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Autore: ___MoonLight    20/03/2019    3 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Sometimes you can't make it on your own




"When something's broke
I wanna put a bit of fixin' on it
When something's bored
I wanna put a little exciting on it
If something's low
I wanna put a little high on it
When something's lost
I wanna fight to get it back again"

[The Fixer – Pearl Jam]







13 Maggio, Villa Stark, 16:30

"Sono uscito. Non preoccuparti: tornerò presto e non farò stupidaggini. Tony.”
Pepper, dopo averlo letto per la quarta volta, accartocciò ancora il biglietto nel palmo della mano, nello stesso modo in cui il suo stomaco aveva continuato ad accartocciarsi in una stretta ansiosa da quando era tornata alla villa. Ansiosa, e decisamente arrabbiata, anche se cercava di convincersi del contrario e di placare le ondate furiose che di tanto in tanto prendevano il sopravvento sul suo raziocinio.

Non preoccuparti”, diceva. Certo, perché preoccuparsi? Dopotutto aveva solo una gamba e un braccio meccanico che rendevano un azzardo ogni suo movimento, un reattore che lo stava uccidendo nel petto, e la sera prima era solo stato a un passo dal piangere per il dolore ai moncherini. Perché mai si sarebbe dovuta preoccupare nel saperlo a zonzo chissà dove?
Bevve con rabbia un sorso di tè bollente, incurante di scottarsi, con la mano che tremò nonostante gli sforzi di placarla. Aveva perso il conto delle chiamate a vuoto che gli aveva fatto, prima di realizzare che il suo telefono giaceva su un bancone del laboratorio, dove era scesa in un atto di forza per assicurarsi che le armature fossero ancora tutte – si era quasi sciolta dal sollievo nel constatare che fossero al loro posto. Aveva quindi chiamato in successione Rhodey, Ian e Kyle, ma nessuno dei tre aveva idea di dove si fosse cacciato il loro amico, paziente o assistito. Un biglietto sulla porta, nessuna coordinata precisa e un contorno di vaghezza era tutto ciò che Tony si era lasciato alle spalle.
Sapeva che
probabilmente non stava davvero facendo nulla di pericoloso, almeno per i suoi standard, e, dopo che Kyle gli aveva detto della licenza, capiva perfettamente il suo desiderio di uscire dopo un anno e più di reclusione… era il fatto di averla lasciata di punto in bianco in una pozza d’angoscia a far uscire di testa lei.
Prese un grosso respiro per calmarsi, riuscendo solo ad aumentare il proprio nervosismo, manifesto nel modo in cui picchiettava sul bordo della tazza. Tentare di fornire una spiegazione per i comportamenti strampalati di Tony era sempre stato vano, ma aveva sperato che, visto il contratto di assoluta trasparenza che ormai vigeva tra loro, si sarebbe sempre degnato di metterla al corrente di ciò che faceva. Le riusciva abbastanza complesso definire il loro rapporto in quel momento, ma era più che determinata a non lasciare che omissioni del genere diventassero –
di nuovo – la norma.
Si lasciò sprofondare nello schienale morbido del divano, sentendosi più esausta che mai: quella situazione iniziava a logorarla. Gli impegni alle Industries la tenevano occupata quel tanto che bastava per non farla impazzire, ma le sembrava di sentir fisicamente scorrere il tempo in sottofondo, ricordandole di quel limite fissato ormai a meno di due mesi davanti a sé – a
loro.
Non riusciva a immaginarsi la propria vita senza Tony, e non era una constatazione legata a ciò che era successo negli ultimi mesi, ma piuttosto un qualcosa di cui era diventata intrinsecamente sempre più consapevole col passare del tempo. Era stato una costante nella sua quotidianità per dieci anni, e il solo pensare di perderlo le costringeva il respiro. Sarebbe stato come veder svanire l’orizzonte da un giorno all’altro: un qualcosa di non vitale ma sempre presente, costante, tanto interiorizzato da non farci più caso e tanto essenziale da non poterne ignorare la scomparsa.
Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi, le ennesime di una lunga serie che sembrava iniziata quella sera dopo la Expo e che non accennava a finire, ma le trattenne, asciugandosele accortamente col dorso dell’indice prima che traboccassero. Non era davvero così triste da sentire il bisogno di piangere, e attribuì quel cedimento alla stanchezza e alle pochissime ore di sonno. Era stata una nottata estenuante per entrambi, e in realtà si chiedeva da dove Tony avesse preso la forza per uscire. D’altra parte, riusciva sempre a sorprenderla in quel senso. Si rifiutava di lasciarsi vincere dalla spossatezza, anche quando era chiaramente insostenibile, e l’aveva visto costantemente indaffarato, concedendosi solo poche parentesi d’inerzia. 
Era un fatto positivo e rassicurante, ma volte avrebbe voluto dirgli di rallentare e prendersi del tempo per sé, nonostante fosse del tutto consapevole che ciò andasse contro ogni buonsenso, e che quel desiderio inespresso celasse anche una punta d’egoismo da parte propria. Non sarebbe mai tornata indietro sulla sua decisione di stargli vicino, ma all'atto pratico ciò accadeva più raramente di quanto avrebbe voluto – e di quanto di certo avrebbe voluto lui. La notte precedente ne aveva avuto una conferma, e ciò non faceva che farla sentire più ingabbiata dagli stessi limiti che percepiva Tony. 
Sapeva che stavano facendo entrambi del loro meglio, ma sembrava non essere mai abbastanza, per quanto si ripetessero che fosse così. Stavano entrando nella paradossale situazione in cui si rendevano pian piano conto che anche i limiti avevano dei limiti: una soglia di tempo oltre la quale diventavano impossibili da sopportare e rispettare, che li spingeva a ignorarli per evitare di implodere. E ciò diventava sempre più evidente nel modo in cui avevano iniziato a cercarsi più spesso e a lungo, nel fatto che Tony riuscisse a imbrigliare sempre meglio la sua ansia uscendo dai propri confini e nel modo in cui lei si trovava a valicare i suoi, con quieta cautela, e nessuno dei due si sottraeva a quei contatti ormai necessari, ma spesso rimandati – come la notte prima, con quel
“resta” che non era arrivato da parte di Tony, ma che era sembrato aleggiare tra loro.
Prima che potesse addentrarsi in quei pensieri e scivolare nel confuso subbuglio interiore che iniziava a intrecciarle stomaco e pensieri, u
dì lo scatto della porta, che spezzò di netto quel filo ingarbugliato. Balzò in piedi, sentendosi travolgere da un'ondata di sollievo nel veder comparire Tony nell'atrio, vivo e tutto intero.
Stava per rimproverarlo per essere uscito senza dirle nulla e per essere stato totalmente irreperibile per tutto il giorno, quando si arrestò nell’atto di andargli incontro, convinta di star subendo l’effetto di un
déjà-vu e che a quell’immagine di Tony si fosse sovrapposta una di qualche anno prima. Indossava un completo estivo grigio chiaro, e gli occhiali scuri gli schermavano il volto senza celare del tutto la sua espressione scanzonata, né le guance leggermente arrossate dal sole; aveva i capelli scarmigliati, come se avesse guidato con la capote abbassata. Sottobraccio portava una scatola di cartone e con la mano meccanica impugnava il bastone e i manici di una busta di plastica di cui non riusciva a intuire il contenuto. 
Sembrava... raggiante, letteralmente, e un ampio sorriso gli attraversò il volto quando la vide. Si tolse in modo un po’ goffo gli occhiali, destreggiandosi tra i suoi ingombri, e rivelò lo sguardo acceso e le linee sul suo volto più distese; persino la sua postura sembrava più diritta. Irradiava un'aura di pura felicità, e in quel momento ogni parola di rimprovero le morì sulle labbra, perché dopo così tanto tempo si trovava finalmente a guardare il Tony che ricordava, ilare e spensierato. Si trovò semplicemente a sorridere di rimando, trovandosi a corto di parole e godendosi il sollievo di vederlo lì davanti a lei.
«Ehi, Potts, così mi fa preoccupare,» esordì Tony, senza smettere di sorridere, nonostante si intuisse una traccia di colpevolezza tra le righe.
A quel punto Pepper si impegnò almeno a tentare di assumere un’espressione severa. Era abbastanza convinta di star fallendo miseramente, a giudicare dall’aria affatto impressionata e quasi un po’ da discolo di Tony, che le stava venendo incontro con le mani ancora impegnate.
«Niente ramanzina?» proferì, alzando un sopracciglio. «Neanche un piccolo rimprovero? Niente di niente?» insistette, sempre più sorpreso e col sorriso che non abbandonava le sue labbra.
«Sembra quasi che ci sperasse,» osservò lei, prendendo nota di come Tony avesse accorciato le distanze, rispetto al solito. 
La cosa non poteva che farle piacere. Lui sfoggiò una smorfia impertinente, inclinandosi ancora verso di lei.
«Uno dei miei sport preferiti è farla arrabbiare, che gusto c'è se non ci riesco?» sogghignò con fare esasperante.
«Oh, ci sei riuscito benissimo,» cambiò tono lei, accigliandosi.
Tony imbastì dal nulla la sua solita espressione da cane bastonato, appaiandovi però un mezzo sorrisetto speranzoso.
«Ma…?» la incitò, un po’ impaziente.
«Ma sono anche contenta.»
«Del fatto che per una volta ho sbrigato da solo i miei impegni?» accennò allo scatolone che, notava adesso, recava impresso il simbolo dello SHIELD.
«Di vederti così,» replicò lei trattenendo l’impulso di accostarglisi, sia per non compromettere il suo equilibrio precario, sia per non turbare inavvertitamente la bolla di serenità in cui sembrava immerso.
«Ho finalmente fatto colpo?» si meravigliò lui. «È un record, ci sono voluti solo nove anni,» osservò poi, canzonandola con quel tono leggero che l’aveva sempre caratterizzato e che rievocava ricordi graditi.
«
Dieci. E smetti di pensare che io abbia occhi solo per te,» lo rimbeccò bonaria, stando a quella farsa che ormai risultava un po' obsoleta, ma che entrambi continuavano ad imbastire per puro diletto.
«Vuoi forse negarlo?» insinuò lui, improvvisamente malizioso.
Pepper finse un sospiro snervato, arrossendo di riflesso e senza alcuna intenzione di negare quel fatto. Per recuperare un briciolo di compostezza, visto che essere così vicini non era affatto d’aiuto, fece per prendergli lo scatolone da sotto il braccio per alleviargli il peso.
«Se vuoi aiutarmi c’è questo; tanto è tutto per te,» disse lui in fretta e con sottile impaccio, interponendo la busta tra loro.
Pepper ne afferrò di riflesso i manici, per poi sbirciare incuriosita all’interno e identificare, con un enorme sorriso, una voluminosa vaschetta di gelato.
«Solo per me, dici?» chiese conferma, stimando che là dentro ci fossero almeno un chilo di calorie e zuccheri.
Tony fece un sorriso un po’ storto, di un bambino sorpreso con le mani nella marmellata.
«
Principalmente per te,» specificò, con un indiscutibile sguardo goloso alla vaschetta. «Me l'ero preparato per farmi perdonare, ma se non c'è bisogno lo tengo per me…» suggerì, facendo per riprendersi il pensiero, che Pepper tenne prontamente fuori dalla sua portata, per poi muovere un paio di passi verso la cucina.
«Ce n’è decisamente bisogno,» lo prese in giro, voltandogli poi le spalle.
Sentì il cuore leggero mentre camminava, e si chiese quando fosse stata l’ultima volta che aveva provato una sensazione così spensierata e genuina. C’erano state troppe ombre a oscurarli, ultimamente, e la semplice possibilità di ritagliarsi un siparietto scherzoso e privo di fardelli le dava l’impressione di poter escludere dalla mente tutto il resto, se anche per pochi minuti.
«Nocciola per te, caffè per me,» elencò nel frattempo Tony, tenendole dietro con passo claudicante ma vivace, dopo aver poggiato la scatola sul divano. «Ero tentato dalla fragola, ma qualcosa mi ha detto che era meglio di no,» aggiunse, furbetto.
«Meno male,» commentò lei, con un’occhiata eloquente.
«Ero
molto tentato.»
«Allora apprezzo il tuo insolito autocontrollo.»
«Vorrà dire che dovrò trovare altri modi per irritarti,» concluse, con un sorrisetto dispettoso.
A quel punto la superò, le sottrasse la vaschetta con inaspettata agilità e le schioccò con assoluta naturalezza un improvviso bacio sulla guancia, per poi squagliarsela in cucina, lasciandola ad avvampare nel salone piacevolmente sorpresa. Quasi inchiodò sul posto, chiedendosi se quel giorno non stesse avendo delle allucinazioni dettate dallo stress. Appena la notte scorsa aveva visto Tony dover fare appello a tutto il suo autocontrollo anche solo per avvicinarsi a lei senza essere colto dall’ansia ingiustificata che lo divorava, e qualche ora prima aveva temuto che andasse in autocombustione per la vergogna per quell’innocuo incidente mattutino. E adesso le sembrava di aver a che fare col solito Tony scherzosamente impudente e disinvolto, con l’aggiunta di tutto ciò che si erano detti – e non detti – in quei mesi e che trapelava dagli sguardi e dai gesti che si scambiavano.
Si chiese fugacemente se dovesse preoccuparsi, per poi realizzare che la risposta a quella domanda, nella loro situazione, rimaneva per forza di cose immutata. Scacciò quei pensieri dalla testa: almeno per quel giorno voleva fingere anche lei che andasse tutto bene, visto che Tony sembrava più incline del solito a fare lo stesso.
Quando entrò in cucina, lo sorprese a cacciarsi una gran cucchiaiata di gelato in bocca direttamente dalla vaschetta, e non poté trattenere un sorriso nel vedere la buffa espressione colpevole che fece nel vederla, affrettandosi a deglutire di colpo.
«Non ti ho aspettata, si stava sciogliendo,» bofonchiò a mo' di scusa, sopprimendo un sobbalzo per l’evidente fitta da gelo che l’aveva attraversato.
Le porse la coppetta in cui aveva già versato la sua porzione, per poi riempire la sua e abbandonare l’assalto barbaro alla vaschetta. Pepper ringraziò con un cenno del capo, per poi esitare sul posto, indecisa se rimanere in piedi o sedersi al tavolo, e Tony sembrò alle prese con lo stesso dubbio; e anche abbastanza nervosamente, a giudicare dal modo in cui portò una mano a controllare la benda, un tic che lo tradiva puntualmente. Decise di rompere lei gli indugi: prese posto su una delle sedie e lo tirò dolcemente per la manica, badando a scegliere il lato sano e invitandolo a sedersi accanto a lei. Tony non si sottrasse e la assecondò subito con evidente sollievo, inclinando appena un angolo delle labbra verso l’alto. Sfuggì comunque il suo sguardo, abbassando le ciglia scure a schermare il proprio.
Rimasero in silenzio per un minuto buono, gomito a gomito mentre gustavano il gelato, quasi in attesa del passo successivo da parte di uno dei due. Pepper stava tenacemente cercando di ignorare il suo cuore che aveva preso a battere in modo più rapido e sonoro da quando era entrata nella stanza, e aveva l’impressione che anche Tony fosse alle prese con le stesse difficoltà, neanche fossero stati due ragazzini al primo appuntamento. Anche se a dirla tutta avevano avuto ben pochi momenti che potessero essere definiti “normali”, o anche solo quotidiani: quella era una novità, e al contempo non lo era, perché riusciva a ricordare infinite altre occasioni in cui avevano mangiato allo stesso tavolo negli ultimi dieci anni. Adesso però era diverso, e lo sapevano entrambi.
Pepper ripulì la propria coppetta, adocchiando di riflesso il resto del gelato, e Tony intercettò il gesto con aria divertita, servendo subito un’altra generosa cucchiaiata di dolce a entrambi.
«Piace?» chiese, già certo della risposta.
«Molto. Grazie,» sorrise lei, contenta di sentire la tensione che di solito si instaurava tra loro allentarsi a poco a poco. «Dove l’hai preso?» indagò poi, cercando di porre la domanda nel modo più casuale possibile, attenta a non turbare la quiete.
«Uh, in giro…» replicò prevedibilmente lui, altrettanto disinvolto e poco convincente.
Pepper non insistette, sapendo che, prima o poi, Tony le avrebbe comunque rivelato dove fosse andato quella mattina. Aveva imparato a lasciargli spazio e tempo, sotto quel punto di vista: da quando aveva fatto voto di sincerità assoluta con lei, non l’aveva ancora mai infranto, dimostrandole di essere degno di fiducia a dispetto di tutto – nonostante quel giorno ci fosse andato molto, molto vicino. Forse teneva per sé più di un dettaglio spiacevole riguardo alle sue condizioni, ma non le servivano parole per intuirlo, e capiva perfettamente quella sua reticenza. Per ora era contenta anche solo di vederlo mangiare con gusto dopo settimane di inappetenza quasi totale, oltre che nel notare il suo colorito un po’ più roseo e acceso dal sole; anche le venature scure che di solito facevano capolino dal suo colletto si erano ritratte, e intuì che avesse assunto il dilitio, che forse contribuiva al suo umore positivo.
Si accorse di essersi distratta, e che un po’ del suo gelato si era sciolto mentre giocherellava senza mangiarlo; camuffò quella deriva ostentando naturalezza, ma era certo che Tony l’avesse comunque notata, a conferma che anche a lui spesso bastavano quei non detti per comprenderla.
«Ho fatto buon uso della mia ora di libertà,» scherzò in quel mentre, riprendendo il discorso e illuminandosi al contempo.
«Kyle mi ha detto della licenza,» replicò lei, senza trattenere un ampio sorriso e trasmettendogli tutta la gioia che era stata soffocata dalla preoccupazione fino al suo ritorno.
Il volto di Tony si atteggiò in un’espressione scaltra, assottigliando lo sguardo e sollevando un angolo delle labbra in un sorrisetto obliquo.
«Alla fine ho vinto io,
ovviamente,» affermò, facendo poi cozzare la propria coppetta contro la sua in un brindisi improvvisato. «Alla faccia di Stern,» sogghignò compiaciuto.
«E di Knight,» lo assecondò Pepper, rivolgendo però mentalmente il brindisi a Tony e a quella sua ennesima vittoria.
Lui sembrò soddisfatto e suggellò il rito finendo in un sol boccone il gelato restante.
«Comunque, ti saluta Agente,» proferì, senza preavviso.
«Intendi Phil?» chiese conferma lei, perplessa da quell’informazione inaspettata.
«Intendo Agente,» replicò testardo, facendola sorridere appena.
«L’hai incontrato?» la prese alla larga, permettendogli di arrivare con calma al punto.
«Mh-hm. Avevo del materiale per lui, e lui per me. Tutta roba di mio padre,» specificò, accennando al salotto in cui aveva lasciato lo scatolone.
Pepper trovò strano quell’insolita disinvoltura nel parlare di Howard, quando solitamente il solo menzionarlo portava un cipiglio inconfondibile sul suo volto, un qualcosa a metà strada tra il risentimento, la colpevolezza e una peculiare forma d'orgoglio.
«Dallo studio?» chiese semplicemente.
«Dallo stanzino inutile,» la corresse lui, ancora privo d’inflessione. «E dagli archivi dello SHIELD che hai contribuito a digitalizzare,» concluse, con un lieve sbuffo divertito.
«Almeno è servito a qualcosa,» alzò le spalle lei, accigliandosi appena senza volerlo.
«Adesso hanno altro lavoro da sbrigare grazie a me; per fortuna che si è licenziata, signorina Potts,» la punzecchiò, senza malizia e con un sottotono di sollievo per quella parentesi relegata in un passato che sembrava ormai molto remoto.
Pepper si limitò a sorridergli, concordando silenziosamente sul fatto di aver preso una delle decisioni più giuste degli ultimi anni, nel tornare lì con lui.
«Ci siamo visti a Santa Monica.
C’era anche Nat,» continuò quindi Tony, in modo sconnesso e un po’ frettoloso, come a far passare in sordina quell’ultima informazione senza volerla davvero nascondere.
Era fatto così: non si sarebbe esposto direttamente per niente al mondo, ma forniva sempre appigli agli altri per invitarlo ad aprirsi, come se temesse di farlo in modo spontaneo. Pepper attese ancora qualche istante prima di rispondere, osservando Tony che rigirava il cucchiaino nella coppetta ormai vuota, senza aggiungere altro, ma anche senza cambiare argomento.
«Come mai a Santa Monica?» si decise a chiedere, osservando attenta la sua reazione.
«Avevo voglia di un po’ d’aria di mare,» rispose subito lui, apparentemente leggero.
A Pepper bastò rivolgere un’eloquente occhiata al Pacifico che si stagliava all’orizzonte oltre la penisola della cucina per confutare quella bugia che, ne era certa, aveva intenzionalmente reso così fragile per innescare in lei proprio quella reazione: una bugia trasparente per essere smascherato e messo nella condizione di non poterle dire altro che la verità. I processi mentali di Tony erano di certo convoluti, ma ormai aveva abbastanza dimestichezza da riuscire a seguirli e comprendere quasi a colpo sicuro.
Sotto il peso del suo sguardo, Tony s’incurvò sul tavolo con la testa chinata in avanti, prendendo a ticchettare col manico del cucchiaino sul fondo della coppetta.
«Sono passato al Woodlawn Memorial,» mormorò, senza articolare chiaramente le parole, e Pepper trovò così conferma delle sue prime supposizioni.
«Ho fatto un saluto ai miei,» scrollò le spalle poi, continuando a tenere lo sguardo puntato sulla posata.
Pepper esitò, incerta su come reagire. Tony detestava la compassione gratuita, questo le era ormai molto chiaro: confortarlo non sarebbe stato appropriato, soprattutto perché non le sembrava affatto triste, solo comprensibilmente pensoso nel menzionare la visita ai genitori. Non aveva neanche bisogno di chiedergli perché ci fosse andato proprio adesso: le confessioni di quella notte le avevano lasciato intendere che ultimamente spendesse molto tempo a rimuginare sul suo passato, soprattutto familiare. E adesso che di tempo ne aveva poco – si impose di respirare – capiva quel desiderio di volerlo sfruttare al meglio per sanare vecchie ferite.
Così non disse nulla, e gli posò invece una mano leggera sul braccio, in una carezza appena accennata. Tony si irrigidì, in un riflesso condizionato, ma non si scostò e sembrò interpretarla come uno sprone, perché proseguì a voce un po’ più piena e ferma:
«Non ci ero mai andato e…» strinse le labbra, scegliendo le parole successive. «Ho… colto l’attimo,» concluse, con un mezzo sorriso tinto di mestizia.
«E adesso come stai?» indagò lei, distogliendolo da quella linea di pensieri che, come la sua, si infrangeva contro un muro invisibile e sempre più vicino.
«Bene,» rispose lui di getto, annuendo appena a rafforzare quell’affermazione. «Davvero, non stavo così bene da… da molto,» concluse, abbassando lo sguardo, e con quella semplice frase esternò molto più di quanto avesse effettivamente detto.
«Allora direi che è stata un’ora di libertà molto produttiva,» concluse lei, riportandoli su toni più leggeri e strappandogli uno sbuffo divertito.
«Già… e ho anche vinto un regalo da Monocolo,» si rianimò con un sogghigno, deviando definitivamente dal discorso, o forse rimanendovi solo in parallelo, considerando che anche quella scatola era legata ad Howard.
«Cosa c’è dentro?» s’incuriosì lei
«Non lo so, non l’ho ancora aperta,» replicò lui, corrugando le sopracciglia con fare incerto. «Magari potremmo… uh…» s’interruppe mordendosi il labbro, un gesto di estremo nervosismo che raramente lo intaccava.
Pepper intuì quello che voleva chiederle e gli sfiorò le nocche, catturando la sua attenzione e il suo sguardo.
«Sei sicuro?» gli chiese, un po’ titubante per quella richiesta gradita, ma forse poco pensata da parte sua.
Si trattava pur sempre di una parte estremamente delicata della sua vita, e voleva dargli la possibilità di ritrattare la proposta.

«Quella chiave è ancora valida,» replicò invece lui, senza esitare, e Pepper decise che la migliore risposta a quell’affermazione fosse un rapido bacio sulla guancia.
Tony sembrò concordare.


***


Pepper era sicura che Tony avesse rimpianto amaramente la propria decisione nel momento stesso in cui sollevò il coperchio dello scatolone, rivelando come prima cosa la copertina di un album fotografico col suo nome sopra. Le scoccò un’occhiata che rasentava il panico, per poi borbottare con indifferenza molto mal riuscita un “oh, ecco dov’era finito”, senza per questo manifestare la minima intenzione di aprirlo. Pepper, invece, represse a fatica la propria curiosità: a dispetto del suo ego notevole, le foto di Tony in contesti non pubblici si contavano sulle dita di una mano, e anche la Villa ne era completamente spoglia, preferendovi dei quadri impersonali scelti da lei. L’unica superstite – un’istantanea sua e del padre per commemorare la costruzione di Dum-E – giaceva in laboratorio, e l’aveva vista più spesso nel cestino della spazzatura che sulla scrivania, nonostante non l’avesse mai gettata via in modo definitivo. Si era comunque trattenuta dal commentare o lasciar trapelare il proprio interesse per evitare di irritare un tasto già abbastanza sensibile; ma, con sua sorpresa, Tony afferrò infine l’album, per poi porgerlo a lei senza esitazioni e continuare l’ispezione della scatola.
«Divertiti,» disse, con leggerezza un po’ forzata. «Non ho idea di cosa potresti trovare là dentro: fammi solo sapere se posso guardarlo senza avere un infarto per l’imbarazzo,» continuò in fretta, prendendo a sfogliare con interesse ben più vivo un bloc-notes malridotto.
Sotto quella patina d’indifferenza, poteva quasi vedere il suo cuore battere in modo irregolare sotto la maglietta, e la presa particolarmente salda delle sue dita sulla carta ingiallita confermava la tensione dell’uomo di fronte a quella scoperta inaspettata. Considerò comunque positivo il fatto che le avesse dato ancora una volta fiducia in quell’aspetto, e gli si sedette accanto sul divano, sfogliando quietamente l’album mentre lui si barcamenava tra scartoffie, altre foto sparse e ammennicoli vari stipati in quello spazio ridotto. La sua espressione si era fatta adesso indecifrabile, assorta nei molti quaderni d’appunti che sembrava quasi riluttante ad esaminare, nonostante la cura con cui li maneggiava tradisse il suo interesse.
Pepper, dal canto suo, si trovò a sorridere intenerita di fronte alle foto d’infanzia di Tony, comunque un numero molto ridotto. Già da bambino sfoggiava un’aria impertinente, appaiata a quel suo sorrisetto da scavezzacollo rimasto pressoché immutato e che, come ebbe modo di scoprire, coincideva con quello di Howard in una delle loro rare foto insieme. Anche con Maria ne aveva a malapena un paio: nella maggior parte degli scatti era da solo, impegnato a trafficare in laboratorio o in attività decisamente scapestrate. Quasi tutte arrivavano fino ai cinque o sei anni: dopodiché ce n’erano pochissime, scattate apparentemente a distanza di parecchio tempo l’una dall’altra, segnando in modo netto il passaggio da bambino a ragazzo a giovane adulto. Il perché le sovvenne in ritardo e con una punta di tristezza, ricordandosi di qualche accenno di Tony al collegio in cui Howard l’aveva spedito fino all’università, che per lui era arrivata comunque troppo presto. Si soffermò su una delle foto relativamente più recenti: un Tony appena diciottenne, vestito di tutto punto in un completo scuro, che guardava l’obbiettivo con lo sguardo schivo di chi è stato colto di sorpresa. C’era un qualcosa, in quella foto, che non collimava con l’uomo che aveva imparato a conoscere, e che si distaccava dal bambino che aveva appena visto crescere in quelle pagine. Dai suoi occhi scuri traspariva una sorta di ritrosia che prima non esisteva e che poi non era sopravvissuta: era immortalata unicamente in quella fase di passaggio in cui Tony sembrava ancora indeciso su chi dovesse diventare; solo un ragazzo stretto in abiti adulti.
Si girò a guardarlo e lo colse con un’ombra di quella stessa espressione a offuscargli i tratti mentre osservava un’altra foto: dalla superficie lucida sorrideva dolcemente Maria, col volto incorniciato dal velo nuziale e roselline bianche intrecciate ai capelli; accanto intravedeva Howard in smoking, coi capelli ancora corvini e il volto disteso e solare nell’ammirare la sua sposa. Tony si accorse di essere osservato e infilò di scatto la diapositiva nella piccola risma del matrimonio dei suoi, per poi riporle sul fondo della scatola evitando il suo sguardo.
«Non sapevo esistessero,» proferì a mezza voce, quasi a scusarsi, per poi aggrottare le sopracciglia. «E non capisco perché fossero allo SHIELD tra documenti criptati e file top secret,» aggiunse, con una punta di confuso fastidio.
«Magari neanche a lui piaceva passare per nostalgico,» ipotizzò Pepper, quasi senza pensare, e quel commento spontaneo portò un piccolo sorriso sul volto di Tony.
«Touché,» ammise senza risentirsi.
Passò a sfogliare un altro mazzetto di foto in bianco e nero, stavolta accostandosi un poco a lei, in un discreto invito a guardarle insieme che Pepper accettò di buon grado, sia per il gesto che per la vicinanza. Erano scatti alla rinfusa del dopoguerra e del periodo immediatamente precedente, raccolti senza ordine o logica; Tony ne mise da parte uno in cui si vedevano Howard, Rogers e Peggy in una caserma durante una pausa dai combattimenti, ma per il resto non si soffermò su nessuno di essi, finché Pepper non lo fermò d’istinto prima che potesse passare a quello successivo.
«Questo è...» Pepper prese con delicatezza la foto e la avvicinò agli occhi, «Un fenicottero?» concluse incredula.
Tony inclinò la testa per vedere meglio e ridacchiò, altrettanto stupito nel riconoscere la sagoma dell’animale sporgere dalla berlina di suo padre.
«Puoi rinfacciarmi tutto, ma almeno
io non ti ho mai portato animali molesti a casa,» sottolineò, sogghignando sotto i baffi.
«Ti ricordo che a quel meeting a Bombay sei stato a un passo dall'acquistare un elefante,» commentò Pepper, facendo uno sforzo per non sbottare a ridere anche lei.
«Perché sapevo di poter contare sul tuo buonsenso nel dissuadermi,» replicò pronto lui, salvando come sempre la faccia e sfoggiando un sorrisetto storto e soddisfatto.
Pepper lo paragonò a quello di Howard in foto, evidentemente altrettanto compiaciuto per quell’acquisto esotico, che strideva con le descrizioni che Tony faceva di quell’uomo austero e intransigente.
«Gli somigli molto,» commentò sovrappensiero, rendendosi conto in ritardo della propria indelicatezza.
«A chi? Al fenicottero?» sbuffò invece lui, con un’espressione talmente torva da risultare comica ma senz’ombra di risentimento.
Pepper scosse la testa, ma lasciò accortamente cadere l’argomento. Tony riprese a frugare a tentoni nello scatolone ormai vuoto, e quasi la fece sobbalzare quando emise un fischio prolungato nell’estrarre gli ultimi oggetti: due “pizze” di pellicola con la custodia metallica un po’ ammaccata, sulla quale Tony stava picchiettando con l’indice metallico.
«1958… 1974?» lesse poi sulla targhetta ingiallita delle rispettive bobine, alzando un sopracciglio scettico. «Speriamo che non ci sia nulla di troppo scandaloso,» borbottò tra sé, storcendo la bocca.
«In che senso?» s’interessò Pepper, inclinando il capo per vederle meglio.
«Beh, i miei si sono conosciuti nel '61 e prima di lei mio padre era... come dire?» S'interruppe, pensoso. «Diciamo solo che ho ereditato da lui l'estrema debolezza per il gentil sesso e lo scarso senso del pudore,» concluse con una smorfia indecisa tra l'orgoglio e lo scherno.
Pepper arrossì, improvvisamente molto riluttante a proiettare quel filmato.
«Forse è meglio se lo guardi in privato,» suggerì, sperando che non lo interpretasse come ironia.
«Andiamo, signorina Potts, ha visto sicuramente di peggio,» ribatté però lui, con un sogghigno.
«Fortunatamente no, signor Stark, anche se nel corso degli anni ha lasciato
molto poco all'immaginazione,» stette al gioco lei, leggermente stupita da quel suo fare disinibito.
«Internet pullula già da anni di miei video "compromettenti", mi vuole dire che non ne ha mai sbirciato neanche uno?» la punzecchiò lui con la sua migliore faccia da schiaffi.
«Ho molto più rispetto per la sua privacy di quanto ne abbia lei stesso,» gli fece notare, con altrettanta spensieratezza e una punta d’imbarazzo inspiegabilmente piacevole che le pizzicò lo stomaco.
«Ammiro la sua forza di volontà,» commentò lui, con aria sorniona. «A ruoli invertiti non credo che saprei resistere a–..»
Pepper sfogliò rapida l'album rimasto aperto sulle sue ginocchia, piantandoglielo poi a un palmo dal naso.
«Attento a quello che dici, o
questa potrebbe diventare virale,» lo ammonì, con finta severità.
Tony seguì il suo indice puntato su una sua foto sbiadita e avvampò: doveva aver avuto tre o quattro anni e indossava una tutina di Capitan America mentre sventolava tutto felice uno scudo di plastica a stelle e strisce.
«A mia discolpa, ero giovane e ingenuo, ed è stato
mio padre a costringermi,» sottolineò con veemenza.
«Avevi proprio l'aria di chi è stato costretto,» lo provocò lei, con un sorrisino un po' perfido, accennando al suo volto inconfutabilmente disteso in una risata infantile.
«Uno a zero per te,» concesse lui, sfilandole rapido l'album di mano e richiudendolo con uno schiocco per evitare altre scoperte nefaste.
Si resero entrambi conto di essersi avvicinati nel corso della discussione, con Tony col busto inclinato verso di lei e Pepper col viso rivolto a lui; gli occhi di entrambi si posarono fugaci sulle labbra dell’altro, in un invito reciproco e inespresso che però esitarono entrambi ad assecondare, lasciandolo a perdersi a metà strada tra loro. Tony recuperò distanza per primo e si schiarì piano la gola, le mani strette sulle pellicole.
«Allora, vogliamo svelare il mistero?» proferì poi, rompendo il silenzio elettrico che si era instaurato tra loro.
«Direi di sì,» concordò subito lei, imitandolo con lieve e, immaginò, mutuo rammarico.
Tony recuperò il bastone e si alzò rapido in piedi, e, prima che Pepper potesse aggiungere altro, si era già allontanato alla ricerca di un proiettore.


***


Nel giro di mezz'ora, dopo aver recuperato e rimesso in sesto un antiquato proiettore e aver spostato il divanetto in laboratorio di fronte a una parete libera, riuscirono a far partire il primo filmato. Tony smise di trafficare con la pellicola, che per ora era muta e stava mostrando quelle che sembravano delle riprese paesaggistiche: campagna assolata, una strada costiera, una scogliera rossastra a picco sul mare...
«Sembra...» esordì Pepper, assottigliando gli occhi dalla sua postazione accoccolata contro il bracciolo.
«… Malibu Point,» completò Tony, con l’entusiasmo che gli scendeva sotto i tacchi. «Prima della villa. Ci aspettano circa venti minuti di emozionanti sopralluoghi edili,» sospirò deluso, e si scostò dall'apparecchio in funzione, pur continuando a seguire il video con scarso interesse. 
Ovviamente si sentiva legato a quel luogo, ma rimaneva comunque un progetto di suo padre. Quando era in vita, la villa era arredata in modo ben più sobrio e gli spazi erano molto più contenuti e opprimenti, simili alla loro vecchia magione a Long Island nonostante fosse la loro casa estiva. Era come se suo padre non fosse riuscito a staccarsi dall'epoca del dopoguerra: ne risultava un'atmosfera antiquata e stantia che stonava con l'architettura ultramoderna degli esterni. Dopo l'incidente del '91, una delle prime cose che aveva fatto era stato vendere la vecchia casa e stravolgere la planimetria di Villa Stark, eliminando qualsiasi traccia dei suoi e mantenendo solo quel famoso studiolo, rimasto cristallizzato agli anni '60.
Fissò le immagini che si susseguivano di fronte a lui, a tratti ondeggianti e sfocate, probabilmente riprese da suo padre stesso. Cacciò la mano meccanica in tasca, tirando le labbra e sentendo un improvviso e sordo pulsare al petto, in controtempo col proprio cuore, come un mantice che gli comprimeva ritmicamente la cassa toracica. Erano ondate di rabbia, realizzò dopo qualche istante, una rabbia densa e inconcludente che gli rubava il respiro. 
Si sentiva raggirato. Da suo padre, dallo SHIELD, dalla fievole speranza che aveva ingenuamente coltivato nel vedersi davanti una strada ancora inesplorata che avrebbe potuto salvarlo. Gli appunti di suo padre, che aveva cercato così a lungo nel suo studio, non erano altro che carta straccia, quel filmato era assolutamente inutile e l’album e le foto ritrovati non avrebbero arrestato l’avanzata del palladio. Aveva preso atto della propria morte quasi certa mesi prima, ma ogni volta il pensiero gli causava un senso di vertigine, e ad ogni riconferma si sentiva sempre più inadeguato, come se tutte le conoscenze acquisite in una vita intera gli fossero venute meno, o fossero diventate superflue.
«Tony?»
La voce di Pepper fu un’ancora per i suoi pensieri. La accolse con sollievo, lasciando che la paura gli scorresse addosso senza annegarlo.
«Tutto bene?» continuò la donna, e nel voltarsi Tony prese subito atto della linea preoccupata che le solcava la fronte, unita alle mani strette tra loro a frenarsi.
Meditò se mentirle, come sempre, e come sempre represse la tentazione.
«Più o meno,» bofonchiò, scuotendo appena il capo. «Non era quel che mi aspettavo,» aggiunse, puntando il bastone verso il proiettore.
«Che ti aspettavi?» indagò lei, leggermente confusa.
«Una soluzione,» rispose di getto lui, fissando il pavimento.
Intravide il suo sguardo intristirsi e si sentì colpevole d’aver rovinato una giornata partita nel migliore dei modi.
Sospirò con un tremito nelle spalle, osservando quelle noiose immagini che si rincorrevano sulla parete. In fin dei conti, anche dei filmati imbarazzanti di suo padre gli sarebbero andati bene, se non altro per farsi due risate e vedere Pepper tramutarsi in un vero e proprio peperone, soprattutto in un momento in cui stava quasi riuscendo a dimenticarsi del proprio corpo e di quanto lo detestasse. In realtà si era trovato a voler superare quelle barriere tra loro più di una volta da quando aveva rimesso piede a casa, ma temeva che un cambio d’atteggiamento così repentino potesse metterla in difficoltà, o apparire strano, o inspiegabile. Non riusciva a spiegarselo davvero nemmeno lui, ma dalla sera prima si sentiva più leggero di qualche tonnellata, e dopo la visita al cimitero gli sembrava di aver messo a tacere un bisbiglio fastidioso che non si era mai accorto di avere costantemente nell’orecchio. Sapeva che probabilmente avrebbe solo dovuto lasciarsi andare, ma temeva dove sarebbero potuti arrivare se l’avesse fatto davvero. E non era assolutamente sicuro se ciò che voleva coincidesse con ciò che voleva il suo corpo, e soprattutto con ciò che voleva Pepper. Era di certo in grado di fermarsi e capirlo al momento, ma dubitava che poi avrebbe mai più avuto il coraggio di guardarla negli occhi. Ma ciò che più lo terrorizzava, troncando sul nascere ogni suo gesto, era che lei lo accettasse spinta dalla mera paura di perderlo; ed era per quella stessa paura che anche lui temeva di accelerare involontariamente i tempi.
La guardò di sottecchi, seduta sul divano con le gambe raccolte sotto di lei, intenta a seguire pigramente il filmato e osservandolo in realtà a sua volta, e si sentì battere il cuore nello stomaco. Il braccio meccanico sembrò farsi più pesante, quasi ad ancorarlo a terra per prevenire gesti avventati, ma si costrinse comunque a raggiungerla, diviso tra il desiderio di starle vicino, di lei, e di starle allo stesso tempo lontano.
Nel passare accanto allo scatolone ne pescò fuori il quaderno più voluminoso, per poi sprofondare nel divano e prendere a sfogliarlo, del tutto disinteressato alle immagini sgranate che scorrevano sulla parete e fingendo di esserlo altrettanto nei confronti di Pepper. Anche lei guardava un po' distrattamente il filmato e si accorse che lanciava occhiate incuriosite al quaderno. Senza dir nulla scivolò vicino a lei, assecondando discretamente quell’impulso e inclinando le pagine in modo che potesse vederle. Colse la sua espressione smarrita quando si trovò davanti le miriadi di formule, schemi e complessi grafici che riempivano le pagine e le rivolse un sorrisetto.
«Ti assicuro che non è così difficile come sembra,» disse, tentando di ricomporsi e allo stesso tempo di recuperare il suo buonumore.
«Ti credo sulla parola,» mormorò lei, poggiando il mento sulla sua spalla.
Lui si irrigidì appena di riflesso, ma quando lei fece per ritrarsi la trattenne sfiorandole la guancia con le dita, senza guardarla direttamente e affondando invece lo sguardo nelle linee d’inchiostro davanti a lui. Due paure gli paralizzavano i pensieri, ma una era ben più potente, ed era la stessa che l’aveva spinto ad affrontare e vincere quelle più piccole. L’aveva già provata in Afghanistan: era la paura di morire che lo spingeva a vivere con ogni mezzo possibile, che fosse un’armatura per liberarsi o un bacio rincorso per anni. Si rilassò con la testa poggiata contro la sua, respirando il profumo dei suoi capelli e desiderando inconsciamente che fossero sciolti, invece che raccolti nel solito chignon.
«La cosa più difficile è capire la sua grafia,» continuò a voce più bassa, a vincere il lieve imbarazzo di entrambi. «Sto andando a intuito.»
«È uguale alla tua,» gli fece notare sottovoce lei, senza traccia di malizia e accostandosi di nuovo a lui, il naso affondato nella sua spalla; Tony adesso avvertiva il suo respiro, e represse un brivido a quel lieve calore che gli solleticava la pelle.
«Per questo mi irrita,» sbuffò, con voce appena contratta, prima di sprofondare in un silenzio concentrato solo apparentemente sugli appunti e intimamente su di lei.
Sorrise appena, godendosi quel contatto così spontaneo che per una volta non gli provocò alcuna ansia. Sentì solo un altro piccolo vuoto allo stomaco, piacevole e discreto, ben diverso da quello angoscioso a cui si era abituato. Il fatto che Pepper fosse a contatto con il suo lato sano e che lui indossasse la benda erano un grosso aiuto e incentivo, ma si trovò a pensare, o forse a sperare, che a lei non avrebbe comunque fatto alcuna differenza.
La guardò di sottecchi e la vide a sua volta tranquilla, rilassata contro il suo corpo e come lui in quieta attesa, adesso con la fronte contro il suo collo e il respiro che continuava ad accarezzargli la pelle. Lasciò scivolare la mano a cingerle i fianchi, in una lieve carezza che lei assecondò, portando a sua volta le dita a sfiorargli l’addome, facendovi poi aderire il palmo. Si scambiarono un’occhiata fugace che diventò subito uno sguardo prolungato, consapevoli di non essere mai stati così vicini, o almeno non in
quel modo. Quello era un preludio, un cercarsi esitante che prima o poi li avrebbe inevitabilmente portati a trovarsi. Per ora trovò le sue labbra, dolci e schiuse contro le sue, un invito a rincorrerle con impeto per fondersi con loro. Si scostò appena per poterla guardare un istante e lei fece lo stesso, entrambi rapiti, per poi perdersi in un nuovo bacio più lento e delicato, metodico, come a rivendicare per loro quel tempo che sentivano di non avere.
S’interruppero con un lieve sobbalzo nell’udire il sonoro scatto del proiettore che cambiava bobina, preparandosi a proiettare la seconda; Tony si accigliò appena, con un sospiro un po’ seccato, ma si rasserenò nel vedere il sorriso di Pepper, messo ancor più in evidenza dalle guance leggermente arrossate.
«Elimino il disturbo,» annunciò quindi scherzoso, con un cenno verso l’apparecchio molesto e una sicurezza che era ben più instabile di quanto ostentasse.
Stava per fare leva sul bastone per alzarsi e colse Pepper che cercava di anticiparlo per evitargli il tragitto, ma si paralizzò sul posto nel vedere il primo fotogramma della nuova pellicola, con la netta impressione del proprio respiro che si congelava nel petto; il quaderno cadde a terra con un tonfo.
Un modellino del vecchio reattore arc spiccava in primo piano.
«Aspetta!» fermò Pepper, che era riuscita a mettersi in piedi prima di lui, e si rese a malapena conto della nota stridula che si era insinuata nella sua voce.
Lei inchiodò sul posto, fissandolo allarmata e portando poi gli occhi alla proiezione. L’irritazione di Tony per quel momento interrotto fu soppiantata da un cardiopalma che sembrava volergli far uscire il cuore dal petto assieme al cilindro del reattore, e si sentì la bocca secca nel veder emergere, appena dietro il modellino, la figura di suo padre appoggiato al plastico della Expo.
«Ogni cosa si può ottenere con la tecnologia,» recitò, con la sua voce resa più squillante dalla registrazione, e Tony riconobbe le prime parole del discorso per la Expo.
Fissò i suoi occhi scuri impressi sula pellicola granulosa, con l’impressione fasulla che ricambiassero il suo sguardo ora imperfetto. Pepper tornò sui propri passi, sedendosi di nuovo accanto a lui, prendendolo discretamente sottobraccio. Tony era così frastornato da notarlo appena, ma le fu grato per volerlo aspettare, ancora una volta, e per aver capito la potenziale importanza di quel che stavano guardando, offrendogli al contempo il proprio supporto.
Il filmato s’interruppe più volte, con suo padre che s’ingarbugliava nelle sue stesse parole o modificava il discorso sul momento, a volte seccato, a volte con un fare spiritoso che gli ricordò suo malgrado il proprio. Si accigliò profondamente nel vederlo sorseggiare un bicchiere di liquore in una pausa, e trattenne una smorfia quando le riprese si fecero più frammentarie, confermando il fatto che quelli fossero semplici dietro le quinte privi di alcuna logica o utilità. Puntò lo sguardo a terra, sulla copertina color sabbia del quaderno rivolto a faccia in giù, la mascella contratta come il suo petto. Percepì Pepper stringergli appena il braccio, quasi invitandolo a rialzare lo sguardo, ma non si mosse, sentendosi improvvisamente troppo pesante per compiere qualsiasi gesto.
«Tony!» sollevò d'istinto la testa, trasalendo appena, e incontrò gli occhi scuri e severi di suo padre nonostante lui gli desse le spalle. «Che cosa stai facendo?»
L’eco di quelle parole sembrò propagarsi sulla superficie di una laguna onirica, sfiorata dalle ultime luci crepuscolari e tinta da riflessi azzurrini.
«Che cos’è quello? Rimettilo a posto!»
Tornò presente a se stesso e si vide bambino, con in mano un pezzo del plastico e un sorriso furbetto stampato in faccia che suscitò il cipiglio irritato di suo padre. Nel giro di pochi secondi, Jarvis entrò nell'inquadratura e lo prese in braccio per allontanarlo, suo padre chiamò sua madre e senza rendersene conto lui, lo stesso bambino quasi trent'anni dopo, cercò alla cieca la mano di Pepper e la strinse, sentendosi sopraffare da quella breve serie di eventi, immagini e suoni che offrivano uno spaccato doloroso della sua vita di allora. Gli ci volle qualche istante per realizzare di aver usato la destra. Abbassò lo sguardo sulle loro dita intrecciate, pelle contro metallo, e, invece di ritrarre le proprie come avrebbe voluto fare con tutto se stesso, le strinse con tutta la delicatezza di cui fu capace. Pepper lo imitò con più decisione, quasi con forza, a volerlo trattenere contro ogni sua paura. Tony le sorrise appena, ma non incrociò il suo sguardo, puntandolo di nuovo sulla parete, su cui si susseguivano altri spezzoni tagliati del discorso, prove e papere inaspettate di suo padre.
Lanciò un’occhiata alla bobina: mancava forse un minuto e mezzo alla fine. Un sospiro gli morì sulle labbra, e desiderò solo di poterle posare di nuovo su quelle di Pepper. Stava per assecondare quell’impulso, quando si sentì chiamare una seconda volta da quella voce distante nel tempo:
«Tony.»
La voce di suo padre era grave, seria, priva di quella traccia di rimprovero o insoddisfazione che gli aveva sempre riservato. Guardò la proiezione e stavolta ebbe la certezza che stesse guardando lui, a distanza di tutti quegli anni.
«Ora sei troppo piccolo per capire, così ho pensato di lasciarti questo filmato.»
Strinse di riflesso la mano di Pepper, senza distogliere l’occhio da quello che sembrava un fantasma riemerso dal suo passato.
«L’ho costruita per te,» proferì, con un gesto verso il plastico della Città del Futuro. «E un giorno ti renderai conto che rappresenta molto più che una semplice invenzione. Rappresenta tutta la mia vita.»
Tony, per la prima volta in tutti quegli anni, lo ascoltò. Perché stava parlando con lui, suo figlio, non con la proiezione ideale di chi avrebbe voluto vedere in quelle vesti. Lo ascoltò perché in quelle parole riecheggiava l’eco di quelle che aveva pronunciato riguardo a lui, minate dal sospetto che non fossero vere, o che stesse cercando di leggere più del dovuto in quello che in fin dei conti era stato solo un altro progetto.
«Questa è la chiave del futuro,» recitò con decisione, mentre uno zoom sull’Unisfera riempiva l’inquadratura, seguita subito dopo da una del vecchio reattore arc in scala. «Io sono limitato dalla tecnologia dei miei tempi… ma un giorno tu risolverai questo rompicapo. E quando lo farai, potrai cambiare il mondo.»
Pronunciò quelle parole con la stessa, immutata fermezza con cui aveva iniziato a parlare, e Tony avvertì un vuoto esattamente sotto il reattore, il principio un sentimento che gli era estraneo, o che almeno suo padre non gli aveva mai suscitato da quando avesse memoria.
«Quella che ora è, e resterà sempre la mia più grande creazione… sei
tu
Il vuoto si allargò assieme all’accenno di sorriso impacciato che inclinò le labbra di suo padre, e gli colmò il petto dandogli l’impressione di poter fluttuare a un palmo da terra.
Il video si sgranò di colpo, e rimase solo il grigio lampeggiante della pellicola terminata, accompagnato dal sottofondo graffiante dello statico. Tony rimase immobile, quasi temendo che qualsiasi gesto avrebbe potuto far scoppiare il palloncino d’elio che gli si era gonfiato nei polmoni.
«Ok. Anche questo era inaspettato,» mormorò infine, senza sapere bene come reagire a ciò che aveva appena sentito.
Pepper non rispose, la mano ancora stretta tra la sua, probabilmente altrettanto stupita e incerta sul da farsi.
«Non l’ho immaginato, vero?» chiese in fretta, più per riscuoterla che per avviare una vera e propria conversazione su quanto successo.
«No,» lo rassicurò lei, per poi corrugare appena le sopracciglia quasi mettesse in dubbio quella stessa affermazione.
«Ti giuro che il gelato era a posto,» affermò poi, nel debole tentativo di mostrarsi perfettamente padrone di sé, nonostante fosse del tutto consapevole del velo che gli appannava l’occhio.
Pepper sorrise con titubanza, senza rompere il contatto con lui, che d’altronde si era quasi dimenticato di stringerle la mano con quella meccanica. Non seppe se fosse un fatto positivo o meno, ma forse non era il momento giusto per rifletterci.
«Sono… confuso,» asserì dopo un po’, controvoglia.
«Sì, immaginavo,» alzò le spalle Pepper, in un invito a continuare.
«Insomma, ha sempre detto che ero
irrecuperabile…» quella parola rallentò le successive, troppo pesante da pronunciare. «Da dove… da dove salta fuori questa roba?» sbottò, con un secco cenno verso il proiettore.
Non capiva neanche lui se fosse felice per aver ottenuto finalmente una sorta di riconoscimento da parte di suo padre – forse anche di affetto, forse anche un “ti voglio bene” nascosto tra termini tecnici e perifrasi – o se infuriarsi per non averlo sentito da lui stesso quando era ancora in vita.
«Forse era ubriaco. Non sarebbe una novità,» sentenziò poi, brusco, anticipando la replica probabilmente sensata di Pepper.
«Mi sembrava perfettamente sobrio,» ribatté lei, con dolcezza.
Tony si abbandonò a un lungo sospiro, stringendosi la radice del naso tra le dita.
«Anche a me,» ammise, di nuovo con riluttanza.
Tamburellò brevemente sul reattore, senza riuscire a trattenersi, nonostante di solito la presenza di Pepper lo frenasse nel timore di rievocare ricordi spiacevoli. Se fino a cinque minuti prima si era sentito libero, adesso si sentiva quasi un cappio al collo che lo obbligava a guardarsi alle spalle, verso qualcosa che era convinto di aver chiuso definitivamente proprio quella mattina.
«Pep, ti dispiace se… se…» s’interruppe, gesticolando nervoso e sentendosi in colpa a doverle chiedere ancora tempo, perché di tempo non ne aveva e gli sembrava che qualcuno si divertisse anche a sottrarglielo.
Lei sospirò, intuendo il seguito e sembrando quasi offesa, con preoccupazione di Tony.
«Tony, è
normale che tu voglia avere un po’ di tempo per… metabolizzare il tutto,» asserì con suo sollievo, accennando vaga al proiettore. «Vuoi stare da solo?» chiese poi, e Tony si accorse che ancora, per tutto quel tempo, la sua mano aveva continuato a stringere la protesi.
«No,» rispose subito, con fermezza, e prima di continuare cercò i suoi occhi.
Di nuovo, una di quelle parole che non pronunciava mai al momento giusto gli era rimasta incastrata in gola, lottando per rimanere inespressa.
«Rimani,» mormorò poi, vincendo la tentazione di rimanere in silenzio.
Non ebbe bisogno di aggiungere altro, perché gli fu chiaro dagli occhi ora radiosi di Pepper che lei aveva capito tutto ciò che non aveva detto ad alta voce. Come sempre. 
Si districò con delicatezza dalla sua stretta, chinandosi per recuperare il quaderno caduto, giusto per avere qualcosa da guardare mentre rimuginava tra sé. Si lasciò sprofondare nello schienale del divano e Pepper fece lo stesso, leggermente più distante di prima – e se da una parte avrebbe voluto averla più vicina, dall’altra si rendeva conto di aver bisogno dei suoi spazi.
Sfogliò con un misto di forzato distacco e istintiva curiosità il quaderno, cercando di dare un senso al tornado in corso nella sua testa. Leggeva distrattamente, concentrato più sulla grafia, sul modo di scrivere e organizzare le idee, piuttosto che sul significato delle parole e delle formule. Il messaggio di suo padre gli rimbombava in testa, quasi avesse il suo personale proiettore a riprodurlo in loop.
Cosa gli aveva appena voluto dire? Parlava di chiavi per il futuro, ma non gliene aveva lasciata neanche una, se non quella arrugginita dello studiolo.
La sua più grande creazione...
Emise un sospiro scettico e girò quasi con rabbia una pagina, rischiando di strapparla. Si soffermò sul disegno ben curato di un tesseratto, affiancato da formule sconosciute. Aggrottò le sopracciglia e voltò pagina, trovando quelle della fusione a freddo accanto a uno schema semplificato di un reattore. Tornò alla pagina precedente, schiudendo appena la bocca in un moto di sconcerto, per poi raddrizzarsi di scatto, poggiando i gomiti sulle ginocchia e facendo sobbalzare Pepper. Lo chiamò, ma la sua voce gli giunse ovattata e la stanza stessa sembrò perdere i propri contorni.
Si ripensò sul palco della Expo, mentre fissava l’Unisfera, un enorme sole illuminato d’azzurro, cuore della fiera e simbolo del futuro che suo padre aveva agognato senza poter mai raggiungere. Rivide il plastico della Città del Futuro davanti ai suoi occhi, nitido in ogni suo dettaglio. Preciso in ogni suo edificio, parco, sentiero, in ogni albero piantato con studiata intenzionalità.

Come il progetto...”
Il suo sguardo corse allo schema del reattore arc e la sua mano a stringere quello infisso nel suo petto, mentre il respiro gli si fermava in gola.

... di un
altro progetto.”
Click.




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Note Dell'Autrice:

Ma buonasera!
Non avete idea da quanto io aspettassi di scrivere questo capitolo, davvero :')
Ma bando alle ciance: ho fatto un minestrone di full&angst che peggio di così non si poteva, ma spero abbiate gradito, e spero anche che non siate delusi dall'introduzione del filmato di IM2. In realtà era previsto sin dalle origini della storia e, come molte altre "tappe" fissate nell'alba dei tempi con la mia collega MoonRay, ho voluto mantenerla, in quanto mi sembrava fuori luogo scadere in tecnicismi a questo punto della storia. Ho preferito per una soluzione magari banale, ma diritta al punto che mi permettesse di concentrarmi su Tony. E comunque, ne vedremo delle belle...

Ringrazio tantissimo _Atlas_. T612, Emyclarinet e 50ShadesOfLOTSAlways per aver recensito, e tutti coloro che hanno recentemente inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite <3
Grazie di cuore <3

Spero di riuscire ad aggiornare presto... anche se considerando gli avvenimenti del prossimo capitolo infarterò probabilmente durante la stesura... spero di sorprendervi :')
E a proposito di infarti... -3, sappiatelo.
Un caro saluto e a presto,

-Light-

P.S. 
Il finale è una ripresa diretta del Capitolo 2: In Dream, come spero abbiate notato ;)
P.P.S. @Atlas: hai visto che cicisbei, quei due? :'D
   
 
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