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Autore: sofismi    22/03/2019    1 recensioni
Uno sbaglio ripetuto e il pentimento non sempre basta, ma una focaccia con le olive?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Focaccia con le olive




Camminando sul marciapiede stretto si ripeteva: “Non lo farò più, lo giuro,” inconsapevole che, volente o nolente, nel corso della sua vita quelle stesse circostanze gli si sarebbero ripresentate una o più volte, e che indipendentemente dai suoi buoni propositi gli sarebbe capitato di sbagliare ancora.
La strada verso il panettiere non era lunga né spaventosa, ma un brivido  di freddo gli scendeva giù per la schiena ogni volta che passava sotto quel ponte.
Si strinse nel giubbotto leggero e continuò a camminare a passo sicuro nel buio della galleria, cercando di camuffare il più possibile il timore che gli incutevano quelle pareti vecchie e ammuffite.
Poche sere prima era uscito con gli amici, però come spesso accade - soprattutto a lui - nel corso della serata gli eventi avevano preso una brutta piega. Dopo un po’ di alcol e qualche tiro, nonostante avesse già promesso diverse volte che non avrebbe più fumato, l’adrenalina e il poco raziocinio lo avevano portato alla solita spirale di comportamenti riprovevoli. Non tornò a casa né quella sera, né quella dopo, ma all’alba del terzo giorno aveva deciso che era arrivato il momento di tornare a casa.
Non si sarebbe però potuto presentare a mani vuote: aveva paura che le sue scuse avrebbero perso di significato se non avesse portato con sé un regalo. Così, uscendo dallo sciatto appartamento di un anonimo ragazzo conosciuto al locale, aveva deciso di andare dal panettiere a comprare qualche trancio di focaccia con le olive, proprio come quando era bambino.
Il brutto tratto di strada sotto il ponte della ferrovia era finito, ma ora il sole della mattina gli faceva bruciare gli occhi fino alle lacrime. Il cappuccio della felpa non bastava a difenderlo e così, a testa china, attraversò il parchetto in fretta.
Un gatto seduto tra l’erba umida lo guardò passare, i loro sguardi si incrociarono e il ragazzo non potè che fermarsi.
“È ora di tornare a casa, gatto,” gli disse. “Sei fortunato con il tuo istinto felino, avessi avuto un istinto più umano non saresti vissuto a lungo.”
Riprendendo il cammino si sentì un po’ uno stupido ad aver detto quelle parole ad alta voce, si consolò pensando che a quell’ora al parco non ci andava nessuno se non gli uomini persi, come lui.
Proseguì a testa bassa, evitando il sole come se fosse la peggiore delle piaghe, e passo dopo passo arrivò in panetteria.
La saracinesca era alzata solo per metà, ma fregandosene delle buone maniere entrò lo stesso.
“Ragazzo, non ti sei accorto della saracinesca? Siamo ancora chiusi.”
“Lo so, Gian, ma ho bisogno di un favore.”
Lasciò cadere le monete nel palmo grasso dell’uomo dietro al bancone e con in mano il sacchetto di carta bianca già unto di olio uscì dal negozio.
Gian lavorava in quella piccola panetteria che faceva ad angolo con il negozio di sartoria da molti anni, e il ragazzo - che un tempo era un bambino - era sempre andato lì a comprare la merenda del pomeriggio. La mamma andava a prenderlo dopo scuola e insieme, in panetteria, dividevano un pezzo di focaccia con le olive, di quelle verdi, dolci e grandi che piacciono anche ai bambini.
Tornare in quel posto gli fece tornare in mente tutti i ricordi dell’infanzia, e gli errori poi che ne sono conseguiti. Per un momento si odiò e non potè fare a meno di sentirsi perso. Ma con la risolutezza che lo aveva investito quella mattina scacciò via quel tossico pensiero e si rimise sulla strada di casa, che sapeva essere la strada giusta.
Il gatto al parco non c’era più, al suo posto era arrivato un gruppo di piccioni spaesati.
“Siete fortunati anche voi piccioni ad avere l’istinto che avete,” gli disse il ragazzo. Nonostante il parco fosse ancora vuoto si vergognava di quel pensiero e lo sussurrò appena, consapevole che comunque i piccioni non ne avrebbero compreso il significato.
“Magari non lo comprendo nemmeno io,” sussurrò subito dopo.
Al ritorno gli sembrò più facile passare sotto la ferrovia, con in mano il suo piccolo tesoro passò da una parte all’altra, guardandosi in giro lì dove il sole non poteva ferirlo.
Con la mente stanca e satura di preoccupazioni, il ragazzo proseguì per il marciapiede stretto, cercando di ignorare - per quanto possibile - il bruciore persistente agli occhi.
“Non lo farò più, lo giuro,” si ripetè per l’ennesima volta, come un mantra.
I sintomi dei giorni passato gli pesavano addosso e gli rendevano ogni passo uno sforzo immane - “Non lo farò più, lo giuro,” - ma nonostante il dolore, un piede davanti all’altro, arrivò a destinazione.
Casa.
Vecchia, tranquilla, rassicurante, casa.
Ora però, con i palmi sudati, gli occhi lacrimanti, e il sacchetto unto stretto tra le mani, non restava che suonare il campanello.

  
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