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Autore: Mary P_Stark    18/03/2019    2 recensioni
Clearwater, Canada. 2018.
Il pellegrinaggio forzato di Irish Walsh ha una battuta di arresto a causa di un banale pneumatico forato. Ma, grazie a questo incidente - o al destino -, ciò le permetterà di scoprire particolari di un passato che non conosce e di una vita che non ha voluto ma che le è stata imposta da mani disattente.
Clearwater sarà il punto d'inizio di un viaggio di ri-scoperta di se stessa e delle sue radici ancestrali e, grazie ad altri come lei, depositari dell'antico sangue di Fenrir, i misteri di un passato comune e antico avranno finalmente una risoluzione.
Niente però avviene con facilità, e lunghe ombre si addenseranno su di loro, complicando un cammino di per sé già impervio. Starà ad Iris e ai suoi nuovi compagni di viaggio, riuscire a fare in modo che nulla interferisca con la scoperta della verità. - Segue le storie de La Trilogia della Luna
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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6.

 

 

 

 

Iris non sapeva se sentirsi più imbarazzata, tesa o semplicemente fuori di sé dall’ansia.

Era nella casa di un uomo che conosceva da quanto, cinque minuti?, e stava per spiegargli una delle cose più destabilizzanti e assurde che potessero esservi al mondo.

Inoltre, sentiva imperante il bisogno di aiutare la piccola Chelsey che, avvoltolata nella sua tuta da ginnastica bianca e rosa, sembrava un confetto, tanto era dolce e carina.

In tutta onestà, aveva pensato che Devereux sarebbe impazzito di rabbia, una volta rinvenuto dalla svenimento, ma le era stato chiaro fin da subito che l’amore per la figlia gli avrebbe impedito qualsiasi crisi di nervi.

Il punto era che, prima o poi, sconcerto, paura e confusione sarebbero eruttati anche nel suo cervello, ed era imperante che Iris gli spiegasse ciò che sapeva prima che questo avvenisse.

Il contraccolpo emotivo sarebbe stato più gestibile, o almeno lei lo sperava.

«E se non mi vorrà più?» domandò per la centesima volta la bambina, seduta su ciò che rimaneva del suo letto mentre Iris le sistemava i capelli in una treccia.

Come figlia unica, non si era mai occupata di fratelli o sorelle più piccoli, era sempre e solo stata lei la cocca di casa.

Certo, si era presa cura dei bambini nei centri diurni, ma solo dal punto di vista didattico e, anche con sua cugina Liza, si era trattato più di un rapporto alla pari, che tra ragazze di età diverse.

Ora, avere a che fare con la piccola Chelsey e sentirsi in dovere di aiutarla e, soprattutto, di essere la sua scialuppa di salvataggio nella tempesta in cui era finita suo malgrado, la faceva sentire strana.

Che dipendesse anche quello dalla sua doppia natura? Dopotutto, i lupi erano ferocemente protettivi nei confronti dei cuccioli del branco.

Sorridendo perciò alla bambina, Iris mormorò: «Non mi sembra che il tuo papà si sia comportato come una persona che volesse cacciarti via di casa.»

«Ma quando… quando sono…» tentennò lei, ricominciando a piangere.

Iris la abbracciò, replicando dolcemente: «Concedigli la paura del momento, Chelsey. Di certo, nessuno si aspetta che la propria bimba diventi un lupo enorme dall’oggi al domani, ti pare? Stamattina mi è parso molto più in sé.»

«Tu non mi lascerai sola, vero?»

«No di certo» e, nel dirlo, sapeva che era la pura verità. «Ma neppure tuo padre ti lascerà, credimi. E ora, scendiamo.»

La bambina assentì di malavoglia e Iris, nel darle la mano, si disse che, presentarsi alla tavola di un uomo con la sua camicia addosso e con solo un paio di sneaker ai piedi, non era il massimo, come presentazione.

Tant’era, comunque, non poteva farci niente, perciò avrebbe vestito i panni dell’avvocato difensore anche se sembrava appena scappata da un terremoto.

Cosa che, a livello psicologico, non si discostava molto dalla realtà, in ogni caso.

Era la prima volta che si trasformava dinanzi a uno spettatore e, di sicuro, non aveva previsto che quello spettatore fosse un perfetto sconosciuto, o quasi.

Dopo aver percorso assieme le scale e aver svoltato in direzione della cucina, Iris e Chelsey dovettero fermarsi per lo stupore, perché la tavola era imbandita come nel giorno di Natale.

Focaccine calde si affiancavano a brioche e biscotti secchi, mentre due cioccolate calde ancora fumanti le attendevano assieme a del pane già imburrato, con tanto di marmellate pronte per essere spalmate.

Devereux, seduto su uno sgabello del piano bar, i gomiti sulle ginocchia e il mento poggiato sulle mani aperte, balzò a terra non appena le vide e, arrossendo suo malgrado, borbottò: «A-avete fame?»

A ben pensarci, Iris aveva sempre fame, da quando era diventata un lupo mannaro e, per quanto si fosse sforzata, non era mai riuscita a reintegrare le energie perse.

In quei due anni di pellegrinaggio in giro per il continente, era arrivata a perdere quasi dieci chili di peso e, per una ragazza già magra come lei era dal principio, aveva prodotto un autentico cataclisma sul suo corpo.

Ora, appariva davvero troppo magrolina ed emaciata, anche per i suoi standard molto esigenti in fatto di linea.

Vedere tutto quel ben di Dio, quindi, le fece brontolare lo stomaco e, sorridendo imbarazzata, asserì: «Credo proprio che ci abbufferemo. Tu che dici, Chelsey?»

La bambina assentì e, non appena si sedette al suo solito posto, Dev la raggiunse e le sfiorò la fronte con una mano per controllare la febbre. La sua temperatura anomala, però, lo portò ad aggrottare subito la fronte.

«Pensavo che… che la febbre sarebbe passata, dopo… beh, dopo tutto questo…» tentennò lui, non sapendo come esprimersi al meglio.

Iris gli sorrise comprensiva e, invitandolo a sedersi, disse: «Ho chiesto a Lucas, e me l’ha confermato. Abbiamo una temperatura corporea più alta, rispetto agli altri. Si aggira intorno ai trentanove, quaranta gradi. Credo dipenda dal metabolismo accelerato, o qualcosa di simile. Immagino sia anche per questo che non riesco mai a reintegrare ciò che consumo.»

«Per questo sembri malata?» domandò Dev, accennando un sorrisino nervoso.

«Non sono mai stata robusta, ma ora sono sempre sottopeso e mi sento stanca e spossata il più delle volte. Credo dovrò chiedere a Lucas che dieta fa, perché lui mi sembra in perfetta salute» borbottò Iris, ingollando quasi tutta la cioccolata in un’unica sorsata. «Dio, che buona!»

Devereux tornò a sorridere appena, ora in maniera più disinvolta, e gliene versò un’altra dose.

«Papà…» mormorò Chelsey, attirando la sua attenzione.

Lui le sorrise con maggiore forza, le scostò una ciocca ribelle dal viso e disse: «Dimmi, fagiolina.»

Al solo sentire quel nomignolo, Chelsey minacciò di piangere ancora ma, facendosi coraggio, scacciò le lacrime e domandò: «Mi vuoi ancora bene?»

Dev sgranò gli occhi, sgomento alla sola idea che la sua bambina potesse aver temuto di non essere più amata e, dopo essersi levato dalla sedia, la abbracciò stretta e mormorò: «Sei e sarai sempre la mia bambina. Solo un po’ diversa, adesso.»

Iris li osservò con occhi colmi di emozione, sentendo il proprio cuore scoppiare di gioia. La sua lupa stava ululando felice, lieta che l’umano avesse accettato il lupo, e lei non poté che essere d’accordo.

Quando infine tornò a sedersi, lasciando che la figlia potesse mangiare più agevolmente, Dev scrutò Iris e le domandò: «Cosa puoi dirmi?»

«Ben poco, temo, ma posso assicurarti che, d’ora in poi, quando Chelsey muterà, non sentirà dolore. Sarà sempre un po’ traumatico da vedere, ma lei non avvertirà alcunché.»

Dev assentì cauto e Iris, spinta a parlare, aggiunse: «Da quel che ho capito, siamo legati alla luna piena e, a dir la verità, ieri notte è stata la prima volta in cui sono riuscita più o meno a controllare la mutazione. Lucas mi ha detto che è tutta questione di concentrazione, e che non è affatto obbligatorio mutare al richiamo della luna.»

«Richiamo… della luna?» ripeté Devereux, confuso.

Scrollando le spalle, sentendosi assai incompetente di fronte alle sue domande, Iris disse: «Non so in quale altro modo chiamarlo. Hai sentito le voci nella tua testa, vero, Chelsey?»

«La donna che mi chiamava. Sì. Dopo un po’, non urlava più, come dicevi tu» assentì la bambina.

«Neppure Lucas sa cosa sia, ma è convinto che sia strettamente legato a ciò che siamo. Vedila come una sorta di madre della specie, o qualcosa del genere» asserì Iris, gesticolando con le mani.

«E dopo?»

«Beh, ecco, dopo sei come al solito, e anche no. Sei sempre una persona che pensa come prima ma, in più, senti le cose in modo diverso. Per esempio, so che sei nervoso nonostante le apparenze, perché la tua sudorazione è accentuata e il battito del tuo cuore è accelerato» gli spiegò la donna, facendolo irrigidire per diretta conseguenza.

Devereux si annusò dubbioso e Iris, ridendo di questo comportamento molto naturale, aggiunse: «Non sudorazione cattiva. Sento solo che la tua pelle emette più vapore acqueo del normale. Tutto qui. Non puzzi, tranquillo.»

«Meno male!» gracchiò sgomento Dev, prima di lanciare un’occhiata alla figlia per domandarle: «Lo senti anche tu?»

Lei assentì e Dev, sospirando, si lasciò un po’ andare lungo la sedia, borbottando: «D’accordo. Super udito e super naso. Che altro?»

Iris sorrise divertita, grata che l’uomo tentasse di fare dello spirito per alleggerire la tensione e, scrollando le spalle, domandò: «Hai visto, no, stanotte? Corro piuttosto veloce, e posso bloccarti senza sforzo.»

«Cosa che mi irrita parecchio, ma soprassiederò» brontolò Dev. «Quindi, la mia fagiolina potrebbe sollevarmi con un dito in stile Hulk?»

«Non te lo so dire. Non abbiamo testato la sua forza, dopotutto, e non so come siano i bambini di lupo mannaro» ammise Iris.

Dev rabbrividì nell’udire quell’ultima parola e, passandosi nervosamente le mani tra i capelli, sbottò: «Cristo santo, ma come hai fatto a non dare di matto?»

Chelsey si rattrappì appena sulla sua sedia, e subito Dev allargò le braccia perché le salisse sulle ginocchia.

La bambina accettò l’invito e il padre, stringendola forte a sé, mormorò: «Ce la sto mettendo tutta, piccola, ma il tuo papà è solo umano, e ci mette un po’ a carburare. Dagli qualche minuto per riprendersi, okay?»

«Sì, papino» annuì la bambina, chiudendo gli occhi e assaporando il calore delle braccia del padre strette attorno a sé.

Iris sorrise comprensiva, mormorando: «Ho passato quasi due settimane chiusa in casa, dondolandomi seduta per terra, in mezzo al disastro che avevo combinato. Sembravo davvero pazza, credimi, e solo a stento sono riuscita a convincermi a uscire di casa. Successe il giorno in cui mi dissero che i miei genitori erano morti in un incidente.»

Dev sussurrò un ‘cazzo’ a fior di labbra e la donna, scrollando le spalle, aggiunse: «Non mi lasciai andare solo perché zio Richard mi disse che, indipendentemente da tutto, i miei genitori non avrebbero voluto che io, beh… mi abbandonassi all’oscurità. Secondo Lucas, se non ci fosse stato lui, avrei potuto trasformarmi in un momento qualsiasi, a causa del dolore provato. E allora sì che sarebbero stati guai.»

Non voleva usare le parole morte o prigionia di fronte a Chelsey, se riferita alla loro attuale condizione. Era assurdo crearle del panico inutile, quando c’erano già abbastanza cose da affrontare.

Annuendo, Dev baciò distrattamente i capelli della figlia, ancora seduta sulle sue gambe e abbracciata stretta a lui.

Era evidente quanto, quel contatto con qualcuno di così familiare, fosse corroborante per entrambi. Il cuore di Dev stava lentamente calmandosi, così come quello di Chelsey, fino a quel momento sfarfallante di nervosismo.

Contatto fisico. Lucas aveva dannatamente ragione. La lupa che era dentro di lei agognava a sua volta a un abbraccio, ma sarebbe stato maledettamente imbarazzante chiederne uno, in quel momento.

«Quindi, ora che facciamo?» domandò a quel punto Dev, indicando sia Iris che se stesso con aria inquisitoria.

Quell’uso del plurale fece molto piacere a Iris, che si sentì non solo presa in causa, ma anche accettata all’interno di quello che, fino a quel momento, era stato solo un duo padre/figlia.

Poco importava se Dev la vedeva solo come un veicolo per aiutare la figlia. Era bello non essere soli.

«Per prima cosa, dovremmo parlarne con Lucas. Lui ci è nato, con questa cosa, visto che si è trasformato come ha fatto Chelsey, e non da adulto come me e…»

Tappandosi la bocca per non proseguire, Iris si diede mentalmente dell’idiota per non aver pensato prima di parlare, ma Dev scosse il capo e aggiunse: «… e Julia, vero?»

Iris assentì spiacente e Chelsey, guardando dubbiosa sia il padre che Iris, domandò: «La mamma era come sono io ora? Per questo mi è successo?»

«A quanto pare sì, tesoro. Chiederemo a Lucas, non temere. Lui ci spiegherà e ci aiuterà» le promise Dev, cercando di infonderle delle certezze che, probabilmente, lui non aveva affatto.

***

Il rumore del motore della sua Smart la fece sorridere. Dopotutto, la nevicata non aveva fatto morire la batteria. Era già qualcosa.

Inoltre, il caldo di quella mattina aveva già fatto sciogliere gran parte della neve caduta la notte precedente, lasciando al suo posto del nevischio bagnato e scivoloso.

Niente di più facile, per un’auto del genere, che finire in un fosso o direttamente fuori strada.

Dev ci aveva visto giusto, convincendola a caricare la Smart sul suo pick-up, che utilizzava quando andava nei cantieri per lavorare.

Dopo aver disteso due scivoli dal cassone per poter far salire l’auto, Iris ve la posizionò dinanzi e, spento che ebbe il motore, ne discese e dichiarò: «Volevi sapere cosa posso fare, vero?»

«Perché so già che la risposta non mi piacerà?» si lagnò Devereux, accigliandosi.

Iris rise comicamente e spinse l’auto sugli scivoli senza alcuna fatica, portando Dev a imprecare e Chelsey a ridere.

Quando la Smart fu degnamente caricata, e gli scivoli sistemati al fianco, Iris chiuse il portellone del pick-up con una spinta e sorrise, mimando la posizione di Superman.

«Queste cose affonderebbero l’autostima di qualsiasi uomo» borbottò Dev, scuotendo il capo e salendo sul pick-up con aria funerea.

Iris rise nuovamente, trovando quel commento davvero comico, e la tenacia di Dev nel volersi dimostrare all’altezza della situazione, esemplare.

Era chiaro quanto tutta quella situazione lo stesse mettendo in difficoltà eppure, per la sua bambina, stava facendo di tutto per accettare ogni stranezza e, magari, riderci anche sopra.

Mentre Chelsey si sistemava accanto al padre, Iris prese posto sul lato della portiera e, sorridendo divertita, asserì: «Non devi abbatterti così, Devereux. Scommetto che, per essere solo un uomo, sei molto forte.»

Dev la fulminò con uno sguardo e, dopo aver messo in moto e fatto manovra, discese lungo lo stradello borbottando: «Non tirare troppo la corda, sottiletta.»

Chelsey rise di gusto ed esclamò: «Ha dato un nomignolo anche a te, Iris. E’ una buona cosa, no?»

«Oddio, paragonarmi a una fetta di formaggio spiattellata non è granché, come nomignolo, ma capisco che posso davvero sembrare tale, magra come sono» borbottò Iris, guardandosi le mani lunghe e sottili così come le gambe, davvero magre come sottilette.

La bambina, allora, si volse a guardare arcigna il padre e brontolò: «Trovale un altro nomignolo. L’hai offesa.»

«La chiamerò così finché non le avremo fatto mettere su peso, va bene?» propose allora Dev, ammiccando alla figlia.

Chelsey parve soppesare la cosa e, alla fine, si volse verso Iris e domandò: «Come vorresti essere chiamata, dopo?»

«Non ne ho idea. Papà mi chiamava angelo, da piccola, ma sai… i papà lo fanno. Tu, piuttosto, perché ti chiami fagiolina?» replicò Iris, curiosa.

Fu Dev a rispondere.

Con aria persa nei ricordi, mormorò: «Le feci vedere l’ecografia che facemmo quando… quando Julia la stava aspettando. Sembrava davvero un fagiolino e, da quel momento, Chelsey iniziò a correre per casa usando quella parola. Mi sembrò carina e gliela appioppai.»

«Volevo sapere se ero nata da qualcuno, e così il papà mi accontentò. All’epoca, ero una bambina molto sciocchina» dichiarò Chelsey con estrema serietà.

«Quanti anni avevi, scusa?»

«Cinque. Non avendo la mamma, non capivo come potessi essere la figlia di papà, e così…»

Iris la strinse a sé in un abbraccio spontaneo e, sorridendo, dichiarò: «Eri intelligentissima, altroché!»

Chelsey rise e Dev ringraziò mentalmente Iris per aver portato la figlia lontano da quel ricordo amaro.

Lo rammentava ogni giorno, premeva nella sua mente come un tarlo, a ricordargli quanto fosse stato stupido a fidarsi per così tanto tempo di una donna che non lo meritava.

Julia era sempre stata difficile, molto singolare ma lui, da bravo idiota, aveva pensato di essere l’unico in grado di poterla salvare da se stessa.

Forse, in qualche modo, ci era davvero riuscito, visto che non si era gettata da un ponte o non aveva affogato la sua bambina da piccola, ma non sapeva come stessero le cose in quel momento.

Ciò che però aveva fatto a Chelsey, aveva inaridito per sempre ogni stilla d’amore che aveva provato per lei.

Lui poteva accettare di essere stato lasciato, ci conviveva da otto anni e poteva conviverci per tutta la vita.

Ma la loro figlia? Come aveva potuto fare questo all’incolpevole Chelsey, lasciandola tra l’altro con un’eredità così pericolosa da gestire, e senza che lui ne fosse messo al corrente?

No, questo non glielo avrebbe mai perdonato. Per lui, Julia era morta.

***

Attraversando il paese ormai sgombro di neve, Dev imprecò sottilmente tra i denti quando, passando davanti allo Strawberry Moose, alcune persone lo additarono incuriosite, ridendo subito dopo.

«Ops» celiò Chelsey, sghignazzando.

«Cosa?» domandò Iris, incuriosita, guardandoli piena di domande inespresse.

«Paese piccolo…» brontolò Dev.

«…gente che mormora… lo so. E’ il detto preferito di Lucas. Ma che c’entra, adesso?» terminò di dire Iris, guardandosi intorno confusa.

«Tu. Sulla mia auto. Con la tua auto sul mio cassone. Fai due più due, sottiletta» sbuffò Devereux, imboccando la rotatoria per recarsi al camping.

«Non potresti avermi recuperato da un fosso? Da bravo samaritano quale sei?» ipotizzò Iris, cercando di sorridere divertita.

«E da quando in qua la gente non maligna per partito preso, senza sapere come stanno davvero le cose?» replicò irritato Dev.

«Sì, questo è vero, ma non ci trovo niente di male ad aiutare una persona a…» iniziò col dire Iris prima di bloccarsi, tapparsi la bocca per lo sgomento e mormorare tra le dita: «Hai una donna, forse? Oddio!»

«No che non ho una donna!» sbottò irritato Dev, mentre Chelsey rideva di gusto.

«Ad Alyssia piacerebbe, però» celiò la figlia, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del padre.

«Lavora allo Strawberry?» chiese in quel mentre Iris, notando subito dopo l’assenso di Chelsey.

«Sicuramente, glielo avranno già detto. Ma papà non le ha mai dato troppa confidenza, e lei ci rimane sempre male» confidò Chelsey, mentre Iris annuiva attenta.

«Ma dico, voi due! Farvi un po’ gli affaracci vostri, no?!» sbuffò Dev, avvampando d’imbarazzo.

Le due femmine esplosero in una calda risata complice e Devereux, nell’entrare nel campeggio, borbottò: «E poi mi domandano perché evito le donne come la peste. Parlate troppo, e a vanvera.»

Una nuova risata coinvolse le due e Dev, nel salutare Chuck all’entrata, evidentemente pronto per recarsi nella sua clinica veterniaria, disse: «Ti ho riportato una dispersa. Puoi mandarmi Lucas, così mi aiuta a scaricare l’auto?»

«Te lo mando subito. Bentornata, miss Walsh!» esclamò solare Chuck, cercando di fare finta di non notare la camicia che stava indossando Iris. Anche volendo, non avrebbe potuto passare per una delle sue neppure in mille anni.

Era chiaro come il sole che la camicia che stava indossando apparteneva a un uomo; le cadeva addosso come un sacco di patate e, pur con le maniche arrotolate, appariva comunque come un abito di ripiego.

Dev sbuffò, ripartendo di gran carriera per evitare che Chuck si spingesse a curiosare dentro l’auto, notando così le gambe nude della donna che aveva scortato fino a lì.

Lui le aveva notate eccome, ovviamente, perché non era cieco ed era ancora un uomo sano di corpo, se non di mente.

Sulla mente non era più tanto sicuro ma, se fosse sopravvissuto alle prime ventiquattr’ore, forse, nulla l’avrebbe più ammazzato.

Non era così che succedeva per le persone operate? Le prime ventiquatt’ore erano le più importanti. Anche se lui non aveva subito interventi di nessun genere, forse quella regola avrebbe potuto valere anche per lui.

Quando finalmente raggiunse il camper di Iris, lasciò perdere quei pensieri e parcheggiò in modo tale che la portiera dove si trovava la ragazza fosse accanto all’entrata del suo mezzo. Così, avrebbe potuto scendere senza che nessuno la vedesse.

Anche se erano presenti pochi avventori, per Dev erano già troppi. Un solo sguardo poteva formare una chiacchiera, e c’erano già fin troppe persone che lo avevano visto con Iris in una situazione potenzialmente esplosiva.

Non stava oggettivamente facendo nulla di male, ma non voleva avere problemi con le donne – pensava di avere già dato con gli interessi, in quel campo – e, in quel momento, la sua mente doveva essere concentrata solo sulla figlia.

Sapere di dover aver a che fare con Iris per via di Chelsey, che sembrava adorarla, era già un’impresa difficile da sostenere.

Non aveva bisogno che qualcun altro ci si mettesse in mezzo. E forse, dopotutto, avrebbe dovuto confrontarsi finalmente con Alyssia, come gli aveva consigliato a suo tempo Rock.

Cristo! Sembrava passato un secolo, eppure era trascorso solo un giorno. Era pazzesco come, in poco meno di venti ore, il mondo si potesse ribaltare.

«Papà… papà…» mormorò Chelsey, tentando di richiamare la sua attenzione.

Dev sobbalzò, si volse a guardarla e, nel notare che Iris non c’era già più, mormorò: «Dimmi, fagiolina.»

Indicando la portiera, Chelsey sghignazzò e disse: «C’è Lucas.»

Devereux allora sbuffò, scese dal pick-up e, scrutando un dubbioso Lucas, borbottò: «Aiutami a far scendere quella scatoletta, Maciste… poi, dovremo parlare un po’.»

«E’ successo, eh?» mormorò soltanto Lucas, accodandosi a Dev per scaricare la Smart.

«Già» disse soltanto Devereux, montando gli scivoli per poi sistemare il gancio di traino sulla parte posteriore dell’auto.

Così, almeno, avrebbero salvato le apparenze.

In quel mentre, Iris scese – finalmente vestita in modo apprezzabile – e, messasi al fianco di Chelsey, mormorò: «Come stanno andando le cose?»

«Papà è parecchio fuori. Dici che tornerà in sé?» domandò preoccupata la bambina.

«Credo proprio di sì. Quando hanno finito, di’ loro di salire sul camper. Io, intanto, preparo del caffè. Mi sa che dovremo parlare per un po’.»

«Ho di nuovo fame, Iris…»

«Anch’io, credimi. Ma ci faremo spiegare da Lucas come fare, va bene?» le strizzò un occhio lei, correndo nuovamente sul camper.

Chelsey la seguì con lo sguardo e, tra sé, sperò che Iris avesse nel suo freezer tante polpette di patate da far scaldare. Le erano piaciute un sacco.

***

Alla fine, Iris dovette scaldare non solo del caffè – a brocche – ma anche delle brioche perché la fame, nera e crudele, non concesse tregua sia a lei che a Chelsey.

A tal proposito, Lucas spiegò loro che, in quanto lupi, avrebbero dovuto aumentare l’apporto di proteine animali in quantità considerevole, così da abbattere lo stimolo della fame.

Dolci e pasta non facevano che aumentare il desiderio di mangiare, ma non saziavano mai completamente.

Zuccheri e carboidrati sarebbero serviti per mettere su peso, ma solo dopo una dose generosa di proteine animali per tacitare il lupo dentro di loro.

«E io che mi sono data alla pazza gioia, mangiando tutti i dolci che mi piacevano. Eppure, avrei dovuto notare che non mi facevano aumentare di peso» si lagnò Iris, sbocconcellando avidamente una brioche.

Lucas sorrise indulgente, asserendo: «Mia madre fece lo stesso errore, a suo tempo, rimpinzandomi di timballi di riso e cose simili. Restavo uno stecco su due gambe.»

Anche Dev intervenne, come colpito da un particolare, e asserì: «In effetti, per un certo periodo, pensai addirittura che tu fossi malato.»

«Le provammo tutte finché, un giorno, non le venne in mente di prepararmi una fiorentina al sangue, e lì capimmo. Naturalmente, mio padre ne rise per mesi, dicendomi che avevo sicuramente il verme solitario!» rise Lucas, tergendosi una lacrima d’ilarità.

«Immagino che dire la verità a un uomo tutto d’un pezzo come tuo padre, vi sia sembrata la scelta sbagliata, vero?» chiosò Dev, sorridendo a mezzo all’amico ritrovato.

«Beh, in effetti, dirgli che suo figlio diventa un bellissimo lupo bianco, sarebbe stato davvero folle» sottolineò Lucas, passandosi svogliatamente le unghie sulla maglia e facendo ridere Chelsey. «Onestamente, però, comincia a stancarmi il fatto di raccontargli sempre delle storie. Cioè, lo so che mio padre non concepisce neppure l’idea di guardare i film di fantascienza come Star Wars perché li reputa idioti, ma forse chiuderebbe un occhio, per suo figlio, se anche scoprisse che mette su pelo come Chubecca, o quasi.»

Dev sorrise a quel commento, dandogli ragione. Chuck Johnson era la persona più solida e coi piedi per terra che conoscesse.

Per lui esistevano solo e unicamente le cose tangibili, ciò che era logico e sensato e, tutto il resto, erano solo pagliacciate. Era buono come il pane, ma non si era mai lasciato traviare da nulla che non fosse fatto di solida materia, o debitamente giustificato dalla scienza.

Non a caso, era un ateo convinto. Il fatto che avesse sposato Clarisse, che invece era insegnante di Yoga e seguiva gli insegnamenti del Dalai Lama, era la cosa più sconvolgente che Clearwater avesse mai visto. Nessuno avrebbe dato un dollaro a quella coppia così agli antipodi, eppure aveva funzionato alla grande.

Era stata la conferma che gli opposti si attraevano davvero, e con gran successo.

«Ma perché siamo così, Lucas?» domandò a quel punto Chelsey, leccandosi subito dopo le dita ricoperte di glassa.

«Ottima domanda, Chelsey, ma non ne ho idea. Nel tuo caso, hai preso i geni di tua madre che, a sua volta, era stata ferita da un licantropo che decise di… beh, di contagiarla. Non so che altro termine trovare» ammise Lucas, scrollando le spalle. «Il caso di Iris è diverso, visto che il lupo in questione era ubriaco – e, per esserlo, doveva aver bevuto secchiate di alcol, visto che ho scoperto che lo reggiamo più che bene – e l’ha colpita involontariamente. Così come lei non ha chiesto di essere ferita.»

Sospirando, si indicò e aggiunse: «Il mio caso, infine, è più complicato ancora, visto che io ci sono nato, col gene, e senza che nessuno dei miei genitori fosse stato ferito da un licantropo, passandomi quindi il DNA modificato.»

«Consigli?» domandò a quel punto Dev. «Oggi passi, ma domani Chelsey deve tornare a scuola, e vorrei essere certo che non sbrani nessuno.»

«Non lo farei mai, papà!» sbottò Chelsey e, subito, i suoi occhi mutarono dal caldo color nocciola al più freddo grigio colomba.

«Ecco… era questo che intendevo. E’ successo anche a Iris, quando tentava di tenermi lontano da Chelsey. I loro occhi… mutano colore anche se sono ancora persone» disse Dev, rivolgendosi a Lucas.

Lui assentì pensieroso, dichiarando: «La rabbia aiuta la mutazione, così come la paura o l’ansia. Gli occhi sono il primo segnale di un cambiamento. Rock mi ha detto che anche la voce cambia, anche se io non me ne sono mai accorto.»

«Confermo. La voce di Iris era metallica, come se uscisse da un interfono scadente» assentì Dev, scrollando spiacente le spalle quando lei lo fissò sconcertata. «Scusa, ma è vero.»

«L’unico consiglio che posso dare a Chelsey è di contare fino a dieci. O a cento, se è particolarmente arrabbiata, e di non fissare direttamente una persona, se sente di non avere tutto sotto controllo» disse Lucas, sorridendo comprensivo alla bambina, che annuì coraggiosa. «Dovrai darti alla meditazione, temo, perché è l’unico modo veramente utile che ho trovato, negli anni, per trattenere rabbia e istinti. Sei anche un lupo, adesso, e dovrai sempre ricordartene. Gli altri saranno più deboli di te, anche i maschi grandi e grossi, perciò dovrai contenere i gesti e gli impulsi. Pensi di farcela?»

Chelsey guardò sia suo padre che Iris e, annuendo debolmente, tornò a rivolgersi a Lucas per dire: «Mi aiuterai anche tu, giusto?»

«Ma certo. E anche mia madre e Rock» la rassicurò Lucas. «Se vuoi, possiamo andare nel bosco per testare il tuo nuovo corpo. Immagino che tu non abbia scorrazzato per casa.»

«No, Iris si è trasformata e mi ha leccato il muso per liberarmi da quella cosa viscida che avevo addosso, quando sono riuscita a calmarmi, poi mi ha… detto di accucciarmi e di riposarmi, e così ho fatto» spiegò Chelsey, gesticolando nel parlare.

«Ottimo lavoro, Iris. Hai saputo calmare la bestia prima che potesse farsi del male» la plaudì Lucas, facendola sorridere.

«Sono andata a naso, onestamente, e pensavo che avere al fianco un altro lupo potesse aiutarla» ammise Iris, scrollando le spalle. «Certo, non è stato di aiuto a Dev, che non deve aver gradito molto la scena.»

Tastandosi il bernoccolo sulla nuca, l’uomo chiosò: «Sono andato giù come una pera cotta. Altra cosa che, unita allo spettacolo alla Hulk di stamattina, mi fa sentire molto poco maschio, al momento.»

Tutti risero di quel commento e Lucas, nel dargli una pacca sul braccio, dichiarò: «Rock ci ha ormai fatto l’abitudine. Puoi parlarne con lui.»

Devereux sospirò, si passò una mano sul viso e borbottò: «Coraggio, andiamo nel bosco. Ho bisogno di un battesimo del fuoco come Dio comanda, o non riuscirò a sbloccarmi. Al momento, sono in tilt.»

«Passerà, amico mio. Passerà» gli promise Lucas, sorridendogli.

Iris, a quel punto, si levò in piedi e disse: «Sarà il caso che prepari uno zaino. Stavolta, non partirò sguarnita.»

«Basterà che tu ti spogli, Iris» sottolineò Lucas, come se niente fosse.

Accigliandosi, Iris borbottò: «Davanti a voi? Neanche morta.»

Devereux non poté evitarlo. Fu più forte di lui. Accennò un ghigno beffardo e dichiarò: «Chi pensi ti abbia messo addosso la coperta, sottiletta?»

Iris lo fissò con espressione ai limiti dell’odio, i caldi occhi verdi divenuti ormai del colore dei lapislazzuli e, furibonda, sbuffò: «Questa me la pagherai cara, Devereux Saint Clair. Posso giurartelo.»

A quella minaccia, Dev scoppiò in una calda risata di gola e, suo malgrado, Iris dovette dare ragione a Chelsey.

La risata di Devereux era davvero splendida… anche se la stava prendendo bellamente in giro.

 

 

 

 

N.d.A: direi che Dev non se l’è cavata male e, anche se deve ancora mettere bene a fuoco la situazione, ha per il momento accantonato crisi di nervi, svenimenti o altro. Abbiamo inoltre scoperto – o riscoperto, visto che lo avevo già accennato nel terzo capitolo – che Lucas è un Fenrir, potendo contare su una candida livrea di lupo. Questo sottintenderà l’arrivo di altri Gerarchi? Lo scopriremo, ve lo prometto!

  
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