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Sometimes you can't make it on your own
"When something's broke
I wanna put a bit of fixin' on it
When something's bored
I wanna put a little exciting on it
If something's low
I wanna put a little high on it
When something's lost
I wanna fight to get it back again"
[The Fixer – Pearl Jam]
13 Maggio, Villa Stark, 16:30
"Sono
uscito. Non preoccuparti: tornerò presto e non
farò stupidaggini.
Tony.”
Pepper,
dopo averlo letto per la quarta volta, accartocciò ancora il
biglietto nel palmo della mano, nello stesso modo in cui il suo
stomaco aveva continuato ad accartocciarsi in una stretta ansiosa da
quando era tornata alla villa. Ansiosa, e decisamente arrabbiata,
anche se cercava di convincersi del contrario e di placare le ondate
furiose che di tanto in tanto prendevano il sopravvento sul suo
raziocinio.
“Non
preoccuparti”,
diceva. Certo, perché preoccuparsi? Dopotutto aveva solo una
gamba e
un braccio meccanico che rendevano un azzardo ogni suo movimento, un
reattore che lo stava uccidendo nel petto, e la sera prima era solo
stato a un passo dal piangere per il dolore ai moncherini.
Perché
mai si
sarebbe dovuta preoccupare nel saperlo a zonzo chissà dove?
Bevve
con rabbia un sorso di tè bollente, incurante di scottarsi,
con la
mano che tremò nonostante gli sforzi di placarla. Aveva
perso il
conto delle chiamate a vuoto che gli aveva fatto, prima di realizzare
che il suo telefono giaceva su un bancone del laboratorio, dove
era scesa in un atto di forza per assicurarsi che le armature
fossero ancora tutte – si era quasi sciolta dal sollievo nel
constatare che fossero al loro posto. Aveva quindi chiamato in
successione Rhodey,
Ian e Kyle, ma nessuno dei tre aveva idea di dove si fosse cacciato
il loro amico, paziente o assistito. Un biglietto sulla porta,
nessuna coordinata precisa e un contorno di vaghezza era tutto
ciò
che Tony si era lasciato alle spalle.
Sapeva
che probabilmente
non stava davvero facendo nulla di pericoloso, almeno per i suoi
standard, e, dopo che Kyle gli aveva detto della licenza, capiva
perfettamente il suo desiderio di uscire
dopo un anno e più
di
reclusione… era il fatto di averla lasciata di punto in
bianco in
una pozza d’angoscia a far uscire di testa lei.
Prese
un grosso respiro per calmarsi, riuscendo solo ad aumentare il
proprio nervosismo, manifesto nel modo in cui picchiettava sul bordo
della tazza. Tentare di fornire una spiegazione per i comportamenti
strampalati di Tony era sempre stato vano, ma aveva sperato che,
visto il contratto di assoluta trasparenza che ormai vigeva tra loro,
si sarebbe sempre degnato di metterla al corrente di ciò che
faceva.
Le riusciva abbastanza complesso definire il loro
rapporto in
quel momento, ma era più che determinata a non lasciare che
omissioni del genere diventassero – di
nuovo
– la norma.
Si
lasciò sprofondare nello schienale morbido del divano,
sentendosi
più esausta che mai: quella situazione iniziava a logorarla.
Gli
impegni alle Industries la tenevano occupata quel tanto che bastava
per non farla impazzire, ma le sembrava di sentir fisicamente
scorrere il tempo in sottofondo, ricordandole di quel limite fissato
ormai a meno di due mesi davanti a sé – a loro.
Non
riusciva a immaginarsi la propria vita senza Tony, e non era una
constatazione legata a ciò che era successo negli ultimi
mesi, ma
piuttosto un qualcosa di cui era diventata intrinsecamente sempre
più
consapevole col passare del tempo. Era stato una costante nella sua
quotidianità per dieci anni, e il solo pensare di perderlo
le
costringeva il respiro. Sarebbe stato come veder svanire
l’orizzonte
da un giorno all’altro: un qualcosa di non vitale ma sempre
presente, costante, tanto interiorizzato da non farci più
caso e
tanto essenziale da non poterne ignorare la scomparsa.
Sentì
le lacrime pizzicarle gli occhi, le ennesime di una lunga serie che
sembrava iniziata quella sera dopo la Expo e che non accennava a
finire, ma le trattenne, asciugandosele accortamente col dorso
dell’indice prima che traboccassero. Non era davvero
così triste
da sentire il bisogno di piangere, e attribuì quel cedimento
alla
stanchezza e alle pochissime ore di sonno. Era stata una nottata
estenuante per entrambi, e in realtà si chiedeva da dove
Tony avesse
preso la forza per uscire. D’altra parte, riusciva sempre a
sorprenderla in quel senso. Si rifiutava di lasciarsi vincere dalla
spossatezza, anche quando era chiaramente insostenibile, e
l’aveva
visto costantemente indaffarato, concedendosi solo poche parentesi
d’inerzia.
Era un fatto positivo e rassicurante, ma volte
avrebbe
voluto dirgli di rallentare e prendersi del tempo per sé,
nonostante
fosse del tutto consapevole che ciò andasse contro ogni
buonsenso, e
che quel desiderio inespresso celasse anche una punta
d’egoismo da
parte propria. Non sarebbe mai tornata indietro sulla sua decisione
di stargli vicino, ma all'atto pratico ciò
accadeva più raramente
di quanto avrebbe voluto – e di quanto di certo avrebbe
voluto lui.
La notte precedente ne aveva avuto una conferma, e ciò non
faceva
che farla sentire più ingabbiata dagli stessi limiti che
percepiva
Tony.
Sapeva che stavano facendo entrambi del loro meglio, ma
sembrava non essere mai abbastanza, per quanto si ripetessero che
fosse così. Stavano
entrando nella paradossale situazione in cui si rendevano pian piano
conto che anche i limiti avevano dei limiti: una soglia di tempo
oltre la quale diventavano impossibili da sopportare e rispettare,
che li spingeva a ignorarli per evitare di implodere. E ciò
diventava sempre più evidente nel modo in cui avevano
iniziato a
cercarsi più spesso e a lungo, nel fatto che Tony riuscisse
a
imbrigliare sempre meglio la sua ansia uscendo dai propri confini e
nel modo in cui lei si trovava a valicare i suoi, con quieta cautela,
e nessuno dei due si sottraeva a quei contatti ormai necessari, ma
spesso rimandati – come la notte prima, con quel “resta”
che non era arrivato da parte di Tony, ma che era sembrato aleggiare
tra loro.
Prima
che potesse addentrarsi in quei pensieri e scivolare nel confuso
subbuglio interiore che iniziava a intrecciarle stomaco e pensieri,
udì
lo scatto della porta, che spezzò di netto quel filo
ingarbugliato.
Balzò in piedi, sentendosi travolgere da un'ondata di
sollievo nel
veder comparire Tony nell'atrio, vivo e tutto intero.
Stava
per rimproverarlo per essere uscito senza dirle nulla e per essere
stato totalmente irreperibile per tutto il giorno, quando si
arrestò
nell’atto di andargli incontro, convinta di star subendo
l’effetto
di un déjà-vu
e che a quell’immagine di Tony si fosse sovrapposta una di
qualche
anno prima. Indossava un completo estivo grigio chiaro, e gli occhiali
scuri gli schermavano il volto senza celare del tutto la sua
espressione scanzonata, né le guance leggermente arrossate
dal sole;
aveva i capelli scarmigliati, come se avesse guidato con la capote
abbassata. Sottobraccio portava una scatola di cartone e con la mano
meccanica impugnava il bastone e i manici di una busta di plastica di
cui non riusciva a intuire il contenuto.
Sembrava... raggiante,
letteralmente, e un ampio sorriso gli attraversò il volto
quando la
vide. Si tolse in modo un po’ goffo gli occhiali,
destreggiandosi
tra i suoi ingombri, e rivelò lo sguardo acceso e le linee
sul suo
volto più distese; persino la sua postura sembrava
più diritta.
Irradiava un'aura di pura felicità, e in quel momento ogni
parola di
rimprovero le morì sulle labbra, perché dopo
così tanto tempo si
trovava finalmente a guardare il Tony che ricordava, ilare e
spensierato. Si trovò semplicemente a sorridere di rimando,
trovandosi a corto di parole e godendosi il sollievo di vederlo
lì
davanti a lei.
«Ehi,
Potts, così mi fa preoccupare,» esordì
Tony, senza smettere di
sorridere, nonostante si intuisse una traccia di colpevolezza tra le
righe.
A
quel punto Pepper si impegnò almeno a tentare di assumere
un’espressione severa. Era abbastanza convinta di star
fallendo
miseramente, a giudicare dall’aria affatto impressionata e
quasi un
po’ da discolo di Tony, che le stava venendo incontro con le
mani
ancora impegnate.
«Niente ramanzina?» proferì, alzando un
sopracciglio. «Neanche un piccolo rimprovero? Niente di
niente?»
insistette, sempre più sorpreso e col sorriso che non
abbandonava le
sue labbra.
«Sembra quasi che ci sperasse,» osservò
lei,
prendendo nota di come Tony avesse accorciato le distanze, rispetto
al solito.
La cosa non poteva che farle piacere. Lui
sfoggiò una smorfia impertinente, inclinandosi ancora verso
di
lei.
«Uno dei miei sport preferiti è farla arrabbiare,
che gusto
c'è se non ci riesco?» sogghignò con
fare esasperante.
«Oh, ci
sei riuscito benissimo,» cambiò tono lei,
accigliandosi.
Tony
imbastì dal nulla la sua solita espressione da cane
bastonato,
appaiandovi però un mezzo sorrisetto speranzoso.
«Ma…?»
la incitò, un po’ impaziente.
«Ma
sono anche contenta.»
«Del fatto che per una volta ho sbrigato
da solo i miei impegni?» accennò allo scatolone
che, notava adesso,
recava impresso il simbolo dello SHIELD.
«Di vederti così,»
replicò lei trattenendo l’impulso di
accostarglisi, sia per non
compromettere il suo equilibrio precario, sia per non turbare
inavvertitamente la bolla di serenità in cui sembrava
immerso.
«Ho
finalmente fatto colpo?» si meravigliò lui.
«È un record, ci sono
voluti solo nove anni,» osservò poi, canzonandola
con quel tono
leggero che l’aveva sempre caratterizzato e che rievocava
ricordi
graditi.
«Dieci.
E smetti di pensare che io abbia occhi solo per te,» lo
rimbeccò
bonaria, stando a quella farsa che ormai risultava un po' obsoleta,
ma che entrambi continuavano ad imbastire per puro diletto.
«Vuoi
forse negarlo?» insinuò lui, improvvisamente
malizioso.
Pepper
finse un sospiro snervato, arrossendo di riflesso e senza alcuna
intenzione di negare quel fatto. Per recuperare un briciolo di
compostezza, visto che essere così vicini non era affatto
d’aiuto,
fece per prendergli lo scatolone da sotto il braccio per alleviargli
il peso.
«Se
vuoi aiutarmi c’è questo; tanto è tutto
per te,» disse lui in
fretta e con sottile impaccio, interponendo la busta tra loro.
Pepper
ne afferrò di riflesso i manici, per poi sbirciare
incuriosita
all’interno e identificare, con un enorme sorriso, una
voluminosa
vaschetta di gelato.
«Solo
per me, dici?» chiese conferma, stimando che là
dentro ci fossero
almeno un chilo di calorie e zuccheri.
Tony
fece un sorriso un po’ storto, di un bambino sorpreso con le
mani
nella marmellata.
«Principalmente
per te,» specificò, con un indiscutibile sguardo
goloso alla
vaschetta. «Me l'ero preparato per farmi perdonare, ma se non
c'è
bisogno lo tengo per me…» suggerì,
facendo per riprendersi il
pensiero, che Pepper tenne prontamente fuori dalla sua portata, per
poi muovere un paio di passi verso la cucina.
«Ce
n’è decisamente bisogno,» lo prese in
giro, voltandogli poi le
spalle.
Sentì
il cuore leggero mentre camminava, e si chiese quando fosse stata
l’ultima volta che aveva provato una sensazione
così spensierata e
genuina. C’erano state troppe ombre a oscurarli, ultimamente,
e la
semplice possibilità di ritagliarsi un siparietto scherzoso
e privo
di fardelli le dava l’impressione di poter escludere dalla
mente
tutto il resto, se anche per pochi minuti.
«Nocciola
per te, caffè per me,» elencò nel
frattempo Tony, tenendole dietro
con passo claudicante ma vivace, dopo aver poggiato la scatola sul
divano. «Ero tentato dalla fragola, ma qualcosa mi ha detto
che era
meglio di no,» aggiunse, furbetto.
«Meno
male,» commentò lei, con un’occhiata
eloquente.
«Ero
molto
tentato.»
«Allora
apprezzo il tuo insolito autocontrollo.»
«Vorrà
dire che dovrò trovare altri modi per irritarti,»
concluse, con un
sorrisetto dispettoso.
A
quel punto la superò, le sottrasse la vaschetta con
inaspettata
agilità e le schioccò con assoluta naturalezza un
improvviso bacio
sulla guancia, per poi squagliarsela in cucina, lasciandola ad
avvampare nel salone piacevolmente sorpresa. Quasi inchiodò
sul
posto, chiedendosi se quel giorno non stesse avendo delle
allucinazioni dettate dallo stress. Appena la notte scorsa aveva
visto Tony dover fare appello a tutto il suo autocontrollo anche solo
per avvicinarsi a lei senza essere colto dall’ansia
ingiustificata
che lo divorava, e qualche ora prima aveva temuto che andasse in
autocombustione per la vergogna per quell’innocuo incidente
mattutino. E adesso le sembrava di aver a che fare col solito Tony
scherzosamente impudente e disinvolto, con l’aggiunta di
tutto ciò
che si erano detti – e non detti – in quei mesi e
che trapelava
dagli sguardi e dai gesti che si scambiavano.
Si
chiese fugacemente se dovesse preoccuparsi, per poi realizzare che la
risposta a quella domanda, nella loro situazione, rimaneva per forza
di cose immutata. Scacciò quei pensieri dalla testa: almeno
per quel
giorno voleva fingere anche lei che andasse tutto bene, visto che
Tony sembrava più incline del solito a fare lo stesso.
Quando
entrò in cucina, lo sorprese a cacciarsi una
gran cucchiaiata di
gelato in bocca direttamente dalla vaschetta, e non poté
trattenere
un sorriso nel vedere la buffa espressione colpevole che fece nel
vederla, affrettandosi a deglutire di colpo.
«Non
ti ho aspettata, si stava sciogliendo,» bofonchiò
a mo' di scusa,
sopprimendo un sobbalzo per l’evidente fitta da gelo che
l’aveva
attraversato.
Le
porse la coppetta in cui aveva già versato la sua porzione,
per poi
riempire la sua e abbandonare l’assalto barbaro alla
vaschetta. Pepper
ringraziò con un cenno del capo, per poi esitare sul posto,
indecisa
se rimanere in piedi o sedersi al tavolo, e Tony sembrò alle
prese
con lo stesso dubbio; e anche abbastanza nervosamente, a giudicare
dal modo in cui portò una mano a controllare la benda, un
tic che lo
tradiva puntualmente. Decise di rompere lei gli indugi: prese posto
su una delle sedie e lo tirò dolcemente per la manica,
badando a
scegliere il lato sano e invitandolo a sedersi accanto a lei. Tony
non si sottrasse e la assecondò subito con evidente
sollievo,
inclinando appena un angolo delle labbra verso l’alto.
Sfuggì
comunque il suo sguardo, abbassando le ciglia scure a schermare il
proprio.
Rimasero
in silenzio per un minuto buono, gomito a gomito mentre gustavano il
gelato, quasi in attesa del passo successivo da parte di uno dei due.
Pepper stava tenacemente cercando di ignorare il suo cuore che aveva
preso a battere in modo più rapido e sonoro da quando era
entrata
nella stanza, e aveva l’impressione che anche Tony fosse alle
prese
con le stesse difficoltà, neanche fossero stati due
ragazzini al
primo appuntamento. Anche se a dirla tutta avevano avuto ben pochi
momenti che potessero essere definiti “normali”, o
anche solo
quotidiani: quella era una novità, e al contempo non
lo era,
perché riusciva a ricordare infinite altre occasioni in cui
avevano
mangiato allo stesso tavolo negli ultimi dieci anni. Adesso
però era
diverso, e lo sapevano entrambi.
Pepper
ripulì la propria coppetta, adocchiando di riflesso il resto
del
gelato, e Tony intercettò il gesto con aria divertita,
servendo
subito un’altra generosa cucchiaiata di dolce a entrambi.
«Piace?»
chiese, già certo della risposta.
«Molto.
Grazie,» sorrise lei, contenta di sentire la tensione che di
solito
si instaurava tra loro allentarsi a poco a poco. «Dove
l’hai
preso?» indagò poi, cercando di porre la domanda
nel modo più
casuale possibile, attenta a non turbare la quiete.
«Uh,
in giro…» replicò prevedibilmente lui,
altrettanto disinvolto e
poco convincente.
Pepper
non insistette, sapendo che, prima o poi, Tony le avrebbe comunque
rivelato dove fosse andato quella mattina. Aveva imparato a
lasciargli spazio e tempo, sotto quel punto di vista: da quando aveva
fatto voto di sincerità assoluta con lei, non
l’aveva ancora mai
infranto, dimostrandole di essere degno di fiducia a dispetto di
tutto – nonostante quel giorno ci fosse andato molto, molto
vicino. Forse teneva per sé più di un dettaglio
spiacevole riguardo
alle sue condizioni, ma non le servivano parole per intuirlo, e
capiva perfettamente quella sua reticenza. Per ora era contenta anche
solo di vederlo mangiare con gusto dopo settimane di inappetenza
quasi totale, oltre che nel notare il suo colorito un po’
più
roseo e acceso dal sole; anche le venature scure che di solito
facevano capolino dal suo colletto si erano ritratte, e
intuì che
avesse assunto il dilitio, che forse contribuiva al suo umore
positivo.
Si
accorse di essersi distratta, e che un po’ del suo gelato si
era
sciolto mentre giocherellava senza mangiarlo; camuffò quella
deriva
ostentando naturalezza, ma era certo che Tony l’avesse
comunque
notata, a conferma che anche a lui spesso bastavano quei non detti
per comprenderla.
«Ho
fatto buon uso della mia ora di libertà,»
scherzò in quel mentre,
riprendendo il discorso e illuminandosi al contempo.
«Kyle
mi ha detto della licenza,» replicò lei, senza
trattenere un ampio
sorriso e trasmettendogli tutta la gioia che era stata
soffocata dalla preoccupazione fino al suo ritorno.
Il
volto di Tony si atteggiò in un’espressione
scaltra,
assottigliando lo sguardo e sollevando un angolo delle labbra in un
sorrisetto obliquo.
«Alla
fine ho vinto io, ovviamente,»
affermò, facendo poi cozzare la propria coppetta contro la
sua in un
brindisi improvvisato. «Alla faccia di Stern,»
sogghignò
compiaciuto.
«E
di Knight,» lo assecondò Pepper, rivolgendo
però mentalmente il
brindisi a Tony e a quella sua ennesima vittoria.
Lui
sembrò soddisfatto e suggellò il rito finendo in
un sol boccone il
gelato restante.
«Comunque,
ti saluta Agente,» proferì, senza preavviso.
«Intendi
Phil?» chiese conferma lei, perplessa da
quell’informazione
inaspettata.
«Intendo
Agente,»
replicò testardo, facendola sorridere appena.
«L’hai
incontrato?» la prese alla larga, permettendogli di arrivare
con
calma al punto.
«Mh-hm.
Avevo del materiale per lui, e lui per me. Tutta roba di mio
padre,»
specificò, accennando al salotto in cui aveva lasciato lo
scatolone.
Pepper
trovò strano quell’insolita disinvoltura nel
parlare di Howard,
quando solitamente il solo menzionarlo portava un cipiglio
inconfondibile sul suo volto, un qualcosa a metà strada tra
il
risentimento, la colpevolezza e una peculiare forma d'orgoglio.
«Dallo
studio?» chiese semplicemente.
«Dallo
stanzino inutile,» la corresse lui, ancora privo
d’inflessione. «E
dagli archivi dello SHIELD che hai contribuito a
digitalizzare,»
concluse, con un lieve sbuffo divertito.
«Almeno
è servito a qualcosa,» alzò le spalle
lei, accigliandosi appena
senza volerlo.
«Adesso
hanno altro lavoro da sbrigare grazie a me; per fortuna che si
è
licenziata, signorina Potts,» la punzecchiò, senza
malizia e con un
sottotono di sollievo per quella parentesi relegata in un passato che
sembrava ormai molto remoto.
Pepper
si limitò a sorridergli, concordando silenziosamente sul
fatto di
aver preso una delle decisioni più giuste degli ultimi anni,
nel
tornare lì con lui.
«Ci siamo visti a Santa Monica. C’era
anche Nat,»
continuò quindi Tony, in
modo sconnesso e un po’ frettoloso, come a far passare in
sordina
quell’ultima informazione senza volerla davvero nascondere.
Era
fatto così: non si sarebbe esposto direttamente per niente
al mondo,
ma forniva sempre appigli agli altri per invitarlo ad aprirsi, come
se temesse di farlo in modo spontaneo. Pepper
attese ancora qualche istante prima di rispondere, osservando Tony
che rigirava il cucchiaino nella coppetta ormai vuota, senza
aggiungere altro, ma anche senza cambiare argomento.
«Come
mai a Santa Monica?» si decise a chiedere, osservando attenta
la sua
reazione.
«Avevo
voglia di un po’ d’aria di mare,» rispose
subito lui,
apparentemente leggero.
A
Pepper bastò rivolgere un’eloquente occhiata al
Pacifico che si
stagliava all’orizzonte oltre la penisola della cucina per
confutare
quella bugia che, ne era certa, aveva intenzionalmente reso
così
fragile per innescare in lei proprio quella reazione: una bugia
trasparente per essere smascherato e messo nella condizione di non
poterle dire altro che la verità. I processi mentali di Tony
erano
di certo convoluti, ma ormai aveva abbastanza dimestichezza da
riuscire a seguirli e comprendere quasi a colpo sicuro.
Sotto
il peso del suo sguardo, Tony s’incurvò sul tavolo
con la testa
chinata in avanti, prendendo a ticchettare col manico del cucchiaino
sul fondo della coppetta.
«Sono
passato al Woodlawn Memorial,» mormorò, senza
articolare
chiaramente le parole, e Pepper trovò così
conferma delle sue prime
supposizioni. «Ho
fatto un saluto ai miei,» scrollò le spalle poi,
continuando a
tenere lo sguardo puntato sulla posata.
Pepper
esitò, incerta su come reagire. Tony detestava la
compassione
gratuita, questo le era ormai molto chiaro: confortarlo non sarebbe
stato appropriato, soprattutto perché non le sembrava
affatto
triste, solo comprensibilmente pensoso nel menzionare la visita ai
genitori. Non aveva neanche bisogno di chiedergli perché ci
fosse
andato proprio adesso: le confessioni di quella notte le avevano
lasciato intendere che ultimamente spendesse molto tempo a rimuginare
sul suo passato, soprattutto familiare. E adesso che di tempo ne
aveva poco – si impose di respirare – capiva quel
desiderio di
volerlo sfruttare al meglio per sanare vecchie ferite.
Così
non disse nulla, e gli posò invece una mano leggera sul
braccio, in
una carezza appena accennata. Tony si irrigidì, in un
riflesso
condizionato, ma non si scostò e sembrò
interpretarla come uno
sprone, perché proseguì a voce un po’
più piena e ferma:
«Non
ci ero mai andato e…» strinse le labbra,
scegliendo le parole
successive. «Ho… colto
l’attimo,» concluse, con un mezzo
sorriso tinto di mestizia.
«E
adesso come stai?» indagò lei, distogliendolo da
quella linea di
pensieri che, come la sua, si infrangeva contro un muro invisibile e
sempre più vicino.
«Bene,»
rispose lui di getto, annuendo appena a rafforzare
quell’affermazione. «Davvero, non stavo
così bene da… da
molto,» concluse, abbassando lo sguardo, e con quella
semplice frase
esternò molto più di quanto avesse effettivamente
detto.
«Allora
direi che è stata un’ora di libertà
molto produttiva,» concluse
lei, riportandoli su toni più leggeri e strappandogli uno
sbuffo
divertito.
«Già…
e ho anche vinto un regalo da Monocolo,» si
rianimò con un
sogghigno, deviando definitivamente dal discorso, o forse rimanendovi
solo in parallelo, considerando che anche quella scatola era legata
ad Howard.
«Cosa
c’è dentro?»
s’incuriosì lei
«Non
lo so, non l’ho ancora aperta,» replicò
lui, corrugando le
sopracciglia con fare incerto. «Magari potremmo…
uh…»
s’interruppe mordendosi il labbro, un gesto di estremo
nervosismo
che raramente lo intaccava.
Pepper
intuì quello che voleva chiederle e gli sfiorò le
nocche,
catturando la sua attenzione e il suo sguardo.
«Sei
sicuro?» gli chiese, un po’ titubante per quella
richiesta
gradita, ma forse poco pensata da parte sua.
Si
trattava pur sempre di una parte estremamente delicata della sua
vita, e voleva dargli la possibilità di ritrattare la
proposta.
«Quella
chiave è ancora valida,» replicò invece
lui, senza esitare, e
Pepper decise che la migliore risposta a quell’affermazione
fosse un rapido bacio sulla guancia.
Tony
sembrò concordare.
***
Pepper
era sicura che Tony avesse rimpianto amaramente la
propria
decisione nel momento stesso in cui sollevò il coperchio
dello scatolone, rivelando come prima cosa la copertina di un album
fotografico col suo nome sopra. Le scoccò
un’occhiata
che
rasentava il panico, per poi borbottare con indifferenza molto mal
riuscita un “oh, ecco dov’era finito”,
senza per questo
manifestare la minima intenzione di aprirlo. Pepper, invece, represse a
fatica la propria curiosità: a dispetto del suo
ego
notevole, le foto di Tony in contesti non pubblici si contavano sulle
dita di una mano, e anche la Villa ne era completamente spoglia,
preferendovi dei quadri impersonali scelti da lei. L’unica
superstite
–
un’istantanea sua e del padre per commemorare la costruzione
di
Dum-E – giaceva in laboratorio, e l’aveva vista
più spesso nel
cestino della spazzatura che sulla scrivania, nonostante non
l’avesse
mai gettata via in modo definitivo. Si era comunque trattenuta dal
commentare o lasciar trapelare il proprio interesse per evitare di
irritare un tasto già abbastanza sensibile; ma, con sua
sorpresa,
Tony afferrò infine l’album, per poi porgerlo a
lei
senza
esitazioni e continuare l’ispezione della scatola.
«Divertiti,» disse, con leggerezza un po’
forzata. «Non ho
idea di cosa
potresti trovare là dentro: fammi solo sapere se posso
guardarlo
senza avere un infarto per l’imbarazzo,»
continuò in
fretta, prendendo a sfogliare con interesse ben più vivo un
bloc-notes malridotto.
Sotto
quella patina d’indifferenza, poteva quasi vedere il suo
cuore
battere in modo irregolare sotto la maglietta, e la presa
particolarmente salda delle sue dita sulla carta ingiallita
confermava la tensione dell’uomo di fronte a quella scoperta
inaspettata. Considerò comunque positivo il fatto che le
avesse dato
ancora una volta fiducia in quell’aspetto, e gli si sedette
accanto
sul divano, sfogliando quietamente l’album mentre lui si
barcamenava tra scartoffie, altre foto sparse e ammennicoli vari
stipati in quello spazio ridotto. La sua espressione si era fatta
adesso indecifrabile, assorta nei molti quaderni d’appunti
che
sembrava quasi riluttante ad esaminare, nonostante la cura con cui li
maneggiava tradisse il suo interesse.
Pepper,
dal canto suo, si trovò a sorridere intenerita di fronte
alle
foto
d’infanzia di Tony, comunque un numero molto ridotto.
Già da
bambino sfoggiava un’aria impertinente, appaiata a quel suo
sorrisetto da scavezzacollo rimasto pressoché immutato e
che, come
ebbe modo di scoprire, coincideva con quello di Howard in una delle
loro rare foto insieme. Anche con Maria ne aveva a malapena un paio:
nella maggior parte degli scatti era da solo, impegnato a trafficare
in laboratorio o in attività decisamente scapestrate. Quasi
tutte
arrivavano fino ai cinque o sei anni: dopodiché ce
n’erano
pochissime, scattate apparentemente a distanza di parecchio tempo
l’una dall’altra, segnando in modo netto il
passaggio da bambino
a ragazzo a giovane adulto. Il perché le sovvenne in ritardo
e con
una punta di tristezza, ricordandosi di qualche accenno di Tony al
collegio in cui Howard l’aveva spedito fino
all’università, che
per lui era arrivata comunque troppo presto. Si soffermò su
una
delle foto relativamente più recenti: un Tony appena
diciottenne,
vestito di tutto punto in un completo scuro, che guardava
l’obbiettivo
con lo sguardo schivo di chi è stato colto di sorpresa.
C’era un
qualcosa, in quella foto, che non collimava con l’uomo che
aveva
imparato a conoscere, e che si distaccava dal bambino che aveva appena
visto crescere in quelle pagine. Dai suoi occhi scuri traspariva una
sorta di ritrosia che prima non esisteva e che poi non era
sopravvissuta: era immortalata unicamente in quella fase di passaggio
in cui Tony sembrava ancora indeciso su chi dovesse diventare; solo
un ragazzo stretto in abiti adulti.
Si
girò a guardarlo e lo colse con un’ombra di quella
stessa
espressione a offuscargli i tratti mentre osservava un’altra
foto:
dalla superficie lucida sorrideva dolcemente Maria, col volto
incorniciato dal velo nuziale e roselline bianche intrecciate ai
capelli; accanto intravedeva Howard in smoking, coi capelli ancora
corvini e il volto disteso e
solare nell’ammirare la sua sposa. Tony si accorse di essere
osservato e infilò di scatto la diapositiva nella piccola
risma del
matrimonio dei suoi, per poi riporle sul fondo della scatola evitando
il suo sguardo.
«Non
sapevo esistessero,» proferì a mezza voce, quasi a
scusarsi, per
poi aggrottare le sopracciglia. «E non capisco
perché fossero allo
SHIELD tra documenti criptati e file top secret,» aggiunse,
con una
punta di confuso fastidio.
«Magari
neanche a lui piaceva passare per nostalgico,»
ipotizzò Pepper,
quasi senza pensare, e quel commento spontaneo portò un
piccolo
sorriso sul volto di Tony.
«Touché,»
ammise senza risentirsi.
Passò
a sfogliare un altro mazzetto di foto in bianco e nero, stavolta
accostandosi un poco a lei, in un discreto invito a guardarle insieme
che Pepper accettò di buon grado, sia per il gesto che per
la
vicinanza. Erano scatti alla rinfusa del dopoguerra e del periodo
immediatamente precedente, raccolti senza ordine o logica; Tony ne
mise da parte uno in cui si vedevano Howard, Rogers e Peggy in una
caserma durante una pausa dai combattimenti, ma per il resto non si
soffermò su nessuno di essi, finché Pepper non lo
fermò d’istinto
prima che potesse passare a quello successivo.
«Questo
è...» Pepper prese con delicatezza la foto e la
avvicinò agli
occhi, «Un fenicottero?» concluse incredula.
Tony
inclinò la testa per vedere meglio e ridacchiò,
altrettanto stupito
nel riconoscere la sagoma dell’animale sporgere dalla berlina
di
suo padre.
«Puoi
rinfacciarmi tutto, ma almeno io
non ti ho mai portato animali molesti a casa,»
sottolineò,
sogghignando sotto i baffi.
«Ti
ricordo che a quel meeting a Bombay sei stato a un passo
dall'acquistare un elefante,» commentò Pepper,
facendo uno sforzo
per non sbottare a ridere anche lei.
«Perché
sapevo di poter contare sul tuo buonsenso nel dissuadermi,»
replicò
pronto lui, salvando come sempre la faccia e sfoggiando un sorrisetto
storto e soddisfatto.
Pepper
lo paragonò a quello di Howard in foto, evidentemente
altrettanto
compiaciuto per quell’acquisto esotico, che strideva con le
descrizioni che Tony faceva di quell’uomo austero e
intransigente.
«Gli
somigli molto,» commentò sovrappensiero,
rendendosi conto in
ritardo della propria indelicatezza.
«A
chi? Al fenicottero?» sbuffò invece lui, con
un’espressione
talmente torva da risultare comica ma senz’ombra di
risentimento.
Pepper
scosse la testa, ma lasciò accortamente cadere
l’argomento. Tony
riprese a frugare a tentoni nello scatolone ormai vuoto, e quasi la
fece sobbalzare quando emise un fischio prolungato
nell’estrarre
gli ultimi oggetti: due “pizze” di pellicola con la
custodia
metallica un po’ ammaccata, sulla quale Tony stava
picchiettando
con l’indice metallico.
«1958…
1974?» lesse poi sulla targhetta ingiallita delle rispettive
bobine,
alzando un sopracciglio scettico. «Speriamo che non ci sia
nulla di
troppo scandaloso,» borbottò tra sé,
storcendo la bocca.
«In
che senso?» s’interessò Pepper,
inclinando il capo per vederle
meglio.
«Beh,
i miei si sono conosciuti nel '61 e prima di lei mio padre era...
come dire?» S'interruppe, pensoso. «Diciamo solo
che ho ereditato
da lui l'estrema debolezza per il gentil sesso e lo scarso senso del
pudore,» concluse con una smorfia indecisa tra l'orgoglio e
lo
scherno.
Pepper
arrossì, improvvisamente molto riluttante a proiettare quel
filmato.
«Forse
è meglio se lo guardi in privato,»
suggerì, sperando che non lo
interpretasse come ironia.
«Andiamo,
signorina Potts, ha visto sicuramente di peggio,»
ribatté però
lui, con un sogghigno.
«Fortunatamente
no, signor Stark, anche se nel corso degli anni ha lasciato molto
poco
all'immaginazione,» stette al gioco lei, leggermente stupita
da quel
suo fare disinibito.
«Internet
pullula già da anni di miei video "compromettenti", mi
vuole dire che non ne ha mai sbirciato neanche uno?» la
punzecchiò
lui con la sua migliore faccia da schiaffi.
«Ho
molto più rispetto per la sua privacy di quanto ne abbia lei
stesso,» gli fece notare, con altrettanta spensieratezza e
una punta
d’imbarazzo inspiegabilmente piacevole che le
pizzicò lo stomaco.
«Ammiro
la sua forza di volontà,» commentò lui,
con aria sorniona. «A
ruoli invertiti non credo che saprei resistere
a–..»
Pepper
sfogliò rapida l'album rimasto aperto sulle sue ginocchia,
piantandoglielo poi a un palmo dal naso.
«Attento
a quello che dici, o questa
potrebbe diventare virale,» lo ammonì, con finta
severità.
Tony
seguì il suo indice puntato su una sua foto sbiadita e
avvampò:
doveva aver avuto tre o quattro anni e indossava una tutina di
Capitan America mentre sventolava tutto felice uno scudo di plastica
a stelle e strisce.
«A
mia discolpa, ero giovane e ingenuo, ed è stato mio
padre
a costringermi,»
sottolineò con veemenza.
«Avevi
proprio l'aria di chi è stato costretto,» lo
provocò lei, con un
sorrisino un po' perfido, accennando al suo volto inconfutabilmente
disteso in una risata infantile.
«Uno
a zero per te,» concesse lui, sfilandole rapido l'album di
mano e
richiudendolo con uno schiocco per evitare altre scoperte nefaste.
Si
resero entrambi conto di essersi avvicinati nel corso della
discussione, con Tony col busto inclinato verso di lei e Pepper col
viso rivolto a lui; gli occhi di entrambi si posarono fugaci sulle
labbra
dell’altro, in un invito reciproco e inespresso che
però esitarono
entrambi ad assecondare, lasciandolo a perdersi a metà
strada tra
loro. Tony recuperò distanza per primo e si
schiarì piano la gola,
le mani strette sulle pellicole.
«Allora,
vogliamo svelare il mistero?» proferì poi,
rompendo il silenzio
elettrico che si era instaurato tra loro.
«Direi
di sì,» concordò subito lei, imitandolo
con lieve e, immaginò,
mutuo rammarico.
Tony
recuperò il bastone e si alzò rapido in piedi, e,
prima che Pepper
potesse aggiungere altro, si era già allontanato alla
ricerca di un
proiettore.
***
Nel
giro di mezz'ora, dopo aver recuperato e rimesso in sesto un
antiquato proiettore e aver spostato il divanetto in laboratorio di
fronte a una parete libera, riuscirono a far partire il primo
filmato. Tony smise di trafficare con la pellicola, che per ora era
muta e stava mostrando quelle che sembravano delle riprese
paesaggistiche: campagna assolata, una strada costiera, una scogliera
rossastra a picco sul mare...
«Sembra...»
esordì Pepper, assottigliando gli occhi dalla sua postazione
accoccolata contro il
bracciolo.
«…
Malibu Point,» completò Tony, con
l’entusiasmo che gli scendeva
sotto i tacchi. «Prima della villa. Ci aspettano circa venti
minuti
di emozionanti sopralluoghi edili,» sospirò
deluso,
e si scostò
dall'apparecchio in funzione, pur continuando a seguire il video con
scarso interesse.
Ovviamente si sentiva legato a quel luogo, ma
rimaneva comunque un progetto di suo padre. Quando
era in vita, la villa era arredata in modo ben più sobrio e
gli spazi
erano
molto più contenuti e opprimenti, simili alla loro vecchia
magione a
Long Island nonostante fosse la loro casa estiva. Era come se suo
padre non fosse riuscito a staccarsi dall'epoca del dopoguerra: ne
risultava un'atmosfera antiquata e stantia che stonava con
l'architettura ultramoderna degli esterni. Dopo l'incidente del '91,
una delle prime cose che aveva fatto era stato vendere la vecchia
casa e stravolgere la planimetria di Villa Stark, eliminando
qualsiasi traccia dei suoi e mantenendo solo quel famoso studiolo,
rimasto cristallizzato agli anni '60.
Fissò
le immagini che si susseguivano di fronte a lui, a tratti ondeggianti
e sfocate, probabilmente riprese da suo padre stesso. Cacciò
la mano
meccanica in tasca, tirando le labbra e sentendo un improvviso e
sordo pulsare al petto, in controtempo col proprio cuore, come un
mantice che gli comprimeva ritmicamente la cassa toracica. Erano
ondate di rabbia, realizzò dopo qualche istante, una rabbia
densa e
inconcludente che gli rubava il respiro.
Si sentiva raggirato. Da suo
padre, dallo SHIELD, dalla fievole speranza che aveva ingenuamente
coltivato nel vedersi davanti una strada ancora inesplorata che
avrebbe potuto salvarlo. Gli appunti di suo padre, che aveva cercato
così a lungo nel suo studio, non erano altro che carta
straccia, quel
filmato era assolutamente inutile e l’album e le foto
ritrovati non
avrebbero arrestato l’avanzata del palladio. Aveva preso atto
della
propria morte quasi certa mesi prima, ma ogni volta il pensiero gli
causava un senso di vertigine, e ad ogni riconferma si sentiva sempre
più inadeguato, come se tutte le conoscenze acquisite in una
vita
intera gli fossero venute meno, o fossero diventate superflue.
«Tony?»
La
voce di Pepper fu un’ancora per i suoi pensieri. La accolse
con
sollievo, lasciando che la paura gli scorresse addosso senza
annegarlo.
«Tutto
bene?» continuò la donna, e nel voltarsi Tony
prese subito atto
della linea preoccupata che le solcava la fronte, unita alle mani
strette tra loro a frenarsi.
Meditò
se mentirle, come sempre, e come sempre represse la tentazione.
«Più
o meno,» bofonchiò, scuotendo appena il capo.
«Non era quel che mi
aspettavo,» aggiunse, puntando il bastone verso il proiettore.
«Che
ti aspettavi?» indagò lei, leggermente confusa.
«Una
soluzione,» rispose di getto lui, fissando il pavimento.
Intravide
il suo sguardo intristirsi e si sentì colpevole
d’aver rovinato
una giornata partita nel migliore dei modi.
Sospirò
con un tremito nelle spalle, osservando quelle noiose immagini che si
rincorrevano sulla parete. In fin dei conti, anche dei filmati
imbarazzanti di suo padre gli sarebbero andati bene, se non altro per
farsi due risate e vedere Pepper tramutarsi in un vero e proprio
peperone, soprattutto in un momento in cui stava quasi riuscendo a
dimenticarsi del proprio corpo e di quanto lo detestasse. In
realtà
si era trovato a voler superare quelle barriere tra loro più
di una
volta da quando aveva rimesso piede a casa, ma temeva che un cambio
d’atteggiamento così repentino potesse metterla in
difficoltà, o
apparire strano, o inspiegabile. Non riusciva a spiegarselo davvero
nemmeno lui, ma dalla sera prima si sentiva più leggero di
qualche
tonnellata, e dopo la visita al cimitero gli sembrava di aver messo a
tacere un bisbiglio fastidioso che non si era mai accorto di avere
costantemente nell’orecchio. Sapeva che probabilmente avrebbe
solo
dovuto lasciarsi andare, ma temeva dove sarebbero potuti arrivare se
l’avesse fatto davvero. E non era assolutamente sicuro se
ciò che
voleva coincidesse con ciò che voleva il suo corpo, e
soprattutto
con ciò che voleva Pepper. Era di certo in grado di fermarsi
e
capirlo al momento, ma dubitava che poi avrebbe mai più
avuto il
coraggio di guardarla negli occhi. Ma ciò che più
lo terrorizzava,
troncando sul nascere ogni suo gesto, era che lei lo accettasse
spinta dalla mera paura di perderlo; ed era per quella stessa paura che
anche lui temeva di accelerare involontariamente i tempi.
La
guardò di sottecchi, seduta sul divano con le gambe raccolte
sotto
di lei, intenta a seguire pigramente il filmato e osservandolo in
realtà a sua volta, e si sentì battere il cuore
nello stomaco. Il
braccio meccanico sembrò farsi più pesante, quasi
ad ancorarlo a
terra per prevenire gesti avventati, ma si costrinse comunque a
raggiungerla, diviso tra il desiderio di starle vicino, di lei, e di
starle allo stesso tempo lontano.
Nel
passare accanto allo scatolone ne pescò fuori il quaderno
più
voluminoso, per poi sprofondare nel divano e prendere a sfogliarlo,
del tutto disinteressato alle immagini sgranate che scorrevano sulla
parete e fingendo di esserlo altrettanto nei confronti di Pepper.
Anche lei guardava un po' distrattamente il filmato e si accorse che
lanciava occhiate incuriosite al quaderno. Senza dir nulla
scivolò
vicino a lei, assecondando discretamente quell’impulso e
inclinando
le pagine in modo che potesse vederle. Colse la sua espressione
smarrita quando si trovò davanti le miriadi di formule,
schemi e
complessi grafici che riempivano le pagine e le rivolse un
sorrisetto.
«Ti
assicuro che non è così difficile come
sembra,» disse, tentando di
ricomporsi e allo stesso tempo di recuperare il suo buonumore.
«Ti
credo sulla parola,» mormorò lei, poggiando il
mento sulla sua
spalla.
Lui
si irrigidì appena di riflesso, ma quando lei fece per
ritrarsi la
trattenne sfiorandole la guancia con le dita, senza guardarla
direttamente e affondando invece lo sguardo nelle linee
d’inchiostro
davanti a lui. Due paure gli paralizzavano i pensieri, ma una era ben
più potente, ed era la stessa che l’aveva spinto
ad affrontare e
vincere quelle più piccole. L’aveva già
provata in Afghanistan:
era la paura di morire che lo spingeva a vivere con ogni mezzo
possibile, che fosse un’armatura per liberarsi o un bacio
rincorso
per anni. Si
rilassò con la testa poggiata contro la sua, respirando il
profumo
dei suoi capelli e desiderando inconsciamente che fossero sciolti,
invece che raccolti nel solito chignon.
«La
cosa più difficile è capire la sua
grafia,» continuò a voce più
bassa, a vincere il lieve imbarazzo di entrambi. «Sto andando
a
intuito.»
«È
uguale alla tua,» gli fece notare sottovoce lei, senza
traccia di
malizia e accostandosi di nuovo a lui, il naso affondato nella sua
spalla; Tony adesso avvertiva il suo respiro, e represse un brivido a
quel lieve calore che gli solleticava la pelle.
«Per
questo mi irrita,» sbuffò, con voce appena
contratta, prima di
sprofondare in un silenzio concentrato solo apparentemente sugli
appunti e intimamente su di lei.
Sorrise
appena, godendosi quel contatto così spontaneo che per una
volta non
gli provocò alcuna ansia. Sentì solo un altro
piccolo vuoto allo
stomaco, piacevole e discreto, ben diverso da quello angoscioso a cui
si era abituato. Il fatto che Pepper fosse a contatto con il suo lato
sano e che lui indossasse la benda erano un grosso aiuto e incentivo,
ma si
trovò a pensare, o forse a sperare, che a lei non avrebbe
comunque
fatto alcuna differenza.
La
guardò di sottecchi e la vide a sua volta tranquilla,
rilassata
contro il suo corpo e come lui in quieta attesa, adesso con la fronte
contro il suo collo e il respiro che continuava ad accarezzargli la
pelle. Lasciò scivolare la mano a cingerle i fianchi, in
una lieve
carezza che lei assecondò, portando a sua volta le dita a
sfiorargli
l’addome, facendovi poi aderire il palmo. Si scambiarono
un’occhiata fugace che diventò subito uno sguardo
prolungato,
consapevoli di non essere mai stati così vicini, o almeno
non in
quel
modo.
Quello era un preludio, un cercarsi esitante che prima o poi li
avrebbe inevitabilmente portati a trovarsi. Per ora trovò le
sue
labbra, dolci e schiuse contro le sue, un invito a rincorrerle con
impeto per fondersi con loro. Si scostò appena per poterla
guardare
un istante e lei fece lo stesso, entrambi rapiti, per poi perdersi
in un nuovo bacio più lento e delicato, metodico, come a
rivendicare
per loro quel tempo che sentivano di non avere.
S’interruppero
con un lieve sobbalzo nell’udire il sonoro scatto del
proiettore
che cambiava bobina, preparandosi a proiettare la seconda; Tony si
accigliò appena, con un sospiro un po’ seccato, ma
si rasserenò
nel vedere il sorriso di Pepper, messo ancor più in evidenza
dalle
guance leggermente arrossate.
«Elimino
il disturbo,» annunciò quindi scherzoso, con un
cenno verso
l’apparecchio molesto e una sicurezza che era ben
più instabile di
quanto ostentasse.
Stava
per fare leva sul bastone per alzarsi e colse Pepper che cercava di
anticiparlo per evitargli il tragitto, ma si paralizzò sul
posto nel
vedere il primo fotogramma della nuova pellicola, con la netta
impressione del proprio respiro che si congelava nel petto; il
quaderno cadde a terra con un tonfo.
Un
modellino del vecchio reattore arc spiccava in primo piano.
«Aspetta!»
fermò Pepper, che era riuscita a mettersi in piedi prima di
lui, e
si rese a malapena conto della nota stridula che si era insinuata
nella sua voce.
Lei
inchiodò sul posto, fissandolo allarmata e portando poi gli
occhi
alla proiezione. L’irritazione di Tony per quel momento
interrotto
fu soppiantata da un cardiopalma che sembrava volergli far uscire il
cuore dal petto assieme al cilindro del reattore, e si sentì
la
bocca secca nel veder emergere, appena dietro il modellino, la figura
di suo padre appoggiato al plastico della Expo.
«Ogni
cosa si può ottenere con la tecnologia,»
recitò, con la sua voce
resa più squillante dalla registrazione, e Tony riconobbe le
prime
parole del discorso per la Expo.
Fissò
i suoi occhi scuri impressi sula pellicola granulosa, con
l’impressione fasulla che ricambiassero il suo sguardo ora
imperfetto. Pepper tornò sui propri passi, sedendosi di
nuovo
accanto a lui, prendendolo discretamente sottobraccio. Tony era
così
frastornato da notarlo appena, ma le fu grato per volerlo aspettare,
ancora una volta, e per aver capito la potenziale importanza di quel
che stavano guardando, offrendogli al contempo il proprio supporto.
Il
filmato s’interruppe più volte, con suo padre che
s’ingarbugliava
nelle sue stesse parole o modificava il discorso sul momento, a volte
seccato, a volte con un fare spiritoso che gli ricordò suo
malgrado
il proprio. Si accigliò profondamente nel vederlo
sorseggiare un
bicchiere di liquore in una pausa, e trattenne una smorfia quando le
riprese si fecero più frammentarie, confermando il fatto che
quelli
fossero semplici dietro le quinte privi di alcuna logica o
utilità.
Puntò lo sguardo a terra, sulla copertina color sabbia del
quaderno
rivolto a faccia in giù, la mascella contratta come il suo
petto.
Percepì Pepper stringergli appena il braccio, quasi
invitandolo a
rialzare lo sguardo, ma non si mosse, sentendosi improvvisamente
troppo pesante per compiere qualsiasi gesto.
«Tony!»
sollevò d'istinto la testa, trasalendo appena, e
incontrò gli occhi
scuri e severi di suo padre nonostante lui gli desse le spalle.
«Che
cosa stai facendo?»
L’eco
di quelle parole sembrò propagarsi sulla superficie di una
laguna
onirica, sfiorata dalle ultime luci crepuscolari e tinta da riflessi
azzurrini.
«Che
cos’è quello? Rimettilo a posto!»
Tornò
presente a se stesso e si vide bambino, con in mano un pezzo del
plastico e un sorriso furbetto stampato in faccia che
suscitò il
cipiglio irritato di suo padre. Nel giro di pochi secondi, Jarvis
entrò nell'inquadratura e lo prese in braccio per
allontanarlo, suo
padre chiamò sua madre e senza rendersene conto lui, lo
stesso
bambino quasi trent'anni dopo, cercò alla cieca la mano di
Pepper e
la strinse, sentendosi sopraffare da quella breve serie di eventi,
immagini e suoni che offrivano uno spaccato doloroso della sua vita
di allora. Gli ci volle qualche istante per realizzare di aver usato
la destra. Abbassò lo sguardo sulle loro dita intrecciate,
pelle
contro metallo, e, invece di ritrarre le proprie come avrebbe voluto
fare con tutto se stesso, le strinse con tutta la delicatezza di cui
fu capace. Pepper lo imitò con più decisione,
quasi con forza, a
volerlo trattenere contro ogni sua paura. Tony le sorrise appena, ma
non incrociò il suo sguardo, puntandolo di nuovo sulla
parete, su
cui si susseguivano altri spezzoni tagliati del discorso, prove e
papere inaspettate di suo padre.
Lanciò
un’occhiata alla bobina: mancava forse un minuto e mezzo alla
fine.
Un sospiro gli morì sulle labbra, e desiderò solo
di poterle posare
di nuovo su quelle di Pepper. Stava per assecondare
quell’impulso,
quando si sentì chiamare una seconda volta da quella voce
distante
nel tempo:
«Tony.»
La
voce di suo padre era grave, seria, priva di quella traccia di
rimprovero o insoddisfazione che gli aveva sempre riservato.
Guardò
la proiezione e stavolta ebbe la certezza che stesse guardando lui, a
distanza di tutti quegli anni.
«Ora
sei troppo piccolo per capire, così ho pensato di lasciarti
questo
filmato.»
Strinse
di riflesso la mano di Pepper, senza distogliere l’occhio da
quello
che sembrava un fantasma riemerso dal suo passato.
«L’ho
costruita per te,» proferì, con un gesto verso il
plastico della
Città del Futuro. «E un giorno ti renderai conto
che rappresenta
molto più che una semplice invenzione. Rappresenta tutta la
mia
vita.»
Tony,
per la prima volta in tutti quegli anni, lo ascoltò.
Perché stava
parlando con lui, suo figlio, non con la proiezione ideale di chi
avrebbe voluto vedere in quelle vesti. Lo ascoltò
perché in quelle
parole riecheggiava l’eco di quelle che aveva pronunciato
riguardo
a lui, minate dal sospetto che non fossero vere, o che stesse
cercando di leggere più del dovuto in quello che in fin dei
conti
era stato solo un altro progetto.
«Questa
è la chiave
del futuro,» recitò con
decisione, mentre uno zoom
sull’Unisfera riempiva l’inquadratura, seguita
subito dopo da una
del vecchio reattore arc in scala. «Io sono limitato dalla
tecnologia dei miei tempi… ma un giorno tu risolverai questo
rompicapo. E quando lo farai, potrai cambiare il mondo.»
Pronunciò
quelle parole con la stessa, immutata fermezza con cui aveva iniziato
a parlare, e Tony avvertì un vuoto esattamente sotto il
reattore, il
principio un sentimento che gli era estraneo, o che almeno suo padre
non gli aveva mai suscitato da quando avesse memoria.
«Quella
che ora è, e resterà sempre la mia più
grande creazione… sei tu.»
Il
vuoto si allargò assieme all’accenno di sorriso
impacciato
che inclinò le
labbra di suo padre, e gli colmò il petto dandogli
l’impressione
di poter fluttuare a un palmo da terra.
Il
video si sgranò di colpo, e rimase solo il grigio
lampeggiante della
pellicola terminata, accompagnato dal sottofondo graffiante dello
statico. Tony
rimase immobile, quasi temendo che qualsiasi gesto avrebbe potuto far
scoppiare il palloncino d’elio che gli si era gonfiato nei
polmoni.
«Ok.
Anche questo era inaspettato,» mormorò infine,
senza sapere bene
come reagire a ciò che aveva appena sentito.
Pepper
non rispose, la mano ancora stretta tra la sua, probabilmente
altrettanto stupita e incerta sul da farsi.
«Non
l’ho immaginato, vero?» chiese in fretta,
più per riscuoterla che
per avviare una vera e propria conversazione su quanto successo.
«No,»
lo rassicurò lei, per poi corrugare appena le sopracciglia
quasi
mettesse in dubbio quella stessa affermazione.
«Ti
giuro che il gelato era a posto,» affermò poi,
nel debole
tentativo di mostrarsi perfettamente padrone di sé,
nonostante fosse
del tutto consapevole del velo che gli appannava l’occhio.
Pepper
sorrise con titubanza, senza rompere il contatto con lui, che
d’altronde si era quasi dimenticato di stringerle la mano con
quella meccanica. Non seppe se fosse un fatto positivo o meno, ma
forse non era il momento giusto per rifletterci.
«Sono…
confuso,» asserì dopo un po’,
controvoglia.
«Sì,
immaginavo,» alzò le spalle Pepper, in un invito a
continuare.
«Insomma,
ha sempre detto che ero irrecuperabile…»
quella parola rallentò le successive, troppo
pesante
da pronunciare. «Da dove… da dove salta fuori
questa roba?»
sbottò, con un secco cenno verso il proiettore.
Non
capiva neanche lui se fosse felice per aver ottenuto finalmente una
sorta di riconoscimento da parte di suo padre – forse anche
di
affetto, forse anche un “ti voglio bene” nascosto
tra termini
tecnici e perifrasi – o se infuriarsi per non averlo sentito
da lui
stesso quando era ancora in vita.
«Forse
era ubriaco. Non sarebbe una novità,»
sentenziò poi, brusco,
anticipando la replica probabilmente sensata di Pepper.
«Mi
sembrava perfettamente sobrio,» ribatté lei, con
dolcezza.
Tony
si abbandonò a un lungo sospiro, stringendosi la radice del
naso tra
le dita.
«Anche
a me,» ammise, di nuovo con riluttanza.
Tamburellò
brevemente sul reattore, senza riuscire a trattenersi, nonostante di
solito la presenza di Pepper lo frenasse nel timore di rievocare
ricordi spiacevoli. Se
fino a cinque minuti prima si era sentito libero, adesso si sentiva
quasi un cappio al collo che lo obbligava a guardarsi alle spalle,
verso qualcosa che era convinto di aver chiuso definitivamente
proprio quella mattina.
«Pep,
ti dispiace se… se…»
s’interruppe, gesticolando nervoso e
sentendosi in colpa a doverle chiedere ancora tempo, perché
di tempo
non ne aveva e gli sembrava che qualcuno si divertisse anche a
sottrarglielo.
Lei
sospirò, intuendo il seguito e sembrando quasi offesa, con
preoccupazione di Tony.
«Tony,
è normale
che tu voglia avere un po’ di tempo per…
metabolizzare il tutto,»
asserì con suo sollievo, accennando vaga al proiettore.
«Vuoi stare da solo?» chiese poi, e Tony si accorse
che
ancora, per
tutto quel tempo, la sua mano aveva continuato a stringere la
protesi.
«No,»
rispose subito, con fermezza, e prima di continuare cercò i
suoi
occhi.
Di
nuovo, una di quelle parole che non pronunciava mai al momento giusto
gli era rimasta incastrata in gola, lottando per rimanere inespressa.
«Rimani,»
mormorò poi, vincendo la tentazione di rimanere in silenzio.
Non
ebbe bisogno di aggiungere altro, perché gli fu chiaro dagli
occhi
ora radiosi di Pepper che lei aveva capito tutto ciò che non
aveva
detto ad alta voce. Come sempre.
Si districò con delicatezza
dalla
sua stretta, chinandosi per recuperare il quaderno caduto, giusto per
avere qualcosa da guardare mentre rimuginava tra sé. Si
lasciò
sprofondare nello schienale del divano e Pepper fece lo stesso,
leggermente più distante di prima – e se da una
parte avrebbe
voluto averla più vicina, dall’altra si rendeva
conto di aver
bisogno dei suoi spazi.
Sfogliò
con un misto di forzato distacco e istintiva curiosità il
quaderno,
cercando di dare un senso al tornado in corso nella sua testa.
Leggeva distrattamente, concentrato più sulla grafia, sul
modo di
scrivere e organizzare le idee, piuttosto che sul significato delle
parole e delle formule. Il messaggio di suo padre gli rimbombava in
testa, quasi avesse il suo personale proiettore a riprodurlo in loop.
Cosa
gli aveva appena voluto dire? Parlava di chiavi per il futuro, ma non
gliene aveva lasciata neanche una, se non quella arrugginita dello
studiolo.
“La
sua più grande creazione...”
Emise
un sospiro scettico e girò quasi con rabbia una pagina,
rischiando
di strapparla. Si soffermò sul disegno ben curato di un
tesseratto,
affiancato da formule sconosciute. Aggrottò le sopracciglia
e voltò
pagina, trovando quelle della fusione a freddo accanto a uno schema
semplificato di un reattore. Tornò alla pagina precedente,
schiudendo appena la bocca in un moto di sconcerto, per poi
raddrizzarsi di scatto, poggiando i gomiti sulle ginocchia e facendo
sobbalzare Pepper. Lo chiamò, ma la sua voce gli giunse
ovattata e
la stanza stessa sembrò perdere i propri contorni.
Si
ripensò sul palco della Expo, mentre fissava
l’Unisfera, un enorme
sole illuminato d’azzurro, cuore della fiera e simbolo del
futuro
che suo padre aveva agognato senza poter mai raggiungere. Rivide il
plastico della Città del Futuro davanti ai suoi occhi,
nitido in
ogni suo dettaglio. Preciso in ogni suo edificio, parco, sentiero, in
ogni albero piantato con studiata intenzionalità.
“Come
il progetto...”
Il
suo sguardo corse allo schema del reattore arc e la sua mano a
stringere quello infisso nel suo petto, mentre il respiro gli si
fermava in gola.
“...
di un altro
progetto.”
Click.
Note Dell'Autrice:
Ma buonasera!
Non avete idea da quanto io aspettassi di scrivere questo capitolo, davvero :')
Ma bando alle ciance: ho fatto un minestrone di full&angst che peggio di così non si poteva, ma spero abbiate gradito, e spero anche che non siate delusi dall'introduzione del filmato di IM2. In realtà era previsto sin dalle origini della storia e, come molte altre "tappe" fissate nell'alba dei tempi con la mia collega MoonRay, ho voluto mantenerla, in quanto mi sembrava fuori luogo scadere in tecnicismi a questo punto della storia. Ho preferito per una soluzione magari banale, ma diritta al punto che mi permettesse di concentrarmi su Tony. E comunque, ne vedremo delle belle...
Ringrazio tantissimo _Atlas_. T612, Emyclarinet e 50ShadesOfLOTSAlways per aver recensito, e tutti coloro che hanno recentemente inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite <3
Grazie di cuore <3
Spero di riuscire ad aggiornare presto... anche se considerando gli avvenimenti del prossimo capitolo infarterò probabilmente durante la stesura... spero di sorprendervi :')
E a proposito di infarti... -3, sappiatelo.
Un caro saluto e a presto,
-Light-
P.S. Il finale è una ripresa diretta del Capitolo 2: In Dream, come spero abbiate notato ;)
P.P.S. @Atlas: hai visto che cicisbei, quei due? :'D