Perché
tu possa ascoltarmi
QUANDO
QUEL GIORNO AL PARCO
Le
giornate si erano susseguite con
inerzia, un giorno caldo dopo l’altro, coperte sudate che si
attorcigliavano al
corpo di notte e volto nascosto da lenti e occhiali di giorno che,
nonostante tutto,
non bastavano a proteggere gli occhi chiari.
Era
stata una mattina d’agosto che era
successo, vicino alla stazione dei treni.
Dami
era seduto sulla staccionata di legno
che delimitava il prato mal tenuto dall’asfalto, era in una
zona d’ombra e
aveva potuto togliere gli occhiali.
Quando
l’angoscia lo prendeva, cercava
sempre luoghi isolati e tranquilli e quella mattina il peso sul suo
stomaco si
era fatto pressante. Sua madre era tornata ma era ancora vittima della
stanchezza tipica delle settimane che seguivano la fine della terapia,
le
nausee erano cessate però e questo aveva reso più
vivibile il clima in casa. La
settimana successiva anche Sarah sarebbe tornata a vivere con loro e
questo era
il suo più grande conforto, ma l’assenza della
bimba al momento lo faceva
sentire solo.
Non
aveva naturalmente più sentito Elena,
era tornato a curarsi da solo le sue ferite, o a non curarle, come era
meglio
dire.
C’erano
tre ragazzi seduti sulle panchine
vicino alla fontana grande. Ridevano sguaiatamente, uno
l’aveva indicato. Dami
aveva sentito i peli del collo rizzarsi, ma non aveva distolto lo
sguardo dallo
stronzo che gli aveva puntato il dito contro e rideva.
Erano
parecchio più grandi.
Erano
andati da lui, volevano attaccare
litigio, era evidente, ed avevano voglia di sfotterlo.
«Scherzo
della natura»
«Fai
impressione, fai schifo»
«Quanto
sei brutto, non ti si può guardare»
«Con
che coraggio vai in giro così?»
«Non
ti fai senso?»
«Io
mi vergognerei»
Niente
che non avesse sentito mille e mille
volte, niente che non pensasse lui stesso. Eppure, non riusciva ancora
a
sopportare quelle parole dette da altri, forse non l’avrebbe
mai sopportato.
«Con
le facce di culo che vi ritrovate ci
credo che venite a prendere in giro me, sarebbe stato meglio se vostra
madre vi
avesse ingoiato quella sera, invece di cagare fuori tre pezzi di merda
come
voi»
Era
una scena già vista, rivissuta
all’infinto, con dinamiche ogni volta diverse ma con il
medesimo risultato.
Quella fu più dolorosa di altre.
L’avevano
afferrato, scaraventato a terra
con forza, aveva battuto la spalla e la testa e si era sentito
stordito,
davanti ai suoi occhi solo indefinite macchie rosse, come di chi guarda
la luce
con troppa intensità. Aveva riso, li aveva mandati a
“quel paese” con parole
fin troppo colorite e loro lo avevano menato. Quando uno di loro lo
aveva
afferrato per la collottola, pesto e grondante sangue dalla bocca e non
solo,
Dami gli aveva sorriso con scherno e si era beccato
l’ennesimo pugno nello
stomaco.
Lo
sapeva, che non doveva parlare. Sarebbe
stato tutto più semplice, se avesse smesso di parlare,
proprio lui che in
genere non parlava mai. Il suo orgoglio ferito però non si
ripagava da solo né con
il silenzio, e sentiva così tanta rabbia… doveva
sfogarla, doveva esplodere, il
silenzio lo soffocava e Dami si sentiva annegare in se stesso, in tutte
quelle
parole che non trovavano suoni e forme e rifiutavano di uscire,
restavano
sospese come lui, un vaso straripante che quando trasbordava gli
fotteva il
cervello e basta. Andare a litigare andava bene, lottare per reagire,
per
sopravvivere, non era nulla di diverso da ciò che faceva
tutti i giorni in ogni
aspetto della sua vita.
Gli
faceva male tutto, l’avevano lasciato a
terra e il sapore di ruggine fra i denti lo aveva costretto a sputare
un grumo
di sangue.
Era
ridicolo, ancora non sapeva davvero
difendersi.
Una
risata di scherno lo aveva raggiunto,
ma era pateticamente disteso a terra e non aveva ancora la forza di
reagire.
Se
mi devi pestare, aveva
pensato, fallo in
fretta e poi lasciami in pace.
Ma
il ragazzo si era chinato su di lui,
aveva la bocca grande piagata in un sorriso inquietante, storto.
C’era qualcosa
di sbagliato in lui, qualcosa di perverso, forse, una vena di
crudeltà, una
crudeltà strana che non era maligna ma incredibilmente pura,
istintiva e
innata, come quella dei bambini.
Dami
aveva alzato gli occhi su di lui ed
era rimasto frastornato dalla sua presenza dominante, si era sentito in
soggezione, poi seccato, perché quello restava accovacciato
senza muovere un
dito.
«Sei
forte piccoletto» aveva esclamato e
aveva inclinato appena il capo, senza cancellare la sua espressione
sadicamente
divertita «Te la sei cercata»
Lo
sapeva che se l’era cercata, era facile
cercarsela quando gli altri gliene davano l’occasione. Dami
aveva bisogno di
quell’occasione, anche se era debole, inetto, un fottuto
albino del cazzo,
proprio come dicevano tutti. Tanto a nessuno importava, persino a lui
stesso
non importava cosa dovesse accadergli, aveva solo bisogno di
distrazioni,
litigare era anche questo. Quelle ferite, dolorose per giorni, erano
questo.
Davanti
allo sconosciuto si sentiva
umiliato, steso a terra come un verme, se avesse potuto alzarsi gli
avrebbe
fatto ingoiare i denti, o almeno ci avrebbe provato.
«Che
cazzo vuoi?» la
voce era spezzata dal dolore che non
riusciva a nascondere nemmeno con la forza di volontà, le
parole sbiascicate.
«Mi
piace il tuo carattere ragazzino,
veramente. Io sono Nicolas, ma chiamami Niko, è decisamente
meno da figlio di
papà»
Se non gli avesse fatto troppo male, Dami avrebbe
riso per quella
puntualizzazione fuori luogo. Del nome di Nicolas non gliene poteva
fregare di
meno, eppure aveva sorriso, mettendo in mostra i denti sporchi di rosso.
«De..mia..n» aveva sussurrato,
il sorriso di Niko si era allargato
pericolosamente, come se in lui avesse letto qualcosa che a Dami era
sfuggito.
Era soddisfatto.
Gli aveva porto la mano e Demian vi si era
aggrappato, accettando
l’aiuto per alzarsi. Nicolas si era fatto passare il suo
braccio sulle spalle e
l’aveva caricato di peso su di sé.
Non si era reso conto di quanto ogni parte del
corpo gli stesse dolendo
fino a quando non si ritrovò in piedi.
«Mi piace il tuo stile, davvero. Vieni
con me Dem, la prossima volta
vedrò di coprirti io le spalle»
La sorpresa lo aveva sopraffatto ed impietrito,
simili parole non se le
sarebbe mai aspettate. Nemmeno Elena gliele aveva dette, neanche lei si
era
sbilanciata ad una simile promessa. Forse questo avrebbe dovuto farlo
riflettere, fargli capire la realtà su di lei.
Eppure una parte del suo pensiero rimaneva
incagliato tragicamente ad
Ellie, era un arpione che aveva scavato troppo in
profondità, quando cercava di
liberarsi sanguinava il doppio, e allora era meglio che la ferita si
cicatrizzasse attorno e quel tormento diventasse parte costante di lui.
A volte credeva di odiarla, ma solo
perché gli mancava, e quindi
s’impegnava per smetterla di pensare male di lei. Era solo un
ragazzino però,
il maturo non riusciva a farlo, non voleva vedere che forse era stato
lui a
metterla in difficoltà, che forse le colpe di lei erano meno
grandi e gravi di
quelle che le imputava.
«Sei messo male, ti porto da una mia
amica. Lys è una maga, a curare le
ferite» Nicolas era convinto, ma Demian era sbiancato.
«No»
Nessun’altro l’avrebbe
toccato. Solo Ellie l’aveva fatto, ed era stato
l’errore più grande della sua vita, la sua
più lucente delusione.
Non l’avrebbe sopportato ancora.
«Vuoi andare in ospedale?» si
era accigliato Nicolas. Aveva occhi
strani, un nocciola che virava ad un singolare grigio a seconda di come
la luce
s’infrangeva sull’iride.
«No»
«Senti moccioso, decidi che cazzo vuoi
fare, io non ho tutto il giorno
da perdere con te» aveva borbottato, ma si vedeva che, in
realtà, le sue
risposte lo avevano stranamente divertito.
Nessuno, era categorico.
Nessun altro.
ANGOLO
AUTRICE
Scusate
il ritardo, impegni improrogabili. Probabilmente sarò
latitante fino al 29 marzo
ma, se mi sarà possibile, nel mentre qualche capitolo magari
riuscirò a pubblicarlo.
Certo, non con costanza purtroppo.
Buona
giornata!