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Autore: FantasyAlex    22/03/2019    1 recensioni
Un antico monastero, abbandonato e irraggiungibile al centro di una foresta, si trova sospeso nel tempo. Gli echi della storia si affacciano nel presente e dal presente può arrivare la svolta decisiva per spezzare l'antica maledizione che da secoli intrappola i suoi abitanti. Ma ci sono forze che giacciono in agguato, e attendono pazientemente che le porte del monastero vengano aperte per concludere ciò che hanno iniziato secoli prima.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4


I due ragazzi erano rimasti fermi qualche minuto a guardarsi, senza dire nulla. Nessuno dei due voleva essere il primo a parlare perchè entrambi già sapevano cosa avrebbe risposto l'altro e non ne sarebbero stati d'accordo.

«Avanti, riprendiamo il cammino!» Il primo a rompere il silenzio fu Albert che, ancora, non aveva rinunciato all'idea di raggiungere il monastero.

«Vuoi andare avanti dopo tutto questo? La bussola che non funziona, gli orologi fermi ed esattamente alla stessa ora...»

«Sono coincidenze Luke. Le coincidenze accadono qualche volta, è per questo che si chiamano così. Io non credo che ci sia qualche forza occulta che si diverta a manometter gli orologi.»

Albert cacciò una risata alla sua stessa battuta. Fingeva di trovare quella situazione divertente, di mantenere il raziocinio e la freddezza che lo avevano sempre contraddistinto, ma era solo un modo di sdrammatizzare e convincere l’altro che tutto era normale. Del resto lui non credeva a questo genere di cose, tutto era scientificamente spiegabile in natura e se un evento appariva strano o bizzarro non poteva che essere una casualità.

«Ma Guardati intorno! Non ci siamo avvicinati di un metro. Camminiamo da ore, in tutto questo tempo dovremmo aver attraversato la foresta in tutta la sua lunghezza e invece siamo ancora qui. Sperduti chissà dove, senza traccia del monastero.»

Luke protestò con una veemenza che stupì anche sé stesso. Non era da lui alzare la voce in quel modo ma le oscure sensazioni che gli avevano afferrato il cuore fin dal giorno prima, nella camera di Albert, non avevano minimamente allentato la presa e, anzi, si sentiva raggelare sempre di più, ad ogni passo che facevano. In quel luogo nulla era normale e non era semplicemente vigliaccheria. Percepiva qualcosa che ad Albert sfuggiva. Qualcosa che non aveva ancora identificato.

«Non mi sembra sia così. Guarda laggiù.»

Albert, che era rimasto impassibile alle lamentele dell'amico, indicò un punto fra il fogliame degli alberi. Luke guardò in quella direzione, senza capire inizialmente cosa dovesse vedere. Gli sembrava ci fossero solo foglie e poi, all'improvviso, in uno spazio vuoto tra le fronde la vide: la superficie nera della pietra di cui era fatto il monastero che brillava al sole, mostrando delle venature bianco latte.

«Siamo... Siamo nella direzione giusta?»

Albert era visibilmente compiaciuto e guardava Luke non senza un certo atteggiamento di superiorità.

«Certo, te l'ho detto che il paranormale non esiste. É un normalissimo monastero in un normalissimo bosco. Ascolta, facciamo così: andremo in quella direzione, dritti verso il muro. Se al tramonto non saremo ancora arrivati ci accamperemo e domani mattina, non importa se lo avremo raggiunto o meno, torneremo indietro. Sei d'accordo?»

Luke annuì, ancora non molto convinto, ma il fatto che Albert prendesse in considerazione l'idea di tornare indietro, a prescindere che avessero raggiunto o meno la meta, lo tranquillizzò di molto.
Ripresero a camminare. Il bosco in quella zona era particolarmente fitto e difficile da attraversare. Gli alberi avevano un tronco piuttosto ampio, segno dell'età avanzata, e grossi rami pieni di foglie che ostacolavano la visuale. Le radici emergevano dal terreno, causando rigonfiamenti e rendendo poco agevole la marcia. Più volte ampi e intricati grovigli di rovi o cespugli li costrinsero a deviare dal percorso ed in un paio di occasioni persero anche di vista il muro del monastero, ma riuscirono sempre ad individuarlo nuovamente.
Eppure, più camminavano e più si faceva strada nelle loro menti una consapevolezza tanto reale quanto terribile: non si stavano avvicinando. Quello spigolo di muro era sempre lì, più o meno alla stessa distanza quasi volesse sbeffeggiarli, mostrando loro una destinazione che non erano in grado di raggiungere. A volte l'angolazione cambiava un po', altre volte sembrava che la foresta dovesse aprirsi nella radura da un momento all'altro, ma poi superavano un ostacolo o un grosso albero, ed ecco che di nuovo si ritrovavano completamente circondati dalla vegetazione.

Quando gli ultimi raggi dorati del sole al tramonto avevano iniziarono a lambire le cime degli alberi, erano oramai allo stremo delle forze. Luke era appoggiato con la schiena contro una grossa roccia ed Albert guardava con odio quel pezzo di muro venire lentamente inghiottito nell'oscurità della notte.

«Montiamo qui la tenda!»

L'espressione di Albert era furente, ma Luke annuì, felice di potersi finalmente fermare. E se l'altro avesse mantenuto la promessa, al mattino dopo, sarebbero finalmente tornati indietro.
Il ragazzo si staccò dalla pietra a cui era appoggiato, lascio cadere ai suoi piedi lo zaino ed estrasse la tenda. Era uno di quei modelli che si montavano da sola quindi, almeno da quel punto di vista, non avrebbero dovuto fare troppo sforzo. Aprì la cerniera della fodera in cui era contenuta e, senza più impedimenti, la tenda cominciò autonomamente ad aprirsi.

«Metti i picchetti per fissarla a terra, io vado a raccogliere un po' di legna, così almeno avremo un bel fuoco stasera.»

Anche se nella voce di Albert si sentiva ancora tutta la frustrazione di quella situazione, il suo tono era più gentile, più simile ad una richiesta che un ordine.

«Va bene, ma resta nei paraggi. É sempre più buio e orientarsi in una foresta di notte può essere molto difficile.»

Luke attese di vedere l'amico sparire tra gli alberi e poi sollevò lo sguardo verso il cielo. Da dove si trovavano non riusciva nemmeno a vedere le stelle. Sospirò, quindi prese i picchetti e iniziò a farli passare nell'occhiello predisposto per il fissaggio e poi piantarli a terra con una piccola mazzetta. Il terreno era umido, morbido e non opponevano troppo resistenza. Dopo aver piantato il terzo, senti distintamente il rumore di un ramo che si spezzava.

«Occhio ai piedi, Albert, è facile inciampare con questo buio.»

Disse il ragazzo, ancora accovacciato a terra, senza nemmeno sollevare la testa. Nessuna risposta. Luke, allora, si rimise in piedi e si guardò intorno.

«Albert?» Questa volta avvertì un chiaro fruscio provenire da un cespuglio alla sua destra.

«Albert, se hai voglia di scherzare, sappi che non è divertente.» Si avvicinò al cespuglio e smosse le foglie con le mani, ma senza vedere nulla di anomalo.

«Probabilmente un animale, forse un coniglietto. Ti va bene che abbiamo le provviste.»

Sghignazzò con fare provocatorio ma, all'improvviso, si sentì pervadere da una sensazione di puro terrore. Sentì una morsa gelida serrarsi attorno alla gola, così nitidamente che si portò le mani al collo, cercando quella gelida mano che lo aveva afferrato, ma non trovò altro che la sua pelle.
Iniziò ad ansimare, sentendo l'aria che gli veniva meno nei polmoni e lo sguardo cominciò a saettare in tutte le direzioni per cercare qualcuno o qualcosa che potesse aiutarlo, ma quello che vide lo paralizzò dal terrore. C'era una figura nera, poco distante da lui, immobile in mezzo a due alberi, al limitare della zona che avevano scelto per accamparsi. Non riusciva a vederla bene, scorgeva solo la sagoma nell'oscurità. Era sicuramente una persona, non un animale, e nemmeno tanto alto. Forse un metro e sessantacinque al massimo.
Luke cercò di arretrare, di mettere più spazio tra lui e quell'individuo, ma i piedi erano pesanti, sembrava che le scarpe fossero diventate di piombo e dovette fare un grande sforzo per fare un unico passo indietro.

«Finalmente sei tornato, ragazzo. Finalmente....»

Una vocetta stridula e gracchiante graffiò l'aria come il rumore di unghie su una lavagna. Luke non riusciva a staccare lo sguardo da lui e, con suo sommo terrore, l'essere si mosse, molto lentamente, nella sua direzione. Il ragazzo usò tutte le energie che gli erano rimaste per sollevare il piede sinistro e fare un altro passo indietro, ma urtò con il tallone contro un ramo sporgente e crollò a terra. Non fu, però, un male.
Una volta rotto il contatto visivo con l'individuo sentì immediatamente le forze tornargli e, senza più voltarsi indietro, si rimise in piedi e corse nella direzione opposta senza nemmeno guardare cosa avesse davanti. La sua fuga si infranse dolorosamente contro qualcosa fatto di legno pochi metri più avanti e ricadde all'indietro con il sedere per terra, accompagnato dal frastuono di rami che cadevano uno sull'altro.

«Luke, ti ha dato di volta il cervello?!»

Quando il ragazzo riaprì gli occhi, di fronte a sé c'era Albert. Anche lui seduto a terra a massaggiarsi un fianco. In mezzo a loro due, sparpagliati, diversi pezzi di legno delle dimensioni più svariate. Doveva essere finito proprio contro Albert che era tornato con la legna per il fuoco.

«Albert, c'è qualcuno là dietro! Non so chi sia, non l'ho visto bene, ma non siamo soli.»

La voce era rotta dall'affanno, il respiro ancora irregolare e si sentiva tutto indolenzito. Albert non gli chiese nemmeno spiegazioni, era chiaro che non stava scherzando. Afferrò uno dei pezzi di legno più robusti e si mise in piedi, seguito poco dopo anche da Luke, ancora tutto dolorante.
Avanzarono entrambi fianco a fianco e non appena videro un'ombra muoversi fra gli alberi si arrestarono.

«Avanti, ora avvicinati lentamente e non fare scherzi. Non ho paura di te!»

Albert tuonò minaccioso verso la figura sollevando il randello che brandiva con la destra. L'ombra si fermò. Poi, cautamente, cominciò a muoversi verso di loro e quando finalmente fu abbastanza vicina, con grande stupore di entrambi, si accorsero che era una ragazza.

«Vi prego, vi prego, non ho fatto niente. Mi sono persa nella foresta.»

A giudicare dall'aspetto aveva circa quindici o sedici anni al massimo, la voce era leggera e dolce, sebbene fosse visibilmente spaventata. Era alta poco più di un metro e sessanta e aveva i capelli rossi, leggermente ondulati, che arrivavano poco sotto le spalle. Gli occhi d'un azzurro intenso e guance e naso erano coperti di piccole lentiggini. Non pareva avere alcun tipo di trucco o accessorio femminile. Niente anelli, orecchini, collane. Ma quello che colpì particolarmente i due ragazzi fu l'abbigliamento: Indossava un lungo mantello nero, che arrivava fino ai piedi e, sotto di esso, si riusciva ad intravvedere una camicia bianca, dalle ampie maniche. Al di sopra indossava un gilet marrone che si chiudeva sul davanti con dei lacci incrociati, simile ad un corsetto anche se meno rigido. Infine una gonna grigia arrivava fino alle caviglie, mentre ai piedi aveva un paio di scarpe che parevano di cuoio. Sembrava la locandiera di un’antica taverna.

«Ti chiedo scusa, non volevo spaventarti. Pensavamo che... lui aveva detto...»

Albert lasciò cadere il pezzo di legno che teneva in mano e lanciò un'occhiataccia a Luke che rispose con un'espressione mista tra lo stupore e l'imbarazzo, per essersi fatto spaventare in quel modo da quella fanciulla.

«Prego vieni, fermati pure con noi. Non conviene andare in giro da soli nella foresta, soprattutto di notte.»

Albert le si avvicinò sorridente, con uno sguardo sornione, offrendole la mano per aiutarla a superare le asperità del terreno. Lei esitò per un istante, ma alla fine accettò di buon grado l'aiuto, ricambiando con un sorriso.

Accesero il fuoco e, finalmente, la zona fu rischiarata da un po’ di luce e rinfrancata da un caldo tepore. Albert e Luke erano seduti uno accanto all’altro tra il falò e la tenda, intenti a dividersi le razioni che avevano portato, mentre Annie, così aveva detto di chiamarsi, sedeva dal lato opposto.

«Non sei di queste parti, vero? Non mi pare di averti mai vista a scuola» Domandò Albert, mentre stava scartando il suo panino dalla stagnola.

La ragazza puntò l’indice verso una zona imprecisata verso il nord. «Sì, esatto, io abito da quella parte, al limitare della foresta. E no, non vado a scuola, mi ha insegnato tutto mia mamma.»

I due si scambiarono uno sguardo perplesso. Era una di quelle persone che studiavano da privatiste e si recavano a scuola solo per sostenere gli esami?

«E possiamo sapere cosa ci fai da sola nella foresta di notte? Può essere molto pericoloso, ci sono animali aggressivi che cacciano di notte, potresti mettere male un piede e prendere una storta.»

Alla domanda di Albert, Annie abbassò la testa con fare colpevole. «Lo so, non avrei dovuto, ma sono preoccupata per mio fratello. É partito qualche giorno fa per andare al monastero e ancora non è tornato. Ho il terrore che gli sia accaduto qualcosa.» Sollevò nuovamente la testa verso i due ragazzi e dagli occhi cominciavano ad affiorare le prime lacrime.

«Tuo fratello è andato al monastero? Ed è riuscito a raggiungerlo? E tu sai come arrivarci?» Domandò Luke sorpreso. Non aveva mai sentito qualcuno che lo avesse raggiunto, non in tempi recenti almeno. E adesso una sconosciuta, incontrata per caso proprio nella foresta, stava dicendo che lei o il fratello conoscevano la strada. Annie annuì timidamente.

«Non ti preoccupare, ti aiuteremo a trovarlo. Stavamo andando proprio lì anche noi.» La reazione di Albert, invece, era assolutamente trionfale. Quella era la dimostrazione che il monastero era raggiungibile, come aveva sempre pensato e che non c'era assolutamente nulla di misterioso e ora ne aveva la prova. E poi l'idea di aiutare quella ragazza gli dava una strana euforia.

«Grazie, grazie davvero ad entrambi.» Annie rivolse loro un sorriso davvero molto dolce, quindi da una piccola sacca che aveva allacciata alla vita estrasse quelle che sembrava un piccolo pezzo di pane raffermo.

«É solo quella la tua cena? Se vuoi posso darti il mio panino, io ne ho altri.» Luke si alzò e, dopo aver aggirato il fuoco, porse il panino farcito con un paio di fette di prosciutto alla ragazza. Lei sollevò lo sguardo verso di lui, stupita da tanta disponibilità.

«Davvero posso? Ti ringrazio tanto, Luke, sei così gentile.» Allungò la mano per prendere il panino e con le dita sfiorò quelle del ragazzo. A quel contatto Luke sentì le guance farsi calde e i due rimasero a guardarsi per qualche istante. Il tutto sotto lo sguardo torvo e indispettito di Albert.



*******



Nel buio c'è pace e silenzio. Così aveva sempre pensato Bouchard ma, evidentemente, si sbagliava. Era rimasto avvolto nell'oscurità per un tempo indefinito ma non era stato affatto piacevole. Sentiva ancora nelle orecchie il frastuono della battaglia, si sentiva ardere dentro da un fuoco che pareva consumargli gli organi.
Quando finalmente aprì gli occhi, ad accoglierlo furono i raggi del sole che filtravano da una finestrella, alla sinistra del giaciglio su cui era stato adagiato, e terminavano sul pavimento di legno. Era ancora vivo e questo lo capiva dal dolore che avvertiva praticamente da ogni parte del corpo, ma principalmente dal lato sinistro.
Non senza fatica si mise seduto e iniziò a scrutare il luogo in cui si trovava: era una casupola di legno, molto modesta. Il letto era una scatola anch'essa di legno foderata di paglia per renderlo appena più comodo. Era vestito solo con un paio di pantaloni di tela ed un camicione lungo che gli arrivava fino alla coscia, ma si rese conto di essere stato medicato. Le ferite erano state pulite e coperte da bianchi bendaggi di stoffa. La sua corazza e le armi erano deposta nell'angolo apposto a dove era situato il letto.

«Ti sei svegliato finalmente. Hai dormito per tre giorni di fila e ho pensato che saresti morto sul mio letto. Una bella seccatura.»

Immediatamente Bouchard si girò nella direzione della voce e, alla sua destra, vide una donna in piedi, accanto al focolare, intenta a rimestare con un cucchiaio di legno dentro un paiolo completamente annerito dalla fiamma. Era una donna di circa venti anni o poco più, dai capelli rossi raccolti in una lunga treccia che arrivava fino a metà schiena, gli occhi azzurri e i viso tempestato di lentiggini.

«Siete voi che mi avete soccorso e medicato? A quanto pare vi devo la vita, Milady. Perdonate la mia sfrontatezza, posso sapere dove siamo e...» fece una pausa, evidentemente stava ancora elaborando le informazioni che la donna gli aveva dato. «Tre giorni? Cosa ne è stato della battaglia?» Bouchard si rizzò in piedi, ma un improvviso giramento di testa lo costrinse ad appoggiare la manona contro la parete per non cadere.

«Calma, calma, grande eroe. Non sei ancora nella condizione di andartene in giro. E dammi del tu, sono solo una semplice contadina, non certo una delle dame di corte a cui sei abituato. Mi chiamo Kaitlyn.» Il tono della donna era irriverente, ma non offensivo. Sembrava trovare particolarmente divertente quella conversazione a giudicare da come sorrideva. Prese un mestolo, lo affondò nella pietanza che stava ribollendo con un invitante profumino sul fuoco e ne versò un po' in una scodella di coccio.

«Ecco qua, mangialo tutto e vedrai che ti sentirai meglio.» Kaitlyn porse la ciotola piena di zuppa a Bouchard, che si sedette nuovamente sul letto e la afferrò con entrambe le mani. Il calore emanato dalla ciotola e l'invitate profumo che ne scaturiva bastarono a donare sollievo e un immediato conforto. Anche il rumoroso brontolio del suo stomaco dimostrava quanto il capitano bramasse mettere qualcosa sotto i denti.

«Sì, ti ho ripescato io dalla palude. Credo fossi immerso nel fango da almeno un giorno. Pensavo foste morti tutti e poi ti ho sentito lamentare. Se non fosse stato per Becky, lì fuori non sarei riuscita a trasportati.»

«Becky?» Ripetè Bouchard tra una cucchiaiata e l'altra della zuppa che stava divorando avidamente.

«Sì, la mia asina. É molto forte e ti ha trascinato fino a casa. Poi ti ho tolto tutto quel ferro di dosso, ti ho portato dentro e ho cercato di tenerti in vita.»

Bouchard osservò dapprima la sua corazza deposta in un angolo e poi, poco distante, della paglia che era stata disposta sul pavimento. Evidentemente Kaitlyn gli aveva ceduto il suo letto e aveva dormito per terra nei giorni della sua degenza. Socchiuse gli occhi, colmo di gratitudine verso quella donna che tanto aveva fatto per uno sconosciuto. Poggiò la ciotola vuota sul letto e provò di nuovo ad alzarsi, questa volta senza giramenti di testa.

«Vi devo la vita, milady, e state pur certa che mi sdebiterò, fosse anche l'ultima cosa che faccio. Ma ora ho bisogno di saperlo: dove ci troviamo? E sapete qualcosa sull'esito della battaglia svoltasi in questa zona?»

«Questa casa si trova al margine nord della foresta di Tuckstone e la battaglia...» la donna sembrò esitare per un momento. «Non mi intendo molto di queste cose, ma le truppe scese dai monti, quelle creature disumane, hanno sbaragliato l'esercito imperiale, che si è ritirato verso sud e si è rifugiato presso il villaggio di Greenale. Li hanno inseguiti per un po', ma poi l'esercito sceso dalla montagne si è fermato. Più o meno a metà strada tra qui e il villaggio e stanno continuamente inviando esploratori nella foresta, anche se non ne conosco il motivo.»

Ma Bouchard lo conosceva bene, e se quello che aveva intuito era vero, allora non c'era un solo istante da perdere. Raggiunse le sue cose e sollevò la corazza, che mai come in quel momento gli sembrava pesante.

«Milady, prometto che tornerò a saldare il mio debito. Ma ora devo andare.»
   
 
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