresti fare, piuttosto?» chiese così, di punto in bianco. Lei si girò a guardarlo stupita.
«credevo che volessi andare a mangiare con qualche tuo amico …» lui la osservò per un attimo, mentre lei stupita lo guardava. Era vero, sarebbe dovuto andare a mangiare con dei suoi colleghi, ma non gli andava più di tanto di lasciarla sola con i suoi pensieri, dopo quello che era successo. 
«tu resteresti sola» lei fece spallucce.
«non darti pensieri per me, io me la passo anche meglio» disse più acida di quanto non volesse. Joseph si sentì per un attimo spaesato e non rispose. Si sentì rifiutato e si arrabbiò, ma cercò di non darlo a vedere. 
«perfetto allora, sarà meglio così» disse mentre lei gli metteva davanti una tazza di caffè.
«vai a prepararmi la vasca, ho bisogno di un bagno» ringhiò quindi, mentre lei sbuffava e faceva come gli veniva chiesto. 
Inginocchiata davanti la vasca di Joseph, Caroline si accorse di desiderare ardentemente che quel bagno fosse per lei. Si sentiva sporca, insozzata, più che esteriormente interiormente. Tutte quelle persone disgustose con cui aveva avuto a che fare la sera prima, che l’avevano toccata, con cui aveva ballato e mangiato, con cui aveva brindato. Si sentiva una traditrice, una puttana, soprattutto per come aveva baciato Joseph. La sua testa non faceva che ritornare al modo in cui lui l’aveva presa tra le braccia senza nessuna delicatezza, come Dimitri non si sarebbe mai sognato di fare e a quanto le era dannatamente piaciuto: lei avrebbe voluto perdesi tra le sue braccia, fondersi con lui e dimenticare tutto il resto. Ricordò a sé stessa le umiliazioni che le aveva dato, le percosse, gli insulti, quella semi-reclusione forzata, e si chiedeva perché. Lei lo disprezzava la maggior parte del tempo. Lei odiava quello che rappresentava, la persona che era diventato, le scelte che aveva compiuto … lei odiava quello che faceva! Lui si occupava di perseguitare quelli come lei, lui non si faceva problemi a uccidere i nemici e gli ebrei erano considerati nemici. Lui era un assassino sadico, indottrinato dal partito e spezzato dalla vita. Con quel bacio aveva tradito non solo Dimitri, ma tutta la sua stirpe, tutte le persone che lui aveva tiranneggiato, tutti i francesi uccisi per una guerra che non avevano voluto. Lei aveva tradito sé stessa baciandolo.
E lui … lui perché l’aveva baciata? 
Probabilmente era solo troppo ubriaco per fare caso al fatto che fossi io e aveva bisogno di infilarsi tra le gambe di qualche donna. Pensò amara. Non c’era altra spiegazione. 
La stufa nell’angolo riempiva l’aria di calore, che si immischiava con il vapore che usciva dall’acqua bollente. La vasca era quasi piena, così aggiunse un po’ di acqua fredda giusto per renderla accessibile agli esseri umani. Anche se avrebbe voluto farlo bollito, non era il caso di farlo arrabbiare. Non quella mattina, in cui la confusione regnava sovrana nella testa dolorante di Caroline. Si rese conto con stupore che le mani le tremavano, mentre chiudeva le manovelle dell’acqua. Le veniva da vomitare. Come aveva potuto fare una cosa del genere? 
Quando Joseph la vide arrivare, alzando lo sguardo dal suo caffè, capì perché aveva rifiutato di andare a pranzo con lui. Era pallida come un cadavere e sembrava dovesse rimettere da un momento all’altro.
«Caroline, stai bene?» lei annuì.
«il bagno è pronto. Io … credo che andrò a stendermi» disse, per poi rintanarsi nella sua cameretta. Il letto era freddo e intatto, la stufa spenta e la camera gelata. Joseph lo sapeva, lei aveva dormito con lui, era ovvio, però non si arrischiò ad entrare lì dentro. 
Piuttosto si spogliò e si lavò. Strofinò via quello che  era accaduto la sera prima, ripetendosi che era sbagliato, che non doveva pensare più a nulla del genere, che lui era un soldato che credeva in quello che faceva. Aveva persino ottenuto una promozione: non sarebbe più dovuto andare in guerra, ma presto l’avrebbero trasferito a Varsavia, anche se i dettagli dovevano ancora essergli comunicati. A fare che, ancora non lo sapeva bene, ma lo immaginava. Il prima possibile avrebbe dovuto dare la notizia a Caroline, anche se non sapeva come.
L’acqua calda lo cullava. Non sapeva dove andare, aveva dato per scontato di passare la giornata con Caroline, e adesso che lei lo aveva rifiutato tanto chiaramente non sapeva proprio cosa fare. 
Gli tornò in mente la puttana con i capelli rossi … com’è che si chiamava? Rose. Nome azzeccato, per una come lei. Peccato che quella bettola aprisse solo dopo il tramonto, gli sarebbe piaciuto passare del tempo con quella ragazza, ed era quasi sicuro che neanche a lei sarebbe dispiaciuto più di tanto. E poi, aveva bisogno di uno sfogo, di nuovo. In guerra si era abituato a reprimere quel genere di impulsi, ma con Caroline a ronzargli intorno e nessun nemico a distrarlo si sentiva tornato all’adolescenza, un’erezione sempre pronta a scattare su e pensieri sconci il novanta percento del tempo. E non era una bella sensazione. Cercò di evitarlo, ma la mente gli tornò alla sera prima, ai seni bianchi di Caroline, ai suoi baci lungo la mascella, alle sue mani nella spalle, e si ritrovò ad eccitarsi irrimediabilmente. Imprecò sottovoce. Non ne poteva più.
Quando uscì dal bagno, vestito di tutto punto, decise di scoprire le carte in tavola. Bussò alla camera di Caroline ed entrò senza aspettare la sua risposta. Lei era rannicchiata nel letto, sotto le coperte.
«Caroline, stai bene?» lei negò con la testa ed emise qualche mugugno poco convincente e lui si ritrovò a sospirare guardando la sua testa rossa spuntare dalla montagna di coperte sotto il quale era rintanata.
«ti accendo la stufa» propose quindi, visto il gelo che c’era nella stanza. Non riusciva davvero a capire come potesse essere tanto fredda quella parte della casa. Lei non commentò, ma mentre lui si affaccendava per accendere il fuoco si era girata sulla pancia, guardandolo da dietro il piumone con sguardo riconoscente. 
«vuoi preparato un bagno?» chiese quindi Joseph, sentendo i suoi occhi su di sé e girandosi verso di lei. Caroline si sollevò e si mise a sedere per guardarlo in viso. Era stupita da tanta gentilezza, non era da lui
«lo faresti sul serio?» Lui cercò di fuggire il suo sguardo, mentre tornava a sistemare la stufa di ferro.
«non te lo avrei chiesto altrimenti»
«sarebbe fantastico» gli rispose quindi dopo un momento di esitazione, senza riuscire a nascondere il tono grato e il sollievo che le aveva procurato quella proposta.
«prima però devo parlarti» lei si sistemò sul letto e gli fece cenno di sedersi accanto a lei.
«ti ascolto» disse con tono neutro mentre lui si accomodava accanto a lei.
«io non ho bevuto così tanto ieri, lo sai vero?» lei arrossì di botto e abbassò lo sguardo.
«era troppo bello per essere vero …» commentò la ragazza immobile. Joseph sospirò.
«dovevo dirtelo, è giusto così, anche se scommetto che avresti preferito non saperlo»
«avrei preferito che non fosse mai accaduto nulla, a partire da quel maledetto galà in cui mi hai trascinata» sbottò lei, incapace di trattenersi.
«io … mi dispiace di averti trascinata in quella situazione e baciata. Mi dispiace di averti gettato tutta quella confusione che sicuramente avrai in testa, una confusione che io ho da mesi, ma che giuro non avrei mai voluto che tu provassi. Mi dispiace di aver quasi rubato la tua prima volta … mi dispiace soprattutto di vederti così, ora, per colpa mia. È capitato che volessi ferirti, che volessi farti arrabbiare, ma mai così» disse lui fissandola. Lei lentamente aveva alzato gli occhi sul soldato pentito che le stava davanti. Joseph che le chiedeva scusa, non se lo sarebbe mai immaginata. 
Lei, fissandolo, era solo riuscita a scoppiare in lacrime.
«perché Joseph? Perché?» lui l’abbracciò senza riuscire a capire il senso di quello che voleva dire.
“perché sei diventato questo? Perché indossi quell’uniforme?”  voleva dire, ma lui non poteva sapere. Lei sembrava quasi impazzita e non smetteva di piangere. Lui la stringeva cercando di calmarla, e dentro di sé si chiedeva se ne valesse davvero la pena di continuare quella guerra. Chi era più importante, il soldato o il ragazzino? Forse era arrivato il momento di mettere un punto e decidere chi essere. Lui, chi era? 
Si rese conto che non lo sapeva. Mentre stringeva la stessa ragazza che fino alla sera prima aveva baciato con disperazione, che aveva picchiato, che aveva amato con disarmante tenerezza, capì che doveva compiere una scelta e non guardarsi più indietro.
Si, ma quale?
***
Dimitri camminava avanti e indietro per il luogo dove si incontrava sempre con Caroline. Era il due gennaio e lei era in ritardo di mezz’ora. Non poteva rischiare di andare a casa sua, magari l’ufficiale era ancora in congedo e lei non era andata per questo. Aveva voglia di vederla però, una voglia che gli infiammava le viscere. Lei, con i suoi capelli rossi e il suo viso ridente era diventata il centro di ogni suo sogno o pensiero. La voleva, in tutti i sensi possibili, voleva farla sua in tutti i modi possibili e non gliene era permesso neanche uno. Eppure, pazientava. Avrebbe aspettato all’infinito pur di farla sua, un’eternità sarebbe valsa la pena di un’ora con lei. In quel momento però, era irrequieto come un toro prima della corrida. 
Alla fine dovette tornare in negozio, intrattabile e immusonito.
Lei non si fece viva per tre giorni, lui era sempre più arrabbiato e preoccupato, quando finalmente, al quarto giorno, la vide nell’angolo imbacuccata nel suo cappotto. La neve inondava le strade e l’aria era gelida, ma lui si sentì infuocare alla sua vista.
«Caroline!» le urlò da lontano e lei si girò guardandolo. Solo che non sorrideva e non gli andò in contro.
«Caroline, tutto bene?» le chiese quando furono finalmente vicini. Lei annuì e lo abbracciò per un attimo di paradiso.
«devo parlarti» disse lei con fare urgente. Poi guardandolo bene sospirò.
«Dio quanto mi sei mancato Dima!» lui le sorrise.
«come mi hai chiamato?»
«Dima … non ti piace?» 
«è fantastico Caroline. Mi piace da impazzire» le disse sorridendo. Lei lo fissava. Era un bravo ragazzo, un po’ ingenuo e dannatamente intelligente. Non si meritava i guai che gli stava facendo passare. Non si meritava di essere tradito a quel modo, e a quel pensiero Caroline si ritrovò-di nuovo- ad arrossire. Si incamminarono per il mercato, fianco a fianco, Caroline che cercava le parole adatte. Pensò a quello che aveva da dirgli e il cuore le si strinse.
Qualche ora dopo, lo stesso giorno di capodanno, Joseph era stato convocato da un suo superiore. Era uscito baldanzoso con l’alta uniforme ed era tornato felice come una pasqua meno di un’ora dopo. Al vederla, mentre cucinava, non era riuscito a trattenersi.
«Caroline mi hanno assegnato al prossimo incarico. Partiamo tra un mese» era eccitato. Gli erano sempre piaciute le avventure e adorava viaggiare, anche se non aveva mai avuto il tempo e la possibilità di farlo molto. Ma i suoi libri preferiti erano ancora di Jules Verne. 
«che farai?» chiese lei, cercando di risuonare il meno acida possibile. Lui era stato gentile con lei quel giorno e poi non voleva rovinargli l’umore.
«mi hanno trasferito a Varsavia. Partiamo il venticinque, abbiamo meno di un mese per fare le valigie» 
Caroline era rimasta pietrificata
.
«dove sei sparita in questi giorni?» chiese lui mentre camminavano. Lei non ebbe la forza di guardarlo negli occhi. Fissando la strada, gli rispose.
«non ho avuto il coraggio di venire … mi dispiace» lui rimase interdetto.
«allora qualcosa è effettivamente successo» lei annuì senza riuscire ad alzare gli occhi su di lui.
«hai intenzione di dirmelo?»  chiese lui fermandola per un braccio e sollevandole il viso dal mento. Non poteva sottrarsi ai suoi occhi, così chiari e sinceri. Fu costretta a sganciare la bomba.
«Joseph ha ricevuto una promozione. Adesso lavorerà a Varsavia, in Polonia» lui continuò a fissarla.
«ci trasferiamo il mese prossimo» disse, mentre vedeva gli occhi di Dimitri dilatarsi per la sorpresa.
«lui si trasferisce in Polonia?» chiese sperando di aver capito male, pregando di essersi sbagliato.
«io e lui, ci trasferiamo in Polonia. Sai che sono legata a lui. Dima lo sai» lui era pietrificato.
«stai per partire via con lui, quindi?» lei annuì. Dimitri si allontanò da lei e si passò una mano sul viso cercando di contenere il dolore che gli traboccava dagli occhi. Se Caroline avesse saputo come fare, avrebbe bevuto tutto il suo dolore, avrebbe fatto qualsiasi cosa per vedere il suo sguardo spensierato come la prima volta che lo aveva visto, con il suo gelato in mano e gli occhi blu limpidi. Ma no, ormai l’aveva capito, lei lo aveva avvelenato, non sarebbe tornato quel ragazzo. Si era innamorato e adesso lei gli stava spezzando il cuore. Oh non gli avrebbe detto di quello che aveva fatto con Joseph. Che senso aveva? Era praticamente tutto finito, era inutile ferirlo ancora di più. 
«ti prego, dimmi che è uno scherzo» disse infine, il cappello caduto di lato e le mani giunte davanti al viso, come a pregare. Lei aveva scosso la testa e trattenne le lacrime. Aveva pianto fin troppo negli ultimi giorni.
«sto per trasferirmi in Polonia e non so se tornerò mai qui a Berlino. Dimitri, ti avevo avvertito»
Si è vero avrebbe voluto urlare lui mi avevi avvertito, ma chi mai avrebbe potuto avvertirmi che avrebbe fatto tanto male? Si sentiva andare in pezzi.
«quindi è finita? È per questo che non venivi? Non volevi dirmi che dopo avermi usato, mi avresti abbandonato qui al mio destino?»
«hai sempre saputo che non c’era lieto fine per noi. Io l’ho sempre saputo e ti avevo avvisato. Perché te la stai prendendo con me? Non ti ho forse detto come stavano le cose? Non ho cercato di evitarti tutto ciò? Tu mi hai detto “meglio poco tempo che niente” e io ti ho risposta “va bene Dimitri”. Ma adesso il tempo è finito» una lacrima sfuggì al suo controllo.
«tu non hai mai voluto guardare in faccia la realtà, pensavi che tutto questo fosse un’ipotesi lontana. Mi dispiace, ho provato a fartelo capire, ma tu non mi hai voluto dare retta»
«tu invece ti sei guardata bene dal lasciarti andare con me» aveva commentato lui.
«Dimitri non rendere tutto più difficile, ti prego. Lo sapevi» lui la fissò per un istante. Lei sembrava più piccola che mai mentre si torturava le mani e cercava di darsi un tono. Si sentì un verme. Tutto quello che lei stava cercando di dire era vero. Perché allora se la stava prendendo tanto? Forse, aveva sperato che fosse lui il primo a partire, per il fronte. Invece la lettera dell’esercito non era arrivata, per fortuna. E lei stava per prendere un treno. Si accasciò contro un muro.
«scusami … è che non posso crederci. Vieni qui» la invitò tra le sue braccia, e lei non si fece pregare. Le annusava i capelli mentre lei ascoltava il battito irregolare del suo cuore.
«che giorno parti?»
«tra venti giorni» sussurrò. Lui annuì prima di baciarle la fronte.
«ti scriverò. Dovrai ritirare le lettere alla posta, non metto l’indirizzo ma solo la città. Così lui non lo scopre» lei annuì, ancora col viso sul petto di lui. Dimitri era fantastico, odorava sempre di buono ed era l’uomo più dolce che avesse mai conosciuto. Strusciò il viso contro il suo petto e posò le labbra all’altezza del suo cuore palpitante.
«il mio cuore non mi appartiene più. È tuo ormai, Caroline. Fanne ciò che vuoi, ma non ridarmelo indietro» aveva detto con voce flebile sui suoi capelli.
«Ti amo Caroline»
Lei fu percorsa da un brivido e lo strinse più forte.
Ma per chissà quale motivo non riuscì a replicare.  
  
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