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Autore: ElinaFD    21/03/2019    2 recensioni
Marsiglia 2016, finale del Grand Prix. I sei pattinatori più forti al mondo si sfidano per determinare chi sarà il campione di metà stagione. Tra questi c'è di nuovo Victor, tornato all'agonismo, insieme allo Yuuri giapponese e a quello russo. Non tutto però va a gonfie vele, per gli atleti. A volte è il corpo a tradirli; altre, invece, soltanto la testa...
Chi vincerà?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Otabek Altin, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Kintsugi, o l'arte delle preziose cicatrici'
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Benvenut* a questa mia nuova fatica!

Dunque, stavolta si tratta di una serie e non di una storia scritta in coppia. Questa serie è basata sul canon dell’anime, quindi niente bestiole strane né universi paralleli, ed è composta da prequel, sequel e piccoli spin-off (o qualcosa del genere). In parte è nella nostra mente, in parte è stata scritta. Io vorrei iniziare a condividere con voi ciò che io ho scritto, immaginando gli anni successivi all’anime.

Naturalmente seguono alcune piccole avvertenze per l’uso…

Prima di tutto abbiamo arbitrariamente ambientato gli eventi dell’anime nel 2015. So che adesso è canon che l’anno sia invece il 2016, ma all’interno della serie ci sono alcune contraddizioni su questo punto, per cui noi abbiamo fatto un po’ di ricerca e ci è sembrato che l’anno più comodo fosse il 2015. Quindi mi scuso fin d’ora se questo non combacia con il vostro canon mentale.

Inoltre ci siamo prese, nello scrivere, alcune piccole libertà. Abbiamo arbitrariamente deciso che Makkachin sia femmina, ad esempio, e abbiamo costruito per Victor e Yuri, così come per tutti gli altri, background totalmente inventati, che siamo certe verranno distrutti dal film in uscita quest’anno. Soprattutto, e qui il mea culpa è tutto personale, per ragioni tecniche, ho fatto partecipare il Kazakistan agli Europei, quando invece partecipa ai Four Continents. È stata una svista quasi involontaria e una volta fatto l’errore non potevo più correggerlo, quindi portate pazienza…

Nelle storie si cambierà spesso punto di vista tra i protagonisti e a volte verranno inserite parole o frasi in lingua straniera, per lo più in giapponese o in russo. Non temete, metterò note a piè di pagina per spiegarne il significato ogni volta, anche per le parole più semplici. Se qualcosa però dovesse risultare poco chiaro non abbiate paura di chiedere. Lo stesso vale per i dettagli legati allo sport: ho cercato di essere più fedele e realistica possibile, documentandomi a lungo, e a volte forse potrei ritenere perfettamente comprensibili sistemi di regole o definizioni che invece non lo sono affatto. Sarò felice di chiarire ogni cosa, se necessario.

Infine queste storie sono per la maggior parte di colore rosso. Siamo di fronte a maschi adulti e innamorati, qualcosa devono pur fare per passare le lunghe sere invernali…

Bene, spero possiate apprezzare i nostri sforzi, leggere con bramosia e divertirvi un po’ con noi per le gioie e i molti dolori dei nostri beneamati pattinatori. Grazie mille per l’attenzione!



 
MARSIGLIA 2016




Marsiglia, mercoledì 7 dicembre 2016, pomeriggio

 


Yuri aveva un sacco di motivi per essere incazzato. 

Erano mesi che si allenava per quelle dannate routine e da 3 settimane a quella parte continuava a cadere. Era frustrante, estenuante e, a lungo andare, faceva male. Non che non fosse caduto migliaia di volte, in passato, ma una relazione così intensa e rovinosa con la pista non la intratteneva da un po' e il suo corpo non faceva che ricordargli, a sera, che il ghiaccio era duro. Era una fortuna che i vestiti coprissero alla perfezione i lividi. 

Il problema era che da qualche tempo i piedi non erano mai dove se li aspettava, ma sempre un po' più in basso. Probabilmente la causa era da ricercare nello stesso fenomeno che l'aveva costretto a cambiare tutti i costumi a metà stagione.

Il pensiero ancora lo faceva imbestialire. I costumi sostitutivi non erano neanche lontanamente all'altezza degli originali. E poi c'era la figura di merda che aveva fatto al Trophée Bompard. (Ancora non riusciva a riferirsi ad esso come Trophée de France, non l’aveva mai sentito chiamare con nessun altro nome da quand’era nato.) Dopo aver vinto l'oro allo Skate America era arrivato in Francia con la certezza di qualificarsi ad occhi chiusi. Invece era arrivato quarto e l'umiliazione ancora bruciava. A riguardare quell'esecuzione (l'aveva fatto solo una volta; non era riuscito ad arrivare in fondo alla seconda, e neppure il suo portatile) non si era nemmeno riconosciuto. Il pensiero che ci fosse anche JJ a quel Grand Prix, e che si fosse portato a casa l’oro, non aveva fatto altro che peggiorare la faccenda.

Infine c’erano loro. Victor e quel deficiente di un porco giapponese. Non sapeva più dire chi dei due detestasse maggiormente. Ciò di cui era certo era che quei due non avevano nessuno dei problemi che invece affliggevano lui e se la passavano alla grande. Peggio, non facevano altro che scopare. Be’, forse non esattamente scopare, non in pubblico almeno, ma erano sempre appiccicati, le mani addosso, ad abbracciarsi o ad accarezzarsi o a sussurrarsi nell’orecchio e a sorridere come ragazzine idiote e lui agli allenamenti passava le giornate con la pelle d’oca. E si baciavano. In continuazione. Al solo pensiero Yuri sentiva una stretta allo stomaco. Probabilmente era anche per questo che continuava a sbagliare i salti. Come ci si poteva aspettare che riuscisse a concentrarsi con l’immagine di quei due che limonavano a bordo pista? Aveva provato a farli sentire a disagio, a urlar loro dietro insulti, a lanciar loro addosso oggetti contundenti, a farli sentire in colpa, ma non era servito a nulla. Nemmeno Yakov era riuscito a farli desistere; anzi, Yuri sospettava che Victor ci avesse preso più gusto, solo per il brivido della provocazione che lo contraddistingueva.

Insomma, aveva sedici anni, la sua vita faceva schifo, il suo intero armadio era da buttare, era accompagnato solo da dementi e la sua carriera era rischiosamente avviata al declino. Ma la cosa peggiore in assoluto erano quei brufoli orrendi che continuavano a spuntargli sulla fronte. Poteva sopportare tutto, il dolore e il fallimento, ma non il pensiero di diventare brutto.

“Ma ci vedi qualcosa, da lì sotto?” domandò Otabek, dandogli un’occhiata di traverso prima di tornare a scrutare la pista.

Yuri lo squadrò, soppesando la sua espressione e il tono della voce. No, decise, non era ironico.

“Certo che ci vedo,” mormorò scontroso, calandosi ancor maggiormente il cappuccio della felpa in testa e lasciando che i capelli biondi scendessero a coprirgli il viso in una sorta di sipario dorato.

“Quindi hai finito di allenarti per oggi?”

Yuri guardò la pista con un misto di malinconia e risentimento. Dei sei finalisti solo tre erano ancora intenti ad esercitarsi; due su tre, d’altronde, non si erano degnati di arrivare se non con quasi mezz’ora di ritardo sul programma. Yakov si era quasi fatto partire un embolo. E invece eccoli lì, i piccioncini, che provavano i loro salti e le loro routine come se niente fosse. Se lui si fosse azzardato a presentarsi con mezz’ora di ritardo Yakov non gliel’avrebbe fatta passare liscia; invece Victor era lì con la sua pelle ancora addosso e si permetteva anche di prendersi una pausa, tra una serie e l’altra, per dare un’occhiata a ciò che Yuuri stava combinando. Al momento parevano intenti a confabulare, in quella lingua misteriosa e incomprensibile che alla pista, a casa, chiamavano Rusjapenglish, e che lui sospettava essere un mistero anche per loro due, visti tutti i gesti che Victor usava per spiegarsi. Yuuri annuiva con forza, con quel modo tutto giapponese di inchinarsi quasi ad ogni Hai [1]che a Yuri dava il voltastomaco. Certo che fare il coach mentre si gareggiava a questi livelli doveva essere quasi impossibile, da perderci la testa; eppure Victor ci riusciva, loro due ci riuscivano. Per qualche motivo questo lo faceva incazzare ancor di più.

“Mh,” mugugnò in risposta. “Tu hai finito?”

“Sì, ma pensavo che Yakov non ti avrebbe lasciato sfuggire così facilmente.”

Yuri scrollò le spalle.

“Credo ci abbia rinunciato…” bofonchiò sarcastico.

Otabek si voltò ad osservarlo perplesso.

“Sarebbe a dire?”

Che non ci crede più nemmeno lui che io possa arrivare in fondo a questa gara conservando la dignità, pensò Yuri con amarezza.

“Niente, lascia stare,” biascicò sbrigativo.

“Allora andiamo a prenderci un tè da qualche parte,” propose Otabek. Non era una vera domanda, perché non sarebbe stato da lui mostrare quel genere di incertezza quando ben sapeva che gli avrebbe detto di sì. Aveva quel modo di parlare chiaro, diretto, senza giri di parole o esitazioni, che a Yuri piaceva tanto. Nessuno mai gli aveva parlato così, così come nessuno aveva avuto il coraggio di avvicinarlo tanto da diventare suo amico. Solo per questo già era speciale. “Sempre che tu non voglia aspettare la fine degli allenamenti.”

“No, no, per carità,” esclamò, esasperato all’idea. “Prima leviamo le tende da qui meglio sto.”

Otabek sorrise silenzioso. Yuri sentì il braccio caldo stringersi attorno alle sue spalle e condurlo via con sé. Infilò le mani ancor più a fondo nelle tasche e incurvò le spalle in avanti, lasciando che i capelli gli nascondessero del tutto il viso, e si abbandonò a quel contatto affettuoso. Dio solo sapeva se ne aveva bisogno, ultimamente.


 
 
“E se ne va…” Victor commentò, lanciando un’occhiata alle proprie spalle.

Yuuri aggrottò la fronte, mentre beveva, in un’espressione interrogativa.

“Il fascino maledetto dei cosacchi,” spiegò serafico Victor, sogghignando.

Yuuri allungò un po’ il collo, strizzando appena gli occhi. Victor non sapeva nemmeno se si rendesse conto di farlo, in momenti come quello, ma era così dolce che non aveva intenzione di farglielo notare: conoscendolo avrebbe potuto smettere.

“Era Otabek?” domandò sorpreso.

“Chi altri?”

Yuuri ridacchiò.

“Victor… Ha già tanti problemi così. Non prenderlo in giro…” lo ammonì, ma il tono divertito toglieva un po’ di persuasività alle sue parole.

“Povero Yurio…” sospirò teatralmente Victor passandosi una mano tra i capelli. “Che tragedia, la sua vita…”

Yuuri scosse la testa.

“Sei ingiusto. L’abbiamo passata tutti quella fase. Non è facile, quando si cambia così in fretta.”

“Ti ricordo che il ragazzino mi ha tirato addosso una scodella di borscht non più tardi di tre giorni fa.”

“…È Yurio,” commentò atono Yuuri. “Visto come sta andando aspettati di peggio al nostro ritorno in Russia.”

Victor sospirò nuovamente, chiudendo gli occhi.

“Va bene, mi fa un po’ pena, ma io non mi ricordo di aver fatto tutta questa sceneggiata.”

“Perché a te non è successo a metà stagione e mentre gareggiavi nei Senior,” rispose prontamente Yuuri, che guardava la pista praticamente vuota senza davvero vederla. “Ha un sacco di pressione addosso, dopo il Grand Prix dell’anno scorso. Dovresti sapere cosa significa.”

Victor abbassò lo sguardo. In verità era piuttosto preoccupato per Yuri, ma non c’era nulla che lui o chiunque altro potesse fare per aiutarlo: quel genere di cose richiedevano solo tempo e pazienza.

“Vitya! Che cosa pensi di fare? Ti porto una brandina e ti fai un pisolino?” Il richiamo adirato di Yakov lo riscosse dalle proprie divagazioni.

“Be’, almeno lasciami commentare la sua scelta di accompagnatori!” esclamò Victor sogghignando in direzione del compagno, mentre già si allontanava all’indietro sul ghiaccio, acquistando velocità. Fece un giro di pista per riscaldare le gambe, respirò a fondo l’aria fredda, che come sempre gli schiariva la mente, e si fermò di fronte a Yakov con una trottola. “Faccio una volta i salti dello short e tutto il free, poi però basta,” dichiarò, massaggiandosi un fianco. Ultimamente gli stava dando fastidi.

“Decidi tu? Ti vuoi anche fare da coach da solo?” ribatté Yakov sarcastico.

Victor fece spallucce, sfoggiando il sorriso radioso con cui sempre disarmava le folle, ma che presto si trasformò in uno più genuino e confidenziale.

“Sono vecchio, Yakov. Non ho più tutta quella resistenza…”

L’allenatore chiuse gli occhi e grugnì contrariato.

“Non ce l’hai mai avuta, perché non ti sei mai allenato abbastanza,” borbottò. “Ti fa male?” aggiunse poi, facendo cenno col mento al fianco.

Victor scrollò le spalle. Inutile pensarci.

“Fammi il free, ma fallo tutto di fila, non a puntate come al solito.”

“Gra–” Fu interrotto dal tonfo inconfondibile di un corpo che cadeva. Voltò la testa di scatto e infatti Yuuri era inginocchiato sul ghiaccio, intento a sbattere tra loro le mani guantate mentre teneva lo sguardo fisso su Seung-gil Lee, che con una serie di passi si stava portando dalla parte opposta della pista.

“Tutto bene?” gli urlò Victor, solo vagamente preoccupato. Yuuri era uno che sapeva cadere sul ghiaccio e non si faceva praticamente mai male. Se da una parte l’istinto irrazionale l’aveva subito incitato ad intervenire, la razionalità e il buon senso avevano spento l’allarme: Yuuri era perfettamente in grado di fare da sé, perché con tutte le sue fragilità aveva una tempra fisica d’acciaio. Forse più della sua.

Yuuri lo superò pattinando lentamente, le mani sui fianchi e gli occhi bassi, ma passandogli accanto gli fece un gesto di conferma per tranquillizzarlo.
“Victor,” lo richiamò Yakov. “Abbiamo già fatto questo discorso. O pensi a quel ragazzo o a te stesso. Adesso pensa a te. Fai il tuo programma e fallo bene e poi potrai continuare a giocare a fare il coach.”

Victor gli scoccò un’occhiata di blando rimprovero, ma si portò al centro della pista e chiuse gli occhi, concentrandosi. Non aveva bisogno della musica per sentirla; ce l’aveva dentro, nella testa, nel cuore, e da lì scorreva nelle braccia e nelle gambe. Iniziò a muoversi, con gesti fluidi quasi automatici. Il suo corpo sapeva cosa fare, conosceva quella routine più di quanto non fosse impressa nella sua mente. Ogni spostamento, ogni accento della musica, ogni respiro e cambio di filo della lama, non doveva più pensare a nulla di tutto questo per riuscire a farlo correttamente. Non era solo la correttezza che cercava, però: quella l’avrebbe potuta ottenere anche il più imbranato dei junior, con la perseveranza. No, dopo che il corpo aveva imparato la routine, quando pensare non serviva più, c’era quel momento magico in cui poteva tornare a concentrarsi totalmente sui movimenti e sentirli. Era quell’intensità che aveva riscoperto, pattinando con Yuuri, quella presenza sul ghiaccio che aveva finto più che raggiunto, negli ultimi anni, quando faceva fatica ad emozionarsi ancora per davvero mentre si esibiva. Transizione, giro, preparazione al salto e…triplo Axel. Non altissimo, poteva venire meglio, molto meglio. Lo avrebbe eseguito meglio nella seconda parte del programma, in combinazione.

Con la coda dell’occhio Victor teneva sotto controllo gli spostamenti degli altri due pattinatori in pista, assicurandosi di non trovarsi sulla loro traiettoria, per quanto in quel momento la precedenza fosse palesemente sua. In tre, poi, era difficile non riuscire ad evitarsi… Serie di passi, trottola combinata, uscita e seconda parte del programma. Il fiato reggeva, la gamba anche. Ora era il momento dei salti seri. Quadruplo Flip in combinazione con un doppio loop. Khorosho[2]! Breve transizione, quadruplo Salchow. Un tonfo, una caduta. Che Yuuri… Victor strinse i denti, rendendosi conto di aver perso la concentrazione. Il triplo Lutz successivo partì col filo sbagliato e finì per essere pure un po’ sottoruotato. Victor riuscì ad evitare la caduta solo grazie all’esperienza e a un immane sforzo. Inspirò a fondo, annullando ogni pensiero e tornando a concedere il controllo del proprio corpo al pilota automatico per qualche secondo. Doveva mantenere la concentrazione, non poteva permettersi grossi errori. Un altro respiro, preparazione al salto, atterraggio perfetto.

Victor arrivò in fondo alla trottola che chiudeva il suo programma con il cuore che sembrava sul punto di esplodergli. Portò a termine gli ultimi gesti controllando a malapena il respiro affannoso e si piegò in avanti, le mani sulle ginocchia, cercando di riprendere fiato. Lentamente si diede la spinta per raggiungere Yakov e si appoggiò alla balaustra, afferrando l’asciugamano per tergersi il sudore.

“Prima che tu me lo dica, lo so,” disse con voce rotta dall’affanno, “ho perso la concentrazione e il Lutz faceva schifo. E anche alla fine…”

“Non spreco fiato a dirti ciò che già sai,” lo interruppe burbero Yakov. “Vedi di non fare questi casini domani se non vuoi fare la figura di quello che non ha più l’età per gareggiare. E adesso levati quei pattini e vatti a fare una doccia, prima che mi venga voglia di fartelo rifare.” Victor annuì, allungandosi contro la balaustra per rilassare la schiena mentre lentamente il respiro tornava normale. “Ah, era il tuo allievo quello che è caduto, prima,” aggiunse secco Yakov.

Victor aggrottò la fronte.

“Di nuovo?”

“Mh. Non sta granché in piedi già normalmente, ma stavolta il problema non è solo suo…” commentò sibillino l’uomo.

Victor guardò il punto in cui Yuuri stava abbozzando una serie di passi. Poteva vedere perfettamente quanto fosse distratto e come i suoi occhi continuassero a saettare in direzione del coreano, che a bordo pista parlava con la sua allenatrice. Victor infilò la casacca e si diresse verso di lui, girandogli attorno per seguire i suoi movimenti da vicino.

“Sei caduto di nuovo? Che succede?” gli domandò, quando Yuuri interruppe l’esecuzione e sospirò, sgranchendosi il collo. Aveva un’aria mogia e tesa, che mise Victor in allarme.

“Continua a mettersi sulla mia scia,” borbottò Yuuri, facendo cenno con la testa in direzione di Seung-gil. “Con tutta la pista libera non mi lascia spazio. Se me lo trovo di fianco all’improvviso come faccio ad evitarlo? Non lo vedo. Lo sai, senza occhiali non riesco a calcolare la distanza.”

Victor osservò il pattinatore coreano che si dirigeva verso l’uscita. Non aveva dubbi che Yuuri stesse dicendo la verità e probabilmente era proprio ciò che aveva notato anche Yakov.

“Ti sei fatto male?”

Yuuri scosse la testa.

“Allora approfittiamo del fatto che se ne sia appena andato. Abbiamo la pista tutta per noi per altri…quattro minuti!” esclamò sorpreso, guardando il grande orologio digitale dell’arena. “Ultimo programma completo e poi andiamo a farci una doccia e un tè.”

Mentre Yuuri si portava al centro della pista, Victor si chiese distrattamente perché Seung-gil avrebbe dovuto fare una cosa stupida e pericolosa come quella di non rispettare le distanze. Voleva infortunarsi il giorno prima della finale? Scosse la testa, perplesso. Yuuri aveva preso a scivolare sul ghiaccio, iniziando la routine, e Victor si concesse di immergervisi totalmente, dimenticando il resto.


 
 
“Quindi vuoi dirmi perché ti stai tormentando così o no?”

Yuri sgranò un po’ gli occhi, colto alla sprovvista. Chinò la testa in avanti, sollevato dalla sensazione dei capelli che scendevano a coprirgli il volto. Non era mai stato tipo da lasciarsi abbattere facilmente e gli era sempre piaciuto stare al centro dell’attenzione. Non era da lui nascondersi così e lo sapeva. Eppure negli ultimi mesi gli sembrava che tutto il mondo ce l’avesse con lui e nulla andasse come avrebbe voluto. Vincere l’oro allo Skate America o chiacchierare del più e del meno con Otabek di fronte ad una tazza fumante di buon tè erano solo un sollievo temporaneo da quella costante sensazione di insoddisfazione che gli rodeva dentro.

Come poteva però spiegare tutto questo a Otabek? Era il suo primo amico, l’unico se non considerava i suoi compagni di pista a San Pietroburgo, con cui d’altronde non aveva mai legato granché. Parlavano spesso, si scrivevano ancor più frequentemente, e Otabek era informato delle difficoltà che stava affrontando. Era anche quello, però, che l’aveva prescelto e avvicinato per la sua forza e la sua freddezza, il suo autocontrollo. Avrebbe voluto continuare ad avere quegli occhi da soldato di cui gli aveva parlato allora, ma quale soldato avrebbe piagnucolato come una femminuccia o si sarebbe compatito? No, decisamente non poteva dire a Otabek ciò che davvero gli passava per la testa.

“No,” rispose secco, nascondendosi dietro la propria tazza.

Otabek si accigliò.

“È così grave?”

Yuri avrebbe voluto tirargli il tè in faccia con tutta la tazza. Gli aveva appena detto che non voleva parlarne, perché diavolo insisteva a chiedere allora?

“Non mi sto tormentando,” replicò frustrato.

“È per i salti?”

Yuri alzò gli occhi al cielo. Se persino Otabek lo esasperava la sua vita aveva appena raggiunto un nuovo picco di miseria.

“Perché mi chiedi se voglio parlarne, se tanto quando ti dico di no non mi ascolti?” sbottò.

Otabek sorbì un po’ del proprio tè, la sua espressione calma e imperturbabile, come sempre.

“Sono tutti preoccupati per te,” disse infine, seguendo il filo del proprio discorso senza tenere in alcun conto le rimostranze di Yuri.

“Tutti chi?”

“Katsuki, per esempio. E anche Victor.”

Yuri si lasciò andare ad una breve ma sguaiata risata sarcastica.

“Figuriamoci. Victor e Katsudon hanno altro per la testa, non hanno certo tempo per pensare a me…”

“E Yakov,” continuò Otabek.

“Sì, come no? Più probabilmente vorrebbe staccarmi la testa a morsi. E non provare a nominare Lilia. All’ultimo allenamento mi guardava come se fossi un enorme ragno peloso…” Sospirò, scostandosi con un gesto nervoso i capelli dalla faccia. “Non c’è nessuno a cui freghi di ciò che mi sta succedendo.”

“A me frega.”

Ecco, poi se ne usciva con frasi come quella, detta così, con quella naturalezza e quella serietà che non credergli era impossibile, e Yuri si ritrovava a corto di repliche al vetriolo.

“Andiamo a farci un giro,” propose Otabek, alzandosi in piedi. “Qui non si può davvero parlare.”

Il palazzetto del ghiaccio era situato in una zona piuttosto squallida della città di Marsiglia, come spesso capitava. La zona attorno alla pista non offriva grandi attrazioni, ma c’era un parco ad una distanza ragionevole e, sebbene l’aria di dicembre fosse pungente e gli alberi spogli, il laghetto artificiale posto al centro aveva un che di attraente e malinconico, proprio come si sentiva lui. Camminarono per un po’ fianco a fianco senza parlare, le mani sprofondate in tasca, e si fermarono solo quando arrivarono ad una sorta di piccolo pontile che si protendeva sul laghetto. Yuri si sedette sulle fredde assi di legno, le gambe a penzoloni e lo sguardo perso a scrutare il pelo dell’acqua. Era quasi dolorosamente consapevole della presenza di Otabek al suo fianco e desiderava ardentemente parlare, pur essendone terrorizzato al contempo.

“Se ti dicessi ciò che mi passa per la testa probabilmente perderei la tua stima,” ammise a bassa voce, stringendosi un ginocchio al petto.

“Mettimi alla prova.”

Yuri sospirò.

“Mi sento di merda. Faccio schifo. Non dovrei neanche essere qui. Chris…se lo meritava più di me.”

“Tu ti sei qualificato, lui no. Sei tu che te lo sei guadagnato.”

“Ma solo grazie a quell’oro in America. Attualmente lui è molto più in forma di me. Avrei dovuto…” Tentennò prima di continuare. “Mi sarei dovuto ritirare, probabilmente.”

“Non l’hai fatto.”

“No,” sibilò, esasperato dall’intera faccenda, “perché se no chi l’avrebbe sentito Yakov? E poi…la gente si aspetta delle cose, da me.”

Ci fu un lungo silenzio, durante il quale Yuri temette di aver davvero detto troppo.

“Hai ragione,” udì poi la risposta di Otabek. “Non è da te questo discorso.”

Yuri strinse i denti.

“Credo che tu sia troppo duro con te stesso,” continuò il kazako, e la contrazione della mascella si attenuò leggermente. “Non fai schifo.”

“Ah no?” commentò Yuri sarcastico. “Ma mi hai guardato oggi in allenamento?”

“Ho anche guardato i video di Parigi.” Yuri strizzò gli occhi per un attimo, sentendo una fitta al cuore al solo pensiero. “Non è colpa tua, sei tutto fuori asse.”

“Che intendi dire?”

“Che ti sei perso il baricentro negli ultimi due mesi.”

“E in che modo non sarebbe colpa mia?”

Otabek lo squadrò, la fronte corrugata.

“Sul serio? Ti sei accorto che sei alto quanto me, se non di più?”

Yuri sbatté le palpebre, sorpreso.

“Uh? No, cioè… Non ci ho fatto caso.”

Otabek sorrise, uno di quei suoi rari sorrisi a cui Yuri aveva il privilegio di assistere.

“Sei cresciuto di quanto? Dieci centimetri in due mesi?” Yuri si strinse nelle spalle. “Be’, probabilmente qualcosa meno. Ma è comunque tantissimo.”

Yuri rimase in silenzio a contemplare l’acqua calma e grigia sotto di loro. Non capiva dove volesse andare a parare con quel discorso ma gli piaceva come suonava.

“Hai solo bisogno di tempo per riadattarti al tuo corpo. Per gli Europei sarai pronto.”

Yuri deglutì. Sentiva un nodo in gola, ma non aveva intenzione di prenderne coscienza.

“E nel frattempo?” domandò con un filo di voce, che uscì più profonda e morbida di quanto avrebbe pensato.

Otabek gli passò un braccio sulle spalle.

“Combatti. Arriva in fondo. Dovresti esserci abituato, o no?”

Yuri sentì le labbra stendersi in un sorriso e la fronte distendersi. Non ricordava nemmeno più l’ultima volta che aveva rilassato i muscoli facciali.

“Sì, credo di sì…” rispose, scostandosi dalla testa il cappuccio e scrollando i capelli biondi, così da levarseli dalla faccia. L’aria fredda sulla pelle era piacevole.

“Io ne approfitterò per batterti,” aggiunse poi Otabek, con una smorfia divertita sulle labbra.

Un secondo più tardi stavano entrambi ridendo di gusto.
 


 
L’hotel era un tre stelle di poche pretese, ma aveva l’innegabile pregio di essere a pochi passi dalla struttura che avrebbe ospitato la Finale del Grand Prix. Il che significava, tra le altre cose, che una doccia calda (e un po’ di sana privacy) era a portata di mano nel giro di pochi minuti dal termine degli allenamenti. Yuuri uscì dal bagno avvolto nell’accappatoio, strofinandosi energicamente i capelli.

“Mi piace quel parco,” disse, fermandosi di fronte alla finestra della camera. “Potrei andare lì a correre un po’ domattina, prima dell’ultimo allenamento.”

Victor era seduto sul letto, le gambe accavallate allungate di fronte a sé e un identico accappatoio buttato addosso. Le mani strette intorno ad una tazza di tè caldo, osservò in silenzio la sua schiena un po’ rigida, le spalle percorse da una innaturale tensione. Trovando conferma dei propri timori, sospirò desolato.

“Vieni un po’ qui,” mormorò con dolcezza, posando la tazza sul comodino e mettendosi seduto sul bordo del letto.

Yuuri si avvicinò docile e invece di sedersi accanto a lui gli si accomodò spontaneamente sulle gambe. Per quanto la posizione fosse composta e scevra di intenti sessuali, Victor si stupiva ancora un po’, in situazioni come quella. Un anno che stavano insieme, che convivevano, e nonostante tutto la sua mente non si era del tutto abituata a quel tipo di gesti da parte di Yuuri. Non che gli desse fastidio, anzi, proprio il contrario. La stretta calda al cuore che provava ogni volta era elettrizzante.

Andò a cercare una delle mani che teneva abbandonate in grembo con la propria, stringendola; l’altra salì al suo viso e gli accarezzò la guancia e i capelli umidi prima di attirarlo gentilmente a sé per un bacio. Yuuri si lasciò guidare, e quello che seguì fu un bacio lungo, dolce, un assaggiarsi di labbra morbide in cui il sesso c’entrava poco. Quando si allontanarono, gli occhi incatenati agli occhi e un sorrisino che aleggiava agli angoli della bocca, Victor si sentiva come se Yuuri gli avesse accarezzato l’anima. Non sapeva come facesse e a tratti era frustrante, quando era lui a voler confortare il compagno, ma in quell’anno di vita condivisa Yuuri aveva operato magie.

Ad esempio, Victor non aveva più paura. Non era mai stato un timoroso, anzi, si poteva dire che era uno da colpi di testa, che si buttava facilmente nelle situazioni più assurde e cavalcava l’onda dell’ispirazione del momento con decisioni ancor più folli. Quindi a ben vedere era una testa calda… ma in passato aveva avuto paura. Due anni prima, nel bel mezzo della maledetta stagione che l’aveva spinto a prendersi una pausa, l’ansia l’aveva attanagliato per mesi. Non sapeva se voleva ritirarsi o meno, ma il buio dall’altra parte del tunnel lo terrorizzava. Non avere idea cosa avrebbe fatto una volta che non ci fosse più stato il pattinaggio lo aveva frenato. Che pattinasse o no, Victor allora si era sentito in trappola. Poi la sua vita era cambiata totalmente e anche ora che era tornato a gareggiare e che il pattinaggio gli dava ancora tanto, il pensiero del ritiro non lo spaventava affatto. Victor sapeva di essere a fine carriera. L’aveva già maturato e sperava di riuscire a mantenere la forma fisica per un altro anno, per le Olimpiadi. Poi si sarebbe ritirato e si sarebbe dedicato totalmente a fare il coach. C’erano giorni in cui gli sembrava non potesse esserci pensiero più bello.

“Probabilmente gli brucia ancora il secondo posto di due settimane fa,” mormorò. Era stato stringato, ma era certo che Yuuri avrebbe capito. Infatti lo vide sbarrare un po’ gli occhi, prima di abbassarli sulle loro mani unite.

“È molto forte quest’anno,” disse piano, corrucciando appena le belle sopracciglia scure. “L’ho superato di pochissimo.”

Victor si accigliò. I discorsi con Yuuri non sembravano mai andare nella direzione che avrebbe voluto.

“Ciò che voglio dire è che non devi lasciarti influenzare da certi comportamenti. È solo invidia. È una provocazione. Non lasciarti innervosire. Non hai ragione di essere teso.”

Yuuri sorrise, ma c’era un’amarezza nella sua espressione, per quanto lieve, che a Victor non piacque.

“Temo sia un po’ tardi per questo discorso, non credi?” mormorò ironico, ma senza ostilità, scoccandogli un’occhiata.

Victor sospirò.

“Giuro che dopo tutto questo tempo ancora non capisco. Ma,” proseguì alzando leggermente il tono di voce, nel vedere il compagno sul punto di replicare, “me ne faccio una ragione. So che sarai meraviglioso, su quel ghiaccio, domani.”

Yuuri abbassò di nuovo lo sguardo sulle loro mani. Accarezzò l’anulare di Victor con la punta delle dita, sfiorando con affetto l’anello d’oro che vi faceva bella mostra di sé. Victor lo osservò in silenzio, incerto dell’effetto delle proprie parole, ma si sentì in parte sollevato nel constatare che c’era un nuovo, timido sorriso ad illuminargli il volto.

“Senti, ci sto pensando da un po’…” buttò lì, perché in quel momento si sentiva così vicino al compagno da percepire quasi le sue emozioni sottopelle. “Vuoi sposarti prima o dopo che ci saremo ritirati?”

Yuuri si voltò di scatto, sorpreso.

“Eh?”

Victor si sciolse in una risata sommessa.

“Non iniziare a farti film strani in testa. Nessuno si vuole ritirare. Pensavo soltanto al futuro…”

Yuuri sbatté le palpebre. Victor poteva quasi vedere i pensieri girare come un vortice dietro ai suoi occhi. Dio, sei così bello, pensò, ed era sorprendente quanto quel pensiero lo emozionasse ancora, dopo tutto quel tempo.

Potseluy menya[3],” sussurrò, le palpebre un po’ più basse, lo sguardo più intenso.

La comprensione della lingua russa di Yuuri era decisamente migliorata nell'ultimo anno; Victor non si stupì quindi quando il compagno si chinò su di lui e andò a cercare nuovamente le sue labbra. Victor si protese nel bacio, lasciando che Yuuri si impossessasse della sua bocca con una passione tale da fargli contrarre con forza i muscoli del bassoventre. Una mano che si allungava a sostenere il peso del suo corpo sul letto, il busto che si inclinava sempre più verso Victor, fino a spingerlo a indietreggiare così da lasciargli lo spazio per girarsi e arrampicarsi sulle coperte a sua volta; Yuuri non smise di baciarlo nemmeno quando Victor lo afferrò per i fianchi, guidandolo con la schiena sul materasso e inchiodandolo sotto di sé. Sostenendosi sulle ginocchia, con una mano andò a sfiorargli il volto in una carezza dolce, che scendendo sulla mascella proseguì poi lungo la gola e sul suo petto. Scostò le falde dell’accappatoio, accarezzando la sua pelle liscia e spingendosi più giù ancora, fino al ventre piatto. Allentò del tutto la cintura dell’accappatoio con un gesto sbrigativo e si fermò ad osservarlo, incantato.

“Spero che tu non avessi molta fame…”

Una mano delicata e veloce si alzò a sciogliere il nodo che teneva fermo l’accappatoio di Victor e si posò sul suo fianco nudo, mentre sui tratti di Yuuri andava diffondendosi l’aria assorta che aveva imparato a riconoscere come eccitazione. Victor gli sorrise, sfiorò con la punta del proprio naso quello del compagno e poi affondò il viso nel suo collo, baciandone la pelle profumata e calda.


 
 
“Questi sono i momenti in cui quasi mi dispiace che né Chulanont né Guang Hong si siano qualificati per la finale.”

“La scelta di dove andare a mangiare?”

“Basterebbe guardare il loro profilo per sapere dove non andare,” spiegò Yuri.

Otabek si strinse nelle spalle.

“Che opzioni abbiamo?”

Yuri scorse velocemente le possibilità suggerite da Google, soppesandole con occhio critico. Italiano, francese, thailandese, hamburger…

“Cazzo, ho una fame…” borbottò tra sé. Serrò i denti, infastidito. “Ho sempre fame, cazzo!” sbraitò guardando negli occhi Otabek, quasi fosse colpa sua.

Il kazako ridacchiò sotto i baffi.

“Qual è il posto più vicino?” domandò. In effetti era la soluzione più semplice.

“L’italiano… Ma è troppo un posto da Victor. No, andiamo qui. Pollo arrosto! Ti va?” Gli brillavano gli occhi mentre mostrava l’immagine sul cellulare a Otabek, speranzoso ed eccitato come non aveva ragione di essere per uno stupido pollo.

“Perfetto,” rispose quello, imperturbabile.

Yuri si alzò in piedi e afferrò Otabek per la parte posteriore del giubbotto, costringendolo ad alzarsi in piedi.

“Be’? Che aspetti? Andiamo!”
 


 
“Prima delle Olimpiadi.”

Victor strofinò il naso contro il collo di Yuuri, stringendosi di più al suo corpo caldo e deliziosamente profumato. Di sesso. Sesso ben fatto. Molto appagante e rilassante. Ottimo sesso.

“Cosa, esattamente?” sussurrò, baciando la pelle che gli si offriva un’ultima volta prima di rotolare sulla schiena e lasciare che ogni muscolo del suo corpo si rilassasse. Yuuri a volte diventava un po’ incoerente dopo il sesso, il che non faceva che lusingare il suo ego. Ignorò la sottile stilettata di dolore proveniente dalla schiena e che si allargava al fianco destro. Ne era ben valsa la pena.

“Quando vorrei che ci sposassimo.”

Victor voltò la testa ad osservarlo incredulo. Yuuri non lo stava guardando, ma teneva lo sguardo miope tenacemente fisso sul soffitto, sebbene le guance fossero colorate da un soffuso rossore. Victor non avrebbe saputo dire se fosse stata quella frase ad imbarazzarlo o se si trattasse semplicemente dello strascico del rapporto appena consumato.

“Ok…” rispose cauto, ma perplesso. Le Olimpiadi sarebbero state tra poco più di un anno. Quando pensava di dirglielo? “Perché?”

Yuuri gli concesse finalmente uno sguardo diretto e Victor non trovò nulla nei suoi occhi che potesse farlo preoccupare.

“Ecco… Se riuscissimo a qualificarci entrambi, per le prossime Olimpiadi, vorrei andarci con te… insieme. Ufficialmente.”

Victor si sciolse in un sorriso radioso. L’idea gli piaceva eccome.

“Faremmo furore. La Corea ci adorerà. Pensa a cosa avrebbe da dire la stampa per l’occasione…” commentò, godendo già all’idea.

Yuuri sembrò agitarsi.

Chotto[4]… Messa così, non so se sono più tanto convinto che sia una buona idea…”

“Non dire sciocchezze,” lo interruppe Victor. Gli prese la mano destra e se la portò alle labbra, baciandola. “Qualcuno dovrà pur aprire le danze. Sarà divertente. È un bel modo per essere ricordati.”

Yuri scosse la testa, sorridendo.

“Non credo tu abbia bisogno di pubblicità per essere ricordato…”

Victor ridacchiò, attirando a sé il compagno e tenendolo così, stretto nel suo abbraccio, per qualche minuto.

“A proposito di cose di cui ci siamo dimenticati, invece… ma la cena?” chiese quando il suo stomaco iniziò a implorare pietà.

Nani[5]?” fece Yuuri, senza nemmeno aprire gli occhi.

“Mangiare,” ribadì Victor paziente. “Ho una fame da lupi.”

“Io ho sonno…” si lamentò Yuuri, stringendosi ancor di più a lui.

Victor lo ignorò e allungò un braccio a recuperare il telefono. Iniziò a controllare distrattamente le notifiche, ma si fermò quando vide qualcosa che gli fece brillare gli occhi di malizia.

“Ti va del pollo arrosto?”

Yuuri mugugnò la propria disperazione, da qualche parte sul suo petto.
 
[1]   Hai: Sì
[2]   Khorosho!: Bene!
[3]   Potseluy menya: Baciami
[4]   Chotto: Un momento (usato di solito per prendere tempo o evitare una risposta imbarazzante)
[5]   Nani?: Cosa?
   
 
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