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Autore: lady igraine    19/03/2019    0 recensioni
Elena ha ventun anni, è bella, spaventata dal futuro e tremendamente insicura della sua vita e delle sue scelte. Al secondo anno di infermieristica, costretta all'ennesimo tirocinio sofferto per compiacere la propria famiglia, pensa di gettare tutto al vento ma ha troppa paura di prendere una decisione.
Demian è un ragazzino, ha tredici anni, è terribilmente ostile ed ha una situazione famigliare disastrata alle spalle.
In apparenza nulla li lega, eppure il destino intreccia le loro strade indissolubilmente, perché a volte le risposte più ovvie sono nelle persone più improbabili.
***
"Quante verità costellavano il suo mondo, e lei neanche poteva immaginarle. C’era troppa complessità lì, dentro quel corpo pallido e diafano, dietro a quegli occhi freddi. Lei non poteva afferrarla del tutto, non poteva capirlo e aveva deciso di non farlo.
Non aveva bisogno di capirlo per preoccuparsi per lui."
"Elena era come una poesia di Neruda, indefinita e irreale. C’era una delicatezza in lei che filtrava attraverso le parole e gli penetrava nella pelle, diventava parte di lui, di un desiderio che non trovava sfogo e si comprimeva nel petto sempre più a fondo, una spina dolorosa che non riusciva a togliere."
Spin-off della storia "A' Demian"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Perché tu possa ascoltarmi

 

QUANDO QUEL GIORNO AL PARCO

 

 

 

Le giornate si erano susseguite con inerzia, un giorno caldo dopo l’altro, coperte sudate che si attorcigliavano al corpo di notte e volto nascosto da lenti e occhiali di giorno che, nonostante tutto, non bastavano a proteggere gli occhi chiari.

Era stata una mattina d’agosto che era successo, vicino alla stazione dei treni.

Dami era seduto sulla staccionata di legno che delimitava il prato mal tenuto dall’asfalto, era in una zona d’ombra e aveva potuto togliere gli occhiali.

Quando l’angoscia lo prendeva, cercava sempre luoghi isolati e tranquilli e quella mattina il peso sul suo stomaco si era fatto pressante. Sua madre era tornata ma era ancora vittima della stanchezza tipica delle settimane che seguivano la fine della terapia, le nausee erano cessate però e questo aveva reso più vivibile il clima in casa. La settimana successiva anche Sarah sarebbe tornata a vivere con loro e questo era il suo più grande conforto, ma l’assenza della bimba al momento lo faceva sentire solo.

Non aveva naturalmente più sentito Elena, era tornato a curarsi da solo le sue ferite, o a non curarle, come era meglio dire.

C’erano tre ragazzi seduti sulle panchine vicino alla fontana grande. Ridevano sguaiatamente, uno l’aveva indicato. Dami aveva sentito i peli del collo rizzarsi, ma non aveva distolto lo sguardo dallo stronzo che gli aveva puntato il dito contro e rideva.

Erano parecchio più grandi.

Erano andati da lui, volevano attaccare litigio, era evidente, ed avevano voglia di sfotterlo.

«Scherzo della natura»

«Fai impressione, fai schifo»

«Quanto sei brutto, non ti si può guardare»

«Con che coraggio vai in giro così?»

«Non ti fai senso?»

«Io mi vergognerei»

Niente che non avesse sentito mille e mille volte, niente che non pensasse lui stesso. Eppure, non riusciva ancora a sopportare quelle parole dette da altri, forse non l’avrebbe mai sopportato.

«Con le facce di culo che vi ritrovate ci credo che venite a prendere in giro me, sarebbe stato meglio se vostra madre vi avesse ingoiato quella sera, invece di cagare fuori tre pezzi di merda come voi»

Era una scena già vista, rivissuta all’infinto, con dinamiche ogni volta diverse ma con il medesimo risultato. Quella fu più dolorosa di altre.

L’avevano afferrato, scaraventato a terra con forza, aveva battuto la spalla e la testa e si era sentito stordito, davanti ai suoi occhi solo indefinite macchie rosse, come di chi guarda la luce con troppa intensità. Aveva riso, li aveva mandati a “quel paese” con parole fin troppo colorite e loro lo avevano menato. Quando uno di loro lo aveva afferrato per la collottola, pesto e grondante sangue dalla bocca e non solo, Dami gli aveva sorriso con scherno e si era beccato l’ennesimo pugno nello stomaco.

Lo sapeva, che non doveva parlare. Sarebbe stato tutto più semplice, se avesse smesso di parlare, proprio lui che in genere non parlava mai. Il suo orgoglio ferito però non si ripagava da solo né con il silenzio, e sentiva così tanta rabbia… doveva sfogarla, doveva esplodere, il silenzio lo soffocava e Dami si sentiva annegare in se stesso, in tutte quelle parole che non trovavano suoni e forme e rifiutavano di uscire, restavano sospese come lui, un vaso straripante che quando trasbordava gli fotteva il cervello e basta. Andare a litigare andava bene, lottare per reagire, per sopravvivere, non era nulla di diverso da ciò che faceva tutti i giorni in ogni aspetto della sua vita.

Gli faceva male tutto, l’avevano lasciato a terra e il sapore di ruggine fra i denti lo aveva costretto a sputare un grumo di sangue.

Era ridicolo, ancora non sapeva davvero difendersi.

Una risata di scherno lo aveva raggiunto, ma era pateticamente disteso a terra e non aveva ancora la forza di reagire.

Se mi devi pestare, aveva pensato, fallo in fretta e poi lasciami in pace.

Ma il ragazzo si era chinato su di lui, aveva la bocca grande piagata in un sorriso inquietante, storto. C’era qualcosa di sbagliato in lui, qualcosa di perverso, forse, una vena di crudeltà, una crudeltà strana che non era maligna ma incredibilmente pura, istintiva e innata, come quella dei bambini.

Dami aveva alzato gli occhi su di lui ed era rimasto frastornato dalla sua presenza dominante, si era sentito in soggezione, poi seccato, perché quello restava accovacciato senza muovere un dito.

«Sei forte piccoletto» aveva esclamato e aveva inclinato appena il capo, senza cancellare la sua espressione sadicamente divertita «Te la sei cercata»

Lo sapeva che se l’era cercata, era facile cercarsela quando gli altri gliene davano l’occasione. Dami aveva bisogno di quell’occasione, anche se era debole, inetto, un fottuto albino del cazzo, proprio come dicevano tutti. Tanto a nessuno importava, persino a lui stesso non importava cosa dovesse accadergli, aveva solo bisogno di distrazioni, litigare era anche questo. Quelle ferite, dolorose per giorni, erano questo.

Davanti allo sconosciuto si sentiva umiliato, steso a terra come un verme, se avesse potuto alzarsi gli avrebbe fatto ingoiare i denti, o almeno ci avrebbe provato.

«Che cazzo vuoi?»  la voce era spezzata dal dolore che non riusciva a nascondere nemmeno con la forza di volontà, le parole sbiascicate.

«Mi piace il tuo carattere ragazzino, veramente. Io sono Nicolas, ma chiamami Niko, è decisamente meno da figlio di papà»

Se non gli avesse fatto troppo male, Dami avrebbe riso per quella puntualizzazione fuori luogo. Del nome di Nicolas non gliene poteva fregare di meno, eppure aveva sorriso, mettendo in mostra i denti sporchi di rosso.

«De..mia..n» aveva sussurrato, il sorriso di Niko si era allargato pericolosamente, come se in lui avesse letto qualcosa che a Dami era sfuggito.

Era soddisfatto.

Gli aveva porto la mano e Demian vi si era aggrappato, accettando l’aiuto per alzarsi. Nicolas si era fatto passare il suo braccio sulle spalle e l’aveva caricato di peso su di sé.

Non si era reso conto di quanto ogni parte del corpo gli stesse dolendo fino a quando non si ritrovò in piedi.

«Mi piace il tuo stile, davvero. Vieni con me Dem, la prossima volta vedrò di coprirti io le spalle»

La sorpresa lo aveva sopraffatto ed impietrito, simili parole non se le sarebbe mai aspettate. Nemmeno Elena gliele aveva dette, neanche lei si era sbilanciata ad una simile promessa. Forse questo avrebbe dovuto farlo riflettere, fargli capire la realtà su di lei.

Eppure una parte del suo pensiero rimaneva incagliato tragicamente ad Ellie, era un arpione che aveva scavato troppo in profondità, quando cercava di liberarsi sanguinava il doppio, e allora era meglio che la ferita si cicatrizzasse attorno e quel tormento diventasse parte costante di lui.

A volte credeva di odiarla, ma solo perché gli mancava, e quindi s’impegnava per smetterla di pensare male di lei. Era solo un ragazzino però, il maturo non riusciva a farlo, non voleva vedere che forse era stato lui a metterla in difficoltà, che forse le colpe di lei erano meno grandi e gravi di quelle che le imputava.

«Sei messo male, ti porto da una mia amica. Lys è una maga, a curare le ferite» Nicolas era convinto, ma Demian era sbiancato.

«No»

Nessun’altro l’avrebbe toccato. Solo Ellie l’aveva fatto, ed era stato l’errore più grande della sua vita, la sua più lucente delusione.

Non l’avrebbe sopportato ancora.

«Vuoi andare in ospedale?» si era accigliato Nicolas. Aveva occhi strani, un nocciola che virava ad un singolare grigio a seconda di come la luce s’infrangeva sull’iride.

«No»

«Senti moccioso, decidi che cazzo vuoi fare, io non ho tutto il giorno da perdere con te» aveva borbottato, ma si vedeva che, in realtà, le sue risposte lo avevano stranamente divertito.

Nessuno, era categorico.

Nessun altro.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Scusate il ritardo, impegni improrogabili. Probabilmente sarò latitante fino al 29 marzo ma, se mi sarà possibile, nel mentre qualche capitolo magari riuscirò a pubblicarlo. Certo, non con costanza purtroppo.

Buona giornata!

  
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