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Autore: LionConway    21/03/2019    1 recensioni
[ STORIA MOMENTANEAMENTE IN PAUSA ]
New York, 1976.
Travis é un tassista notturno mentalmente instabile, nonché un uomo profondamente solo, depresso e continuamente scosso dagli orrori vissuti in Vietnam. Vaga su e giù per tutta la città, assistendo impotente al degrado urbano che lo circonda, un carnevale di droga, corruzione e prostituzione, pianificando in qualche modo di intervenire contro il crimine e le ingiustizie. Fino a quando non si invaghisce di Michael, un giovane solitario quanto lui che una notte sale sul suo taxi. I due scoprono di avere molto più in comune di quanto sembri inizialmente. Se non fosse che Michael ha recentemente ereditato gli affari illegali di una potente famiglia mafiosa.
DAL PRIMO CAPITOLO: Passava in rassegna i volti di tutti i presenti nel bar a quell’ora della notte, con quella un po’ infantile speranza di vederlo apparire, e a volte i suoi desideri erano esauditi. C’era sempre un che di regale nelle sue entrate. Travis non si sarebbe sorpreso di vedere tutti gli altri clienti genuflettersi davanti a lui in un atto di reverenza, nella speranza che lui toccasse le loro teste in un gesto di benedizione.
Genere: Drammatico, Generale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Michael Corleone
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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IV. 

Mosse e contromosse

 

 

Travis mosse il braccio indolenzito, sollevandolo e riabbassandolo un paio di volte in un gesto meccanico e tenendo sempre ben premuto sul pezzo di cotone attaccato all’interno del gomito con un cerotto. Appena arrivati al pronto soccorso, gli avevano fatto degli esami del sangue e gli era stato trovato un calo di zuccheri. Che soffrisse pesantemente di stress era una cosa già assodata, ma una chiacchierata con il medico aveva confermato ogni sospetto e gli aveva consigliato di stare a riposo per un po’ di tempo. Così Travis, una volta congedato, dovette telefonare alla Yellow Cab per prendersi qualche giorno di malattia.

Il supervisore in carica gli domandò dove avesse lasciato il taxi e Travis diede l’indirizzo del diner. Quello gli assicurò che qualcuno sarebbe passato a prendere l’auto per riportarla alla rimessa, lui ringraziò e chiuse la chiamata.

Si voltò verso Michael, seduto dall’altra su una sedia di plastica dall’altra parte di quella piccola sala d’aspetto, accanto a un distributore di bevande calde; teneva le gambe elegantemente accavallate e le mani poggiate in grembo, le dita intrecciate. Sorrise: «Licenziato?»

Travis storse la bocca in quello che voleva essere un mezzo sorriso e una mezza smorfia divertita e scosse la testa. Attraversò la stanza a piccoli passi e si sedette di fianco a lui. L’italiano distese un braccio lungo lo schienale della sua sedia e Travis vi si appoggiò leggermente con il collo, reclinando la testa all’indietro.

«I dottori mi hanno prescritto una bella dormita e qualche sonnifero per aiutarmi» sospirò, lo sguardo fisso sul soffitto bianco sopra di lui.

«Hai proprio l’aria di uno che ne ha bisogno» osservò la voce acuta di Michael.

«Ehi, non ti ho ancora ringraziato» Travis girò la testa in sua direzione, il collo ancora appoggiato al suo braccio, e gli occhi scuri di entrambi si incrociarono gli uni negli altri. «Avevo già sofferto di attacchi di panico, ma mai così forti. Se non fosse stato per te, probabilmente sarei ancora ad annaspare su quel marciapiede.»

«Beh, aiutarti mi sembrava il minimo, visto che ti sei sentito male proprio di fronte a me.»

«Molti non lo avrebbero fatto. C’era un sacco di gente lì attorno. Nessuno di quella feccia avrebbe mosso un dito per aiutarmi. Le persone non lo fanno più, non ci provano neanche ad aiutare gli altri.»

«Sei proprio un misantropo, te lo hanno mai detto?» ridacchiò Michael e posò la sua mano destra sul dorso di quella di Travis «Sei fortunato allora, perché si dà il caso che io sia molto bravo ad aiutare le persone.»

Lo era. D’altronde era l’angelo che scacciava il Male, come ancora una volta suggeriva il suo nome. Quel suo altruismo pareva renderlo alla stregua di un qualsiasi supereroe. Travis si divertì a fantasticare su quello che avrebbero potuto fare insieme per contrastare il putridume che imperversava nella città. Intervenire contro le ingiustizie e difendere chi ne aveva bisogno, come quei tizi mascherati che aveva visto sulle copertine di qualche fumetto. Ma tenne quei pensieri per sé, ritenendoli forse troppo infantili per essere espressi ad alta voce, e finì invece per concentrarsi sul tepore della mano di Michael, lo stesso calore familiare che gli aveva infuso calma e sicurezza durante il tragitto in taxi fino all’ospedale. Gli piacevano le sue mani, delicate e femminee ma capaci di una presa salda e vigorosa. Travis si ritrovò a domandarsi cosa effettivamente non gli piacesse di Michael e si rese conto di non avere una risposta. Lo trovava così… cercò disperatamente di non pensare all’aggettivo attraente, ma era stupido continuare a ignorare il fatto che fosse così: tutto della sua persona urlava quella parola e Travis non poteva fare a meno di sottostare a quel magnetismo che sprigionava, sentendosi attirato verso di lui come una calamita contro la sua volontà.

Probabilmente era rimasto in silenzio e con lo sguardo fisso su quella dannatissima mano per almeno un paio di minuti, perché fu Michael a riscuoterlo dai propri pensieri, spostando quello stesso arto per dargli un buffetto sotto il mento e attirare la sua attenzione: «Ehi, ti sei dissociato?»

Riuscì a malapena a terminare quella breve frase perché Travis si sporse verso di lui con tutto il corpo e lo baciò con foga. Avrebbe voluto dire che il suo cervello aveva dato completamente forfait, che non si rendeva conto di cosa stesse facendo, ma sarebbe stata una menzogna perché sapeva perfettamente la verità: era stato travolto da un’improvvisa voglia di baciarlo, di assaggiare quelle labbra e lo aveva fatto prima di cambiare idea. Probabilmente lo desiderava dalla prima volta che lo aveva visto, era solamente stato davvero bravo a reprimere quella voglia sconveniente che si nascondeva nel profondo delle sue viscere e che tentava la scalata ogni qualvolta che vedeva Michael. E ora si trovava in una sala d’attesa di un ospedale, a baciare un uomo intrappolato tra il suo corpo e un distributore di bevande. Inizialmente, sentì Michael irrigidirsi a quel contatto imprevisto. Ma furono pochi secondi appena, una probabile reazione all’effetto sorpresa, perché si rilassò quasi subito e rispose al bacio, più e più volte, e fu lui a proporre per primo di approfondire e a volersi insinuare dentro la bocca di Travis, che dischiuse piano le labbra e accolse la sua lingua. Si ritrovò a sospirare contro la bocca dell’altro, a gemere di piacere e il pensiero lo fece avvampare. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che aveva baciato qualcuno che gli pareva di essersi dimenticato come si faceva.

Il suo ultimo bacio con una ragazza era stato almeno un anno prima di partire per il Vietnam, dove, a differenza dei suoi commilitoni, non si era mai permesso di intrattenere alcun tipo di rapporto con le povere ragazze del posto sfruttate e vendute per soddisfare qualunque pensiero perverso dei soldati americani lontani dalle loro donne. Ma baciare un uomo, avvertire il suo corpo premuto contro al suo, era un’esperienza totalmente nuova e assolutamente imprevista. Aveva fantasticato per mesi di baciare Betsy e mai era avvenuta questa possibilità. E adesso, l’oggetto delle sue ossessioni da almeno tre settimane leccava le sue labbra con un certo impeto, gli accarezzava una guancia con una mano parsimoniosa mentre con l’altra, più decisa, lasciava correre le dita tra le ciocche scure dei suoi capelli. E si trattava di un uomo. Era la cosa più surreale che gli fosse mai capitata e, ciononostante, Travis sarebbe rimasto così ancora a lungo, a bearsi del gusto di Michael, se non avesse udito dei passi lungo il corridoio che entravano velocemente nella sala.

Indietreggiò, separandosi da lui con la stessa velocità con cui gli era praticamente saltato addosso ed entrambi si misero dritti e composti (Travis sembrava proprio scattato sull’attenti) mentre un uomo abbigliato in un completo di tweed azzurro inseriva un paio di monetine all’interno del distributore e selezionava un caffè.

Travis sentiva di avere il volto in fiamme, la fronte imperlata di sudore, un po’ perché baciare richiedeva comunque un certo sforzo, ma soprattutto per l’ansia di quello che quell’uomo avrebbe potuto dire se li avesse colti in una situazione così compromettente. Con la coda dell’occhio, vide invece che le labbra di Michael erano incurvate in un malizioso sorrisetto e, Travis poteva giurarlo, aveva le gote tinte di una leggera sfumatura rosea sull’incarnato olivastro.

La macchinetta finì di versare il caffè nel contenitore di plastica. L’uomo in tweed lo afferrò, con una mano un po’ incerta ma attenta a non rovesciare il contenuto, e si congedò a loro con un fugace «Arrivederci» al quale Michael rispose gentilmente.

Travis sospirò rumorosamente e si lasciò sprofondare nella sedia, passandosi le mani tra i capelli. «Mi dispiace!» esclamò, un po’ più ad alta voce del previsto «Non avrei dovuto farlo!»

«Perché no?» domandò Michael e Travis si chiese per un attimo se il suo tono di voce non avesse una piccola nota di delusione. Non ne sarebbe stato sorpreso: aveva già capito la sera prima che quel ragazzo nutrisse un certo interesse nei suoi confronti, non era stupido. Forse si era spinto un po’ troppo oltre, forse stava rischiando di illuderlo in qualche modo, ma non riusciva ad ammetterlo, non riusciva a convincersi del tutto di non essere effettivamente attratto fisicamente da lui. Ma non riusciva ad ammettere neanche il contrario, così Travis decise di rimanere sul vago. Era la cosa migliore da fare, in quei momenti di confusione. «Se ci avesse visto…» mormorò, ma finì per lasciare la frase in sospeso perché Michael lo interruppe con uno sbuffo.

«Non stavamo facendo nulla di illegale» osservò e si mise a rovistare nelle tasche della giacca alla ricerca di qualcosa.

«Sai che cosa intendo»

«Perché lo hai fatto, allora?»

Travis sobbalzò a quella domanda, mentre l’altro non fece una piega ed estrasse qualche moneta dalla giacca. Si alzò in piedi e passò in rassegna la lista delle bevande calde disponibili prima di spingere qualche centesimo giù dalla macchinetta.

Travis distolse lo sguardo: «Te l’ho detto, è stato impulsivo, non avrei dovuto. Non so perché l’ho fatto. Mi dispiace.»

«Io invece penso che tu lo sappia benissimo e ti sia pure piaciuto. Ti mancano solo le palle per ammetterlo.»

Travis non rispose ma serrò i pugni: perché gli stava parlando così? Perché si era spazientito a quel modo? Non capiva quanto tutto quello fosse nuovo e confusionario, per lui? Non ci si raccapezzava e anziché cercare di comprenderlo, preferiva giudicarlo.

Come se gli avesse letto nel pensiero, sentì una mano poggiarsi piano sulla sua spalla e un piccolo bicchiere di plastica fumante si intromise nel suo campo visivo. «Scusami» fece Michael, adesso tornato al suo solito tono di voce suadente, «non volevo perdere le staffe. É solo- mi sembri un po’ confuso, Travis».

Il ragazzo sospirò ed accettò di buon grado la bevanda che l’altro gli offriva. Afferrò il bicchiere, facendo attenzione a non scottarsi, e prese a mescolare in senso orario con il bastoncino di plastica che faceva capolino da quello che sembrava essere tè allo zenzero. Michael gli si sedette nuovamente accanto, il corpo voltato nella sua direzione, le gambe accavallate e la testa appoggiata a una mano.

Travis, invece, manteneva lo sguardo fisso sul caldo liquido trasparente, non sapendo bene cosa rispondere. Certo che era confuso, non lo era mai stato tanto in vita sua. Quell’uomo era entrato nel suo quotidiano da meno di tre settimane, ci parlava da poco più di ventiquattr’ore e già gli aveva fottuto il cervello a quel modo. Si chiese cosa riservasse il futuro. «É che … » farfugliò, continuando a evitare i suoi occhi, «non mi ero mai sentito così. Non mi era mai capitato, voglio dire … non-»

«… non con un uomo» Michael terminò la frase in sua vece e non era una domanda, ma un’affermazione alla quale Travis annuì debolmente. Accennare a quel piccolo movimento di testa risultò ancora più difficile di quanto avrebbe creduto. Ma la mano di Michael, che oramai aveva imparato ad associare a qualcosa di confortante, trovò la sua spalla in una dolce stretta che sperava di infondere sicurezza. «Ascolta, Travis, non devi parlarmene adesso, se non vuoi. Se è qualcosa di nuovo per te, capisco che tu possa sentirti spaesato, che tu abbia bisogno di metabolizzare, di capire quello che vuoi. Se, invece, te la sentissi, sappi che hai tutta la mia comprensione, intesi? So come ci si sente. Ci sono passato. E sappi che non c’è nulla di sbagliato.»

Travis non rispose. Soffiò un po’ sul tè per renderlo quantomeno bevibile e mandò giù un paio di sorsi.

A Michael non sfuggì quel silenzio. «Vuoi che me ne vada?» chiese, e Travis volse la testa così di scatto che quasi si fece male al collo.

«No!» esclamò, senza ombra di dubbio «No, che non voglio! Senti, io –non so che cosa devo fare, adesso, forse … forse è come dici tu, magari devo solo pensarci un po’ … l’unica cosa di cui sono sicuro é che voglio che tu resti. Va bene?»

Si rese conto di suonare probabilmente assai disperato perché Michael scoppiò in una risatina moderata e alzò le mani in segno di resa: «Okay, tranquillo! Non vado da nessuna parte, cowboy.»

Il tassista rilassò le spalle e distese le labbra in un piccolo sorriso, mentre l’altro sollevava una manica della camicia e controllava l’orologio da polso. «Sono quasi le quattro» osservò «perché non vieni un po’ a casa mia? Intanto non è che domani sera devi lavorare, dico bene?»

«Oh, io –non vorrei essere di troppo»

«Nessun disturbo» rispose Michael, alzandosi in piedi. Travis lo imitò. «Ci sono solo mio padre e mia madre, in casa, e se la dormono alla grande. Non mi sentono mai quando torno a casa così tardi.»

Si incamminarono fianco a fianco lungo il corridoio e poi fuori dall’ospedale. Michael fermò un taxi. Mentre sfrecciavano in direzione di Long Island, Travis azzardò: «Credevo che tuo padre fosse morto. Insomma … per la storia dell’eredità e il resto.»

«No, non ancora» ridacchiò Michael, ma evitò il suo sguardo, preferendo portarlo al di fuori del finestrino, e Travis ebbe la sensazione che ci fosse qualcosa in più che non se la sentiva di dirgli «ma ha avuto un brutto incidente l’anno scorso e ormai è vecchio e cagionevole di salute.»

«Capisco» si limitò a rispondere l’altro e trascorsero il resto del viaggio in silenzio.

Quando giunsero a Long Island il cielo era ancora buio e costellato di stelle. Il taxi imboccò un viale costeggiato da tigli e delimitato a destra da un alto muretto di pietra e si fermò poco distante da un piccolo cancello. Travis trattenne il respiro quando si accorse che era sorvegliato da tre uomini, di cui uno estremamente grasso che si avvicinò all’autovettura per guardare chi vi fosse dentro. Ma Michael, tranquillamente, sorrise e aprì la portiera, sporgendosi leggermente fuori con la testa: «Lasciami pagare un attimo!»

L’uomo grasso scoppiò in una risata sguaiata. Si voltò nuovamente verso il resto del capannello e Travis lo sentì dire: «É Mikey. Aprite pure.»

Come se nulla fosse, Michael estrasse il portafoglio, contò un paio di banconote e le allungò al tassista. Poi scese dall’auto e Travis lo seguì.

«Avresti dovuto lasciarmi pagare almeno una corsa … » bofonchiò, ma Michael scosse la testa: «Vorrà dire che me ne offrirai un’altra quando avrò bisogno di te»

«Così mi rovini.»

Ridacchiando, si erano avvicinati al cancello e quindi al piccolo stuolo di uomini che, Travis era pronto a giurarlo, erano armati di pistola sotto le giacche eleganti perché quando si era fermato il tassì le loro mani erano già state fatte prontamente scivolare all’interno di esse.

Il grassone, che sembrava il più vecchio dei tre e somigliava incredibilmente a un budino umano, sorrise a Michael e lo accolse in un abbraccio che quasi fece scomparire il giovane. La differenza di corporatura aveva un qualcosa di comico che costrinse Travis a soffocare una risatina sul dorso della mano. Liberato dalla morsa, Michael lasciò un tenero buffetto sull’enorme braccio dell’uomo.

«State facendo un ottimo lavoro qui » disse e fece cenno a Travis di avvicinarsi a lui per presentarlo agli altri. «Peter, lui è il mio amico Travis. Non terrorizzatelo, mi raccomando.»

Travis non aveva ancora ben registrato che Michael lo aveva introdotto con il termine amico perché il budino gigante gli afferrò la mano e, a dirla tutta, la sua stretta non era neanche così possente. «Peter Clemenza» si presentò, per poi sporgersi nuovamente verso Michael per sussurrargli qualcosa all’orecchio.

«Va bene» mormorò il ragazzo e affondò le mani nelle tasche dei pantaloni neri, «chi viene a dare il cambio?»

«Tessio. Verso le sei.»

Michael lo ringraziò in italiano. Poi prese Travis sottobraccio e si incamminò con lui attraverso un piccolo sentiero di mattonelle circondato da aiuole che conduceva a un compound di quattro case costruite in pietra e disposte in circolo, davanti alle quali erano parcheggiate diverse automobili d’epoca laccate di nero. Una delle villette era dipinta di un aggraziato color crema, aveva le travi a vista e una veranda al posto del portico. Michael lo condusse lì, sollevò lo zerbino di fronte alla porta, afferrò la chiave che vi trovò sotto e aprì, invitando Travis a entrare per primo.

Una volta messo piede nell’ingresso buio, Michael si mosse per accendere una piccola lampada a muro che emise una luce fioca, poi richiuse lentamente la porta. Si portò due dita alle labbra, intimando a Travis di fare silenzio, dopodiché gli prese nuovamente il braccio e lo condusse verso quella che sembrava essere la porta di uno scantinato. In fondo alle scale, invece, Travis vi trovò un’accogliente tavernetta in stile rustico, adibita a cucina e sala da pranzo. Il rumore di una lavatrice in funzione in una stanza adiacente gli suggeriva la presenza della lavanderia.

Travis, che non era decisamente abituato a un tale lusso e, soprattutto, a quell’ordine si guardava attorno registrando ogni minimo particolare: dal lungo tavolo in noce, circondato da alcune sedie e una cassapanca dello stesso materiale, ai vasi di piante appesi al soffitto, alle pareti in pietra grezza adornati di fotografie di cui molte in bianco e nero. Travis venne particolarmente attratto da quella più grossa, a colori, che stava al centro della parete dietro al tavolo e che era sicuro rappresentasse la famiglia di Michael al completo durante un matrimonio. Lo intravide a destra dell’immagine, sorridente e in piedi tra due belle ragazze, una dai lucenti capelli castani abbigliata in rosa che pareva essere la damigella d’onore, e un’altra dalla chioma dorata il cui cappello quasi nascondeva il viso di Michael accanto a lei. Travis riconobbe la divisa militare che indossava lui e non riuscì a trattenersi. «Anche io ero nei Marines!» esclamò, voltandosi. Michael si stava vuotando un po’ d’acqua del rubinetto in cucina in un bicchiere di vetro. Il ragazzo mandò giù qualche sorso, prima di rispondere: «Appena arrivato dall’addestramento, mi hanno spedito subito a Khe Sanh»

«Io ero a Cam Ranh quando è stata bombardata. Sono stato congedato nel ‘73»

«Non parliamo di guerra» lo interruppe Michael e Travis si trovò d’accordo. Ogni giorno cercava disperatamente di non pensare alla sua esperienza in Vietnam eppure quelle sensazioni che aveva provato ogni giorno in guerra continuavano a ripresentarsi in maniera prepotente nella sua testa, attorno a lui, nei volti delle persone che lo fissavano o che urlavano per strada o che si sparavano addosso in lontananza nel buio dei vicoli.

Michael gli si avvicinò, appoggiandosi al tavolo di legno, e si mise a guardare la foto che aveva catturato il suo interesse. «I miei» spiegò, indicando il quadretto con un dito.

Travis ridacchiò: «Non so perché ma l’avevo capito»

«Ah, zitto. Quelli sono i miei genitori, Vito e Carmela» Il padre di Michael, che troneggiava al centro della foto, era un patriarca dall’aria austera e possente: tarchiato, dai radi capelli brizzolati, elegantemente agghindato con un frac e una rosa all’occhiello, teneva sottobraccio una bella signora sorridente, dalla chioma riccia e dai tipici lineamenti della donna siciliana e un lungo vestito di raso rosa pastello.

«Tua madre ti somiglia molto» osservò Travis, facendo scivolare lo sguardo un po’ sulla donna e un po’ su Michael.

«É vero» ammise Michael, per poi sgranare gli occhi mezzo secondo dopo, come se avesse realizzato qualcosa all’improvviso. «Oh mio Dio, sai che cosa ho notato? Che tu sei praticamente identico a mio padre quando era giovane!»

«Macché!»

«Ah no? Giudica tu stesso, é quello lassù» e gli indicò una foto decisamente più datata, in bianco e nero, che stava un po’ più in alto e ritraeva un giovane di bell’aspetto, con i capelli pettinati all’indietro come li portava Michael. Teneva una coppola tra le mani e l’espressione sul suo volto e nei suoi occhi scuri aveva un ché di malinconico e forse fu proprio quel piccolo particolare a far rendere conto Travis che, effettivamente, poteva esservi una certa somiglianza tra lui e quell’uomo non più così giovane.

Travis lanciò uno sguardo di approvazione a Michael, prima di tornare a concentrarsi sulla foto del matrimonio: «Chi altri c’è lì?»

Gli piaceva l’idea che Michael avesse una famiglia numerosa. Aveva sempre desiderato un fratello o una sorella con cui crescere, giocare, scorrazzare nei campi dietro casa, ma i suoi genitori non gli avevano mai donato quel tipo di compagnia.

Michael si schiarì la gola e tornò a snocciolare velocemente alcuni nomi: «Gli sposi sono mia sorella Connie e suo marito Carlo. Lui è mio fratello Fredo, che adesso sta a Las Vegas. Tom Hagen –vi siete parlati al telefono»

«Ah» fece Travis, e non seppe perché, ma apprendere quella nozione suscitò in lui una strana sensazione indecifrabile. «Non avevo capito che fosse tuo parente stretto. Aveva un accento mezzo irlandese … »

«Già» ridacchiò Michael «mio fratello Sonny lo trovò quando era un bambino che mendicava per la strada. Lo portò a casa e ha sempre vissuto con noi da allora. I miei non lo hanno mai adottato ufficialmente perché mio padre insisteva che divenisse il consigliere di famiglia.»

Travis annuì, ma in realtà era ancora più confuso di prima. Da quando erano arrivati a Long Island gli frullavano in testa mille domande, come perché ci fossero degli uomini armati di guardia fuori dal cancello della tenuta o che diavolo fosse un consigliere, ma non voleva rischiare di sembrare troppo invadente. Quindi decise che avrebbe lasciato che Michael gli desse chiarimenti se e quando avrebbe voluto lui.

Michael indicò nella foto un giovane alto, con le spalle larghe e i ricci ramati. «Lui è Sonny, mio fratello maggiore» disse. Spostò il dito sulla ragazza dai capelli castani: «Sua moglie Sandra … un gran bel pezzo di ragazzo … » -risero perché aveva indicato sé stesso- «e Kay. La mia ex ragazza».

Travis non riuscì a trattenersi dal rivolgergli un ghigno e Michael esclamò: «Ehi, che hai da ridere?» Ma era visibilmente divertito anche lui.

«Fai stragi di donne, tu, eh?»

«Mh. E non solo»

Travis fu tentato di chiedergli qualcosa in proposito, ma poi vi ripensò e lasciò che fosse Michael a parlare: «Mi faccio un bagno. Non riesco a dormire senza. Vieni.»

Travis fu colto alla sprovvista: «Vuoi –che venga in bagno con te?» farfugliò, sentendo chiaramente il rossore impossessarsi delle sue gote. Ma Michael non gli lasciò nemmeno il tempo di replicare, gli prese il braccio e lo guidò in un piccolo antibagno dove aprì un piccolo armadio ad ante. Dentro vi era una scarpiera e, sopra, alcune mensole che contenevano asciugamani, scatole per il cucito e alcuni giochi da tavola. Cautamente, Michael estrasse una grossa scatola di legno con sopra una scacchiera. Muovendola, le pedine all’interno fecero un gran baccano.

«Sai giocare a scacchi?» domandò, chiudendo l’anta dell’armadio. Travis scosse la testa. «Non fa niente. Ti insegno io. Puoi prendere una sedia, per favore?»

Lui eseguì. Quando mise piede nel bagno, Michael aveva già posato la scacchiera su un piccolo sgabello e aperto il rubinetto della vasca per riempirla di acqua calda. Presto, il bagno si riempì di un piacevole tepore e dell’odore di sapone e sali da bagno, mentre i due sistemavano i pezzi per prepararli al gioco. Travis imparò presto che ogni pedina aveva la sua casella e un movimento proprio: l’Alfiere esclusivamente in obliquo, il Cavallo a L, la Regina a proprio piacimento… Era pieno di regole e più complicato di quanto avesse mai pensato, ma Michael gli assicurò che avrebbe capito meglio una volta iniziato a giocare. Quando la vasca fu abbastanza piena d’acqua, Michael cominciò a sbottonarsi la camicia e Travis scostò lo sguardo, sentendosi profondamente imbarazzato, e tornò a guardarlo soltanto una volta che lo udì immergersi. Il fatto che avesse evitato di guardare la sua nudità più intima, non lo aiutò a sentirsi più a suo agio. Il suo petto bagnato, sul quale pendeva un piccolo crocifisso d’argento appeso al collo, si alzava e riabbassava lentamente seguendo il ritmo regolare con cui il ragazzo inspirava ed espirava, rilassandosi e beandosi del vapore che li circondava. Prese una manciata d’acqua e se la versò sulla testa, bagnandosi i capelli, passandosi le mani tra le ciocche marroni che ricaddero spettinati sulla sua fronte. C’era un qualcosa di più infantile in lui, con quell’aspetto, eppure Travis pensò che fosse ancora più bello. Si ritrovò a frenare il crescente impulso di strapparsi di dosso i propri vestiti e unirsi a lui. Il solo pensiero lo fece eccitare.

Oh, merda. Oh cazzo, no, no, non adesso!

Si mosse a disagio sulla sedia e accavallò in fretta le gambe, cercando di nascondere disperatamente la propria erezione che cresceva sfacciatamente. Era una posizione tremendamente scomoda.

Travis si impose di non guardare Michael, di non pensare al fatto che l’acqua gli copriva a malapena la zona pelvica, e si concentrò sulla scacchiera, schiarendosi la voce per attirare l’attenzione dell’italiano e iniziare il gioco.

Michael si voltò e sorrise: «Scusa, ci sono. Hai tu i bianchi, quindi spetta a te la prima mossa.»

Travis annuì e mosse un pedone avanti di due caselle. Sollevò gli occhi su Michael, in cerca di approvazione, ordinando a sé stesso di non abbassare lo sguardo su qualunque altra parte del suo corpo bagnato: «Posso farlo all’inizio del gioco, vero?»

«Come prima mossa sì» rispose lui, e spinse un suo pedone.

Travis fu il primo a perderne uno nella sua schiera. Ovviamente se lo era aspettato. Ma dovette perderne altri cinque o sei e pure una Torre prima di rendersi conto che, effettivamente, c’era qualcosa che non andava.

«Mi stai imitando!» esclamò e Michael gli rispose con un ghigno.

«Effetto specchio» spiegò «mosse e contromosse. É lo svantaggio del bianco. Ti serve una strategia.»

Al suo nuovo turno, Travis si fermò per pensarci un po’ su. Doveva anticiparlo. Bloccarlo in qualche modo, portare il gioco a un nuovo livello.

Michael lo vide in difficoltà e decise di venire in suo aiuto. «Ti do un indizio» mormorò «il tuo Re è scoperto.»

Aveva ragione. L’Alfiere nero era pericolosamente nella traiettoria. Travis afferrò la regina e la spostò di qualche casella davanti al Re. Michael rise. Afferrò l’Alfiere e si mangiò la Regina. Aveva vinto.

«Scacco Matto» ridacchiò.

Travis gli riservò un’occhiataccia: «Mi hai ingannato!»

«Avresti perso comunque. Ma ti concedo una rivincita.»

«Sei troppo bravo» sospirò Travis, lasciandosi cadere contro lo schienale della sedia.

Michael si appoggiò con entrambe le braccia al bordo della vasca e vi posò sopra la testa. «Gioco solo da più tempo» osservò «Mio padre è ossessionato dagli scacchi, ha voluto per forza farci imparare tutti. Mosse e contromosse.» Il suo sguardo mutò in un attimo, nel ripetere quelle parole, divenne quasi tediato e si spostò nel vuoto, in un punto impreciso del pavimento. «Dovevo entrare negli affari di famiglia per rendermi conto di cosa volesse dire in tutto questo tempo.»

Travis si raddrizzò sulla sedia. Doveva chiederglielo. D’altronde, aveva il diritto di sapere, dal momento che si ritrovava sotto il suo tetto ed era stato lui a invitarlo lì. Ed era come se Michael fosse sempre in procinto di dirglielo, ma per qualche motivo si bloccava, cambiava idea, ritornava sui suoi passi. Era giunto il momento di mettere le cose in chiaro.

«La tua famiglia non importa solo olio d’oliva, non è vero?» chiese e il cuore prese a battergli più forte del previsto. Aveva paura di sfanculare tutto quello che era stato costruito con Michael e, visto il brevissimo arco di tempo e il punto in cui si ritrovavano, non sembrava trattarsi di poco.

Michael contrasse le labbra in una smorfia, ma non negò.

«Facciamo affari» rispose «abbiamo alcuni casinò a Las Vegas.»

Travis grugnì: «Non mi piace quella roba»

«Neanche a me. Per questo ci ho spedito Fredo. Lui dirige laggiù e Tom si occupa di controllare cosa ne incassiamo. Mi chiamano solo se c’è qualche problema, per discutere di compravendita e cose di questo genere.»

Travis piegò la testa di lato e lo osservò: «E tu?»

«Io cosa?»

«Tu che ci fai qui?»

Michael si raddrizzò nella vasca ed inspirò profondamente prima di rispondere: «Favori.»

Travis, il cui corpo non era rimasto immune alle azioni dell’altro uomo, si costrinse a rimanere concentrato sulla conversazione, che ormai aveva preso toni decisamente seri. «Che tipo di favori?»

«Qualunque tipo che faresti a una cerchia di amici» rispose Michael, scrollando le spalle «se qualcuno ha bisogno di soldi per aprire un ristorante, viene da me e può chiedermi un prestito. Se qualcuno fa un torto a un amico o a un membro della sua famiglia, io mando qualcuno a punirlo. Purché siano cose serie, ovviamente, non perché il vicino tiene il volume della televisione troppo alto. Prendi il pazzo della Magnum di cui mi hai raccontato stasera. Metti che abbia ammazzato la moglie.»

Travis rabbrividì a quelle parole.

«Ora, se quella donna fosse stata, per esempio, la figlia di un caro amico di famiglia, questi potrebbe venire da me a chiedermi giustizia. Una telefonata a un mio uomo fidato ed ecco che il killer della Magnum rimane solo un brutto ricordo.»

La bocca di Travis si spalancò; un po’ per lo stupore, un po’ per il pensiero di quel pazzo a cui veniva fatto saltare in aria il cervello come lui gli aveva raccontato che sarebbe successo a sua moglie.

«Cazzo … » fu l’unica parola che fuoriuscì dalle proprie labbra, mentre quelle di Michael tornarono a incurvarsi alla vista della sua espressione. «Te l’ho detto» sussurrò «sono bravo ad aiutare le persone.»

Travis fu colto completamente alla sprovvista. Vide Michael alzarsi velocemente e si ritrovò a contemplarlo completamente nudo davanti a lui. E questa volta non distolse lo sguardo, anzi. Lo lasciò vagare. Lasciò che i propri occhi registrassero ogni cosa, ogni muscolo teso, ogni goccia sulla sua pelle ambrata. Guardò le sue gambe, le sue cosce levigate, si soffermò forse un poco più sulla sua virilità che ricadeva morbida da sotto i peli del pube. Risalì sui suoi addominali non particolarmente scolpiti ma comunque evidenti, seguendo la linea dei peli del petto, e si leccò le labbra alla vista dei suoi capezzoli bagnati, delle sue clavicole, del suo collo impregnato d’acqua, di quel suo viso angelico. Era bellissimo. Una visione celestiale. Il dislivello della vasca rispetto al pavimento gli regalava qualche centimetro in più e, dalla postazione di Travis sulla sedia, sembrava un titano. Ancora meglio, un Dio nato dall’acqua, come in un dipinto di qualche altro italiano famoso nel Cinquecento o giù di lì.

Travis si mise in piedi, incurante della propria erezione che oramai premeva quasi dolorosamente contro quei maledetti jeans, e Michael gli sorrise. Non si dissero niente. Nemmeno quando gli mise una mano sulla spalla, appoggiandosi a lui per uscire dalla vasca. Non parlarono quando Michael iniziò a slacciargli la cintura. Si limitavano a guardarsi negli occhi, le labbra di Travis appena schiuse e tremolanti, quelle di Michael incurvate in quel lieve e sensuale sorriso che non accennava a smorzarsi. Trattenne il respiro quando sentì la mano destra del ragazzo massaggiare la sua erezione attraverso la stoffa grigia dei boxer che indossava e si lasciò sfuggire un forte gemito quando gli abbassò la biancheria e il suo palmo e le sue dita si serrarono decisi sulla sua intimità. Michael mosse avanti e indietro la mano, accarezzandogli il membro lungo tutta la lunghezza, alternando movimenti lenti e minuziosi con altri più veloci e incredibilmente eccitanti. Con la sinistra, invece, dalla spalla era risalito al suo collo, poi fino al suo volto e gli accarezzava dolcemente una guancia, passando ogni tanto il pollice sulle sue labbra, da cui Travis lasciava fuoriuscire sospiri e gemiti di piacere intenso al quale non era più abituato. Dio, non ricordava nemmeno l’ultima volta che si era toccato da solo e Michael era così dannatamente bravo e deciso che sapeva che non sarebbe durato ancora a lungo. Quando avvertì di essere sempre più prossimo al limite, Travis afferrò il volto di Michael e lo baciò per la seconda volta in quella serata, se possibile, con ancora più vigore e passione rispetto a un paio di ore prima. Si rese subito conto della differenza. La prima volta era stato un bacio di pura e semplice impulsività. Questa volta c’era di mezzo tutto il fermento dell’attimo e fu bellissimo. Venne nella mano di Michael, ringhiando eccitato sulle sue labbra. Le gambe di Travis tremavano, come se avesse corso, e la parte più bassa del suo ventre quasi doleva. Gli sembrava di aver fatto uno sforzo sovrumano. Strinse Michael in un abbraccio, sfinito, nascondendo il viso nell’incavo tra la sua spalla e il collo e si beò per qualche attimo dell’odore della sua pelle ancora bagnata e profumata di sapone. Probabilmente aveva fatto un macello perché lo sentì borbottare: «Mi ero appena lavato, comunque.»

Travis rise, ma non lo lasciò andare per un po’. Stare stretto a lui lo faceva sentire calmo e appagato e gli infondeva una certa sicurezza, come se nulla al mondo potesse sfiorare i loro corpi intrecciati. Sentì le dita di Michael accarezzargli l’attaccatura dei capelli. 


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Salve, follettini e follettine! Questa volta devo dilungarmi un po' di più in queste note d'autore (che sto riscrivendo per la seconda volta perché il mio pc ha pensato bene di crashare). Anzitutto, spero vi sia piaciuto questo po' di zucchero (e non solo, muahahah) tra i nostri due eroi. Sinceramente, non sono del tutto soddisfatta di questo capitolo, che é stato un parto: lo avevo molto ben delineato in testa, ma alla fine ho continuato a tagliare e rielaborare parti e il risultato é che non mi sembra particolarmente completo. Ad esempio, avrebbe dovuto esserci un vero e proprio chiarimento tra Mike e Travis che avrebbe portato a una vera svolta nella trama; qui Michael accenna giusto un poco a quello che fa davvero, perciò ho deciso di lasciare quella parte per uno dei prossimi capitoli (il quinto, probabilmente).
Siccome ci troviamo in casa di Mike, in questo capitolo compaiono e vengono citati altri personaggi de Il Padrino; se avete visto il film, avrete senz'altro riconosciuto Clemenza e, ovviamente, tutta la sacra famiglia dei Corleone. Se, invece, non lo avete visto, be', spero che fosse comunque tutto abbastanza chiaro.
A un certo punto, ho voluto proprio fare la simpaticona perché quando Mike dice a Travis che somiglia a suo padre quando era giovane, é un chiaro riferimento al fatto che entrambi i personaggi sono stati interpretati da Robert De Niro. Scusatemi, ma non ho resistito a fare questa trashata.

Altra cosa un po' più importante: il prossimo aggiornamento arriverà con qualche giorno di ritardo in più perché la prossima settimana parto per Londra e, siccome in ostello sarò ovviamente impossibilitata ad aggiornare, questa settimana mi dedicherò esclusivamente al terzo capitolo di Bridge Over Troubled Water, l'altra mia storia. Se non la seguite, fatelo!

Ringrazio come sempre chi lascia recensioni e anche chi ha inserito la storia nelle Preferite/Seguite. Spero che non mi abbandonerete, ci si vede al prossimo aggiornamento <3
  
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