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Autore: iamnotgoodwithnames    21/03/2019    2 recensioni
[Soulmate!AU][Great Gatsby!AU]
"se questo è il volere di Dio, se è questo quel che il destino gli riserba, forse può significare che, l’onnipotente Signore, che tutto vede e tutto sa, non ripudia le perversioni della carne, ma anzi non le considera tali, perché l’amore non può essere sbagliato e non può nascere dal Diavolo; gli sussurra una filosofica giustificazione, sorta da qualche parte nella mente.
È inutile, Credence non l’ascolta, non può, gli insulti materni, le prediche del pastore, i cori della chiesa, la minaccia dell’eterna dannazione hanno un suono più forte, una voce più imperativa che sovrasta quel flebile spiraglio di speranza che, incontrollato ed inconscio, tenta di manifestarsi ogni giorno.
Se soltanto potesse, se soltanto gli fosse concesso, Credence l’attraverserebbe ad occhi chiusi quell’oceano asfaltato, s’aggrapperebbe all’altra riva, approderebbe nell’opposta sponda e, come un naufrago bisognoso d’aiuto, si lascerebbe accogliere dalle braccia che il destino gli ha predetto.
Non ha importanza chi sia quell’uomo, né che nome abbia, né tanto meno che sia un uomo, tutto quel che conta, tutto quel che Credenze necessità, è qualcuno che possa portarlo lontano dall’annegare, dal soffocare in un mare nero"
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Credence Barebone, Gellert Grindelwald, Newt Scamander, Percival Graves
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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and distinguished nothing

except a single green light

Febbraio è il mese peggiore, corto o lungo che sia, il freddo diviene pungente nelle ore mattutine per poi decrescere, concedendo spazio ad una temperatura meno congelante, ma nell’incostanza di statico clima rigido le mani risentono del tenue sbalzo e divengono ancor più ruvide, ferite ancor di più dai graffi del vento.
I passanti poi paiono peggiorare con il passar delle stagioni, d’inverno molti si limitano a sguardi disgustati, ad occhiate raccapricciate o ad insulti fugaci, ma con l’avvicinarsi della primavera non si limitano a rifiutare i volantini, li stracciano, li gettano a terra, senza cura alcuna spingono via il gracile corpo di Credenze e l’equilibrio vacilla, al punto da costringerlo a sorreggersi al lampione.
Oggi, come tante altre mattinate interminabili, s’è stretto nelle spalle, infossando il collo come una tartaruga spaventata, riducendosi a giunco sottile accostato alle scalinate della chiesa, allungando le braccia quel tanto che basta per far notare i volantini; ed ha cercato di non pensare all’assenza, prolungata, della verde luce che non è più stato in grado di captare neppure con la coda dell’occhio, neppure lontano.

Che sia svanita? Che non sia mai realmente esistita?

Era solamente un’illusione, un inganno architettato dal Diavolo in persona?

Vuol forse significare che ha superato la prova, che Dio l’ha perdonato?

O significa, forse, che quell’uomo l’ha rifiutato, sdegnato d’esser stato predestinato ad un miserabile come lui?

No, deve lasciar perire la speranza, come aveva fatto anni fa, non può continuare a peccare, deve imprigionare gli impuri pensieri nel profondo dell’animo; sa farlo, può farlo, deve farlo.

La distratta mente, immersa nella confusione di una psiche che non sa aiutarsi e non riesce a trovare esterno aiuto, lo fa muovere per inerzia d’abitudine e gli impedisce di notare un uomo, tarchiato e dall’aspetto borioso, strappargli bruscamente il volantino dalle tremule dita ed irriderlo; le spalle collidono e nello scontro è Credence a cadere, troppo deboli le magre gambe di digiuni forzati.
Il cemento duole al coccige e la schiena, le vecchie cicatrici e le nuove ancora fresche, gridano silenziose nello scontrarsi al freddo lampione, stringe i denti, forzando le ginocchia al marciapiede, chinandosi ed allungandosi nella fretta di raccogliere i caduti volantini.
Nella foga di rimediare ad un imperdonabile errore,  prima che la madre possa vederlo, prima che Dio possa punirlo, non coglie lo spostamento d’aria che gli s’infrange al volto e non percepisce una presenza aiutarlo a raccogliere gli sparpagliati fogli; se ne accorge solamente quando raffinate dita sfiorano le proprie.
Istintivo si ritrae, stringendo i pochi volanti recuperati, lo sguardo vorrebbe sollevarsi ad osservare quel magnanimo passante, ma la nuca non trova il coraggio necessario e tutto quel che Credence riesce a vedere sono le maniche d’un trench nero, impeccabilmente rifinito, cui si scorgono i polsini della camicia avorio, i grigi bottoni lucidi comunicano eleganza e la verde luce l'acceca.

« la stregoneria è un abominio  »

la voce gli risuona nei timpani, rauca quel tanto che basta a conferirgli un suono serioso e maturo, la dizione così impeccabile da non lasciar trapelare neppure l’accenno d’un accento che ne possa indicare le esatte origini, Credence si vergogna come fosse un miserabile vagabondo nel sentirlo leggere quel che, i volantini, riportano

« la furia divina s’abbatterà sugli eretici pagani - non lo irride, né lo insulta, non agisce come gli uomini che ormai s’è abituato a sopportare, ma anzi gli porge il foglio - sei un credente »

Non lo domanda, l’afferma o meglio lo deduce, e Credence vorrebbe potergli dire che non lo sa, non sa più se esiste davvero un Dio o se, invece, è solamente una finzione nata da menti spaventate dal peso d’una vita che non sa concedere spiegazioni alle più aberranti situazioni, ai dolori lancinanti dell’animo, come quello che, adesso, lo sta spezzando più di quanto riuscirebbe a fare la cinta in cuoio della madre.

È lui, l’uomo che gli è dinnanzi, chino alla sua altezza, l’uomo che non ha il coraggio di guardare, è la luce verde che vide giorni e giorni fa.

Gli è davanti e Credence teme che sia questa la reale punizione di Dio o l’ultima tentazione del Diavolo, che si tratti d’una prova da superare o d’una punizione per essersi macchiato d’impuri pensieri, in quei mesi di confusione emotiva.

« stai bene? »

Perché continua a parlargli? Perché non se ne va disprezzandolo come chiunque altri? Perché non lo lascia lì, al suolo, tra volantini ancora sparsi a terra e la vergogna ad infiammargli il cuore?

Se cessasse di parlare, forse, Credence potrebbe alzarsi prima che la madre torni, prima che possa cedere ai bisbigli del demone tentare e sollevare il capo a guardare quegli occhi che, nella distanza d’un oceano d’insicurezza, cercò inconsciamente ogni giorni; chiedendosi che colore avessero.

Il verde fascio luminoso non s’allontana e non scompare, resta lì, ad accecarlo, e gli tende la mano, quella stessa mano che l’ha aiutato poc’anzi, in una tacita gentilezza.

Annuisce Credence, è l’unica cosa che riesce a fare, le labbra dischiuse, la gola essiccatasi e la mente invasa da pensieri urlanti, desideri si scontrano coi dettami appresi nell’infanzia

« sto bene, signore - riesce ad articolare, un balbettare incerto, un soffio appena percettibile - la ringrazio »

« non ringraziarmi, non ve n’è bisogno - è impostata, formale, l’intonazione, ma c’è una genuina bontà a musicarne le parole - permettimi di aiutarti, temo tu abbia avuto un calo di zuccheri »

Zuccheri.

Non sa neppure cosa siano, tutto quel che è dolce è proibito; peccato di gola, condannabile con l’eterna dannazione.

Credence lo zucchero non l’ha mai assaggiato, non sa attribuirgli neanche una forma, né un colore, né tanto meno sapore, tutto quel che lo stomaco ha conosciuto sono briciole di pane secco, porzioni microscopiche di legumi galleggianti in acqua bollente e scarne verdure dall’aspetto inconsistente.

« la ringrazio, signore - ripete, balbuziente, meccanico, come un burattino manovrato da mani esterne - ma non voglio arrecarle maggior disturbo »

« non arrecheresti alcun disturbo, permettimi di aiutarti »

Aiutare.

Da quanto tempo sogna di poter udire tali parole?

Troppi per poter credere che, finalmente, siano divenute reali.

Troppi per potersi illudere che provengano dalla verde luce, da raggi di impura immoralità.

Deve rifiutare, deve mantenere il volto chino, deve chiudere gli occhi, deve impedirsi di guardare lo smeraldino sole; deve fuggire dalle tentazioni demoniache, ma è già tardi.

Si specchia già in iridi scure, un nocciola così intenso, sfumate venature chiare ne contornano la pupilla, lo inghiotte in un turbine confuso di caotiche emozioni disordinate.

Quanti colori esistono al mondo? Quanti occhi? E quante tinte conosce l’iride umana?

Eppure, malgrado la vastità cromatica, malgrado la sconfinata quantità, a Credence sembrano tutte inutili, ignorabili, se confrontate alla sincera genuinità che albera negli occhi dinnanzi a sé.

Sbatte le palpebre, così velocemente da vedere solamente bagliori di forme e sagome, e mormora una preghiera che nessun umano orecchio può udire, ma che solo Dio può sentire; invocando perdono per l’errore commesso, per esser caduto nel tranello del Diavolo, per aver ceduto alla peccaminosa curiosità ed aver avuto impuri pensieri per occhi estranei.

« potresti rischiare di svenire nuovamente, lascia che ti aiuti »

Svanisce l’ultimo briciolo di forza rimastagli per negarsi una possibilità così luminosa, forse è Credence stesso a non voler più protestare, ad accettare i sussurri del demone tentatore e cedere, far collidere il tremulo palmo ruvido alla liscia mano sfilata, solamente ora lo nota, dal nero guanto; v’è ancora il calore dell’imbottitura interna impresso nella morbida pelle.

Se sua madre lo vedesse, proprio ora, ergersi con fatica, tentando di deglutire l’imbarazzo, la vergogna, la paura che quel contatto gli suscita, cercando di non sentirne il gradevole pizzicore, una tenue scossa elettrica, che lo sfiorarsi delle epidermidi ha generato, provando ad ignorare l’accentuarsi della verde luce, divenuta un faro così splendente da far temere che possa esser visibile a chiunque, lo trascinerebbe bruscamente via dal peccato che sente già di compiere; lo costringerebbe ad implorare, ad un Dio che forse non ascolta neppure, perdono.

Le labbra screpolate s’incollano tra di loro, la gola è un’arida distesa e le corde vocali vorrebbero formare parole che non sanno pronunciare.

Chiederebbe, Credence, se riuscisse ad articolare sillabe di senso compiuto, quale nome possa attribuire ad una visione che, ad occhi spaventati dalla vita, somiglia a quegli angeli cui la Bibbia narra.

Non ha il coraggio di guardarlo, non apertamente, ma lo spia rimpicciolendosi nelle spalle, ingobbendosi sino a sembrare più basso di quanto in realtà non è, rispetto a quell’uomo, sicuramente più adulto di lui, da cui non lo dividono che ignorabili millimetri; forse un centimetro, approssimando per eccesso.
In quel fascio smeraldino è racchiusa la sagoma elegante d’un uomo dal roseo ovale e Credence ne ricalca, segretamente, le linee delineate della mandibola, convergenti nel mento squadrato, conferenti una fisionomia matura, dura, ma tutt’altro che aspra o spigolosa; accentuata da sottili filamenti corvini, sfioranti gli scuri occhi, discesi dalla folta capigliatura.
E lo segue, lo segue a copo chino e passi tremuli, non guarda neppure dove lo stia concudendo, si ridesta solamente quando ne sente la voce richiamarlo

« prego, dopo di te »

L’educata voce interrompe il peccaminoso fantasticare, esplorando inconfessabilmente quel viso che lo reclama, come magnete incontrastabile.

Sussulta impercettibilmente al lieve tocco della mano destra, di quell’estraneo che pare eppur già familiare, che gli sfiora le scapole invitandolo garbatamente a varcare la soglia d’un locale ristretto, ma confortevole. Aromi mai annusati prima solleticano l’olfatto di Credence, una gradevole festa d’odori sconosciuti risale le narici e le labbra si dischiudo istintive; aspettandosi di poterne assaporare il materiale gusto.
Incerto, le gambe ancora instabili e la mente intrappolata in vertigini di pensieri confusi, contrastanti, di peccati e speranze, di volontà e divieti, Credence imita le movenze dell’uomo, sistemandosi goffamente alla sedia in legno di ciliegia; ritraendosi involontario all’arrivo d’una giovane donna, dall’arricciata chioma bionda ed un sorriso smagliante.
Il menù che gli porge, Credence, non è neppure in grado di decifrarlo, tutti quei nomi, quei frutti e quelle diciture, non le ha mai lette; ogni cosa è un peccato, dalla cioccolata calda alla pasta sfoglia ripiena di marmellata.

Tutto è un peccato, dal dolce sino al volto di quell’uomo che lo guarda, così intensamente e così attentamente da farlo sentire un'interessante formica schiacciata dal peso d’una lente d’ingrandimento e deglutisce Credence, infossandosi ancor di più nelle già ricurve spalle.

don't believe what you've been told, people lie
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people love, people go, but beauty lies in every soul


Dovrebbe cessare di fissarlo come fosse una curiosa creatura meritevole d’ogni attenzione, dovrebbe posare lo sguardo altrove, magari al menù che Queenie gli ha gentilmente portato; come se non fosse già consapevole dell’usuale ordinazione.

Deve averlo imbarazzato, quel ragazzino introverso, al punto da spaventarlo, forse è stato troppo insistente, forse s’è importunatamene imposto, ma cos’altro avrebbe potuto fare Percival?

Lasciarlo lì, al suolo, tremante come una foglia troppo secca distaccatasi dal ramo più alto d’un albero?

No, non ci sarebbe riuscito, neppure se avesse realmente tentato d’opporsi all’istintiva volontà d’azzerare quella distanza che, nei passati giorni, s’era più volte ripetuto impercorribile.
Per alcune settimane era persino riuscito a resiste all'impulso, un'inspiegabile tentazione, di tornare a percorre quell'usuale strada e s'era trovato un modo diverso, differente e lontano, per poter evitare d'intravedere il verde fascio; ma riusciva a sentirlo anche nella distanza, oltre i tetti delle case ed i lampioni.
Resistette per quel che gli sembrarono un'eternità e, infine, cedette dicendosi forte abbastanza per contrastare ogni sconsigliabile, irrazionale, volontà; ma poi lo vide cadere spinto da incivili uomini, convinti di possedere permessi concessi dalle banconote nelle tasche.

L’ha visto rivestirsi di timore nel raccogliere i volantini, quei ridicoli volantini pieni di menzogne ed errate sentenze, e la verde luce l’ha trascinato come onde attratte, per naturale processo, dagli scogli.

Quegli zigomi pronunciati, quei lineamenti affilati, quel volto emaciato, le guance infossate, sgraziatamente accentuate dalla capigliatura eccessivamente corta, somigliano realmente a scogli contro cui Percival s’è ormai scontrato e v’è rimasto, contro ogni volere, incastrato a cercare di scorgere il colore d’un mare nascosto nelle iridi costantemente chine al suolo.

Nella ravvicinata distanza d’un tavolo rotondeggiante il pallore della pelle, così diafana da sembrare lunare raggio, pare ancor più fragile di quanto non sembrasse dall’altro lato della strada; e l’altezza ne fa risultare ancor più evidente la magrezza, a Percival sembra di poter scorgere i sintomi di un’insana alimentazione.
Probabilmente è per questo, solo per questo, che non è riuscito ad impedirsi di portarlo nel luogo che, dopo anni ed anni, ha etichettato come il più confortevole dopo la propria casa o, forse, si sta solamente vendendo scuse poco credibili nell’inutile tentativo di non comprendere la verità.

« pronti per ordinare? »

Non ha mai ringraziato d’udire la voce di Queenie come adesso, si costringe a riportare equilibrio nei pensieri, che corrono lungo una pericolosa ferrovia, incontrollata, e tenta d’articolare parole che, la donna, gli precede 

« il solito – sorride, consapevole – e per te, caro? »

Il ragazzino si ritrae ancor di più al legnoso schienale, dalla postura che ha assunto, sin dal primo istante, Percival non può impedirsi di chiedersi se non vi sia ben altra spiegazione della normale timidezza, una spiegazione sgradevole che lo fa sospettare possa esser riconducibile a violenze subite; e difficilmente sbaglia, l’intuito è una qualità innata che ha imparato ad affinare ancor di più negli anni accademici

« se sei indeciso – interviene, gentile e cortese, professionale come sempre, Queenie – posso proporti la specialità della casa, ti assicuro che è deliziosa »

Percival è mediamente certo che, quell’esile ragazzino, non abbia neppure letto il menù e che, probabilmente, non ha neanche realmente ponderato l’idea di scegliere e nel vederlo annuire impacciato, come se fosse una vergogna lasciarsi servire un dolce qualsiasi, inevitabilmente non può che confermare il sospetto non appena gli viene posto dinnanzi il piatto.
Cerca di concentrare l’attenzione alla tazzina di caffè, scuro ed amaro, che gli è stata portata assieme ad un singolo biscotto rettangolare, rivestito di cioccolato fondente, i sapori troppo dolci non sono mai riusciti a piacergli; quella ciambella, la specialità della casa, faticò a digerirla la prima volta che fu costretto ad assaggiarla.
Il ragazzino la guarda, pare studiarla, come se non avesse mai visto la concentrica forma rigonfia d’una ciambella priva di buco, rivestita di bianco zucchero e tentennano le dita, sfiorando il soffice impasto

« la offre il locale – gli sfugge istintivo dalle labbra, se ne pente nell’immediato istante successivo, ma è tardi per correggersi – è una tradizione, la prima volta che venni qui la fecero assaggiare anche a me, non fu di mio gradimento ed ordinai altro »

Non sa perché, poi, ha scelto di raccontargli quel singolo aneddoto, forse perché la psicologia non è mai stato suo settore di competenza, carente della necessaria empatia, ma con quel fascio verde dinnanzi a sé sente di dover tentare, vuole tentare, e vederlo indugiare lo innervosisce; rende troppo rumorosa la voce della razionalità che gli ricorda d’aver ceduto ad un errore.
Il giovane non sembra neppure averlo ascoltato, ma addenta timidamente il soffice impasto, e le palpebre si spalancano come finestre che s’aprono per la prima volta, l’iride si dilata al punto da renderne evidente il colore persino a capo chino.

Nocciola, così intensi da sembrare neri, gli occhi che spiccano nella luce smeraldina.

Un nero in cui Percival si perde, un nero che lo inghiotte, magnetico ed incantevole, ruba il respiro e lo sostituisce con ammonimenti personali, di rigida mente combattuta tra l’inspiegabile istinto e la razionale schematicità.

« mi pare di intuire sia di tuo gradimento »

Azzarda, forse perché adesso vorrebbe anche concedersi il lusso di rubargli un sorriso, prima di costringersi a separarsene nuovamente e, questa volta, definitivamente; ma il ragazzo sembra intrappolato in un ciclo di pensieri confusionari.
Il dolce ricade al piatto e le labbra si bloccano nel sospiro d’un colpevole, ha l’intensità del respiro d’un condannato e Percival odia dover confutare le ipotesi che già aveva

« è…molto buono – balbetta, ha un suono così fragile la sussurrata voce – e le sono grato, signore, ma…non posso...restare »

Le iridi sembrano cercare qualcuno, ma c’è terrore in quelle distese nere e la schiena s’irrigidisce, è un fascio di nervi tesi e scatta come una molla storta, deformata da pesi, pendente e ricurva su se stessa

« aspt… »

« mi perdoni per il disturbo arrecatole – è così eccessivamente formale, somiglia ad una marionetta malconcia guidata da invisibili dita sempre presenti – buona giornata, signore »

Quel suo ribadire, sottolineare, quell’appellativo troppo specifico gli ricorda quanto infattibile sia il tentare, il concedersi un lusso che credeva riservato a pochi, che riteneva di non volere, e mentre la mente gli impone di tace ed immobilizzarsi alla sedia, le gambe prendono autonome decisioni e si muovono a seguire la scia di piedi trascinati pesantemente al suolo.
Non può afferrarla, la tentazione d’una verde luce che deve negarsi, che deve fingere di non aver mai veduto, che è obbligato da ferra moralità ed impegni ben più importanti, o almeno così si ripete, ad ignorare; ma può sfiorarla, per un istante, un effimero, fugace, istante di pace

« come ti chiami? – rotolano dalle labbra le parole, un desiderio che deve realizzare, prima di venirne schiacciato un’altra volta ancora – concedimi solo questo »

Risponde alle mute domande della carnosa bocca, le crepe nei labbri sono così secche che paiono poter sanguinare ad ogni parola, negli occhi gli legge la paura, l’incertezza e l’impossibilità, un’impossibilità che riconosce, che è la medesima che vede in sé.
Scivola, lo sguardo del giovane, a cogliere le dita debolmente cintesi attorno al candido polso e deglutisce qualcosa, qualcosa che non conosce, qualcosa che Percival non può capire, boccheggiando parole che faticano ad emergere; combattute 

« Credence – un soffio sottile, così flebile e sfuggente, lo deve raccogliere e conservare prima che possa volare via – Barebone »

Credence.

Credence Barebone.

La verde luce, la sua verde luce, ha un nome ed un volto, ora può lasciarla andare, può separarsene per sempre e lasciarla vivere lontana da sé; ma una volontà superiore, che surclassa la ragione e la logica, che inganna il cervello e da ordini alle corde vocali, gli muove la lingua

“Percival Graves”

Non glielo ha chiesto, il giovane, Credence, non gli ha chiesto nulla e, forse, non l’avrebbe fatto, ma l’incosciente subconscio ha voluto ferire Percival e l’ha spinto a rivelarsi, a concedergli il lusso d’un illusione passeggiera e se ne pente, se ne pente come fosse il peggiore degli errori mai commessi, non appena libera il pallido polso e guarda le ingobbite spalle tentennare, vacillare e traballare prima di allontanarsi; se ne pente, si pente di lasciarlo andare così come si pente d’essersi permesso di sfiorarlo.

Percival lo sa, non è un ingenuo, sa che quel giovane, Credence, Credence Barebone, non ha tutte le esperienze, la crescita serena, le possibilità che gli aveva dipinto addosso la prima volta che lo vide, ora sa che quel che attende il giovane è una paura costante del mondo, del presente e del futuro, eppure non può permettersi l’arroganza di professarsi aiutante; deve credere di sbagliare, deve dirsi d’aver sbagliato sin da principio e deve tornare a percorrere la strada più lontana, distante dagli occhi e dalla verde luce.
Deve farlo adesso, anche dopo aver sfiorato la quiete d’una pace che non può concedersi, che non può permettersi, la logica gli ripete che ha troppo da conquistare ancora e la razionalità gli ricorda che non è un cuore la vetta cui deve ambire; ma le dita, i polpastrelli, il formicolio che persiste sin da quando ha sfiorato la candida pelle, gli sussurra involontari desideri.
Le renderà muti, si dice mentre le ricurve spalle svaniscono all’orizzonte e quel che resta è un raggio smeraldino ancora troppo vivido.


I wrestled by the sea, a dream of you and me

-----------------------------------------------------------------------
I let it go from me, it washed up at my feet


Grazie a tutti coloro che hanno letto e recensito, davvero, grazie!
Mi sono dimenticata di dire che, in questa "linea temporale" Credence ha intorno ai diciotto anni, più o meno come nel film, ma Percival ha, circa, trent'anni; quindi ci sono solo (si fa per dire) dodici anni di differenza.
Comunque grazie ancora, alla prossima, se vorrete.

 


   
 
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