Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: VenoM_S    23/03/2019    1 recensioni
Warren ed Isabell vivono nel piccolo e pacifico villaggio di Blackbrook, quando un giorno lo scoppio di una sanguinosa guerra li separa irrimediabilmente. Il giovane Warren crede di aver perso tutto, e per vendicarsi degli uomini che hanno distrutto la sua vita decide di diventare un guerriero.
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa storia partecipa al "COWT" di Lande di Fandom
Settimana: sesta
Missione: M1
Prompt: Parità
N° parole: 4662 (parte 1 2324; parte 2 2338)
 
When we crossed the swords


Il piccolo villaggio di Blackbrook si trovava al centro di una vasta zona pianeggiante, costeggiato alla sua destra da un fiume che, con le sue acque stranamente scure anche se poco profonde, aveva dato ai primi abitanti l’idea su un nome adatto a quell’agglomerato di case in legno. Era abitato prevalentemente da contadini, taglialegna, cacciatori e piccoli commercianti che periodicamente si dirigevano con i loro carri ricchi di prodotti verso le città più grandi ad Est e a Nord, per vendere il frutto del duro lavoro dei cittadini e ritornare a casa con altri beni che in quelle zone erano più rari. La vita di un piccolo villaggio, si sa, non è di certo qualcosa di avventuroso per la maggior parte delle volte. E, fino ad ora, anche per Blackbrook lo scorrere del tempo si era protratto scandito da una routine annuale ben precisa, con nascite e morti, feste per onorare i raccolti, piccoli incidenti nell’unica taverna presente e sporadiche guerriglie con piccoli branchi di lupi che, stanchi della pericolosa caccia ai cinghiali nei boschi poco distanti da quella verdeggiante pianura, si avvicinavano di tanto in tanto ad assaggiare qualche succulenta e ben meno combattiva pecora.
Warren era nato lì, in una casa piccola ma accogliente, secondo di tre figli con cui divideva una piccola camera con tre letti impilati uno sull’altro. Era un bambino sano e attivo come molti altri, anche se la folta chioma bionda che gli ricadeva sulla fronte in morbidi ricci lo aveva sempre distinto da tutti. Non era comune il biondo nel villaggio, e quella particolarità era merito di sua madre, originaria di una città grande e lontana su a Nord, dove il padre l’aveva conosciuta e corteggiata per anni, raggiungendola ogni volta che doveva spostarsi per concludere qualche vendita o scambio commerciale, fino a che un giorno non l’aveva riportata a Blackbrook con sé. Era una donna alta, bella, i cui lunghi e fluenti capelli biondo paglia portati spesso in una treccia che le scendeva fino ai fianchi erano sempre stati l’invidia di molte delle sue nuove vicine di casa. Ma lei non ci aveva mai dato troppo peso, ed il suo carattere gentile, dolce e sempre disponibile le aveva permesso di essere accettata con estrema facilità dagli abitanti.
Era ormai primavera, e le giornate sempre più lunghe favorivano l’intensa voglia dei bambini di restare fuori a giocare nei campi fino a tardi. Warren, ormai dodicenne, nel tempo si era creato un suo piccolo e fidato gruppo di amici, che lo avrebbero seguito ovunque e che letteralmente pendevano dalle sue labbra. Era piuttosto alto per la sua età, e nei suoi luminosi occhi blu era sempre accesa una scintilla d’avventura. Ogni giorno inventava una nuova missione per tutti loro, dal riuscire ad acchiappare un leprotto a mani nude al cercare di passare inosservati attraverso il campo del Signor Derrik, i cui cani da guardia non amavano intrusioni nel loro territorio. Quando non era impegnato in qualche scorreria, poi, Warren diventava l’ombra di suo fratello maggiore Eric, di cinque anni più grande di lui, aiutandolo nei campi e cercando di farsi insegnare sempre qualcosa di nuovo. Eric era davvero ben piazzato, ed il padre non aveva esitato ad insegnargli le basi del tiro con l’arco – che poi il ragazzo aveva affinato durante le periodiche battute di caccia insieme agli altri giovani – e qualche rudimentale tecnica di spada, affermando che nonostante il lungo tempo di pace e prosperità che il loro grande Regno stava vivendo non si era mai sicuri di cosa sarebbe potuto succedere nel prossimo futuro. Durante i loro pomeriggi insieme Warren aveva iniziato ad insistere perché anche a lui venisse insegnato come difendersi, e così, tra un lavoretto e l’altro, i due si allenavano alla scherma con l’ausilio di due lunghi bastoni.
 
Nella piccola banda tirata su da quel ragazzino spigliato, poi, da qualche settimana era entrata una nuova recluta. Era strano che una ragazza si interessasse ad avventure, corse sfrenate, arrampicate e tutte quelle attività che comprendevano lo sporcarsi dalla testa ai piedi, ma era evidente che Isabell era diversa. Aveva undici anni, lunghi capelli scuri che teneva sempre strettamente legati dietro la testa per evitare che si annodassero e che le dessero impiccio, ed era piuttosto magrolina, ma nonostante questo riusciva sempre a tenere il passo dei ragazzi. Si era avvicinata a loro quasi per caso, una mattina in cui il piccolo gruppo era concentrato in una sfida di arrampicata sui rami della vecchia quercia che si trovava subito fuori del villaggio, aggrappata all’argine del piccolo fiume che lo aggirava. Era un albero secolare, forse addirittura millenario, che per quanto ne sapessero era in quel punto fin da prima che Blackbrook venisse costruito, ed i suoi lunghi e spessi rami erano perfetti per tentare qualche arrampicata. Due ragazzi erano riusciti a salire fino al secondo livello di rami, e mentre gli altri da sotto li incitavano ad andare a cora più in alto, Isabell si era avvicinata curiosa, osservando la situazione con i suoi grandi occhi neri.
«Che ci fai qui? Queste sono cose da ragazzi, non vorrai mica sporcarti il vestito!» l’aveva subito schernita Warren, ridacchiando mentre dava di gomito ad un suo compagno di fianco a lui. La bambina, che non aveva intenzione di essere considerata inferiore ai maschi, a quelle parole aveva accennato un sorrisetto e si era subito legata la gonna sopra le ginocchia per avere più libertà di movimento. Poi, quasi con semplicità, si era arrampicata alla stessa altezza dei due ragazzi, issandosi sull’ultimo ramo con un leggero grugnito. Ci si era seduta a cavalcioni, ed aveva poi guardato i ragazzi rimasti a terra con aria di sfida.
«Perché non arrivate fin qui? Avete forse paura di sporcarvi i pantaloni?» aveva aggiunto sorridendo.
Da quel giorno era diventata parte integrante della loro piccola banda, accompagnandoli nelle lunghe e soleggiate giornate. Warren cercava di non darle troppo peso, per lui rimaneva sempre una femmina, e si sapeva benissimo che delle femmine non ci si poteva granché fidare, anche se si dimostravano amichevoli. Le settimane passavano, e come se qualcosa si fosse improvvisamente acceso dentro di loro, Warren ed Isabell si avvicinarono sempre di più, divenendo quasi inseparabili. Nessuno dei due avrebbe saputo trovarne il motivo, se glielo si fosse chiesto avrebbero probabilmente risposto che erano molto simili. Entrambi amavano l’avventura, il brivido dell’ignoto, l’adrenalina di un inseguimento o di una lotta tra le spighe di grano. Warren era ovviamente più forte, ma Isabell compensava questo svantaggio con l’agilità sia del corpo che della mente. Difficilmente le loro sfide finivano con un vincitore definitivo, e i due si ritrovavano spesso entrambi a terra, ansimanti dalla fatica, ma alla pari.
 
Fu proprio durante una di quelle sfide che successe. Era tardo pomeriggio, il sole stava iniziando lentamente a scendere rendendo tutto l’ambiente circostante di un meraviglioso colore aranciato, che si andava scurendo con il passare dei minuti. Dalle piccole case del villaggio iniziavano a salire sottili rigagnoli di fumo, ad indicare che si stavano accendendo i camini per preparare la cena e scaldare un po’ gli ambienti. Warren, Isabell ed il loro piccolo gruppo erano al centro della piazza, e si stavano sfidando ad una gara di lancio di piccoli sassi lisci e tondi che avevano trovato lungo il corso del fiume quella mattina, cercando di decretare chi riuscisse a scagliarli più lontano. Il biondino era ovviamente in testa fino a quel momento, e subito dietro di lui era piazzata Isabell come suo solito. Un ragazzo in carne e dai capelli castani, con il viso pieno di lentiggini, stava prendendo la mira per tirare la sua pietra quando si udì uno strano suono in lontananza. Sembravano delle grida, e provenivano dai campi al di là dei cancelli del villaggio. I bambini si fermarono, rimanendo in ascolto e cercando di capire chi fosse a produrre quel suono, da dove e soprattutto perché.
Non erano assolutamente preparati a ciò che avvenne pochi secondi più tardi. Con il sole ormai quasi alla fine del suo arco e la luce sempre più tenue, il villaggio venne invaso come un’onda da un folto gruppo di cavalieri incappucciati, che brandivano asce, spade, archi e torce fiammeggianti. Si erano scagliati all’attacco urlando a squarciagola, per caricare i loro animi nonostante quello che stavano attaccando era un semplice villaggio di contadini e commercianti, per lo più disarmati. L’assalto durò forse una manciata di minuti, ma tutto nella mente e negli occhi di Warren scorse come se fosse rallentato un’infinità di volte. Vide entrare quel gruppo di figure dal cancello principale, ancora aperto e quasi mai sorvegliato, preceduti da uomini e donne in fuga dalle loro spade, che si coprivano la testa mentre correvano più veloce possibile. Vide i cavalli scalpitare sulle strade, impennarsi mentre i cavalieri tiravano le redini per farli fermare dopo quella folle corsa tra i campi, vide i loro zoccoli colpire chi avevano attorno e buttarlo a terra, vide i primi schizzi di sangue. Ne avrebbe visti molti altri quella sera.
La prima cosa che fece fu prendere la mano di Isabell ed iniziare a correre, senza guardarsi mai indietro, gridandole di seguirlo e cercando di arrivare a casa sua, che si trovava dalla parte opposta della piazza. La madre era in piedi fuori dalla porta, il viso ansioso ed impaurito, e appena lo vide correrle incontro lo chiamò a gran voce, intimandogli di entrare subito in casa. Dentro, Eric lo attendeva con un piccolo zaino e la sorella più piccola, Alis, in braccio.
«Warren! Finalmente sei qui, dobbiamo andarcene subito, ho visto i cavalieri nella piazza» disse il ragazzo frettolosamente, lanciando al fratello minore un secondo zaino.
«E papà dov’è?» aveva risposto lui guardandosi intorno, mentre la madre chiudeva bene le piccole tende alle finestre e sprangava la porta. Eric lo aveva guardato per un secondo prima di rispondere.
«È fuori, mi ha detto lui di venire qui e portarvi via tutti, sta attaccando il carro ai cavalli. Dai, sbrigati!» aggiunse infine mentre si dirigeva svelto alla piccola porta posteriore, che si apriva quasi direttamente sulla seconda entrata del villaggio, vicino la quale erano poste le piccole stalle che ospitavano i preziosi cavalli da tiro ed i carri su cui venivano solitamente caricate le merci da vendere. Uscirono tutti insieme dalla porta posteriore e si misero a correre, mentre alle loro spalle le grida aumentavano ed un odore acre di fumo si spandeva tutto intorno. Warren si voltò un attimo, e quel che vide lo sconvolse. In pochi minuti Blackbrook era stato quasi distrutto: gli uomini armati entravano a forza nelle case saccheggiando i pochi beni che gli abitanti possedevano, per poi dare tutto alle fiamme. A terra, intorno alle case, giacevano numerosi corpi senza vita di donne, anziani e uomini che avevano provato a difendersi, mentre i bambini venivano portati via e messi in un grosso carro chiuso.
 
Arrivati alle stalle, dove li stava aspettando il padre con il carro, iniziarono a prepararsi in fretta per partire. Prima di tutti salirono la madre e la sorella di Warren. Mentre il ragazzo si apprestava a fare lo stesso, però, Isabell che ancora aveva la mano stretta nella sua si immobilizzò, voltandosi indietro come se fosse tornata in sé.
«Aspetta! I miei genitori, perché non ci sono? Non posso lasciarli!» disse lasciando la mano del ragazzo di fianco a lei, per poi iniziare a camminare come imbambolata verso il villaggio in fiamme. Quei pochi secondi di ritardo fecero precipitare la situazione. Davanti ad Isabell si pararono quattro uomini armati, i volti sporchi di fuliggine e sangue, le lame argentate che risplendevano nella notte alla luce delle torce e del fuoco dietro di loro.
«Ma guarda chi abbiamo qui, dei fuggitivi?» disse il primo a sinistra, facendosi avanti brandendo un’ascia bipenne con entrambe le mani, mentre un altro afferrava Isabell per un braccio tirandola verso di sé. La ragazza iniziò ad urlare e scalciare cercando di divincolarsi, ed Eric e suo padre si fecero subito avanti, il primo con il suo arco su cui era incoccata una freccia, il secondo tenendo dritta davanti a sé la sua vecchia spada.
«Lasciatela andare» disse Eric, gli occhi fissi sull’uomo che cercava ancora di immobilizzare quella ragazzina impetuosa che si divincolava come un pesce tra le sue mani. Tre uomini si fecero avanti, sorridendo in maniera inquietante mentre fronteggiavano i due guerrieri improvvisati con le loro patetiche vecchie armi, già consapevoli di come sarebbe finita la questione.
Il padre di Warren si voltò verso il carro, osservando sua moglie ed i suoi due figli più piccoli, il loro viso spaventato che brillava di una luce arancione.
«Andate! Non voltatevi» disse loro, poi si girò e partì con un affondo verso il guerriero più a destra, che non aspettandosi quell’attacco si ritrovò sbilanciato ed impossibilitato a parare, consentendo alla lunga e vecchia spada di passarlo da parte a parte. Cadde in ginocchio, portandosi le mani all’addome da cui iniziava a fuoriuscire un copioso getto di sangue, guardando i compagni con aria interrogativa e terrorizzata, consapevole che probabilmente non avrebbe visto il sole sorgere.
A quella vista Warren si era completamente bloccato, con un piede ancora a terra e l’altro sul primo gradino del carro. Si sentì issare verso l’alto, e scoprì che sua madre lo aveva tirato su per metterlo di fianco alla sorella, prima di sedersi davanti e prendere le redini, per poi schioccarle e far partire i cavalli.
«No mamma, aspetta! Li stiamo lasciando indietro!» disse disperato, le lacrime che iniziavano a scorrergli lungo le guance.
«Non ti voltare, Warren. Vedrai che andrà tutto bene, tuo padre e tuo fratello sanno cavarsela, l’hai visto anche tu» gridò lei di rimando, gli occhi fissi sulla stretta strada che portava lontano da Blackbrook, verso Nord. Li lasciarono indietro, anche Isabell, e Warren in principio credette davvero che sarebbe andato tutto bene, che in qualche modo avrebbero sconfitto quei guerrieri, liberato la sua amica e che si sarebbero incontrati di nuovo.
 
******
 
Non sapeva esattamente cosa stesse sognando, ma l’improvvisa apertura di un lembo della sua tenda e la conseguente invasione dello spazio fino a quel momento buio da parte dei primi raggi del sole svegliarono Warren di soprassalto.
«Mi dispiace averla svegliata, signore, ma è ora» disse l’uomo alto e magro che teneva aperta la tenda, già vestito di tutto punto con la lucida armatura su cui era inciso il simbolo del Regno di Omera, un lupo raffigurato nell’atto di ululare alla luna. Warren sbuffò, consapevole che il piccolo periodo di quiete era giunto definitivamente al termine, e si alzò dalla spartana branda di legno sui cui stava dormendo, già vestito per metà.
«E va bene, grazie per avermi avvisato Charles» disse poi rivolto al soldato, uno degli uomini del suo battaglione. In piedi al centro della larga tenda di stoffa pesante, si stirò per bene prima di uscire al sole e dirigersi verso la cucina da campo per arraffare qualsiasi cosa fosse rimasta per colazione. Due grosse fette di pane e del prosciutto lo attendevano, ma non aveva tempo per gustarsele mentre chiacchierava con il cuoco come aveva fatto durante quei primi giorni di pianificazione della battaglia. Intorno a lui l’accampamento era in fermento, uomini e donne si spostavano a passo svelto da una parte all’altra, preparavano i cavalli, affilavano le lame delle spade e delle asce, sistemavano le frecce e stringevano le corde dei loro archi. Non c’era tempo per perdersi in inutili chiacchiere, a breve sarebbe giunta l’ora di partire per quella che si preannunciava come una delle più importanti battaglie per decidere il destino di quella guerra che durava ormai da fin troppo tempo.
 Tornato alla sua tenda, Warren aveva iniziato ad allacciarsi i diversi pezzi di armatura con precisione e mentre lo faceva la sua mente venne invasa da tutti gli eventi che lo avevano portato fino a quel momento. Erano passati dodici anni da quella sera, da quando insieme a sua madre e sua sorella era fuggito da Blackbrook a bordo di quel carro malmesso, lasciando dietro di sé suo padre, suo fratello maggiore ed Isabell. Per diverso tempo, una volta arrivati a Frostbone dopo tre giorni di viaggio, città natale di sua madre, aveva sperato che sarebbero tornati, che prima o poi li avrebbe visti varcare i pesanti cancelli di ferro di quella città arroccata tra le montagne, sferzata da un vento freddo che nemmeno l'estate ed il sole riuscivano a smorzare del tutto. Con il tempo però aveva imparato che lo sperare in qualcosa non sempre viene ripagato, e mentre i giorni diventavano settimane e le settimane mesi, piano piano aveva smesso di fermarsi davanti a quel cancello.
 Sospirando, Warren passò dalle protezioni per le gambe alla grande placca di metallo che gli copriva il petto, l’addome e la schiena aderendo perfettamente ai suoi vestiti ed alla forma del suo corpo, al cui centro era stato ricavato dal mastro fabbro che l’aveva forgiata per lui lo stemma del lupo, incredibilmente dettagliato nonostante fosse inciso nel metallo.
 L’attacco al suo piccolo villaggio non era stato un evento isolato, né coloro che avevano compiuto quell’atto barbarico erano semplici predoni o banditi. Dopo Blackbrook molti altri villaggi erano stati assaliti, in un crescendo di violenza perpetrata dal vicino regno di Zostral, le cui mire espansionistiche non potevano più essere scoraggiare da vecchi accordi di pace siglati quasi un centinaio di anni prima. Il nuovo Reggente, supportato dai suoi consiglieri che da sempre cercavano un modo per espandere i propri domini e ricchezze, non si era fatto scoraggiare dalle possibili conseguenze di una guerra, ed aveva pianificato le sue azioni in modo certosino. Per primi aveva fatto cadere i villaggi di confine che fornivano generi alimentari alle grandi città, attaccando senza preavviso con piccoli gruppi di uomini ben addestrati, senza vessilli che potessero farli riconoscere e generando il panico tra la gente comune che sapeva di non potersi difendere. Sapendo già che il conflitto sarebbe stato lungo e che la differenza con l'esercito di Omera era grande, il Reggente decise di attuare un piano terribile: durante gli assedi ai villaggi quasi tutti i bambini vennero rapiti e portati oltre i confini del regno, addestrati all’arte della guerra mentre le loro giovani e fragili menti venivano plasmate offuscandone i ricordi delle loro famiglie e creandone di nuovi.
Warren allacciò gli spallacci che avrebbero impedito che frecce o attacchi dall’alto si potessero far strada negli spazi lasciati liberi dal pettorale. Infine, gli ultimi pezzi della sua armatura erano le protezioni per le braccia, che il giovane allacciò con perizia mentre continuava a ripercorrere con la mente gli ultimi anni di quella guerra sanguinosa ed apparentemente infinita.
 Con il progredire degli scontri, in tutto il Regno di Omera vennero diramati ordini di arruolamento per i giovani ragazzi e ragazze che ne avessero fatto richiesta e che si fossero dimostrati in grado di tenere in mano un'arma. Anche a Frostbone non erano tardati ad arrivare i primi messaggeri, e Warren aveva subito deciso di partire per l’addestramento. Sapeva di poter essere d'aiuto, e la rabbia che portava nel petto per l’attacco a tradimento contro il luogo in cui era nato e contro la sua famiglia lo spinsero a prendere parte alla guerra. Si dimostrò fin da subito abile con la spada e con l'arco, e durante gli anni di addestramento il suo fisico rispose impeccabilmente ai duri sforzi cui lo sottoponeva, crescendo in forza ed agilità e permettendogli di maneggiare con scioltezza anche le armi più pesanti. E non era l'unico ad essersi accorto di questi cambiamenti: il Comandante dell'accademia aveva notato il suo costante miglioramento, la sua tecnica e la sua tenacia, e non aveva tardato a mandarlo sul campo di battaglia per i suoi primi assaggi di vero combattimento. Era partito dalle retrovie, come ogni soldato comune, ma si era via via fatto strada tra i ranghi, e ad ogni battaglia – che venisse vinta o persa – sapeva dimostrare valore, strategia e rispetto per i suoi compagni di battaglione, a cui in un modo o nell'altro riusciva sempre a far subire poche o nessuna perdita. I suoi compagni erano presto diventati la sua famiglia ed ora, dieci anni dopo la sua prima battaglia, si ritrovava ad essere il loro capitano e a guidarli in quella giornata cruciale.
 Dopo aver finito di sistemare tutte le chiusure della sua armatura, controllandole una seconda volta per essere sicuro che tutto fosse al suo posto, Warren prese il largo spadone di ferro appoggiato alla sua branda, sulla cui elsa erano incisi tre nomi in una scrittura antica che dal popolo di Omera era considerata portatrice di magia e buona sorte, e si diresse all’esterno verso la tenda del Generale, per discutere con lui e gli altri capitani della strategia di battaglia.
Il territorio su cui si trovano era cruciale, un’importante via di collegamento tra i due Regni su cui fino a meno di vent’anni prima si avventuravano i carri dei mercanti per effettuare scambi commerciali, e che ora invece rappresentava un nodo cruciale da possedere per permettere un agevole passaggio di truppe verso l’uno o l'altro Regno. Ironia della sorte voleva che quella zona fosse a poche miglia dall’ormai distrutto, e mai ricostruito, villaggio di Blackbrook, il che rendeva la prima battaglia che il giovane Warren affrontava come Capitano di un battaglione ancora più importante e piena di significato per lui. Sentiva dentro di sé crescere la volontà di vendetta verso gli uomini che avevano distrutto la sua vita.
La strategia di attacco era tutto sommato semplice: l’esercito si sarebbe diviso in tre falangi, impedendo l’accerchiamento mediante le due laterali che avrebbero anche svolto la funzione di rinforzo per quella centrale che invece si sarebbe occupata dello sfondamento. A Warren era stato affidato il compito di guidare la falange di destra.
 
 Il campo di battaglia era silenzioso, gli uomini si guardavano tra loro cercando di non tradire l’agitazione che aveva iniziato a pervaderli. Gli eserciti erano separati da alcune centinaia di metri, le formazioni ordinate, le strategie pronte. Il Generale dell’esercito di Omera si portò davanti alla prima linea, in sella al suo magnifico destriero da guerra color crema anch’esso ricoperto di piastre di armatura metallica per proteggerne le parti sensibili come il collo ed i fianchi. Parlò ad alta voce, così che tutti potessero sentirlo, parlò della loro terra rigogliosa e del loro popolo pacifico, parlò di come il Regno di Zostral aveva distrutto le loro vite e le loro case, rapito i loro figli, fratelli e sorelle, di come l’esistenza di tutto ciò che conoscevano ed avevano di caro in quella vita era minacciata da quel grande esercito di fronte a loro. Allo scandire di ogni frase, gli uomini battevano le loro armi sugli scudi e le lance sul terreno con un grido di incoraggiamento. Warren sentiva l’adrenalina iniziare a scorrere prepotentemente nelle sue vene, il cuore accelerare il battito e le mani tremare leggermente. Strinse la presa sull’elsa della spada chiudendo gli occhi, ed immaginando la forma delle piccole rune sotto le sue dita, scandendo nella sua mentre i tre nomi del padre, del fratello e di Isabell, le tre persone per cui aveva deciso di imbarcarsi in quella guerra, le persone che voleva vendicare e per cui avrebbe combattuto. Giunto alla fine del suo breve discorso, il Generale si voltò verso l’esercito avversario sguainando la spada ed alzandola verso il cielo, e dopo alcuni secondi di assoluto silenzio l’abbassò puntandola davanti a sé e chiamando l’inizio dell’attacco.
 
Dall’altra parte della piana – nell’esercito avversario – doveva essere avvenuta grossomodo la stessa cosa, perché anche loro partirono di corsa verso il centro del campo. Le prime linee si scontrarono, ed il clangore delle spade negli scontri riempì tutto lo spazio, mentre piogge di frecce cadevano fra i combattenti lanciate dalle retrovie. Dopo alcuni minuti anche le due falangi laterali attaccarono, convergendo verso il centro e chiudendo le possibili vie di fuga agli avversari. La battaglia sembrava procedere come previsto, nonostante le ingenti perdite da ambo i lati l’esercito di Omera rimaneva superiore numericamente a quello di Zostral e sembrava che la vittoria non avrebbe tardato ad arrivare. Warren però, nel mezzo del combattimento accerchiato dai compagni per formare un gruppo compatto, sentì provenire dalla sua destra un coro di grida che lo fece voltare a controllare cosa stesse succedendo. Con orrore si rese conto che la sua falange era stata sfondata al centro da un battaglione di Zostral che stava rapidamente decimando i suoi uomini dalle retrovie. Gridando rapidamente degli ordini prese con sé il gruppo di guerrieri più fidato e si diresse verso il nuovo gruppo di nemici alle sue spalle, incrociando subito la spada con quello che doveva essere il loro capitano.
 
Era una figura apparentemente minuta e snella, ed osservando meglio l’armatura argentata sul cui pettorale era inciso il simbolo del drago sputafuoco di Zostral, il ragazzo intuì con sorpresa che doveva trattarsi di una donna, nonostante fosse insolito che una carica importante come quella di Capitano non venisse affidata ad un uomo. Incrociando la spada con lei gli fu però presto chiaro il perché di quella scelta: la sua tecnica era impeccabile, ogni stoccata del ragazzo veniva prontamente parata dall’avversaria o schivata con agilità, finendo presto per trasformare quello scontro in una specie di danza mortale, in cui ogni minimo errore poteva costare ad uno dei due la vita. Nonostante la poderosa forza che imprimeva negli attacchi con il suo spadone a due mani, non sembrava mai abbastanza per sfondare la guardia di quella donna, e con il passare dei minuti Warren iniziò ad agitarsi, sentendo che il proprio respiro cominciava ad affannarsi per lo sforzo prolungato senza risultati. Dal canto suo anche la ragazza non riusciva a capacitarsi della sua incapacità di finire l’avversario, e nonostante la sua agilità con la spada ed il suo vantaggio in termini di mobilità, l’uomo davanti a lei sembrava in grado di maneggiare quel grosso spadone come se fosse un leggero stiletto, imprimendovi una forza notevole che in più di un’occasione lei stentò a sopportare, dovendo preferire le schivate piuttosto che le parate dirette. Quel piccolo momento persa nei suoi pensieri però le costò caro: il guerriero di fronte a lei roteò la spada verso il suo collo, e lei fece appena in tempo ad abbassarsi per evitare di perdere la testa in un millesimo di secondo. Quel movimento goffo però fece sì che la grossa spada si abbattesse sul lato del suo elmo chiuso, ammaccandolo e peggiorando la visuale che aveva sulla destra e costringendola a toglierlo in fretta prima che potesse partire l’attacco successivo. I suoi lunghi capelli scuri liberati dalla costrizione dell’armatura le ricaddero sul viso, e senza perdere tempo la ragazza si rimise dritta. Con un grido si lanciò in quello che sperava fosse il suo ultimo attacco, spostandosi velocemente sul lato del ragazzo e mirando anche lei questa volta al suo collo. Lui però fu altrettanto svelto, e compresa la strategia della sua avversaria fece un movimento analogo. I due si ritrovarono quindi uno di fronte all’altra, con le spade puntate al collo dell’avversario, immobili e alla pari. Forse non c’era modo di finire quel combattimento, pensò Warren provando una punta di ammirazione per quella sconosciuta che era in grado di stare al suo passo senza quasi subire nemmeno un colpo. La guardò negli occhi, scuri come i suoi capelli e che lo guardavano curiosi ed allo stesso tempo con aria di sfida, e fu proprio in quel momento che la realtà lo colpì allo stomaco come un pugno. Riconosceva quegli occhi e quei capelli ribelli, conosceva quel viso che sotto la polvere e nonostante i piccoli cambiamenti che i dodici anni di separazione gli avevano lasciato era impresso nella sua mente e probabilmente anche nel suo cuore da anni e lo rivedeva ogni volta che stringeva l’elsa lavorata della sua spada.
Sgranando gli occhi e con il fiato corto, non riuscì a fare altro che pronunciare il nome di quella ragazza che incredibilmente si trovava di fronte a lui.
«Isabell?»

 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: VenoM_S