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Autore: Ladyhawke83    17/03/2019    2 recensioni
Note: questa breve Mini long originale riprende l’altra mia “RED RAIN”, che ha gli stessi personaggi, Stephan e Isabel. Solo che qui sono passati parecchi anni, e parecchie cose, dal loro primo incontro, lei si è innamorata di lui, ma lui non ha ricambiato i sentimenti, almeno fino al giorno della laurea di Isabel…
Spero vi piaccia, ci tengo molto perché è in parte autobiografica…
Genere: Erotico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Dark Blue Sheets

 

“Sei in ritardo!” Disse con un tono un po' indispettito Miriam, abbracciando Stephan di sfuggita.

“Scusami… ci siamo attardati nel cenare” Disse lui di sfuggita, cercando di non dar troppo peso alla cosa.

Ci? E con chi avresti fatto tardi?” Chiese l’amica sorpresa, alzando lievemente un sopracciglio.

“Ehm… lei è Isabel, ero con lei prima, quando hai telefonato”. Spiegò lui, lievemente imbarazzato.

“Ah… Isabel… la famosa Isabel?”.

La ragazza al fianco di Stephan si fece piccola piccola, intuendo di essere già sulla bocca di tutti i suoi amici. Si chiese cosa mai avesse raccontato lui sul suo conto, o sul loro rapporto”.

Isabel non fece quasi in tempo a stringere la mano a Miriam, che fu travolta quasi letteralmente dall’energia dirompente di Mattia, uno degli altri ragazzi della compagnia di Stephan.

“Ehi! Steph! Non mi avevi detto che era così bella, altrimenti avrei cercato di soffiartela prima…”. Disse il ragazzo, con uno sguardo disinvolto e ammiccante.

“Non curarti di lui, ci prova con tutte quelle che vede. A fine serata sarà talmente ubriaco da chiedere il numero anche allo sgabello là in fondo…”. Intervenne un terzo ragazzo, con occhi di un bellissimo grigio blu ed un sorriso rassicurante.

“Lui è Danilo, un mio carissimo amico, nonché forse il migliore, ci conosciamo da… da sempre”. Disse Stephan presentando l’amico a Isabel.

“E quest’altro caso senza speranza, è Mattia. Mi vergogno quasi a dirlo, ma siamo colleghi in università…” Ammise Stephan gesticolando con la mano.

“Vogliamo sederci? Così ci racconti tutto…” Disse Miriam prendendo sottobraccio Stephan in un gesto spontaneo, na che per qualche motivo diede ai nervi ad Isabel, che rimase indietro a guardarli, finché lui non si voltò a chiamarla.

Gelosia forse? Invidia? 

Isabel non capiva come mai a veder lui coi suoi amici e con quella Miriam si sentisse nervosa, agitata, fuori posto.

Per tutta la sera il gruppetto non la degnò di molte attenzioni, tranne Danilo, che si dimostrò molto gentile e disponibile, per il resto lei annegò il disagio nell’alcool, sentendosi il più delle volte più come un terzo incomodo che altro.

Stephan sembrava aver scordato tutto quello che c'era stato prima tra loro, come se quella giornata non fosse mai accaduta, come se non fosse lei quella da festeggiare.

All’ennesimo cocktail alla menta che lei stava per trangugiare, lui le mise la mano sul bicchiere.

“Adesso basta, hai bevuto abbastanza…” Le disse all’orecchio, per farsi sentire da lei, nonostante la musica ed il chiasso.

“Cosa vuoi? Non sei mica mio padre!” Gli rispose seccata lei, più per affetto della vodka che altro.

“Ragazzi noi andiamo…” Disse ad un tratto Stephan, ottenendo frasi di disappunto dai suoi amici.

Lui ignorando anche le proteste di Isabel, le porse le stampelle e, piuttosto sbrigativamente, la costrinse ad alzarsi per uscire dal locale.

“Perché ce ne siamo Andati? Pensavo ti stessi divertendo…” Domandò lei arrabbiata.

“Io sì, ma tu no, e poi hai bevuto troppo e non volevo ti sentissi male”. Disse serio Stephan, ma non fece in tempo a finire la frase che lei rimise il contenuto del stomaco sul marciapiede.

“Vado a prendere dell’acqua, ce la fai a reggerti?” Le chiese lui, comprensivo, mentre lei con il volto pallido accennava ad un sì non troppo convinto.

“Ecco tieni, bevi…” Le ordinò lui porgendole dell’acqua con delle vitamine sciolte dentro.

“Torniamo a casa, prendi la mia giacca, stai tremando”.

Ed era vero, Isabel tremava e si sentiva una stupida per aver vomitato di fronte a lui. Non si riduceva così dai tempi del liceo.

Si era comportata veramente come una ragazzina idiota.

Una volta nel parcheggio di casa Valenti, mentre erano ancora in auto, lei gli prese un braccio e lo guardò con occhi stanchi, quasi sull’orlo del pianto.

“Scusami tanto, sono una cretina, non so cosa mi è preso…” Disse Isabel faticando a trovare la concentrazione per parlare.

“Succede, anche se mi sarei risparmiato lo spettacolo di rivedere la nostra cena sul marciapiede…”. Disse lui ridendo piano.

Lei diventò tutta rossa e non parlò più finché non furono entrati in casa.

“Ehm posso usare il bagno? Vorrei rinfrescarmi un po’…” chiese la ragazza a Stephan, con l’abito tutto stropicciato, restituendogli la giacca.

“Ma certo, seconda porta a sinistra. Ti ho messo accanto al lavandino un asciugamano pulito…”. Le rispose lui, mentre controllava i messaggi sul cellulare e metteva sul fuoco un The per entrambi.

“Scusami davvero Stephan…” si scusò di nuovo Isabel rimestando la bevanda calda, sul tavolino di fronte a lei, dopo essersi rimessa un po' in sesto.

“Smettila! Può capitare, davvero… non è la fine del mondo. Piuttosto puoi dirmi perché lo hai fatto?”. Stephan, aveva già dei sospetti al riguardo, ma Isabel sapeva che quando lui si metteva un'idea in testa, nessuno poteva farlo desistere, tanto valeva confessare tutto.

“Ecco io… mi sono sentita gelosa…”. Sputò fuori lei, con occhi bassi, giocando nervosamente con la fede nuziale.

“Gelosa? Dei miei amici?” Chiese lui, senza capire.

“Sì, cioè no… insomma… hai trascorso due ore praticamente senza rivolgermi la parola… come se non fossi nemmeno lì”. Continuò la confessione, con un tono più deciso.

“Non sono il tipo da dire i fatti miei in giro, non volevo facessero troppe domande, e se avessero visto quanto sono legato a te, non avrebbero più spesso di tartassarmi”.

“Quindi tu saresti legato a me?” Chiese Isabel alzandosi dalla sedia per mettersi seduta sulle sue ginocchia, con fare disinvolto e provocante.

“Sì…” Stephan era in evidente imbarazzo, non sapendo dove posare le mani per non risultare invadente.

Isabel sciolse il dubbio baciandolo sulle labbra mentre guidò una delle mani di lui verso i fianchi, facendola scivolare sotto l’orlo del vestito, rivelando la pelle nuda a contatto con la stoffa, segno che non portava nulla sotto.

Lui divenne rosso in viso, quasi eguagliando il colore dell’abito di lei, ma non spostò le dita dai suoi fianchi, Isabel poté sentire la sua erezione farsi evidente, nonostante il tessuto robusto dei jeans.

“Ti voglio…” soffiò lei nella sua bocca, infilandogli decisa una mano sotto la maglietta scura, ad accarezzargli il petto. Era la prima volta che Isabel sentiva la pelle di lui sotto i polpastrelli e fu una sensazione inebriante, nuova, e tremendamente eccitante.

“Non dovremmo andare più lentamente? Forse dovresti riposare, vista la sbronza che ti sei presa…”. Disse lui con enorme sforzo, non era facile resisterle.

“Non abbiamo perso già abbastanza tempo ad andare piano? Siamo andati talmente piano, che sono trascorsi quindici anni solo per riuscire a trovare il coraggio di baciarci!”. Isabel si alzò di scatto interrompendo qualsiasi contatto con lui, e lo guardò offesa e frustrata. Il vestito le cadeva addosso morbido e stropicciato, rivelando che non indossava nemmeno più il reggiseno, oltre che le mutandine.

Stephan pensò che quello di lei fosse un vero assalto erotico in piena regola. Isabel non si sarebbe certo accontentata solo di dormire quella notte, e lui non era del tutto sicuro se fosse saggio andare fino in fondo con lei. Dopotutto era una donna sposata, una madre e, fino a quella calda mattinata, un’amica.

Ma adesso... adesso tutto era cambiato, la sua bocca formicolava e l’eccitazione crescente nei suoi boxer gli diceva che quella che aveva davanti era solamente una donna, una donna che voleva lui, e al diavolo tutto il resto.

Stephan senza parlare la prese con fermezza e la accompagnò in salotto dove aveva preparato con cura il divano letto, le lenzuola e i cuscini blu scuro sembravano così invitanti.

“Scusami… è che ho paura di rovinare tutto” ammise lui, mentre si levava la maglietta, rimanendo scalzo con indosso solo i jeans.

“Non sono più vergine da tanto tempo, non rovinerai niente…”. Gli ricordò lei sorridendo.

“Non mi stavo riferendo al sesso, ma a quello che siamo stati fino a qui…”. Stephan non riusciva a guardarla, gli sembrava ancora surreale averla mezza nuda nel suo salotto.

Lo aveva immaginato tante volte, quando lasciava vagare la testa e di notte sognava di lei, eppure mai si sarebbe aspettato che fosse così travolgente e così difficile.

“Già… che siamo stati due cretini fino a qui, fino a oggi, questo volevi dire?” Insistette lei, adagiandosi sul materasso del divano che cigolò leggermente.

Stephan rimase in piedi di fronte a lei e, da quella angolazione poteva vedere il suo seno sfregare contro la stoffa rossa di quell’abito semplice, ma elegante. 

Deglutì, non sarebbe riuscito a trattenersi ancora molto, l’istinto gli diceva di sdraiarla su quel vecchio divano, di strapparle via il vestito e di assaggiarla e baciarla finché non ne avrebbe avuto abbastanza.

“Vieni qui, toccami… ti ho aspettato così tanto…”. Le parole di Isabel suonarono come una supplica, ma le sue mani si protesero lente e sicure verso il suo corpo per trascinarlo con sé.

Isabeau…” Disse di sfuggita lui, mentre baciava le sue spalle scoperte.

“Come?” Chiese lei, un attimo confusa.

“Scusami volevo dire Isabel…” si corresse lui, guardandola negli occhi.

“...Vuoi che ti chiami Vargas?”. Chiese lei ridendo.

“... Sai facevo anche io quei sogni, e quando ti ho visto in università quel giorno, ho capito subito che il misterioso mago dei sogni, eri tu. Insomma che noi eravamo destinati…”. Confessò lei, sollevata, come se si fosse tolta un grosso peso dal cuore.

“Ma avevi detto di non aver mai sognato nulla del genere, quando ti parlai...”. Ricordò lui, confuso e sorpreso.

“Ho mentito. Ho visto che avevi paura e non ti ho forzato…”. 

Isabel si rese conto in quel momento che se gli avesse parlato dei suoi stessi sogni avuti anni addietro, forse loro ora sarebbero stati sposati. Sarebbero stati una famiglia, con quell’amore che suo marito non era mai stato in grado di darle..

“Non ho più paura Isabel, se no non sarei qui con te adesso...”. Dichiarò lui, mentre le sfilava via l’abito, lasciandola completamente nuda, ed esposta al suo sguardo emozionato e languido.

“Dai, non fissarmi così. Mi vergogno!...”. Isabel cercò di coprirsi maldestramente, ma le era difficile, per non dire impossibile, celare alla vista di lui, tutte le cicatrici, ormai sbiadite, sulla parte inferiore del corpo.

“Non hai nulla che non vada bene... Le cicatrici provano solo che hai sofferto, ma che sei stata forte. Ora sei quello che sei, anche grazie a queste…”

Stephan le prese le mani, scostandogliele e scese a baciarle il seno, lambendo con la lingua i capezzoli, già turgidi da prima.

Isabel gemette e si lasciò esplorare, toccandolo a sua volta, imprimendosi ogni sensazione nella memoria.

Le lenzuola blu avevano un buon odore, che mescolato a quello dei loro corpi accaldati ed eccitati rendeva tutto così strano, eppure così famigliare.

Isabel pregò che non fosse un sogno, quando lui, non senza una certa dose di imbarazzo cercava di capire come prenderla senza farle male.

“Aspetta... ci penso io...” Gli disse lei sicura ed emozionata oltre ogni dire.

Si girò su un fianco e lasciò che lui si sistemasse dietro di lei, per fare l’amore in quella posizione, così raccolta, così intima, eppure così potente.

Lentamente Stephan entrò in lei e la trovò calda, perfetta, come doveva essere la sua metà mancante.

Avevano cercato per anni l’altra metà della mela, e quella invece era sempre stata lì sotto i loro occhi.

I respiri si confusero, i gemiti riempirono l’aria, infilandosi furtivi tra gli scaffali, in mezzo alle pagine dei tanti libri esposti in quel soggiorno, ma dimenticati.

C’erano solo loro, le loro mani, il loro bisogno di colmare il tempo perduto.

Isabel girò la testa verso di lui, in quella posizione le era difficile veder il suo volto, ma voleva baciarlo, mentre lui si muoveva dentro di lei.

Tutto sembrava perfetto, come se i loro corpi si fossero attesi fino a quel momento e solo in quell’unione così forte e delicata insieme, avessero ricominciato a vivere, vivere davvero.

Stephan le prese il mento e la baciò in un modo un po’ grossolano, ma preso com’era dalla passione non ci badò molto ed ad Isabel non dispiacque. 

Rise.

Rise, poi venne.

E fu davvero come sentire le farfalle nello stomaco, lucciole tra le mani e campanelli fatati attorno alle orecchie.

Stephan la seguì poco dopo, per poi lasciarsi andare soddisfatto, allacciando mollemente le braccia intorno a lei. Senza smettere di toccarla, come se avesse paura che lei potesse svanire da un momento all’altro.

“Mi fai il solletico con la barba. Mi formicola tutto il mento...” Gli disse lei, dopo qualche attimo di silenzio ovattato e pieno.

“Scusa... ma hai davvero un sapore troppo bello!” Disse lui, convinto, e tutto rosso in viso.

“Troppo buono, vorrai dire...” lo corresse lei, scherzandoci su.

“No, no, proprio bello, nel senso platonico del termine. Il Bello è più importante del Buono, anzi no, vanno considerati insieme...” Spiegò lui, dimenticandosi di essere nudo e sudato a un soffio da lei, e indossando ancora l’abito mai del tutto accantonato del professore di filosofia.

“È proprio da te, fare l’amore, e subito dopo parlar di filosofia...” lo prese in giro Isabel.

“Sei tu che mi ispiri così alti pensieri. Sai quanto io ami Platone...” disse Stephan.

Isabel arrossì e gli si strinse addosso, girandosi e abbracciandolo.

“Sì, lo so. È grazie alla tua passione, se io oggi mi sono laureata proprio su Platone...” Gli ricordò lei.

“Beh però c’era anche Nietzsche nella tua tesi...” la punzecchiò lui.

“Dettagli, professore, sono solo dettagli...” rise e lo baciò, con quelle labbra piene e rosse come amarene, per via del contatto con la sua barba ispida e leggermente ruvida.

“Sono felice che tu sia qui... per la prima volta da anni non mi sento triste per la morte di mia madre e mia sorella...” Ammise Stephan, quasi in colpa verso le due donne della sua vita.

“Anch’io sono felice, anche se so che questo bel sogno non può durare... vero Vargas?” Disse lei e un’ombra di tristezza le oscurò lo sguardo.

“Come?...” Domandò lui, aprendo dolorosamente gli occhi.

Si ritrovò nella sua casa, quella stessa casa, quello stesso soggiorno, lo stesso divano. 

Solo che era giorno. 

E lei, lei non c’era.

Non c’era mai stata, era stato tutto un sogno della sua mente malata e folle per quell’amore, mai avuto, mai concretizzato.

Stephan sospirò, quella mattina, nonostante fosse estate sentiva il gelo addosso. Si guardò allo specchio, era pallido, il volto cinereo, le occhiaie e i segni della malattia sempre lì, a ricordargli che non aveva più tempo.

Indossò la maglietta, a maniche lunghe, nonostante l’afa, Stephan non voleva che tutti vedessero sulle sue braccia i segni delle cure, dei ricoveri in ospedale. I segni scuri sulle vene lasciati dagli aghi delle flebo, dei veleni in bottiglia.

Stava morendo, lo sapeva, sarebbe stata questione di giorni, forse settimane, ma lui non ci vadava più ormai, aveva smesso di guardare il calendario, di contare la vita che gli rimaneva.

Normalmente era indifferente ad ogni cosa, ma quel giorno, quel giorno no.

Si preparò meglio che poté, cercando di sembrare il vecchio sé stesso e uscì per andare alla stazione. 

Il cuore gli sussultò leggermente nel petto al pensiero di poterla anche solo rivedere.

Quello non era un giorno qualsiasi, era il giorno.

Lo aveva saputo dai calendari pubblici affissi in università. Quella mattina ci sarebbe stata la discussione della tesi di laurea di Isabel, e lui non voleva, non poteva mancare.

Non si sentiva bene, ma camminò lo stesso, ancora poche decine di metri e sarebbe salito sul treno, dove avrebbe potuto riposarsi un poco.

Il sole era già caldo, gli faceva girare la testa. 

L’ultima cosa che Stephan sentì, o che credette di sentire, prima di accasciarsi al suolo, come un fantoccio gettato via da un bambino capriccioso, fu un dolce sentore di mandorle e di rose.

Le stesse rose rosse che Isabel ricevette quel giorno in dono da suo marito, raggiante è orgoglioso più che mai, mentre gliele porgeva con un bacio.

“Complimenti, amore. Sei stata bravissima”. Diceva suo marito.

Sua figlia le tirò la gonna dell’abito rosso per attirare la sua attenzione.

“Cosa c’è amore?” Chiese Isabel alla bambina, che le porgeva un sacchetto.

Dentro al fagotto c’erano tanti confetti, rossi anch’essi, come da tradizione e al gusto di mandorla come piacevano a lei.

“Sono buonissimi...” convenne Isabel distribuendoli ai pochi presenti alla cerimonia.

Poi si voltò, lo sguardo si perse, ed una farfalla gialla le passò accanto.

“Cosa c’è amore?” Le chiese suo marito, vedendola turbata.

“Niente... ho avuto solo una sensazione...” disse lei, mentre il ricordo di Stephan e del suo volto sorridente si era fatto sentire come un fulmine a ciel sereno, accompagnato dal battito di ali di quella bellissima e fragile creatura dalle ali gialle e impalpabili.

Stephan non c’era, ma avrebbe voluto esserci, con tutto sé stesso, se solo il suo cuore avesse retto un giorno in più, sarebbe bastato solo un giorno in più.

Invece quella farfalla gialla sarebbe vissuta soltanto per il tempo di quell’unico giorno così importante, e a lui, quella fortuna era stata negata, come in un crudele gioco del destino, dove lui era semplicemente una pedina mangiata, dimenticata inutile, mentre lei era la regina, difesa dal re.

Stephan aveva atteso troppo per dichiararsi, per rimediare, per trovare il coraggio, e il tempo, si sa, non fa sconti a nessuno.

 

___

 

 

Note dell’autrice: ok, ok. Lo so, doveva essere una one Shot ed è diventata una mini long di tre capitoli.

Questi ultimi due li avevo nel pc da mesi e non mi decidevo a pubblicarli, un po’ perché sono autobiografici, un po’ perché mi vergogno. Questo genere romantico e scolastico non è il mio solito. Spero di aver fatto bene.

A presto Ladyhawke83

   
 
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