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Autore: Hebi_Grin    18/03/2019    0 recensioni
| Hints GinHijiZura | Crossdressing | Sfondamento quarta parete | Tipico umorismo Gintama-esco | Vecchie gag |
Katsura si chiese in un eccesso di presunzione se a Hijikata fosse scivolata la sigaretta dalle labbra perché estasiato dalla leggiadra visione della sua figura, e il pensiero tinse di un delicato rosa le sue guance per l’imbarazzo.
Genere: Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Gintoki Sakata, Kagura, Kotaro Katsura, Shinpachi Shimura, Toushiro Hijikata
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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GinHijiZura. Più o meno. O meglio, ci sono gli hints in tutti e tre i versi ma si può scegliere di vederli solamente come un malinteso.

È la cosa più idiota che abbia mai scritto in vita mia, senza troppe pretese. 

Comunque, l'episodio centrale è ispirato a una fanart che avevo visto tempo fa ma che non trovo con i credits (nel caso, aggiornerò) ed è da lì che è partito il resto. Doveva essere un breve frammento con solamente quella scena, ma chi li ferma? Decidono loro!

L'ultima parte non era proprio prevista invece, ma mi è stata suggerita da Anna che ringrazio per la pazienza dei miei vaneggiamenti e per sopportare il mio blaterare sull'HijiZura. Sono un po' nervosa perché è la prima volta che oso postare qualcosa con Gin e Hijikata in presenza, perché ogni volta che ho provato a scrivere qualcosa con uno di loro il tentativo è finito nel cestino. Ma prima o poi bisogna uscire dalla comfort zone lol. Insomma spero di non aver fatto troppi casini.

Tanto mi conosco e so che quando avrò postato compariranno magicamente errori.

Suggerimenti, critiche costruttive, annotazioni di errori/sviste, commenti random anche solo per dirmi che sono fuori di melone sono sempre ben accetti. <3
 



 

Non devi per forza fare ciò che vedi nei film

 

«Non che cambi qualcosa ormai, ma mi spiegheresti perché siamo di nuovo nella stessa situazione del mese scorso?».

La schiena di Gintoki pesantemente appoggiata alla sedia, i piedi sulla scrivania, le mani incrociate dietro la nuca e lo sguardo annoiato da pesce lesso rivolto al soffitto.

«Hai trovato una macchina del tempo? Qualcuno sta guardando le scene extra dei dvd della serie? Mangaka-Gorilla non sapeva come riempire le vignette e ha deciso di riciclare scene bocciate dal vecchio editore?».

«Come sei ingenuo, Gintoki». cominciò Katsura. Un angolo della bocca si incurvò in un sorrisetto beffardo e portò alle labbra la tazza di tè che teneva tra le mani per berne un lungo sorso. «Avevo voglia di bere del tè, e casa tua era di passaggio. Mi pare evidente».

Gintoki schioccò la lingua contro il palato e sospirò insofferente.

«L’unica cosa evidente qui è che tu sia uno scroccone. Le persone non vanno a casa degli altri per questi motivi, lo sai?».

«Non essere puntiglioso, Gintoki. Ne ho preparato anche per te e i ragazzi e ho portato dei pasticcini, d’altronde».

Gintoki non li aveva neppure degnati di uno sguardo. Era chiaramente tentato, tanto più che persino la carta in cui erano avvolti era di lusso, e recava in caratteri dorati ed eleganti il nome di una rinomata pasticceria dei quartieri bene della città. Ma gli era altrettanto evidente – e in ciò l’esperienza pregressa giocava un ruolo di primo piano – che si trattasse di un trucco: quando Katsura gli offriva qualcosa, difficilmente non vi era un secondo fine, e ancora più raramente non si trovava invischiato in qualche strano complotto o avventura intergalattica.

Era stata una settimana logorante, aveva addirittura lavorato tutti i giorni, e tutto ciò che Gintoki avrebbe voluto trascorrere il fine settimana a dormire e leggere Jump, lontano dai guai.

«E il perché tu sia andato nella mia cucina a fare del tè senza dire nulla è un’altra delle cose che mi piacerebbe sapere. Non mi piace che un terrorista armeggi coi miei fornelli. Ma non è questo il punto...».

«Gintoki» lo richiamò l’altro. Le dita strinsero aggressivamente la tazza a dispetto del tono controllato. «Ti ho detto centinaia di volte di non chiamarmi terrorista». Gli lanciò uno sguardo ammonitore e fugace. «Tecnicamente, la tua cucina è di Otose-dono. E il motivo è presto chiaro: sono più bravo di te a preparare il tè. Ho maturato una discreta esperienza negli anni».

Dal corridoio provenne il suono dell’armadio che veniva spalancato, e l’attimo dopo Kagura piombava nel salotto: aveva i capelli ancora scompigliati ed era vestita con un pigiama rosso di una taglia più grande – Gintoki glielo aveva comprato così perché le durasse di più durante la crescita e perché ci stesse comoda; Kagura era stata entusiasta di aver ricevuto un regalo da Gintoki del suo colore preferito.

«Ohi, Zura! Perché sei vestito così?» chiese, mentre con il dorso di una mano si strofinava un occhio assonnato. «Pensi di nuovo di sovrapporti ad altri personaggi-aru? Stanno girando un nuovo Dekobokko arc per i personaggi che non erano stati coinvolti-aru?».

«Oh… Leader! Vieni a fare colazione, ci sono dei pasticcini! Bevi del tè?» disse Katsura con più entusiasmo del necessario; le sue mani già su una tazza pulita e la teiera per riempirla.

«E non fare come se fossi a casa tua! Kagura, non cascarci! Fai come me e non guardare quello che ha portato: occhio non vede, cuore non duole! È sicuramente una tattica per incastrarci come nel quinto episodio!».

«Uh, Gin-chan, vuoi dire che sono in realtà il finto postino con le strane sopracciglia-aru?» domandò la ragazza; un dito punzecchiava insistentemente un pasticcino sotto il proprio occhio vigile e attento. «A me sembra commestibile, Gin-chan!».

Katsura si schiarì la gola per richiamare l’attenzione di tutti. «Nulla di tutto ciò. Ma la Leader ha toccato un tasto dolente: sono ancora piuttosto offeso per non essere stato invitato in quell’arco narrativo. E Maeda-san è davvero un postino: è il suo lavoro part-time!».

La porta dell’ingresso si aprì.

«Sono arrivato, Gin-san, Kagura… Ho ritirato la biancheria dalla lavanderia» iniziò il ragazzo, parlando dal corridoio mentre si toglieva le scarpe. «Oh, buongiorno, Katsura-san. Non pensavo ci fossi anche tu!» concluse rivolgendogli un sorriso mite prima di posare la busta della lavanderia.

«Shinpachi-kun! Vieni, ho preparato il tè e portato dei dolci». Diede dei colpetti al divano, nel posto vicino al proprio, invitandolo a sedersi al suo fianco.

«Pachi, non farti abbindolare. Per Kagura è troppo tardi. Ehi, tu! Almeno mastica!».

«Una ragazza ha bisogno del suo pasto di bellezza!» farfugliò lei con in bocca tre pasticcini.

«Stai nuovamente lavorando in un night club, Katsura-san?» chiese Shinpachi sedendosi sul divano dove l’uomo gli aveva indicato dopo essersi versato una tazza di tè.

«Un Samurai deve essere sempre pronto a travestirsi da donna» affermò Katsura risoluto.

«… Sono assolutamente certo di non aver mai letto nulla del genere in nessun Bushido».

«Non posso crederci, ci è ricascato...» mormorò Gintoki con un sospiro.

«Devi imparare a leggere tra le righe, Shinpachi! Per salvare questa Nazione servono soldi, e se per farlo è necessario travestirsi da donna… Che così sia!»

«Di’ la verità, almeno, ti piacciono quei vestiti» ribatté Shinpachi: le sue labbra erano ancora incurvate in un sorriso gentile, ma un lieve tic nervoso all’occhio destro poteva già essere notato dietro le lenti.

«Sbagliato! È per salvare il Paese!». Katsura quasi urlò, e sbatté la tazza sul tavolino.

«Shinpachi, non irritarla, deve essere in sindrome premestruale» farfugliò Kagura un attimo prima di lanciare un altro dolcetto nella propria bocca e masticarlo avidamente.

«Non è sindrome premestruale, è Zurako! Tutto è cominciato alcuni giorni fa...». Katsura incrociò le braccia al petto e chiuse gli occhi, cominciando il suo racconto.

«Oh no. Nononononono. Ecco che comincia un flashback» brontolò Gintoki, la fronte che picchiettava sulla scrivania per la disperazione.

«Ero ad una riunione coi miei uomini, a discutere i nuovi piani e le strategie future per salvare questo Paese, ma come al solito stavano parlando di tutt'altro. La sera prima avevano trasmesso ‘Memorie di una Geisha’ in tv».

«Ah, l’abbiamo visto anche mia sorella e io. È proprio un bel film, non trovi, Katsura-san?».

Katsura annuì con convinzione.

«Ma io ancora non lo sapevo. Non l’avevo mai visto, così ho chiesto a Mademoiselle Saigo se avesse la videocassetta. Ha pensato potesse essere educativo per tutte le hostess del locale, così ha mandato Agomi a noleggiare il dvd e l’abbiamo visto tutte assieme prima di cominciare il turno».

«Zura, se smetti di raccontare questa storia ti do trecento yen». Gintoki sollevò il mento dalla scrivania. I suoi erano occhi vitrei come quello di un pesce ancora più morto di un pesce semplicemente lesso. Frugò con insistenza nelle tasche fino a tirar fuori qualcosa. «Anzi, cento yen e un bottone».

«Zurako. Grazie, ma rifiuto l’offerta. Ah, comunque Mademoiselle Saigo è a corto di personale, gli ho già garantito che domani sera lavorerai anche tu».

«Non se ne parla nemmeno» ribatté categorico Gintoki.

«La paga notturna è doppia, più un bonus per lo scarso preavviso nel fine settimana, e le mance».

«E le consumazioni?». Scrutò Katsura, assottigliando lo sguardo.

«Tre gratuite oltre a ciò che offrono i clienti». La sua espressione trasudava soddisfazione, la stessa di chi sa di aver giocato al momento giusto la carta Cambio giro a Uno.

«Ci sarò». Gintoki non ci aveva neppure pensato, dando a Katsura la risposta che voleva sentirsi dire puntando solenne il dito nella sua direzione.

«Bene. Allora, dicevo. Ad un certo punto del film Mameha dice a Sayuri che potrà dirsi pronta quando fermerà un uomo con un solo sguardo, e così ho deciso che ci sarei dovuto riuscire anche io».

Shinpachi aggrottò le sopracciglia e Kagura attaccò una caccola appena tolta dal naso sotto il tavolino.

«Katsura-san… Tu non sei una Geisha». La sua voce aveva assunto una nota di insofferenza. Ora la palpebra destra di Shinpachi si chiudeva spontaneamente più spesso e più velocemente di prima e si sistemò gli occhiali sul naso.

«Questo è vero, ma un samurai deve sempre essere pronto a qualsiasi prova».

«Questo non c’entra nulla con l’essere Samurai!» urlò Shinpachi scattando fulmineo in piedi.

«Shinpachi, hai anche tu la sindrome premestruale-aru?»,

«Ragazzi, smettete di interromperlo così perlomeno finisce prima il flashback e possiamo tornare alle nostre vite» suggerì Gintoki, le mani sopra sopra le ultime tre – ignorate – richieste di pagamento dell’affitto alla rinfusa sulla scrivania. «Sarà un fine settimana impegnativo, ho bisogno di tornare a dormire».

«Stamattina ho finito il turno al locale di Mademoiselle Saigo e venivo verso casa vostra per fare colazione, quando...»

 

*

 

Il turno notturno nel locale era particolarmente sfiancante, specie dopo una giornata costellata da incontri, ma se non altro la paga era doppia.

Katsura indossava ancora gli abiti da lavoro, e un velo di trucco era ancora presente sul suo volto.

Un cliente aveva portato dei pasticcini acquistati in una rinomata pasticceria della città, e Katsura, presa la sua parte, sapeva esattamente chi li avrebbe graditi.

Non che desiderasse assecondare la dipendenza dagli zuccheri di Gintoki, tuttavia – forse – qualche vassoio di costosi dolci prima o poi l’avrebbe convinto a cedere alle sue richieste di unirsi ai Joui. E poi, poteva essere un incentivo per onorare la promessa che aveva fatto a Saigo.

Nonostante le occhiaie celate sotto un sapiente strato di trucco, poteva dirsi raggiante e, addirittura, canticchiava un motivetto con la bocca chiusa.

All’improvviso, però, calò il silenzio nella via e Katsura assunse un’espressione seria.

I lunghi anni di latitanza lo avevano abituato a percepire il pericolo immediatamente. Qualcuno lo chiamava sesto senso, qualcun altro cervello rettile. Una minaccia che aveva l’olezzo dei cani bastardi del Bakufu. E delle sigarette perennemente alla bocca di Hijikata.

Non aveva con sé la spada, ma forse aveva un’altra freccia al proprio arco.


 

L’odore del fumo di sigaretta gli arrivò alle narici prima ancora di sentire la voce del Vice Comandante della Shinsengumi da dietro l’angolo.

Il Leader dei Joui sogghignò appena, decidendo risolutamente di usare quell’arma e… Provare. Se le cose fossero andate male gli rimaneva pur sempre la fuga.
 

«Cosa significa che hai perso di vista il sospettato per mangiare dei dango?! Sougo!». La voce dell’uomo aveva raggiunto delle note stridule, eppure aveva palesemente cercato di non urlare.

«Pensavo avessi la situazione sotto controllo, Hijikata-san… Onestamente, che delusione. Battere così la fiacca! Ma che combini?».


Il Leader dei Joui strinse le dita affusolate al vassoio e lo premette contro il proprio ventre. Procedette a passi leggeri, piccoli e svelti, come danzasse; lo sguardo rivolto verso il basso a simulare una virginale timidezza.


«Chi è che batte la fiacca?!» sbraitò Hijikata nell’attimo stesso in cui girarono l’angolo e muoversi nella stessa direzione da cui veniva Katsura. La mano, già all’impugnatura della Katana si fermò. Il mozzicone cadde dalla bocca del Vice Comandante e rotolò per terra.


Katsura si chiese in un eccesso di presunzione se a Hijikata fosse scivolata la sigaretta dalle labbra perché estasiato dalla leggiadra visione della sua figura, e il pensiero tinse di un delicato rosa le sue guance per l’imbarazzo.


Ancora tre passi.


«Ahh, Hijikata, così non va mica bene. Ora butti anche le cicche per terra?».

 

Due.

 

«Taci, mi è caduta!».

 

Uno.

 

Durò solo un attimo fugace.

Katsura alzò il capo e carezzò con sguardo lusinghiero il viso dell’uomo, cui rivolse un cortese sorriso.

Le loro spalle quasi si sfiorarono quando passò oltre.

Percorso qualche metro, Katsura udì un lieve fruscio e ruotò appena il capo abbastanza per poter scorgere Hijikata con la coda dell’occhio.

Si era fermato. Non solo, si era anatomicamente girato a guardare la sua figura.

 

Con la soddisfazione a pervadergli l’animo per essere riuscito nel proprio intento – nonostante il lieve imbarazzo – si voltò per occhieggiare nella sua direzione e sorridergli ancora una volta, senza fermarsi, prima di riprendere il suo cammino verso casa di Gintoki. «Ohi, Sougo, non ti sembra di averla già vista da qualche parte…?».

«Flirtando in servizio, Hijikata-san?». Sougo sogghignò, sadico e allusivo, e prese a fare una bolla con la chewing-gum.


 

*


 

Sebbene inizialmente non volesse ascoltare l’ennesimo flashback dell’amico, Gintoki aveva cambiato idea: avrebbe pagato per assistere alla scena.

Insomma… Non veramente pagato, ma avrebbe comunque voluto vedere.

Per non parlare dello sforzo che aveva dovuto fare per trattenere le risate quando Katsura si era dimostrato tanto risolutamente convinto che Hijikata fosse rimasto affascinato da lui travestito da donna.

E non che ora, a fine turno all’alba della domenica mattina sperasse che ricapitasse per averne l’occasione. Non stava assolutamente aspettando che Katsura si rifacesse il trucco nel bagno delle signore per quel motivo.


«Facendoti bello per il Demoniaco Vice Comandante?» domandò pungente e sarcastico Gintoki; la schiena appoggiata al bancone del lavandino dopo che l’altro aveva dato l’ultimo tocco di rosso alle labbra.

Katsura trasalì all’insinuazione dell’altro, tanto che per poco non gli cadde il rossetto nel lavandino, e balbettò colto completamente alla sprovvista.

«Co-cosa ti salta in mente! Il poliziotto e il ricercato? Che cliché! Tu, piuttosto, dovresti darti una sistemata! Guardati, hai sulla guancia il segno del rossetto che ti ho lasciato!». Un attimo dopo, Katsura stava insistentemente passando più volte un pollice sopra la guancia dell’altro con l’intento di rendere la macchia meno visibile, come avrebbe fatto una vecchia zia. «Sei un disastro, Gintoki. Non puoi farti vedere così da un poliziotto! Da Hijikata? Che idea si farebbe se ti vedesse sulla guancia un rossetto della mia stessa tonalità?».

Strofinò più forte, per poi fermarsi e contemplare la sua opera di pulizia soddisfatto. «Ecco qua, perfetto».

«Cosa sei, mia madre?».

«Sciocco! Le madri si occupano sempre che i propri figli siano presentabili!».


 

Una volta all’esterno e sulla via del ritorno, inaspettatamente, da una strada laterale davanti a loro, eccolo, il Demoniaco vice comandante.

Non aveva la sigaretta accesa – quindi forse era davvero l’odore di sigaretta ad aver messo in allarme Katsura la volta precedente, nessun sesto senso o cervello rettile.


 

«Fermalo, Paako. Ricordati, con uno sguardo» sussurrò.

«Non ci penso nemmeno, io non farò queste idiozie viste in un film! Fallo tu».

Erano tanto impegnati a litigare sottovoce su chi dovesse fermare Hijikata, come e soprattutto perché – già, perché? – che sebbene gli sguardi si fossero incrociati non si accorsero neppure che non solo lui li aveva guardati, scrutandoli con attenzione e sospetto, né che li avesse superati e già fatto qualche passo oltre di loro.

 

«Ehi, voi due».

Hijikata si era fermato qualche passo alle loro spalle, senza voltarsi. Senza fretta, portò la sigaretta alle labbra e l’accese col proprio accendino a forma di bottiglia di mayonese, chiuse gli occhi e tirò una profonda boccata.

«So chi siete» concluse, e il suo corpo si girò verso loro solamente ora.


«Zura, qui le cose si mettono male. Fuggi» bisbigliò Gintoki.

Katsura sogghignò, confidante nel suo travestimento, e cominciò a voltarsi per rivolgersi verso Hijikata.

«Non sono Zura, sono––».

«Siete le star della Takarazura Opera Company. Ho visto il vostro spettacolo Le Rose di Versailles» disse Hijikata, proprio dietro di loro, a meno di un passo. «Sono un vostro fan, posso avere un autografo?» chiese porgendo carta e penna.

«Certamente!».

«Affatto!».

I due diedero contemporaneamente, in falsetto, la risposta opposta.

Ma Katsura aveva già accettato la carta e la penna dalle mani di Hijikata.

«Potete scriverci “A Toshi con tenero affetto” o qualcosa del genere?».

«Mh-mh» mormorò Katsura. «Toshi caro, vuoi che la mia amica scriva la stessa cosa? Però non è mai stata molto brava a scrivere...».

«In effetti sarebbe bello se scriveste due dediche diverse...» disse Hijikata pensoso, carezzandosi la mascella con pollice e indice.

«Dai qua! Ecco, fatto. Tieni».


 

Avevano appena salutato l’uomo ancora ondeggiavano la mano in aria.

«Piantala» ordinò Gintoki, al ridacchiare dell’altro.

«Hai visto?! L’hai fermato! Sei pronto per l’apprendistato!»

«Questo non è Memorie di una Geisha».

«Parlavo di quello nelle Guardie Reali!».

Gintoki non lo colpì solamente perché stanco, e si limitò a sospirare esasperato.

«Cosa hai scritto nel biglietto?» domandò incuriosito Katsura, occhieggiando nella sua direzione.

«”A Toshi con passione”. Per farlo fesso e contento».

Katsura strabuzzò gli occhi per la sorpresa.


 

Ormai a un intero isolato di distanza, Hijikata stava ancora osservando i biglietti con le dediche. Uno in particolare lo aveva lasciato… Sconcertato.

«“A Toshi col pannolone”?!».

 

 

   
 
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