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Autore: Red_Coat    23/03/2019    1 recensioni
(SEGUITO DI "IL PRIMO AMORE DI IGNIS SCIENTIA")
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Vivere o morire, queste erano le due opzioni disponibili.
Toccava ripartire da zero, tentando invano di dimenticare l'orrore e il dolore appena vissuto.
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(Dal terzo capitolo: "Alexandra riaprì gli occhi alla vita e la prima cosa che udì fu il silenzio, rotto solo dal ticchettio inesorabile dell'orologio sul comodino. (...) Era sola, esclusivamente di questo si accorse. Sola e disperata, senza più nulla al mondo.
Come avevano fatto gli dei a dimenticarsi della sua esistenza, quel giorno ad Insomnia? Forse erano davvero troppo preoccupati a difendere il loro prescelto?"
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ignis Stupeo Scientia, Iris Amicitia, Nuovo personaggio, Talcott Hester
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il meraviglioso fuoco della conoscenza'
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Col senno di poi

 
Un mese e mezzo dopo ...

 
Capo Caem,
Regione di Cleige
 


-Alexandra!-

Monica Elshett, guardia reale che aveva collaborato a stretto contatto con Clarus Amicitia e che ora faceva parte della resistenza, giunse sulle rocce del promontorio e urlò il nome della ragazza per farsi sentire, ma il suo grido fu trasformato in un semplice lontano eco dal potente ruggito del mare, quindi troppo flebile per essere udito da così lontano.
Alexandra Jane Baker se ne stava seduta sul bordo di una rientranza nella solida roccia, una piccola caverna dentro al quale ci si sarebbe anche potuti accampare, volendo.
Era una zona magnifica per osservare il mare e il cielo azzurro sopra di esso, ma difficile da raggiungere soprattutto per una come lei.
Erano passati quasi due mesi dal suo risveglio, uno da quando si era trasferita assieme ad Iris, Jared e suo nipote Talcott dalla ridente Lestallum alla splendida location di Capo Caem.
Il medico le aveva detto che per i suoi polmoni ed il suo spirito l'aria e la vista del mare avrebbero potuto farle bene.
Doveva proteggersi dai germi, per colpa della polmonite che l'aveva afflitta da bambina la situazione dei suoi polmoni non era facile e per guarire completamente serviva tenerli puliti e non affaticarli.
Le avevano caldamente raccomandato riposo, sia fisico che mentale.
Niente stress emotivi, una sana alimentazione controllata, un po di attività fisica riabilitativa per la gamba e tanto riposo.
Poteva fare ciò che voleva, purché non si adagiasse nel suo dolore e cercasse un modo per rinascere.
Certo quella benda sull'occhio non aiutava.
Alla fine la diagnosi era stata "leggera lesione del nervo ottico con infiammazione acuta dovuta a trauma da contusione".
Non riusciva a ricordare quando se la fosse procurata, i suoi ricordi del giorno della caduta di Insomnia erano frammentati e si concludevano con un'immagine sfocata di Monica che urlava il suo nome mentre lei era già a terra, circondata dai Magitek.
Probabilmente uno di loro aveva usato il manico del fucile per sferrarle un colpo e  stordirla, ma non poteva esserne sicura visto che tutti i testimoni alla scena erano morti.
Restava il fatto che non avrebbe recuperato tanto facilmente la vista di quell'occhio, non senza diverse operazioni per ricostruire il nervo e prim'ancora un lungo periodo di tempo per aspettare che l'infiammazione passasse.
Nel frattempo era importante che stesse al riparo da altri traumi e dalla luce diretta, sia solare che artificiale.
Lo aveva coperto con una benda monocolare di pelle nera, che la faceva sembrare un pirata.
Aveva una profonda cicatrice sul lato della fronte che mascherava lasciando sempre un paio di ciocche fuori dallo chignon spettinato con il quale acconciava i capelli, in più zoppicava, e per rendere il suo passo claudicante più sicuro Iris le aveva regalato un signorile bastone da passeggio con il manico in legno intagliato a formare il profilo di un uccellino.
Era carino, ma odiava usarlo.
Si sentiva una menomata, non poteva fare a meno di pensare a quanto si odiava, e la premura di tutti peggiorava le cose.
Al loro arrivo lì Iris le aveva fatto trovare oltre a quella anche altre sorprese, come un baule pieno di eleganti vestiti.

-Appartenevano a mia madre, io non li uso perché sono troppo bassa per farlo, e poi non è il mio stile.- le aveva spiegato con una risata -Ma credo che a te possano piacere.-

Aveva avuto ragione, erano uno più bello dell'altro, ma si era sentita un po in colpa nel doverli indossare.

-Non ti preoccupare.- era stata la risposta della giovane Amicitia -È molto meglio che stiano addosso a te che dentro un baule a prendere polvere, no?-

Così aveva dovuto accettare, per non spegnere quel delizioso sorriso con cui la ragazza l'aveva tranquillizzata.
Amava il suo modo di fare, la sua positività le ricordava sé stessa prima della tragedia, e la sua amica Eve.
Più volte aveva pensato a lei. Un pomeriggio, mentre si godeva il mare dall'alto del faro, aveva rotto gli indugi e chiesto ad Iris di sapere che fine avesse fatto.
Se non era tra gli sfollati di Insomnia magari si era salvata restando dai suoi, ma aveva un pessimo presentimento.
Eppure volle chiederle lo stesso quel favore, ed Iris le aveva promesso che avrebbe chiesto ai colleghi di suo fratello di mettersi sulle sue tracce.
Sperava che anche la sua cocker stesse bene, ma non era così tanto fiduciosa.
E così, tra un pensiero nostalgico e uno angoscioso, aveva trascorso la prima settimana lì a riposarsi.
L'aria di mare le faceva bene, ma si sentiva stanca.
Non aveva mai dormito così tanto in vita sua come in quel periodo.
Si svegliava presto per vedere l'alba, faceva colazione con Iris, Jared e Talcott, spesso con un buon caffè e piatti cucinati dalla ragazza o dal maggiordomo, poi tornava in camera a dormire fino all'ora di pranzo.
Mangiava in camera, grazie a Talcott che le portava il vassoio con il pranzo e restava un po con lei a chiacchierare, e verso le tre tornava a dormire.
La cena la saltava quasi sempre, si svegliava a notte fonda e allora scendeva di sotto a mangiare da sola gli avanzi, per poi concedersi qualche lettura interessante, al chiaro di luna seduta sul primo gradino del porticato esterno se era bel tempo, in camera sua al lume della lanterna se era nuvoloso o non c'era la luna.
Aveva ripreso a scrivere. Erano brani corti, spesso semplici estratti di ciò che erano i suoi pensieri del momento.
Piangeva tanto, ma sempre quando era da sola.
Una settimana addietro poi, all'improvviso erano giunti due estranei al faro, e conoscerli l'aveva sconvolta.
Erano due guardie reali, una di queste si chiamava proprio Monica, come sua sorella, e un po le somigliava anche.
Non aveva saputo proferire parola.
Si era rifugiata in camera sua e aveva iniziato a piangere a dirotto, senza possibilità di fermarsi.
Quando Iris l'aveva raggiunta abbracciandola le aveva chiesto scusa con un filo di voce e gli occhi appannati, ma la giovane si era dimostrata comprensiva.

-Mi manca da morire, mia sorella ...- aveva mormorato straziata.
-Lo so ...- le aveva sussurrato Iris, commossa, carezzandole la schiena -Ma sono sicura che loro sono lo stesso con noi, sempre. Non ci lasceranno mai più ...-

Alexandra l'aveva guardata negli occhi, e da allora non aveva smesso di pensarci.
Aveva sempre pregato tanto gli dei. Lei, sua madre, e anche Monica.
Erano sempre state così devote, ma ora all'improvviso si rese conto di non sapere più sé fosse giusto crederci o meno, se fosse corretto seguitare a pregare oppure smettere di farlo.
Ci aveva riflettuto tutta la notte senza trovare una risposta, e l'indomani era scesa a scusarsi con Monica per la sua reazione spiegandole il perché.
Così si erano scoperte amiche, avevano tanto in comune e a ognuna piaceva parlare con l'altra.
Ma quel dubbio, quel dilemma atroce era rimasto.
Mentre ascoltava le storie del vecchio Jared su Re Regis e si accorgeva di essere triste per la sua misera fine e per non averlo conosciuto, mentre si rendeva conto di come il suo destino si fosse così intrecciato alle orme dei re di Lucis pur non sfiorandoli mai con le dita, lentamente una rabbia delusa si insinuò nel suo cuore spegnendo a poco a poco la fiammella della fede.
Perché erano troppi i dubbi e troppo il dolore per riuscire a voler soffocarli. Non aveva mai riflettuto così tanto sui perché della vita, mai come in quei giorni.
Le sembrava quasi che tutte le sue preghiere fossero rimaste inascoltate, che gli Dei avessero volontariamente voluto abbandonarla a sé stessa curandosi soltanto di salvare il Re prescelto.
Forse, anzi probabilmente non avrebbe dovuto, ma a volte si ritrovava a chiedersi perché fra tutte le vite di Insomnia proprio quella di Noctis Lucis Caelum fosse stata salvata.
E subito dopo si sentiva un verme, perché lei lo conosceva quel principe, conosceva ciò che Ignis pensava di lui ed era ingiusto avercela con quel ragazzo che in fondo altro non era che l’ennesima vittima.
Ma era colpa delle decisioni degli dei. Erano insensate, difficili da capire, e lei non riusciva più a credere che qualcuno tra di loro avesse preso a cuore le sorti di tutta l’umanità. Se lo avessero fatto, quel giorno ad Insomnia nessuno sarebbe morto. Tantomeno bambini, come le sue due splendide nipotine. Come potevano gli dei permettere una cosa simile per la salvezza di una singola persona? Come potevano scambiare le vite di bambini innocenti per quella del portatore di una corona?
Non riusciva a smettere di pensarlo e convincersene. E più se ne convinceva, più non poteva non sentirsi una persona orribile.
Per questo, quando pensieri come quelli si facevano intensi e la rabbia saliva rischiando di farle fare la figura della scorbutica con Iris e Talcott, prendeva il suo bastone da passeggio e se ne andava in un posto isolato come quello, o in cima al faro, dove la voce del mare impetuoso sembrava capirla e sposarsi bene col suo animo tormentato.
E poi lo scenario lì era talmente bello che se avesse saputo dipingere lo avrebbe impresso su tela. Invece portava con sé la sua macchina fotografica, che era riuscita a salvare perché quel giorno ad Insomnia l’aveva portata con sé per fotografare la cerimonia, ma poi non aveva avuto il tempo di usarla, e scattava quante più foto possibili.
Era fantastico il modo in cui la luce, ogni giorno diversa, potesse far brillare il paesaggio e cambiarlo, ogni volta.
 
-Alex, ma come hai fatto ad arrivare fin qui da sola??-
 
La voce di Monica la raggiunse a risvegliarla.
Non si era nemmeno accorta del suo arrivo, perciò fu sorpresa di vedersela davanti quasi quanto lei.
Prese un respiro profondo. Proprio la sorpresa le aveva fatto salire il cuore in gola. Quindi sorrise scostandosi una ciocca da davanti agli occhi e sistemandosela dietro l’orecchio sinistro.
 
-Con i piedi, come sennò?- scherzò
 
Monica sorrise a sua volta, scuotendo il capo e andando a sedersi accanto a lei. C’era un vento fortissimo, la lunga gonna nera del vestito della giovane Baker, pur essendo ella seduta, era scossa dalle raffiche e bagnata da spruzzi di acqua salmastra.
Eppure lei continuava a starsene lì imperterrita, ignorando tutto.
La strada per giungere lì dal faro era ripida, entrando nella prateria ci si imbatteva in un gruppo di enormi coccodrilli che se non evitati con sufficiente rapidità potevano attaccare e fare anche molto male. Poi c’era la scogliera da superare. Con quel vestito, quegli stivaletti e il suo passo claudicante davvero Monica non riusciva a capire come accidenti avesse fatto Alexandra a raggiungere la meta senza farsi male.
 
-Non scherzare.- Le disse premurosa –E’ pericoloso, lo sai. Avresti potuto cadere facilmente nelle tue condizioni.-
 
Alex sorrise appena, e con entrambe le mani sollevò un lembo della gonna in pizzo e taffetà, mostrandole il ginocchio destro sbucciato e la calza sgualcita.
 
-Chi ti ha detto che io non lo abbia fatto?- sorrise calma.
 
Monica sgranò gli occhi.
 
-Accidenti, Jane! Ma sei proprio una bambina, devi stare a riposo non farti più male! E se avesse sbattuto la testa?- la sgridò, preoccupata.
 
Poi però sospirò calmandosi, e scuotendo il capo aggiunse.
 
-La prossima volta che vuoi venire qui, chiedi almeno a qualcuno di accompagnarti, okkey?-
 
Alex sospirò, tornando seria a guardare il mare.
Monica vide i suoi occhi annebbiarsi di lacrime, mentre una mano guantata di pizzo bianco si posava sul petto, sulla morbida seta della camicia bianca dall’alto colletto inamidato, chiuso da un fiocco di raso nero. Da quando l’orribile cicatrice dell’operazione aveva segnato il suo corpo all’altezza del seno, non usava mai scollature. Tra i vestiti che le erano stati regalati da Iris ce n’erano un paio che le sarebbero stati bene, ma che aveva indossato una volta e poi si era rifiutata di farlo ancora. Non riusciva a guardarsi. Si trovava orribile, e non si riconosceva più.
La vide scuotere il capo.
 
-Ho bisogno di stare da sola …- disse soltanto.
 
Ripensandoci, c’era una cosa per cui poteva ringraziare gli dei. Almeno le avevano lasciato un occhio buono per guardare quello spettacolo.
La guarda reale sospirò, guardandola tristemente. Stava per risponderle con parole di conforto, ma Alexandra la precedette tornando a scrutarla con un sorriso.
 
-E’ questo che voglio evitare. Gli sguardi di pietà degli altri, i vostri gesti di umanità. Fanno piacere, un po’, ma non fanno che ricordarmi cosa ho perso e cosa sono diventata …-
 
“Grazie al volere, o al non volere, degli dei.”
Tornò a guardare il mare, una lacrima scivolò sulla sua guancia e il vento la fece volare via, trascinandola lontano assieme all’acqua salmastra che continuava ad impattare contro gli scogli.
Monica le sorrise di nuovo.
 
- Non è pietà, Alexandra.- le disse allora, con amore e dolcezza – Ma affetto. Ti vogliamo bene, per questo non vorremmo che vederti sorridere.-
 
Jane Baker sorrise amara.
 
-Mi volete bene …- ripeté, quasi come se non potesse credere a quelle parole e cercasse di capirle a fondo –Ma come potete, se prima del nostro incontro nemmeno ci conoscevamo? Proveniamo da due ambienti diversi, da storie diverse.- aggiunse tornando a guardarla –Voi siete da sempre stati servitori della casa reale, a contatto con palazzi sfarzosi, re e principi, mentre io fino a qualche tempo prima vivevo la mia vita da cittadina comune, avevo un lavoro precario, una casa piccola, e facevo fatica ad arrivare alla fine del mese senza l’appoggio di mia madre e mia sorella. Se non fosse stato per Eve non sarei nemmeno riuscita ad andare a vivere da sola.-
 
Si fermò per trarre un sospiro. Monica Elshett la fissò con un sorriso.
 
-Sai già da te la risposta.- le disse –Sai che quando si ha stima di una persona non importa il ceto sociale, il lavoro o la provenienza.-
 
Alexandra sospirò di nuovo.
Si. Lo sapeva. Con Eve era successa praticamente la stessa cosa, ma era lei ad essere cambiata adesso. Il problema era lei, e la sua miseranda autostima.
 
-Hai notizie di Eve, a proposito?- chiese, per cambiare argomento.
 
La donna scosse rammaricata il capo.
 
-Ho chiesto in giro tra i superstiti e i miei colleghi, non c’è nella lista degli sfollati. Proveremo a rintracciare la sua famiglia.-
 
Un altro sospiro.
Non avrebbe avuto buone notizie, il suo sesto senso le diceva che avrebbe dovuto dire addio anche alla sua migliore amica e alle risate, ai bei momenti passati con lei. Ci avrebbe pensato ogni volta che avrebbe cucinato dei biscotti alla cannella o accarezzato un cagnolino, ci pensava già quando vedeva che un vestito le stava bene addosso, o una determinata acconciatura le donava particolarmente. Le sembrava quasi di sentirla.

 
-Oh, Alex sei uno schianto! Mr. Scientia impazzirebbe se ti vedesse!-
 
-Vieni, serve il mio tocco magico sul make-up per perfezionarti.-
 
-Hey, non ti azzardare a piangere adesso, intesi? Le lacrime non ti donano, meglio un bel sorriso. Cheese!-
 
Chiuse per un istante gli occhi, soffocando un groppo di lacrime.
 
-D’accordo …- mormorò, per poi tornare in silenzio ad ascoltare il mare.
 
Rimasero ancora a lungo lì, ad osservare il sole rifulgere sulle acque impetuose e le onde infrangersi sulla scogliera. Alexandra avrebbe voluto restare lì per sempre, ma infine il tramonto arrivò, e prima dell’arrivo delle tenebre le due decisero di rientrare, per non dover fare i conti anche con i daemons.
La paura di Jane Baker non era passata, anzi dal momento del suo risveglio quelle orribili creature la facevano rabbrividire anche di più. Con l’aiuto di Monica tornò indietro, appoggiandosi a lei solo nel momento in cui soltanto il bastone non bastava a rendere i suoi passi stabili, e comunque con una certa irritazione nello sguardo che faticava a mascherare.
Sulla tavola della sala da pranzo all’interno del piccolo casolare trovò ad accoglierla un bel cesto di primizie della terra. Carote, pomodori, insalata, broccoli e anche cozze e fragole.
Erano invitanti, i frutti di mare riempivano la stanza con il loro aroma salmastro, rievocando in lei ricordi che la ferirono. Pensò ad Ignis, alle loro serate insieme, e soprattutto all’ultima, in cui lui per consolarla glieli aveva cucinati in un ottimo piatto di pasta allo scoglio.
Anche le fragole avevano fatto parte del menù, in un dessert al cioccolato che aveva saputo scaldarle il cuore. Si sentì improvvisamente stanca, si avviò di sopra senza nemmeno avvicinarsi a guardare meglio.
 
-Jane, ti va di cucinare qualcosa stasera?- le chiese Iris, con la solita gentilezza –Ci hanno detto che sei una brava cuoca, io e Talcott vorremo tanto assaggiare uno dei tuoi manicaretti.-
-Anche io sono curiosa.- aggiunse Monica –Potrei aiutarti, se vuoi.-
 
Si fermò a metà della rampa di scale che portava verso la stanza da letto, abbassando il capo stanca e chiudendo gli occhi, col cuore gravato. Sospirò di nuovo.
Cucinare … non era dell’umore giusto per farlo. Avrebbe finito per farsi male o combinare qualche disastro, come succedeva sempre quando non era abbastanza concentrata.
No, meglio evitare.
Rialzò il capo e si sforzò di sorridere guardandoli e scuotendo il capo.
 
-Vi ringrazio, ma preferisco di no. Faccio un bagno caldo e poi vado a letto, sono molto stanca.-
-Vuoi che ti aiuti almeno a medicare il ginocchio?- insistette la guardia reale.
 
Scosse di nuovo il capo, continuando a salire stancamente le scale appoggiandosi alla ringhiera con la mano libera.
 
-E’ solo un graffio, lo farò da sola. Grazie …- rispose atona lei.
 
Quindi entrò in camera, si richiuse la porta alle spalle ed iniziò a spogliarsi, sedendosi fiacca sul bordo del letto. Prima gli stivaletti di cuoio con un tacchetto di legno sotto il tallone, poi il vestito slacciando uno ad uno i bottoni che chiudevano la camicia dietro alla schiena. Se lo tolse facendolo ricadere sullo specchio di fronte a lei, per evitare di vedersi.
In ultimo tolse la benda, lasciandola sul letto, e le calze rotte, abbandonandole sul pavimento e raggiungendo la vasca nel piccolo bagno dove, mentre aspettava che si riempisse di acqua calda, potè ultimare la svestizione slacciandosi il reggiseno di pizzo nero, leggermente imbottito per rendere più pieno un seno dalla forma appena accennata che non era mai cresciuto più di tanto, e poi lasciandolo cadere a terra assieme agli slip del medesimo materiale e colore.
Prese i sali da bagno da sopra la mensola affianco alla vasca e ne versò un pugno dentro l’acqua, poi si calò all’interno della tinozza e chiuse gli occhi gettando la testa all’indietro, sul bordo che le sorreggeva la schiena. Mentre aspettava che si riempisse del tutto restò immobile così, ad ascoltare l’acqua che continuava a scorrere e immaginandosi parte di essa, per poter sognare anche solo un istante di poter davvero andarsene via da tutto questo.
Quanto le sarebbe piaciuto scappare via da quel corpo ferito e rattoppato, dimenticarsi e dimenticare il resto e semplicemente scorrere, senza una meta e un perché, fino a ritrovare del tutto sé stessa.
Se solo avesse potuto …
Quando sentì l’acqua sfiorarle le spalle spense la fontana, versò il bagnoschiuma agli oli termali e agitò un po’ l’acqua, per formare la schiuma in cui poi si calò del tutto, chiudendo gli occhi e trattenendo il respiro.
Sprofondò sott’acqua, e ci restò fino a che i suoi polmoni glielo permisero.
Riemerse, riprese fiato e lo rifece, sperando questa volta di poter cancellare le tracce delle sue lacrime per sempre, sia dal suo viso che dalla sua anima.
In fondo se il cuore avesse smesso di battere proprio in quel momento sarebbe morta in una vasca da bagno, immersa in oli termali e sali purificanti.
La sua pelle sarebbe stata liscia e bianca come quella delle bambole di porcellana, per il suo funerale.

 
 
***
 
-Noct, posso parlarti?-

Il Principe, seduto ad osservare il tramonto sull'orlo della roccia sul quale si erano accampati, guardò Gladio che gli si era seduto di fianco e sorrise.

-Non lo stai già facendo?- chiese divertito.

Gladio sorrise a suo volta, ma subito tornò serio scuotendo il capo.

-Seriamente, Noctis. Devi parlare con Ignis.-

Il Principe lo guardò sorpreso. Erano soli, Ignis e Prompto erano in giro a far foto e raccogliere qualche frutto di bosco per il dessert che Scientia aveva in mente di cucinare quella sera.
Noctis aveva da un po’ l'impressione che Gladio volesse parlargli di quella faccenda riguardante Ignis e Alex, questo era il momento più adatto per farlo. Senza la regalia, che quei farabutti imperiali avevano provveduto a requisire, avevano avuto più tempo per l'avventura e per parlare in momenti come questi.

-Lo avrai notato, no?- gli chiese ancora Gladio -Sta impazzendo senza sapere che fine abbia fatto Alex, ma non si azzarda nemmeno a chiedere. Non vuole distrarsi.-
-Credevo che glielo avessi detto.- rispose il Principe, facendosi serio.

Gladio sapeva che Alex era viva, era stata Iris a rivelarglielo dicendogli che si erano trasferiti a Capo Caem da Lestallum a causa di quella ragazza che avevano aiutato a salvare durante l'esodo, e che era alle prese con una convalescenza piuttosto dura.
Non le aveva detto che conosceva quella Alexandra Baker, ma poi non aveva potuto non dirlo a Noctis, qualche giorno dopo, sperando che si decidesse a fare qualcosa per sciogliere Ignis dai suoi obblighi e spingerlo da lei.
Evidentemente non era stato abbastanza chiaro, perciò ora ci stava ritentando.
Scosse il capo, con sguardo severo.

-Ci ho provato, ma non ha il coraggio di cercarla, teme una cattiva notizia.- rispose
-Allora perché non glielo dici?- replicò Noctis scuotendo le spalle.

Amicitia sospirò.

-Anche se sapesse che è viva non la raggiungerebbe, lo sai come è fatto Ignis, no? È ligio al dovere, sarebbe disposto a farsi impiccare pur di non venir meno all'incarico che gli è stato assegnato.- concluse frustrato
-Mh.- fece a quel punto il principe, tornando a guardare riflessivo il tramonto.

Stava iniziando a capire dove voleva portarlo Gladio con quel ragionamento.

-Ci parlerò io, appena possibile.- risolse.

Gladio sospirò sollevato, battendogli una pacca sulla spalla.

-Grazie ...- concluse, tornando poi a guardare il tramonto con lui, in silenzio.

Noctis Lucis Caelum lasciò correre il suo sguardo verso l'orizzonte infuocato, e nel frattempo si concesse qualche istante per ripensare a quell'amica.
Era entrata all'improvviso nelle loro vite, erano stati insieme poco tempo ma era da subito diventata parte integrante del loro gruppo.
Per Ignis era tutto, anche se lui cercava di tenere per sé tutto ciò che poteva rovinare l'esito della sua missione e l'atmosfera del gruppo, ma anche per loro lo era.
Prompto ne parlava spesso come di un'amica sensibile e premurosa, la degna dolce metà di Ignis Stupeo Scientia, chiedendosi che fine avesse fatto e pregando per lei che fosse riuscita a scampare.
Gladio se la ricordava con una donna tenace, piena di spirito di iniziativa e di inventiva, e se non avesse saputo quanto faceva male ad Ignis ricordarla l'avrebbe menzionata spesso. Ad esempio la ricordava quando c'era da darsi da fare o quando Noct faceva troppo il pigro. Un giorno aveva riprovato a cucinare, sotto la supervisione di Iggy ovviamente, e di fronte all'ennesimo disastro Gladio non aveva potuto non ricordarsi di lei e di quando aveva salvato la festa a sorpresa per il compleanno di Ignis.
Era stato un momento stranissimo. Si erano guardati in faccia, lui, Gladio e Prompto, e tutti e tre avevano capito di star pensando alla stessa cosa per via dell'imbarazzo e della tristezza che era calata tra di loro. Perfino Ignis ci era arrivato, ma il momento era già finito grazie a Gladio che aveva contribuito a stemperare la tensione con una battuta.
Noctis ... Lui non sapeva che pensare.
All’inizio della loro storia si era sentito geloso quasi quanto un bambino, perché Ignis aveva preferito escluderlo da quella parte della sua vita e tenergliela nascosta, probabilmente perché neanche lui, futuro Stratega di Lucis, sapeva come comportarsi in amore.
Da quando però la giovane era entrata ufficialmente a far parte della loro vita le cose erano cambiate, e perderla era stato un duro colpo. Doveva ammettere di essere stato in pensiero per lei e di essersi sentito sollevato quando Gladio gli aveva detto che era riuscita a salvarsi, anche se non con poche difficoltà.
Anche lui avrebbe voluto rivederla, ma c’erano tante cose da fare, prima. Non erano più i bei tempi ad Insomnia, gli imperiali ora gli avevano tolto pure la regalia e doveva riprendersela! Voleva riprendersela! Era l’ultima cosa che gli era rimasta di suo padre, si erano presi perfino la sua spada, cos’altro volevano da lui!?!
Voleva riprendersela, voleva riprendersi il trono, vendicare suo padre e i suoi sudditi, Alexandra compresa, e per farlo non poteva concedersi altre perdite di tempo.
Ma aveva bisogno anche dei suoi amici … di tutti i suoi amici, così gli aveva detto suo padre durante il loro ultimo incontro.
E lui aveva deciso di dargli ascolto, pure se non riusciva a pensarci senza piangere e sentirsi sconfitto.
Forse ad Ignis sarebbe bastato rivederla per tornare tra di loro …
Ma prima avrebbe dovuto fare uno sforzo per convincerlo che fosse la scelta giusta. In fondo … era lui il loro sovrano adesso, e un buon sovrano sapeva sempre prendersi cura dei suoi collaboratori e dei suoi sudditi.
Tanto più se questi erano anche gli unici ad essergli rimasti sempre accanto, da che ne aveva memoria.

 
***
 
Due giorni dopo …
 
Ignis riaprì gli occhi, fissando il buio di fronte a sé.
Era notte fonda, pioveva a dirotto fuori dalla tenda, faceva freddo, un freddo talmente umido da penetrare nelle ossa e infradiciare perfino loro.
Il sacco a pelo non bastava a mantenere il calore del corpo, in più era duro, e scomodo.
Per l'ennesima volta si rigirò su sé stesso, sospirò e richiuse gli occhi, ascoltando il ticchettio della pioggia sopra la stoffa impermeabile della canadese e cercando di riaddormentarsi.
Ma neanche stavolta ci riuscì. Rapidamente, come evocati da quel dolce, incessante ritmo sommesso, ad uno ad uno iniziarono a riemergere dal buio e dal silenzio i ricordi di lei, dei giorni passati assieme, delle promesse e delle parole mancate, dei gesti e dei profumi che erano riusciti a regalarsi.
La vide e la sentì di nuovo ridere, il giorno del suo compleanno e quel giorno al luna park, vide i suoi occhi espressivi fissarlo avidamente alla ricerca di ogni sua più piccola espressione mentre ascoltava rapita i suoi discorsi intellettuali così senza senso ora come ora.
Per la prima volta si chiese cosa ci avesse trovato di così affascinante in lui e nei suoi discorsi, si sentì stupido, e mentre ci pensava la rivide nuda tra le sue braccia, quell'ultima sera insieme prima di lasciarla, in una maniera che adesso gli sembrava così da vile che se ne vergognava.
Risentì la morbidezza e la freschezza della sua pelle bianca, la rotondità e la pienezza dei suoi fianchi, i suoi sospiri e il suo fiato caldo sul collo.
All'improvviso non ce la fece più, non riuscì più a stare lì, fermo a pensare.
Si alzò, uscì fuori senza nemmeno indossare la giacca sopra la camicia a righe bianche e grigie ed iniziò a camminare sotto la pioggia scrosciante della palude attorno al lago Vesper, mentre lacrime amare iniziarono a rigare i suoi occhi verdi.
Non aveva indossato nemmeno gli occhiali, tanta era stata la fretta di uscire a rinfrescarsi i pensieri.
Camminò a lungo, senza una meta, stringendo i pugni nelle tasche e dandosi dell'idiota e dello zotico praticamente ad ogni passo. Fu una fortuna incontrare daemon solo da lontano, non si accorsero di lui e così potè proseguire.
Giunse dopo un po’ al molo di un laghetto artificiale.
Parve riaversi per qualche istante, sospirò e sconfitto decise di sedersi sul legno ad osservare le piccole gocce tamburellare sulla superficie verdastra dello specchio d'acqua.
Tanto ormai il vestito era fradicio ugualmente.
Si sentì ... d'improvviso di nuovo piccolo, un bambino piccolo di fronte all'incombenza di un incarico più grande di lui.
Poche volte aveva sentito quella sensazione. Ormai, a venticinque anni, credeva di non doverci più fare i conti. Invece l'amore lo aveva raggiunto per fargli comprendere che non era così. Non lo sarebbe stato mai.
Si sentiva uno stupido ingenuo, aveva creduto di sapere tutto ma invece non aveva capito un bel niente, e doveva ringraziare Alexandra per questo.
Quella ... splendida donna. La sua ...
Doveva assolutamente ringraziarla ...
Se avesse potuto ancora farlo. Se solo ... Se solo avesse potuto! Perché gli errori nella vita diventavano chiari solo quando erano irrimediabili?
All'improvviso, mentre lottava contro sé stesso per far pace coi suoi dubbi, la pioggia smise di battere sopra di lui, e guardando in su vide l'ombra di un ombrello proprio sulla sua testa, e gli stivali di Noctis accanto a sé.
Il Principe gli sorrise.

-Hey, quattrocchi.- lo risvegliò -Rischi di rovinarti il look così. Il ciuffo è già andato.-

Poi gli si sedette accanto e prese a fissare con lui il lago, continuando a reggere l'ombrello sopra la loro testa.
Ignis tirò su col naso e sorrise, asciugandosi gli occhi con un gesto rapido delle mani, sfiorando appena le palpebre.

-Non sapevo piacesse anche a te pescare.- seguitò il principe -Cos'è? Vuoi provare a battere il mio record? Ti avviso che non sarà facile, nemmeno per un secchione come te.-

Risero entrambi, poi Noctis tornò serio e concluse, con dolcezza.

-Però cominci male, hai dimenticato la canna da pesca.-

Ignis scosse il capo, riavendosi del tutto.

-Non ci proverei mai.- replicò -Sarai anche pigro, ma sei un ottimo pescatore.-
-Ah, grazie!-

Risero ancora, e come per miracolo Scientia sentì all'istante il cuore farsi un po’ più leggero, confortato da quella presenza amica.
Ora cominciava a sentire quel freddo che non aveva avvertito prima, camminando sotto la pioggia.
Anche il resto della sua mente si era risvegliato, restituendogli la percezione del tempo e dello spazio.

-Iggy ... perché non cerchiamo Alex, tra una missione e l'altra, prima di partire per Altissa?-

Si era risvegliato, eppure quella proposta lo colse di sorpresa. Si voltò a fissare il principe negli occhi per capire se fosse serio o no, e quando si accorse di avere effettivamente sentito e capito bene rimase sorpreso a fissarlo, senza saper trovare una risposta.
Noctis sorrise di nuovo.

-Ascolta, lo so che vuoi farlo.- gli disse, comprensivo -So che non riesci a non pensarci, io ... posso capirti ...-

Abbassò arrossendo il capo e lo sguardo, in un vano gesto di pudica timidezza e per nascondere le lacrime. Ignis lo guardò e non ebbe bisogno di ulteriori  spiegazioni.
Luna ... Re Regis ...
Le due persone più importanti per lui, e aveva dovuto lasciarle andare senza voltarsi indietro. Con Lunafreya però c'era ancora una speranza.

-Noct, e le nozze?- gli chiese.

Lo vide sorridere.

-Non ho detto che non partiremo.- replicò annuendo -Ma abbiamo ancora qualcosa da sistemare prima di farlo, e nel frattempo potremmo cercarla. Io sono sicuro che sia viva, la troveremo.- quindi aggiunse, battendogli una pacca sulla spalla con la mano libera -Non posso vederti così, Iggy. Hai fatto una promessa anche a lei, e so che mantieni sempre i tuoi impegni.-

Un ultimo occhiolino, Scientia sorrise sciogliendosi nuovamente in lacrime e stavolta fu Noctis ad abbracciarlo, promettendogli che non avrebbe fatto sapere a nessuno di quel momento di debolezza.

-Adesso rientriamo però, o domani saremo noi a doverci prendere cura di te.- lo schernì amichevolmente aiutandolo a rialzarsi.

Ignis tornò a sorridere.

-Non sia mai dobbiate farlo.- replicò riprendendosi la sua allegria.
-Perché, non ti fidi?- lo stuzzicò il principe.

Scientia rise scuotendo il capo.

-Semplicemente conosco i miei polli.- replicò.

Noctis rise a sua volta.

-Hai ragione. Non dureremmo un giorno senza di te.- replicò sincero.

Ignis fece finta di darsi un tono, sogghignando appena con fierezza e soddisfazione.

-Sul serio Noct? Così mi lusinghi.-

 
 
***
 
Alexandra riaprì gli occhi, sgranandoli e sorprendendosi.
Era completamente sveglia, ed erano solo le cinque del mattino.
Si guardò intorno, e un mormorio di stupore le sfuggì dalla bocca.

-Mh?- fece, incredula mettendosi seduta sul bordo del letto e riflettendo per qualche attimo sul sogno che l'aveva svegliata.

Non era stato un incubo, anzi. Ma ...

-Quello ... era Re Regis?-

Lo ricordava a malapena, conosceva il suo aspetto grazie alle immagini trasmesse dai notiziari di Insomnia e stava imparando a conoscerne il carattere grazie ai racconti di Jared, Iris e delle guardie reali, che tra l'altro avevano suscitato in lei anche un certo grado di interesse e curiosità, come quando scriveva un racconto nuovo con un personaggio che la affascinava. Ma era sicura, quello che le era appena venuto in sogno era lui.
In realtà non era stato niente di eclatante, aveva sentito la sua voce saggia e visto qualche immagine di lui da giovane in quel luogo, Capo Caem.
Certo, le avevano sempre fatto i complimenti per la sua fervida fantasia, grazie alla quale riusciva sempre a immaginare con chiarezza situazioni, paesaggi e personaggi di ogni racconto, suo o di altri.
Però quel sogno era stato improvviso, e aveva un che di realistico.
Sospirò, e si rese conto di avere fame, anzi, voglia di un bel piatto di pancake alle fragole.
Era da parecchio che non mangiava qualcosa con gusto, in più lo stomaco brontolava dando segni di impazienza.

-Mah!- sbottò stranita, scuotendo le spalle.

Quindi si alzò di malavoglia, infilò le pantofole azzurre e coprì il pigiama con uno scialle di lana fatto a mano, abbastanza caldo e ampio da proteggerla per bene dal vento notturno del mare.
Vento che, d'un tratto, proprio nel momento in cui lei mise mano alla maniglia della porta, spalancò la portafinestra che dava sul piccolo balconcino, con una violenza tale da urtare rumorosamente contro l'armadio e far cadere un paio delle tante scatole sistemate sopra di esso.

-Oh, Godness!- sobbalzò lei, portandosi spaventata una mano al petto e voltandosi a guardare.

Una delle due scatole era in metallo, e cadendo aveva contribuito a far rumore.
Si precipitò a raccogliere il contenuto della prima, quella in cartone che per lo più nascondeva piccoli pezzi di stoffa e fili, ma nel momento in cui fece per fare lo stesso con la seconda prendendola in mano rimase interdetta a fissarne il contenuto, svelato grazie alla caduta che aveva rotto la serratura del lucchetto.
Erano foto.
Vecchie foto di un giovane principe Regis e dei suoi amici.
Non li conosceva, ma si rese conto di aver immaginato con una inquietante perfezione sia loro che il sovrano.
Erano esattamente come li aveva sognati. Stesse acconciature, stessi vestiti. Perfino stessi paesaggi e stesse movenze.
Le tremarono le mani, e un brivido le percorse la schiena.
Risentì quella sensazione, quella che avvertiva ogni volta in circostanze come queste, e quasi inconsapevolmente si guardò intorno con circospezione, prima di continuare ad esaminare quelle foto.
Quella casa aveva una strana aura emotiva, lo aveva pensato dal primo momento in cui ci aveva messo piede e se ne rese conto in quel momento, mentre continuando a stringere le foto tra le mani sentì una strana dolceamara angoscia appropriarsi di lei.
Ebbe la continua sensazione di essere osservata, per tutto il breve tempo che trascorse in silenzio inginocchiata sul pavimento.
E proprio nel momento in cui qualcuno accese la luce accorrendo nella stanza, appena prima che le ombre della notte scomparissero le sembrò quasi di scorgere un'ombra, dietro le tende di lino fine che ondeggiavano appena scosse dal vento.

-Alex!-

Iris la chiamò spaventata e accorse ad aiutarla. Lei sobbalzò trattenendo il fiato e volgendosi a guardarla.

-Stai bene?-

Jane la guardò come se non la vedesse, stava ancora cercando di capire cosa fosse vero e cosa no di ciò che le era appena successo.
Sbatté un paio di volte le palpebre e sembrò riprendersi, per fortuna.

-I-io ... S-si, si. Sto bene. Mi sono solo molto spaventata.- balbettò, affannandosi a riordinare.
-Lascia, lascia. Faccio io.- la tranquillizzò Iris, chinandosi a raccogliere tutto e restando sorpresa quanto lei nel ritrovarsi in mano quei ricordi -Oh, ma guarda ... Che belle foto!- esclamò ammirata -Che meraviglia! E guarda! Questo deve essere il Re!-

Alex tremò di nuovo, a causa di un brivido freddo lungo la schiena.
Tacque senza sapere che altro dire.

-Ma pensa...- seguitò la giovane Amicitia, voltandosi verso la finestra e accorrendo a chiuderla per poi guardare l'armadio e concludere la frase -Sono sempre state qui e non ce ne siamo mai accorti. E dire che non c'è nemmeno cattivo tempo fuori.-

Eppure una raffica di vento aveva fatto volare giù dal loro nascondiglio quei ricordi proprio nel momento in cui Alex stava riflettendo su un sogno appena avuto, che aveva come protagonista Regis, e i suoi amici.
Che coincidenza, davvero.
Sospirò, ma il cuore in gola e l'ansia accumulata la fecero ricominciare a tossire.
Iris si affrettò a mettere tutto a posto ed aiutarla a sedersi sul letto mentre lei provava a calmarsi con un inalatore.

-Vuoi che ti porti un bicchiere d'acqua?- le chiese, ma la crisi per fortuna era già passata.

Respirò un'ultima boccata di cortisone, quindi scosse il capo sforzandosi di sorridere.

-No, sto bene.- replicò -Piuttosto ... Ho fame.- concluse con un sorriso imbarazzato, mordendosi le labbra.
-Davvero?-

Iris sembrava quasi incredula. Era stata un'impresa fino a quel momento aiutarla a trovare l'appetito, lo dimostravano la sua magrezza e il pallore.
Perciò gioì quando si rese conto che non stava scherzando, ed entusiasta si offrì di accompagnarla in cucina, al piano di sotto.

-Allora, cosa vuoi di buono?- chiese rovistando nel frigo -Cioccolato, carne, pesce, verdure, frutta?-

Alex sorrise impaziente.

-Fragole.- disse soltanto -Fragole, farina, latte, lievito, uova e panna. Tanta panna.-

Iris si voltò a guardarla stranita, poi si fece seria e tornò a ricontrollare in frigo e in dispensa.

-C'è tutto tranne le fragole. Le ho viste nell'orto, vado a prenderle.- risolse contenta.

Fortuna che aveva indossato le ciabatte sotto al suo pigiama rosso, prima di andare da lei. Prese la pila appoggiata sulla prima mensola della dispensa vicino alla porta e uscì.
Alex la ringraziò con un sorriso, e appena se ne fu andata radunò tutto sul tavolo e iniziò a preparare l'impasto per i pancake.
Ci volle poco. In meno di qualche minuto la casa si riempì del profumo dolce delle fragole e dei pancake, misto a quello intenso del caffè.
Sul tavolo sgombro e pulito troneggiava un piatto ricolmo di frittelle dolci, una sopra l'altra, e in cima una nuvola di panna sopra al quale svettavano rosse e succose fragoline di campo in pezzi.
Nella ciotola di fianco il resto della panna montata e due cucchiai.

-Oh, che meraviglia!- esclamò Iris, guardando il piatto con occhi luccicanti -Accidenti Alex! Mettono l'acquolina in bocca solo a vederle!-

Il giovane Talcott si affacciò al soppalco dalla porta della sua camera e guardò di sotto con curiosità.

-Mhhh, cos'è questo profumo? È buonissimo!-

Alex sorrise, tirando a sé una sedia e accomodandosi, poi ne spinse fuori un'altra e lo invitò a raggiungerle.

-Vuoi unirti a noi? Ne ho fatti abbastanza per tutti e tre.-

Talcott batté le mani e accettò ben lietamente l'invito fiondandosi di sotto e sedendosi dove gli aveva indicato lei.
Iris finì di servire prendendo piatti, posate, e versando il caffè per sé stessa e per la cuoca.
Per più di qualche minuto rimasero in silenzio a gustarsi il cibo.
Alex osservò con soddisfazione le loro espressioni golose e soddisfatte, e sorrise nel godere della sensazione dolce di aver contribuito coi suoi piatti a farli sorridere. Talcott in particolare era carino mentre mangiava. Gonfiava le guancie come un rospo prima di ingoiare, e poi aveva tutte le labbra e un po’ del muso sporchi di panna e fragole.
Le ricordò le sue nipotine, e con gli occhi lucidi gli sorrise e gli scompigliò intenerita i capelli.
Iris la osservò e pensò che finalmente era riuscita a ritrovare sé stessa, come aveva detto il dottore.
L’indomani, quando sarebbe venuto a visitarla, sarebbe stato felice di saperl
o.
   
 
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