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Autore: Carmaux_95    19/03/2019    7 recensioni
[Maylor + accenni Freddie/Jim]
-Ti ricordi l'anno scorso quando abbiamo suonato per quella festa hawaiana? Abbiamo indossato degli assurdi gonnellini di paglia e dei finti orecchini!- e mentre parlava Freddie mimò una sorta di balletto ondeggiando i fianchi e le braccia. -Basterebbero due belle parrucche e un paio di quei seni finti che si gonfiano!-
Roger lo osservò senza dire una parola, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo indecifrabile, fino a quando fu John Reid, che non aveva ascoltato una parola ma aveva visto il pianista esibirsi in quella sottospecie di danza, a rompere il silenzio:
-Cos'ha il suo amico? Si sente male?-
-Lo spero.- rispose il biondo senza staccare gli occhi dal coinquilino.
-Ma Rog, sono tre settimane in Florida!-
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, Jim Hutton, John Deacon, Roger Taylor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO CINQUE

Roger gettò nel cestino l'ultimo fiore dell'ennesimo bouquet recapitatogli in stanza. Sdraiato a letto aveva sciolto il fiocco che teneva insieme rose, tulipani e altri fiori di cui il batterista non conosceva nemmeno il nome, e aveva cominciato a lanciarli, uno per uno, giocando a fare canestro nel cestino dall'altra parte della stanza.

-Ti ci vuole ancora molto?- domandò al coinquilino, chiuso in bagno da una buona mezz'ora.

Quando anche l'ultimo fiore entrò, seguendo la traiettoria di una perfetta parabola, nel cestino, Roger sbuffò, storcendo il naso. Rimanendo sdraiato allungò una mano sotto il letto, tirandone fuori la valigia di Deacon. La aprì e ne tirò fuori due camicie e un paio di pantaloni.

Si sfilò il sottile vestito, lanciandolo sulla spalliera della sedia senza guardare, slacciò il finto reggiseno, che seguì a ruota il vestito, e finalmente indossò quegli abiti maschili. Chiuse i bottoni lentamente: non avrebbe mai creduto che gli sarebbe mancato un gesto semplice come abbottonarsi una camicia. Si passò un dito nel colletto, sistemandolo con un sorriso.

Quando la porta del bagno finalmente si aprì Freddie, un asciugamano intorno alla vita e uno aggiustato come un turbante in testa, rimase per un momento sulla porta:

-Cosa stai facendo?- gli domandò il pianista, incrociando le braccia sul petto e appoggiandosi allo stipite della porta.

Roger allargò le braccia e girò su sé stesso: -Come sto?-

-Un po' come un idiota...- in risposta Roger gli lanciò addosso il finto reggiseno che, dato che Freddie non si mosse di un centimetro per schivarlo o afferrarlo, si agganciò al turbante. -Dico sul serio: sia i pantaloni che la camicia ti sono lunghi.-

-Non lo noterà nessuno se arrotolo le maniche fino ai gomiti.-

-E i pantaloni?-

-Sei solo invidioso.-

-Hai qualche programma?- gli domandò scherzoso.

-Sì: ho in programma di sfruttare l'unica sera libera della settimana, prendere una parte della mia paga, andare in un bar a mangiare qualcosa e magari fare due passi in riva al mare.-

Freddie rise ma incontrando lo sguardo grave di Roger, tornò serio: -Adesso inizio ad essere preoccupato perché comincio a pensare che tu non stia scherzando.-

-Non sto scherzando.- gli confermò Roger.

-Sei impazzito per caso?-

-Ascoltami bene: è una settimana che vengo abbordato! Ho ricevuto pizzicotti, inviti a cena e bouquet di fiori! Sono scomodo persino quando devo suonare! Io mi merito una serata libera nel vero senso della parola! Libera da tutta questa follia! Per cui adesso io esco da questa finestra, mi calo di sotto e vado a vedere i fottuti pesci volanti che hai tanto millantato!-

Dopotutto Freddie non poteva dargli torto: aveva bisogno – ne avevano bisogno entrambi – di una serata libera; di vestire nuovamente i panni di loro stessi e non soltanto in una camera d'albergo di pochi metri quadri. Inoltre... erano lontani da Chicago... forse concedersi qualche ora di libertà non sarebbe poi stato così grave.
Gli angoli della bocca si sollevarono lentamente, in un ghigno complice: -Molto bene, amore! Dammi cinque minuti e vengo con te. Ma non andremo in uno squallido bar a caso. Se dobbiamo festeggiare, serve un posto di classe.-

-Vuoi spendere tutta la nostra paga in una serata?-

-Mio caro, non ce ne sarà bisogno, fidati di me.- si sollevò dallo stipite e, recuperato finalmente il reggiseno dalla testa, lo lasciò in mano a Roger. -Ti consiglio, però, di toglierti quegli orecchini a clip.-

Roger seguì il suggerimento e, appoggiandoli sul comodino, prese in mano il pacchetto di sigarette: -Ho una cosa da fare prima di andare.-


 


 

Quando si svegliò, la prima cosa che distinse fu un bicchiere d'acqua all'interno del quale un paio di compresse si stavano sciogliendo liberando piccole bollicine che risalivano verso l'alto.

-Ehilà, ragazzino, bentornato fra i vivi.- strizzando gli occhi, riuscì a mettere a fuoco anche la persona che gli stava porgendo il bicchiere: un'enorme massa di capelli ricci incorniciava un viso dallo sguardo intelligente e concentrato. Il ragazzo ritrasse appena il bicchiere: -Non soffri d'asma, vero? Non vorrei averti sulla coscienza per una semplice aspirina.-

Scosse leggermente la testa prima di riuscire a rendersi conto di quello che stava succedendo. Lentamente si mise a sedere: era sul divano di un salotto illuminato a giorno dalla luce del sole che filtrava dalle finestre aperte. Guardando il ragazzo inginocchiatogli davanti, si rese conto di non conoscerlo: si trovava in casa di uno sconosciuto.

Cominciò a sentirsi visibilmente a disagio e prese il bicchiere quasi con le mani tremanti.

-Tranquillo: non ti mordo.-

-Scusa ma... non credo di... chi sei?-

Il ragazzo ridacchiò, rispondendogli: -Riccio.-

-Come...?-

-Mi chiamo Brian, ma ieri sera mi chiamavi solo Riccio.-

-Ieri sera...?- stringendo gli occhi per il mal di testa vuotò rapidamente il bicchiere.

Brian gli si sedette di fianco, raccontandogli come si fossero incontrati e facendogli notare che adesso una benda reticolata che, da sopra il gomito arrivava fino al polso, copriva, per precauzione, una medicazione fatta di numerose strisce di cerotto. Medicargli il braccio mentre con l'altro il ragazzino aveva continuato a giocare con i ricci del nuovo amico non era stato affatto facile, ma Brian non si era lamentato, al contrario: aveva avuto a che fare con compagni di corso ubriachi e per lo più si era trattato di sbronze esagerate, rumorose, violente e moleste; la tenerezza della sbronza tranquilla – se si sorvolava l'incidente con la vetrinetta – di quel giovanotto, che non riusciva a pronunciare una frase di senso compiuto senza distrarsi a metà strada per tirare leggermente una ciocca boccoluta e vederla arricciarsi di nuovo da sola quando la lasciava andare, era stata una dolce ventata d'aria fresca.

-Non mi hai ancora detto come ti chiami.-

-John... scusami per... per tutto.- Brian annuì e gli tese finalmente una mano.

-Sei uno studente dell'università?-

-Sì... ingegneria.-

-Io astronomia.-

-Posso chiederti un ultimo favore...?- domandò John esitante. -Hai un telefono? Vorrei avvertire la mamma che sto bene... non voglio che si preoccupi...- a momenti non aveva ancora finito di parlare che Brian era già tornato con l'apparecchio in mano.

-Per me non c'è problema, ma dovresti comunque fare un salto in ospedale a farti controllare il braccio.-

Componendo il breve numero e chiedendo alla centralinista che gli rispose immediatamente di metterlo in comunicazione con casa propria, John osservò Brian spostare delicatamente una chitarra che tirava il cavo del telefono.

-Suoni?- gli sussurrò nell'attesa di sentire la voce della madre dall'altra parte della cornetta.

-Tutti i giorni.-

-Anche io.- ammise sorridendo. -Il basso.-

Gli occhi di Brian si accesero di interesse: -Davvero? Mi fai sentire qualcosa?-

-Ma... non ce l'ho qui...-

-Ne ho uno io anche se non lo suono quasi mai...-

Guardandosi attorno e sbirciando fuori da una delle finestre John si rese improvvisamente conto del fatto che doveva trovarsi in uno dei quartieri più ricchi di tutta Londra: Brian doveva essere ben più che benestante per potersi permettere di vivere lì.

-Vuoi restare a pranzo?- gli domandò il chitarrista, interrompendo i suoi pensieri.

-Io... non vorrei disturbare...-

-Nessun disturbo. L'unico “problema” è che sono vegetariano... ma se non ti va solo un'insalata ho del pane e qualcosa come venti tipi di formaggio in dispensa.-

John sorrise ripensando a quella mattina di sei anni prima. Le sue dita scivolarono rapidamente sul manico del basso, dando voce ad una delle composizioni che aveva fatto sentire a Brian, quel giorno, dopo pranzo. Il salone era immerso nel silenzio e le profonde note risuonavano come battiti cardiaci. Aveva aspettato che la sala si fosse svuotata completamente ed era sgusciato da camera sua con il basso a tracolla.

Brian aveva ragione: erano anni che non componeva più nulla.
Per questo aveva scelto il salone dove si esibiva solitamente l'orchestra: lì non avrebbe dato fastidio a nessuno tentando di ritrovare un po' di quella creatività che lo aveva accompagnato durante gli anni di università.

Sussultò quando una mano si appoggiò sulla sua spalla:

-Mi scusi, non volevo spaventarla.-

Dopo un primo momento di sorpresa, John sorrise a Veronica, salutandola con un cenno del capo.

-Clare mi ha detto che le doveva questa.- la ragazza infilò una mano nella tasca della sottile vestaglia e gli si sedette di fianco, porgendogli una sigaretta. John la prese, accennando un sorriso, ma prima che potesse dire qualcosa Veronica parlò di nuovo: -Cosa stava suonando?-

-Oh, niente... solo una canzone che abbiamo scritto io e un mio amico ai tempi dell'università...-

-Non l'avevo mai vista suonare. Né tanto meno comporre...- aggiunse: scostandosi una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio, prese in mano un piccolo quadernino aperto su uno sgabello di fronte a John. Facendo attenzione che la penna, appoggiata al centro, non cadesse, osservò la pagina bianca trasformata in una pagina pentagrammata. Veronica non sapeva leggere la musica ma osservò con interesse il lavoro di John.

-Era da tanto che non lo facevo.-

-Mi fa sentire?-

-Ma... non l'ho finita...-

-Avanti...- lo incoraggiò avvicinandogli il quaderno.

Si scambiarono una lunga occhiata, ma alla fine John sorrise e, sedendosi meglio, accettò.


 


 

-Non ci possiamo permettere di ordinare niente qui! Costa troppo!- sussurrò Roger tirando l'amico per un braccio.

-Non dovremo tirare fuori nemmeno un dollaro, tesoro: lasciami fare una magia.-

-Quale magia?-

-Ora,- gli appoggiò le mani sulle spalle, approfittandone per spostarlo per fare spazio ad un cameriere che passava con un vassoio carico. -non ti spaventare: sto per trasformarmi in un ricchissimo principe indiano in vacanza a Miami. Non occorre essere ricchi per davvero: basta solo sembrarlo. Tu fai come faccio io.-

-Ma io non so recitare...-

-Si, questo effettivamente è vero: sei sempre stato un pessimo attore.-

-Grazie.-

-Però devo anche dire che negli ultimi giorni sei stato davvero bravo: hai fatto qualche cazzata, sì, ma per il resto te la sei cavata bene! Stai facendo progressi!-

-Se mi chiederai di interpretare il tuo servetto ti darò tante di quelle botte...-

-Facciamo così: tu prendi posto in sala, o all'aperto, come preferisci. Io torno fra cinque minuti con qualcosa da bere e da mangiare. Che dici?-

Roger si guardò attorno, mentre Freddie si allontanava: quello era un ristorante di lusso, in riva al mare. C'era un bancone da bar, dove chi aveva prenotato un tavolo poteva aspettare gustando un aperitivo, un'immensa sala, gremita di gente che chiacchierava allegramente facendo tintinnare posate e bicchieri e infine persino una piccola terrazza sopraelevata direttamente sulla spiaggia. Roger optò per quest'ultima, prendendo posto all'ultimo tavolino rimasto libero.

La luna si rifletteva sulle onde del mare, sospinte a riva da una piacevole brezza serale.

Erano passati già dieci minuti quando infilò le mani nelle tasche dei pantaloni tirandone fuori un paio di fogli ripiegati e una matita. Rilesse le poche righe già scritte e cancellò l'ultima parola, per poi riscriverla sotto. Si scompigliò i capelli e appoggiò la testa sul palmo della mano riflettendo. Continuò a scrivere, scarabocchiando qualcosa e facendo diverse correzioni.

Senza deconcentrarsi dal suo lavoro, si accorse del movimento al suo fianco: -Finalmente ce l'hai fatta. Cominciavo a pensare che sua maestà si fosse persa!- esclamò tracciando un'ultima riga sul foglio. -Guarda qui: cosa ne pensi? Se cambiassimo il testo in questo modo si...- spostando il foglio per avvicinarlo a Freddie, alzò finalmente gli occhi, per rendersi spaventosamente conto del fatto che, al suo fianco, non c'era Freddie, ma un altro uomo.

I lunghi capelli ricci lo rendevano facilmente riconoscibile e, non appena lo vide, Roger sgranò gli occhi, impietrito.


 


 

-Ma quanto ci vuole ancora?- sussurrò Fred, fra sé e sé, leggermente spazientito. Appoggiato al bancone del bar, tamburellava nervoso con le dita: era un quarto d'ora che aspettava che gli portassero quanto ordinato! Tirò fuori una sigaretta e tentò di accenderla, ma l'accendino sembrava non voler collaborare: mandò solo qualche piccola scintilla che si spense immediatamente. Un fiammifero acceso si avvicinò alle sue labbra, e finalmente riuscì ad aspirare una boccata di fumo.

-La ringrazio.-

-Figuratevi.- il cameriere spense il fiammifero agitando debolmente la mano e tornò a pulire i bicchieri sporchi. -Vi chiedo scusa per il ritardo: ci sono alcuni problemi in cucina.- aggiunse poi. Freddie alzò le sopracciglia: non pensava di essersi lamentato ad alta voce, poco prima. Osservò l'uomo di fronte a sé e rifletté qualche secondo:

-Mi ha appena dato del “voi”?-

-Se preferite posso chiamarvi “vostra grazia”.-

Il cameriere, un paio di baffi a decorare un viso pulito e curato, non cambiò espressione davanti allo sbigottimento di Freddie.

-Come dice?-

-È un onore per noi poter servire un principe indiano. Le voci girano rapidamente.- dichiarò continuando a pulire.

Freddie si trovò per un momento in difficoltà: non riusciva a decifrare il tono di quell'uomo. Forse cercava solo di essere gentile... o faceva conversazione semplicemente nella speranza di ricevere una mancia.
Si morse l'interno della guancia e decise di provare a cambiare discorso:

-Lei non è di qui.- dichiarò, riferendosi al suo accento.

-Nemmeno voi.-

Il pianista corrugò la fronte e stava per dire ancora qualcosa quando finalmente gli venne servita la sua ordinazione. Non era stato difficile trovare un uomo ingenuo e facilmente raggirabile che, credendo alla sua messa in scena, si era proposto di offrirgli la cena. E Freddie aveva cordialmente ringraziato per poi dirigersi al bancone e ordinare, facendo mettere tutto sul conto del suo gentile anfitrione.

-Vi accompagno al tavolo?- disse il cameriere allungando una mano per prendere il vassoio, ma Fred lo anticipò:

-No. No grazie.- gli lanciò un ultimo sguardo indagatore prima di allontanarsi.


 


 

-Scusi, mi sono allontanato un attimo, ma questo era il mio posto: avevo prenotato.-

Roger, gli occhi sgranati e la bocca leggermente aperta, non capì nemmeno quella semplice frase, troppo preoccupato da altri pensieri: quell'uomo lo conosceva, sotto mentite spoglie, certo, ma lo conosceva. Si riscosse dopo qualche secondo:

-Me ne vado.- fece il gesto di alzarsi, ma l'uomo scosse la testa.

-Non si preoccupi: c'è posto. Prego.-

Roger si morse le labbra: era sempre gentile, il maledetto.
E in quel momento lui si trovava a corto di parole, cosa che spronò Brian a parlare di nuovo:

-L'ho disturbata mentre lavorava?-

-Non sono fatti suoi.- rispose sgarbato.

Brian inclinò la testa di lato, socchiudendo gli occhi pensieroso. Roger sapeva cosa stava passando per la sua testa e quando il chitarrista gli pose la domanda, rispose fin troppo velocemente:

-Ci siamo già conosciuti?-

-No!-

-Ha un viso molto familiare...-

-Me lo dicono in tanti.-

Roger imprecò fra i denti: dove cazzo era Freddie?!
Brian era un uomo sveglio, intelligente: non si sarebbe fatto bastare quella sua ultima risposta. Non ci avrebbe impiegato molto a capire dove lo aveva già visto.

-Mi perdoni se insisto... sono arrivato da poco qui in Florida e ho passato tutto il mio tempo qui o in hotel...- il suo sguardo sembrò illuminarsi: -Forse all'Hotel del Coronado?-

Si morse di nuovo le labbra: -No, sì... non io...- di colpo lo fulminò il ricordo di cosa aveva detto qualche giorno prima per allontanare il signor Mallett: -Ho una sorella: suona lì tutti i giorni.-

L'uomo schioccò le dita, avendo finalmente trovato la risposta ai suoi dubbi: -Clare, giusto?-
Il suo sorriso si allargò e al contempo corrugò la fronte: -Sorella... gemella, direi.-

-Scusi?-

-Mi perdoni,- disse Brian innocentemente, tendendogli una mano. -non ci siamo neanche presentati. Brian, conosco l'amministratore dell'orchestra dove lavora sua sorella.- il batterista rimase per un momento in silenzio, un po' intontito dalla situazione.

Allungò una mano a sua volta, senza rendersene conto, come sotto anestesia: -Roger.-


 


 

Freddie era rimasto immobile con gli occhi sgranati, guardando la scena: aveva riconosciuto immediatamente l'amico di John e non gli era piaciuto per niente che l'uomo al suo fianco fosse proprio Roger.
Aveva tirato un sospiro di sollievo quando lo aveva visto alzarsi per allontanarsi.
Un secondo dopo aveva imprecato silenziosamente quando lo aveva visto non solo sedersi di nuovo, ma anche allungare una mano e stringere quella di Brian.

Che cosa diavolo stava facendo?!
Rischiava di mandare tutto a monte: se Brian lo avesse riconosciuto sarebbe stata la loro fine!
Lo avrebbe riferito a John.
John li avrebbe cacciati o peggio, avrebbe chiamato la polizia...
Avrebbe sicuramente chiamato la polizia... qualunque persona sana di mente avrebbe chiamato la polizia in una situazione del genere! E John Deacon non era certo uno stupido.


 


 

-Siete una famiglia di musicisti, quindi.- disse Brian porgendo a Roger il foglio sul quale stava scarabocchiando poco prima e che aveva lasciato sul tavolo quando si era alzato per andarsene.

-Scusi?-

-Si scusa sempre così tanto?-

-Scusi? Cioè no... come...? No, a dire il vero no! Scusi, sono solo un po'... stanco, credo.-

Brian sorrise e decise di non fargli notare che si era scusato per l'ennesima volta. Indicò, invece, il foglio che gli aveva appena restituito, riformulando la domanda: -È il testo di una canzone? Anche lei è un musicista, come sua sorella?-

-Sì... a tempo perso.-

-Stava componendo?-

-No, non proprio. Provavo solo a buttare giù qualche idea.-

Era da qualche giorno che lui e Freddie lavoravano a quella canzone. Al momento avevano solo una bozza della melodia e un paio di righe di testo.
A dire la verità, nonostante l'impegno, avevano avuto ben altro per la testa. Per questo Roger aveva deciso di portarsi dietro carta e penna: forse, dopo qualche ora di tranquillità e di ambita libertà, sarebbero riusciti a combinare qualcosa.

-Periodo difficile?-

-Perché?-

-Questo testo: yesterday my life was in ruin... now today God knows what I'm doing...-

Non ci avevano fatto caso quando lo avevano scritto, ma effettivamente sembrava che stessero scrivendo la storia di quegli ultimi giorni. Di due ragazzi che, davanti ad una vita che ormai stava cadendo a pezzi avevano dovuto improvvisare. Nemmeno loro avrebbero saputo dire con precisione cosa stessero facendo... perché dopotutto, come definire scappare dalla propria città, travestirsi da donne e fingere di essere due musiciste provenienti dal conservatorio? “Stiamo attraversando un periodo difficile” era la descrizione che più si avvicinava alla loro attuale situazione. L'unica che potevano utilizzare senza apparire pazzi, quantomeno.

-Forse un po'...- ammise Roger a bassa voce, passandosi una mano sulla nuca.

Accorgendosi del suo improvviso disagio, Brian cambiò argomento: -Che strumento suona?-

-Batteria.-

-Come Clare.-

Roger si morse l'interno della guacia. Che diavolo stava facendo? Non ci stava nemmeno provando a chiudere quella conversazione. Avrebbe dovuto andarsene. “Si faccia i fatti propri e mi lasci in pace! Mi scusi se l'ho disturbata e arrivederci! E impari a non lasciare incustodito il suo tavolo!”. Ecco, questa sarebbe stata una buona risposta.

Di tutte le persone con le quali avrebbe potuto mettersi a chiacchierare, Brian era la meno indicata.
Ma quell'uomo lo aveva spiazzato: chiunque si sarebbe lamentato perché aveva occupato il suo posto a tavola; chiunque gli avrebbe chiesto, più o meno cortesemente, di andarsene e di lasciarlo cenare in santa pace; chiunque dopo le sue risposte secche lo avrebbe lasciato perdere. Brian invece non solo si era mostrato riguardoso e cordiale, quello stronzo!, ma non si era lasciato intimidire dal suo tono.

Doveva trovare un modo per tornare in carreggiata. Frugò rapidamente nella sua testa, ma invano. Freddie glielo diceva sempre: “quando hai paura non riesci a ragionare!”

E in quel momento Roger aveva davvero paura, la pelle d'oca lungo tutte le braccia e i brividi che scendevano lungo la spina dorsale.
Non aveva paura di Brian di per sé. Lo aveva incontrato qualche volta nel corso della settimana e si era fatto un'idea: era un uomo tranquillo, gentile. Ma era anche un uomo onesto.
E un uomo onesto avrebbe riferito al suo migliore amico che nella sua orchestra c'erano due uomini ricercati non solo dalla polizia ma anche dai più pericolosi gangster di Chicago.
E un buon uomo come John li avrebbe immediatamente consegnati alla polizia, per salvaguardare non solo sé stesso, ma anche tutte le musiciste che erano sotto la sua responsabilità.
E la polizia li avrebbe arrestati.
Non il migliore dei panorami insomma...

Si accorse di essere rimasto in silenzio a lungo, per cui cercò, quanto meno, di portare avanti la bugia della “sorella musicista”:

-Sì, le ho insegnato io a suonarla.-

-Direi che ha fatto un ottimo lavoro.- Roger non riuscì ad impedirsi di sollevare un angolo della bocca, compiaciuto. -Anche se...-

-Anche se?!- il sorriso scomparve dal suo viso, lasciando immediatamente spazio ad un'espressione risentita.

-Non mi pare che le piaccia il genere.- spiegò Brian con semplicità. -Ho assistito a quasi tutti gli spettacoli dell'orchestra e, per quanto non sbagli mai, ho come l'impressione che non le piaccia quello che deve suonare. Come se, potendo, suonerebbe tutt'altro.-

Il biondo annuì, contento del fatto che la critica non riguardasse le sue abilità.

Quello era il suo momento: poteva chiudere la conversazione e andarsene, ma Brian lo precedette di nuovo: -Clare aveva ragione.-

-A che proposito?-

-L'ha nominata una sola volta, definendola come un “fratello iperprotettivo”. E a giudicare da come è scattato poco fa, direi che aveva ragione.-

-Beh, mi sono sentito punto sul vivo: perché da un certo punto di vista stava criticando o Clare o me...-

O entrambi allo stesso momento.

Brian annuì, sorridendogli.

Roger incurvò a sua volta le labbra.
Si diede dell'idiota.


 


 

Freddie incrociò le braccia sul bancone. Sbuffò arrabbiato. Era passata un'ora. Un'ora da quando aveva visto Roger sedersi insieme a Brian e cominciare a parlare.

Fred, in quel momento, era tornato indietro al bancone del bar: se fosse uscito anche lui avrebbe firmato la loro condanna a morte. E inoltre, se ne rendeva conto, aveva un viso molto più particolare di Roger. Se l'amico aveva potuto sfruttare la scusa della sorella gemella – dopotutto il biondo aveva dei lineamenti molto delicati: il suo travestimento era molto più convincente del suo – Freddie non avrebbe mai potuto fare altrettanto: Brian lo avrebbe riconosciuto immediatamente.

Era passata un'ora!

E quell'idiota del suo migliore amico era ancora lì a parlare con il chitarrista.

Di cosa poi?!

Freddie se lo continuava a domandare, tutte le volte che girava la testa lanciando un'occhiata dietro alle proprie spalle: la prima volta Roger stava solo e semplicemente parlando; la seconda si stava accendendo una sigaretta; la terza stava addirittura ridendo.

-Vostra Grazia è rimasta da sola?-

Freddie alzò gli occhi. Il cameriere dai baffi scuri ora non stava più pulendo, lo strofinaccio abbandonato di lato. Lo osservava con lo stesso sguardo indecifrabile con cui gli si era rivolto prima.

Il pianista aspettò qualche istante prima di parlare:

-Non sono davvero un principe.- decise di rivelare: era un po' troppo teso e arrabbiato per portare avanti anche quello stupido gioco. E poi, ormai aveva fatto il suo tempo: aveva mangiato gratis e ora non gli serviva più continuare a fingere.

-Ma non mi dica.-

Una scintilla di sfida brillò negli occhi scuri di Freddie: lo stava prendendo in giro.

-Avrei potuto esserlo.-

-Questo sì: è un bravo attore.-

-Non ottimo, se lei se n'è accorto.-

-No, no: è stato davvero bravo. Ma essere un cameriere ha dei vantaggi: siamo anonimi, invisibili. Possiamo camminarvi vicino senza che ve ne accorgiate e preoccupiate.- disse sorridendo affabile. -Il suo amico dai capelli biondi non sembrava sicuro della sua idea di “fare una piccola magia”.-

Freddie esalò un sospiro di sorpresa.

-Vuole qualcosa da bere?-

-E il proibizionismo?- lo stuzzicò Fred.

-Non ho parlato di alcol.-

Fred lanciò un ultimo sguardo verso il terrazzo esterno: Brian stava scrivendo qualcosa su un foglio e Roger, leggermente sporto in avanti, lo stava ascoltando.

Tornò a guardare di fronte a sé: -Mi sorprenda.- l'uomo annuì e versò qualche cubetto di ghiaccio nel frullatore. -Mi dice il suo nome?-

Il cameriere ammiccò e, con un ghigno, premette il pulsante che avviò rumorosamente la macchina.

 


 


 

Angolino autrice:

Buongiorno my lovies! Innanzitutto chiedo scusa perché avrei voluto aggiornare ieri ma internet mi ha tristemente abbandonato -.-

E vi chiedo scusa anche per non essere riuscita a rispondere alle vostre recensioni al capitolo precedente ToT adesso rimedio immediatamente!

Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento e per tutti quelli che si stanno già (come no) disperando perché ho tagliato alcune parti, come la conversazione fra Brian e Roger spiata da Freddie dal bancone (:-P): tranquilli! Le lacune verranno riempite già a partire dal prossimo aggiornamento! XD Ah, per fugare ogni dubbio, sì, Doing Alla Right l'hanno scritta Brian e Tim Staffel, ma per necessità di trama ho dovuto modificare leggermente la situazione… anche se non è detto che in futuro non ci metta lo zampino anche lui… ci tenevo a riportare qualche loro canzone all'interno della storia ^^ questa non sarà l'ultima :) spero vi piaceranno le scelte!

E per concludere: ciau Jim! :-*

^^

Vi auguro una buona giornata, sperando sia migliore della mia (sono un po' giù di morale oggi... ^^' )

Un bacione a tutti quanti!
E come sempre un ringraziamento ai miei “fedelissimi”! <3 Vi abbraccio tutti fortissimo!

Carmaux


P.S. ah, no! Ultimo ma non ultimo, vi allego qui sotto una fotina (trovata qualche giorno fa in seguito ad una grazia divina! Non la avevo mai vista prima! *.*) del nostro John in seguito all'incidente con la vetrinetta:

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