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Autore: Hilarie Winfort    17/03/2019    0 recensioni
Jayne Backett era sempre stata una bambina piena di sogni e aspirazioni, fermamente convinta che la vita le avrebbe donato soddisfazioni e serenità e aveva continuato a crederlo fino all'adolescenza. O almeno fino a quando suo padre l'aveva spedita a Galway, in Irlanda dove aveva trascorso gran parte della sua infanzia. Jayne aveva accettato la cosa ma un piccolo particolare le era sfuggito di mente. Si era dimenticata di Ace Davies, ma lui non si era affatto scordato di lei. Al contrario aveva sempre adorato giocare con la ragazza e non avrebbe perso occasione per farlo.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il giorno successivo Ace si alzò presto, non era riuscito a chiudere occhio ed era ancora incredulo che Jayne fosse rimasta a Galway.
Almeno gli aveva risparmiato tutte le domande insistenti che gli avrebbero rivolto i suoi genitori non trovandola a casa.
Fece colazione con un panino ricoperto di marmellata e poi si buttò sul divano a guardare la tv.
Sua madre entrò nella stanza poco dopo, porgendogli il telefono.
Ace rispose distrattamente, sentendo la voce di Evelyn, la turista svedese con cui era uscito all’inizio dell’estate.
“Senti, te l’ho già detto, non mi interessi”, ripeté trovando alquanto fastidioso l’accento della ragazza.
“Buon viaggio”, disse sovrastando la voce di lei prima di riagganciare.
Sua madre gli diede un colpetto sulla nuca e lo fissò con aria severa.
“Mi spieghi perché ti comporti così con tutte?”, disse Brigit incredula. “Quella ragazza era gentile e bella”
Ace sbuffò, non gli importava un fico secco di quanto fosse carina o gentile.
Sua madre non attese che rispondesse, prese la borsetta dal tavolino e gli disse che sarebbe andata ad accompagnare Alis a scuola.
Suo padre era già a lavoro quindi ben presto Ace rimase solo.
Non sopportava tutte quelle ragazze che gli ronzavano intorno, lui poteva dire o fare qualunque cosa e loro erano sempre lì pronte a farsi disprezzare.
Le donne lo trovavano incredibilmente attraente, per loro importava soltanto il suo aspetto e non avevano un briciolo di dignità.
Dopo qualche minuto Jayne entrò nella stanza, lui non si era nemmeno ricordato che ci fosse anche lei in casa.
La salutò con un cenno della mano, senza staccare gli occhi dalla televisione e la sentì armeggiare con i cassetti in cucina.
Poco dopo si diresse anche lui nell’altra stanza per pendere un bicchiere d’acqua e rimase di stucco.
Jayne era appoggiata al ripiano della cucina, stava sorseggiando una tisana e sollevò i grandi occhi su di lui.
Indossava una maglietta senza maniche, di un blu cobalto con uno scollo generoso sul petto e degli shorts bianchi ma quello che l’aveva lasciato senza fiato era l’acconciatura della ragazza.
I capelli ricadevano ai lati del viso in onde morbide e sinuose, intrecciati in due nastrini della stessa tonalità di blu della maglia.
Erano quelli che gli aveva regalato lui l’ultima volta che era stata a Galway, li aveva conservati.
Jayne fissò il ragazzo con aria compiaciuta, era proprio l’effetto che voleva ottenere quando aveva deciso di indossare i nastrini.
“Hai ancora quei ridicoli nastrini?”, mormorò lui rompendo il silenzio che si era creato.
Lei si limitò a continuare a sorseggiare la sua tisana, mantenendo gli occhi incatenati in quelli di Ace.
“Che c’è?”, Jayne aveva usato un tono di voce carico di sfida. “Vuoi sbarazzarti anche di questi?”
Lui sembrò dapprima sorpreso, poi le sue labbra si piegarono in un sorriso tirato che sembrava più un ghigno.
“Mi stai forse mettendo alla prova?”
Jayne sorrise, un sorriso accattivante che il ragazzo non le aveva mai visto prima, poi posò la tazza sul ripiano.
“Adesso so correre molto più in fretta”
Ace si mordicchiò il labbro inferiore, un gesto che la ragazza trovò terribilmente seducente e poi si avvicinò lentamente.
“Faresti meglio... a cominciare”, aveva parlato lentamente e a voce bassa con il tono che sapeva faceva impazzire le ragazze.
Jayne arretrò, poi si voltò di scatto e cominciò a correre più in fretta che poteva.
Aprì la vetrata che conduceva alla veranda e si precipitò fuori, sentiva già la gola bruciarle e il respiro che diveniva affannato.
Sentiva i passi decisi di Ace dietro di lei e fu subito catapultata a molti anni prima, quando scappava dal ragazzo e le loro risate si disperdevano tra gli alberi.
Continuò a correre, usando gli alberi come scudi e questa volta era sicura di riuscire a seminare Ace.
All’improvviso si sentì una bambina, era come se il tempo non fosse mai passato e senza pensarci si voltò a guardare il ragazzo.
Aveva la fronte imperlata di sudore e la maglietta si alzava e si abbassava seguendo i movimenti del suo corpo, lasciando intravedere una striscia di pelle.
Aveva lo sguardo incredibilmente concentrato, deciso a non farsi scappare la preda ed era proprio così che Jayne si sentiva.
Si era sempre sentita preda dei giochetti di Ace, ma quello che fino a poco prima non aveva capito era che le piaceva, le piaceva tremendamente.
All’improvviso lui la raggiunse e fece per afferrarla, ma lei si chinò per schivare la sua mano e fece perdere l’equilibrio al ragazzo ritrovandosi schiacciata dal suo corpo.
Trattenne il fiato, sentendo ogni parte del suo corpo rispondere a quel contatto e il cuore cominciare a battere incessantemente nel petto.
Sollevò gli occhi, timorosa di incontrare lo sguardo di lui.
Ace aveva i muscoli delle braccia contratti per lo sforzo di non schiacciarla completamente con il suo peso, il fiato corto e il suo sguardo sembrava confuso.
Rimasero a fissarsi per un tempo interminabile, poi lui si tirò indietro i capelli ma una ciocca gli ricadde comunque sugli occhi lasciando Jayne senza fiato.
A quella distanza lei riusciva a intravedere ogni singolo particolare di quel viso mozzafiato: gli occhi grandi e penetranti, le piccole lentiggini sparse sulla punta del naso e le labbra carnose che in quel momento erano serrate.
Era dolorosamente bello.
“Ti ho presa”, sussurrò lui senza distogliere lo sguardo da Jayne.
Lei deglutì, avrebbe preferito che il ragazzo non riuscisse a leggerle nella mente così bene perché in quel momento stava pensando delle cose che non avrebbe mai ripetuto ad alta voce.
All’improvviso Ace fece una cosa inaspettata, si chinò su di lei e le sfiorò una ciocca di capelli liberandoli dalla morsa dei nastri.
Ne strinse uno tra le mani, osservandolo attentamente poi guardò di nuovo Jayne.
“Dove li hai trovati?”, le chiese a un millimetro dal suo viso e lei riuscì a percepire il suo fiato caldo sul collo.
“Li ho sempre avuti”
La voce di lei era tremante e insicura, mentre distoglieva lo sguardo incapace di incontrare quegli occhi così penetranti.
Ace non sapeva cosa dire, c’erano così tante cose che gli passarono per la mente in quel momento ma la bellezza di Jayne lo lasciò senza fiato.
Osservò attentamente quegli occhi grandi che riuscivano a scaldare il cuore, i capelli di un ramato così particolare che potevano appartenere solo a lei e quelle labbra sottili ma incredibilmente carnose, che Ace aveva sperato di vedere in tutte le ragazze con cui era uscito.
Per anni aveva cercato di convincersi che lei non gli mancasse, ma ogni volta che aveva sentito i suoi genitori parlare al telefono con il signor Backett aveva sperato che Jayne chiedesse di lui.
Non era mai accaduto e l’orgoglio aveva lasciato spazio al risentimento e così facendo aveva deciso di non farsi più incastrare da nessuna ragazza, ma aveva sottovalutato un particolare.
Il suo cuore era sempre rimasto incatenato a quegli occhi pieni di tristezza e a quella risata che Jayne aveva sempre regalato soltanto a lui.
Tutti i momenti passati insieme alla Villa gli tornarono in mente e fu come una pugnalata al cuore.
Si erano rincorsi, inseguiti fino allo sfinimento senza cedere mai, avevano condiviso risate e anche lacrime e si erano feriti a vicenda così tante volte nel tentativo di rimandare quel momento per sempre.
Quel momento era appena arrivato, l’attimo in cui non c’era spazio per incomprensioni e scontri.
Ace posò le labbra su quelle di Jayne, con una durezza che non credeva di possedere.
Si lasciò scivolare contro il suo corpo con forza, costringendole a dischiudere la bocca per permettergli di entrare con la lingua.
Mantenne gli occhi chiusi, cercando di respirare e da non farsi scalfire dalla morbidezza di quelle labbra che si stavano appiccicando in maniera perfetta alle sue.
Ace si rese conto che era il momento più doloroso che stavano condividendo, la prima volta in cui la rabbia lasciava spazio al timore.
Deglutì, insinuando una mano tra i capelli di lei e attirandola contro il suo petto.
Jayne sussultò, incapace di sottrarsi a quella stretta e sentendo le proprie convinzioni vacillare.
Avevano passato anni a rincorrersi senza mai incontrarsi veramente e invece in quel momento erano una cosa sola, si stavano fondendo alla perfezione e questo la spaventava.
Ace continuava a baciarla con una sicurezza e una lentezza snervante, la stava torturando e Jayne non voleva cedere.
Non voleva abbandonarsi completamente a quelle labbra, ma era più forte di lei e non riusciva a ragionare.
Si staccò da lui, ansante e lo guardò dritto negli occhi.
Fu un errore madornale: Ace era chino su di lei con la bocca arrossata e leggermente gonfia e si stava mordicchiando il labbro inferiore per riuscire a trattenersi dall’annullare nuovamente la distanza che li separava.
Gli occhi erano più scuri del solito, le pupille dilatate e stava deglutendo rumorosamente.
Jayne dischiuse la bocca per dire qualcosa ma Ace le posò una mano sulle labbra, accarezzandole lentamente.
“Non dire niente, ti prego”, sussurrò con voce arrancata. “Quando parliamo noi... finiamo sempre per litigare”
Lei rimase sorpresa dalle parole di lui, si rese conto che non c’era nulla di cui parlare.
Aveva passato anni a parlare in continuazione, senza mai capire che l’unica cosa che voleva era chiudere la bocca.
O meglio, chiuderla contro quella di Ace.
Sospirò, prima di ribaltare le posizioni e comandare lei il gioco.
Adesso Ace era sdraiato sotto di lei, sorpreso da quella presa di posizione e respirava profondamente.
“Sai, non mi sono mai piaciuti i nastrini”, disse lei prima di unire nuovamente le loro labbra.
Sentì Ace ridere contro la sua bocca e scoppiò a ridere anche lei, prima che lui dicesse: “Io invece comincio ad adorarli”
Rimasero a fissarsi negli occhi, come non avevano mai fatto prima di quel momento e capirono molte cose l’uno dell’altra.
Cose che avrebbero capito molto tempo prima, se solo avessero chiuso la bocca per qualche minuto.
Se non altro, impararono a farlo insieme.
  
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