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Autore: alessandroago_94    25/03/2019    6 recensioni
Isabella è una ragazza come tante altre, senza alcuna pretesa di troppo dalla vita.
Tuttavia, da quando la relazione con il suo ragazzo è entrata in crisi, la felicità ha lasciato spazio alla più profonda tristezza.
Quello che non sa è che, a volte, la vita sa donarci piacevoli sorprese. E l’amore può annidarsi dove neppure lei avrebbe mai creduto di poterlo trovare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo quarantaquattro

CAPITOLO QUARANTAQUATTRO

 

 

 

 

 

 

 

 

Giunse la sera, e con essa il fatidico momento di fare ritorno a casa. In quella che avrei dovuto considerare la mia nuova dimora, e cioè quella del mio compagno.

Ancora dovevo abituarmi all’idea di non tornare più da mamma, ma sapevo che presto tutto sarebbe stato più semplice, ricordando quanto poco tempo avevo impiegato per smettere di pensare all’appartamento dove si era svolta la mia prima convivenza.

Quella sera non ero molto solare, ben consapevole che avrei dovuto parlare a George e chiarire per bene alcune cose che mi avevano infastidito. Tutto ciò disturbava anche il mio animo, poiché non volevo apparire come quella che voleva fare a tutti i costi la padrona a casa degli altri, però ero consapevole che dovevo rendere un po’ mio quell’ambiente, in qualche modo.

Smisi di riflettere a riguardo, confidando nell’improvvisazione.

Giunsi alla villa di George che già si faceva buio, sintomo che ormai le giornate avevano iniziato irrimediabilmente ad accorciarsi, per andare verso quel settembre non più troppo distante.

Parcheggiai e deviai una Kira sempre troppo giocherellona, per poi trovare la porta già aperta dall’interno.

Varcai la soglia e già Piergiorgio mi veniva incontro, lungo il corridoio, raggiante come non mai.

“Buona sera”, salutò, poi con galanteria mi baciò sulle guance.

“Anche a te, caro”, gli dissi, ricambiando il suo sorriso e tornando più serena.

“E’ pronta la cena, se ti va”, aggiunse, prendendomi per mano.

“Che puntualità!”, esclamai a voce bassa.

“Conosco a memoria il tuo orario di lavoro, è per questo che ho potuto organizzarmi al meglio”, si spiegò, senza interrompere il contatto che ci univa, “anche se in realtà ha fatto tutto Irina, come al solito”.

Al solo sentire nominare quella donna, il mio sorriso svanì. George, attento osservatore del mio viso, lo notò subito.

“C’è qualcosa che non va?”, chiese con prontezza.

“No, no, è tutto a posto. Ceniamo pure”, acconsentii, decidendo che non era il momento migliore per spiegare i miei dubbi. Inoltre, forse la prima impressione che mi ero fatta non era corretta, quindi era giusto tentare di provare di nuovo a sedere attorno a quella scomoda tavola.

Mano nella mano, entrammo in cucina, e la domestica ci attendeva con i piatti già pronti e lucidi.

“Buona sera, signori”, salutò, “questa sera c’è la scelta tra arrosto di tacchino o quello di anatra con contorno di patate al forno. A seguire, verdure di stagione, poi dolce a scelta tra crostata e ciambella”, enunciò senza perdere tempo, con voce squillante.

Io non dissi nulla; mi sembrava di essere al ristorante.

Mi sentivo fuori posto. Un pesce fuor d’acqua.

Che il mio amante fosse davvero abituato da sempre a quel modo di vivere? E pensare che mi era sembrato un tipo molto misurato e semplice, in ogni occasione.

“Io preferisco il tacchino, grazie. E tu, Isa?”, mi interpellò il mio compagno con grande spontaneità, perfettamente a suo agio. Andò a scostare due sedie, l’una a fianco dell’altra.

“Padrone non sta a capotavola?”, eruppe Irina quando notò quel gesto, non dandomi neanche il tempo di rispondere. Piergiorgio le riservò un’occhiata severa.

“Isabella è la mia compagna e d’ora in poi mangeremo l’uno a fianco dell’altra, in segno di eguaglianza. E portale rispetto”, la riprese, e seppur avesse usato toni moderati si era avvertita una leggera nota di fastidio nella sua voce.

Me ne compiacqui, sedendomi a suo fianco.

“Signorina, desidera?”, domandò però la donna, senza farci troppo caso.

“Anatra e patate, grazie”, risposi, con freddezza.

Non appena Irina si fu dileguata, tornai a fissare il mio amato, che invece appariva tranquillissimo in quel momento.

“Ma davvero tu vivi in questo modo?”, lo interpellai, sempre un po’ agitata. “Ti fai servire più porzioni, hai tutta questa scelta, e poi quello che resta lo dai al cane?”.

Piergiorgio rise.

“Ho dato ordine di essere abbondante solo perché ci sei anche tu. Io di solito ho sempre mangiato fuori per pranzo”, si limitò a rispondere.

“Allora lascia stare, ti prego. Sono abituata a pasti molto semplici, e non a tutta questa formalità da ristorante”, aggiunsi immediatamente, piccata. Se quella situazione era una mia causa indiretta, tanto valeva abolirla al più presto.

“Come desideri tu, cara”, sospirò George, “da domani darò ordine preparare una sola scelta”.

“E una porzione per esseri umani, e non da elefanti”, mi venne spontaneo aggiungere.

“Ogni tuo desiderio è un ordine”.

Irina interruppe il nostro breve momento di intimità portando due piatti colmi di deliziosa carne arrostita.

“Grazie”, mormorai, quando mi consegnò la mia porzione, come sempre eccessiva. Le patate le portò dopo, e rovesciò una mezza terrina sulla mia anatra.

“Da domani, gradirei una porzione più ridimensionata, per favore”, dissi, al cospetto di un piatto straripante di cibo.

La donna sbuffò sonoramente.

“Come la signora desidera”, sancì con stizza, abbandonando di nuovo la stanza.

Tornai a guardare il mio George.

“Questa sera dobbiamo parlare”, gli dissi.

“Puoi parlare anche ora”.

“No, questa sera a letto, per favore”.

Lui parve incassare e non ribadì altro, iniziando a mangiare in silenzio.

Irina tornò per controllare la cena, poiché il forno e i fornelli li aveva in una stanzetta laterale, e si mise a osservarci a braccia incrociate. Mi salì un profondo senso di disgusto.

Odiavo essere osservata mentre ero a tavola, tanto più da quella donna che mi faceva sentire tanto a disagio. Ben presto mi venne a meno l’appetito, e anzi, mi venne un discreto voltastomaco. Mi ritrovai a lottare per resistere all’impulso di piantare tutto lì, così come stava.

Mi dispiaceva per il cibo, delizioso, e per lo sforzo che Piergiorgio stava facendo per me, ma non ce la facevo. Non sopportavo quella situazione che per me aveva dell’irreale. Già che avevo vissuto una giornataccia, e adesso dovevo subire anche lo sguardo penetrante dell’arpia.

Alla fine, passando anche per maleducata, allontanai il piatto da me e mi alzai bruscamente, decisa ad abbandonare la cucina. Non resistevo più, avevo un gran magone in gola e non riuscivo a deglutire altro.

“Sono molto stanca, vado a letto. Grazie di tutto”, dissi, piano. Il mio tono non era risultato scortese, ma sommesso. Dispiaciuto. Ed era ciò che provavo dentro di me, poiché mi dispiaceva davvero di essermi comportata in modo così scortese, ma… avevo solo bisogno di parlare a George. Di chiarire alcuni particolari che non riuscivo a tollerare.

Me ne andai senza attendere risposte altrui, muovendomi di buona lena verso la nostra camera da letto.

Udii qualche sussurro malevolo alle mie spalle, tuttavia.

“La signorina è molto maleducata, non è come precedente signora, che era amante di buon cibo e gentilezza”, aveva sancito a voce alta la domestica, con grande disappunto. Non ascoltai quello che rispose George, poiché mi barricai in camera e mi fiondai sul letto, accasciandomi malamente. A illuminare quell’ennesimo momento di sconforto, solo una abatjour accesa a mezzo metro da me.

Passato il senso di nausea, mi venne solo da piangere e da diventare rossa in viso dalla rabbia e dalla frustrazione. No, la nostra convivenza non era iniziata nel modo migliore.

Non rimasi sola a lungo, tuttavia, poiché dopo qualche minuto la porta tornò ad aprirsi, e il mio compagno mi si avvicinò con lentezza. Le suole delle sue scarpe generavano l’unico rumore in grado di sovrastare il silenzio che ci circondava, e il mio pianto asciutto e senza singhiozzi.

“Ehi, amore”, disse, abbassandosi verso di me. Notando il mio viso arrossato e le lacrime, si ritrasse.

“Piangi? Davvero? E perché?”, domandò, come se non avesse capito.

Non risposi, incompresa.

“Se non stai bene, non c’è problema. Ho qui tutti i farmaci, e…”.

“Possibile che non capisci?”, lo interruppi con vigore, a quel punto. “Non è questione di corpo, è solo che… oh, George!”, esclamai, non riuscendo poi a resistere e gettandomi tra le sue braccia.

Lui ricambiò la mia stretta, ma ancora sembrava non rendersi conto del mio senso di disagio. Ero un pesce fuor d’acqua, ma lui non se ne stava accorgendo. Questo mi feriva molto, per un certo senso, ma d’altronde era abituato a quello stile di vita, e forse non aveva capito quanto alcune frasi e alcune situazioni vissute in quella casa mi avessero innervosito.

“Dimmi, Isa, dimmi tutto! Sfogati tra le mie braccia, ma non tacermi nulla, te ne prego! Perdonami se sono così inadatto a te, perdonami…”, cominciò a dire, sempre stringendomi forte a sé e cominciando a sua volta a disperarsi. Mentre restavo con il viso premuto contro i suoi vestiti, al centro del suo ampio petto, avvertivo ancora quell’odore di ospedale che era rimasto impresso sulla sua leggera camicia.

Non avevo mai visto piangere il mio George, eppure quella volta cominciai ad avvertire alcuni singhiozzi, sempre più forti…

“No, tu non piangere, amore mio… basto io”, gli sussurrai, alzando lo sguardo e incrociando i suoi occhi umidi. Una sola lacrima, una di numero, si stava inoltrando lentamente tra i peli della sua barba.

Era possibile che entrambi ci stessimo sentendo inadeguati? La nostra convivenza appena iniziata ci stava già trasmettendo una importante lezione di vita.

“Dimmi tutto, allora! Cosa ti ha reso così fragile, mio grande amore? Smettila di piangere, per favore, o piango anche io”, ribadì con dolcezza, donandomi un sorriso tremolante e appena accennato.

“Mi dà fastidio Irina”, gli rivelai, andando al punto con forza.

Avvertii il corpo di Piergiorgio che si irrigidiva subito, al solo udire quelle parole.

“Ma che dici, Isa? Come puoi dire una cosa del genere?”, tornò a chiedermi, con perplessità evidente.

“Mi infastidisce il suo modo di fare, e quel continuo volermi paragonare alla tua precedente compagna”, proseguii, imperterrita. Temetti di averlo ferito, a quel punto, però…

“Apprezzo la tua sincerità. Davvero”, affermò il mio amante, “e riconosco che lei è una donna all’antica, che a volte parla anche un po’ troppo duramente. Però ha un cuore grande, e ormai fa parte della mia famiglia. Quando ero solo, lei c’è sempre stata. L’unica persona che non mi ha mai abbadonato”.

Subii quelle parole trattenendo il respiro e senza sapere cosa dire o cos’altro fare.

“Allora…”, tentennai un istante, prima di proseguire, “… credo che dovrai scegliere tra me e lei”. Conclusi con un profondo sospiro.

Forse l’avevo sparata grossa, non lo sapevo neppure io, ma quell’affermazione mi era sfuggita in modo spontaneo. Detestavo troppo quella donna per poter anche solo pensare di dover condividere la mia vita con lei.

George si era irrigidito di nuovo e non aveva detto nulla, e questo mi offrì lo stimolo necessario per aggiungere qualcos’altro.

“Credo che presto andrò a ricevere la mia eredità e il denaro che mi spetta. Poi, potrò dedicarmi io stessa alla casa e alle faccende che la signora sta portando avanti. Potrei dedicarmi al giardinaggio e ad altre attività che potrebbero farmi sentire meno sola e spaesata in questo posto che non ha nulla di me”. Mi ero spiegata brevemente.

“E il tuo lavoro?”, indagò il mio amante, senza fare una piega.

“Credo possa aspettare. Dal bar mi licenzio presto, anche oggi ci sono stati dei… problemi, diciamo, con una ragazza con cui condivido una parte del turno mattutino. Non posso continuare a lavorare lì, capisci? Non ne posso più. Dopo il licenziamento utilizzerò i soldi che ho ereditato e mi rilasserò un po’, poi cercherò altro”, esposi la mia teoria. Era da un po’ che avevo iniziato a pensare a tutti questi particolari, ma solo quella sera riuscivo a metterli assieme e a farli filare a meraviglia. Il mio piano d’istinto, spinto dalla disperazione crescente, non era niente male.

“Se questa è la tua volontà, che allora essa divenga realtà”, rispose allora Piergiorgio, contro ogni mia aspettativa, “la nostra vita include anche la tua, e per quanto le concerne sarebbe meglio che tu riflettessi di più. Non sarà facile riprendere a lavorare dopo un periodo in cui si è vissuto di rendita. Inoltre, temo che ti stancherai di badare alla casa e dei lavoretti domestici. Ma ripeto, se questo è ciò che desideri, allora lo desidero anche io”.

Mi strinsi a lui con maggior forza.

“Non so neanche io quello che voglio. Credo però che sì, queste siano scelte che voglio fare. Per migliorarmi, per migliorare la mia vita”, tornai a spiegargli.

Avvertii le sue membra che tornavano ad afflosciarsi, come se il momento di tensione fosse ufficialmente passato.

“Va bene, rispetterò le tue scelte e agirò di conseguenza”, rispose, in modo sereno.

“E… Irina?”, gli domandai, a quel punto. Se per lui era una figura di riferimento, non volevo che se ne privasse. Ero stata ingiusta, probabilmente, a cercare di mettermi in mezzo a loro due, soprattutto perché ero arrivata in quella casa da appena un giorno.

“Non ti preoccupare, sistemerò tutto”, disse piano, senza sbilanciarsi.

“Senti, George…”, continuai, stringendolo a me, “io non voglio fare dei casini nella tua vita, capisci cosa intendo dire? Se quella donna è importante per te, per il tuo quieto vivere, per la tua casa, non sarò io a dire subito che non la voglio più attorno”.

Mi azzardai ad alzare lo sguardo verso quello del mio compagno, che era proprio sopra al mio. Non notai dispiacere, né serenità; era semplicemente impassibile. Come se non stesse provando nulla.

“Ho detto che per te farò ogni cosa possibile. Già che hai scelto di amarmi e di seguirmi fin qui, e… mi sento un po’ così, come se fossi in debito con te. Finora sei stata tu quella che si è sacrificata di più, nel nostro rapporto, quindi è giunto il momento che anche io dimostri la mia buona volontà e tutta la fiducia che ripongo in te”.

Gli rivolsi il primo sorriso disteso della serata.

“Sei un uomo di altri tempi, ed è per questo che ti amo tantissimo. Ma non devi sacrificare niente a causa mia, eh! Che già hai fatto anche troppo per me”.

“Ti giuro che vorrei fare ancora di più”, fu l’unica cosa che riuscì a dire. Gli afferrai la mano destra e la strinsi tra le mie.

“Sai che hai già fatto tanto”.

“L’unica cosa che so è che forse non ti ho ancora dimostrato quanto vali. Ti donerei il mondo intero, se potessi”, soffiò, dolcemente.

Allora, nonostante tutto il mio dispiacere recente, non seppi trattenermi oltre; con i sensi stimolati dal suo odore e dalla sua vicinanza, cominciai a spogliarlo. Mi lasciò fare, accondiscendente.

“Anche io ti amo tanto, e donerei tutto per te”, sussurrai, ma in cuor mio provai una fitta dolorosa. Sapevo che ciò che avevo detto non era del tutto vero, poiché per lui non stavo donando un bel niente. Non lo stavo neanche rispettando in casa sua. Ma che importava, in fondo la passione c’era, e anche la voglia di stare assieme.

Il nostro rapporto non era mai stato stabile come durante quel giorno in cui ormai avevamo anche lo stesso tetto sulla testa. Pensai che in fondo avrei avuto tutto il tempo per migliorarmi e per recuperare i miei torti.

Nudi, i nostri corpi si ritrovarono su quel morbido letto che aveva visto il nostro primo amplesso in quella ricca villa, e tornammo ad amarci con passione, come ogni volta. Come se non fosse mai accaduto nulla tra noi. Come se non ci fosse alcun pensiero a dividerci, a frapporre le nostre esistenze.

Le nostre stesse vite, in fondo, sembravano ormai unite per sempre, nella buona e nella cattiva sorte. I nostri baci, le nostre carezze… tutto, in fondo, completava quel roseo quadro che rappresentava a colori tutto quello che ci legava. Eravamo una vita sola, ormai.

I nostri corpi tornarono a unirsi in armonia, senza alcuna tensione. Il risultato fu che durò tutto troppo poco, come accadeva spesso quando ci lasciavamo inebriare dalla forza dei sensi. E quando tutto finì, mi ritrovai a pensare, a rimuginare sul mio ritardo… su quel ritardo che stava proseguendo già da un po’.

Non volevo dirlo, ma soprattutto non ero certa. Era già capitato in passato che il ciclo mancasse una volta o due, ed ero stata costretta un paio di volte, da ragazza, a rivolgermi a un ginecologo. All’epoca ci aveva pensato mamma, ora stava a me decidere. Soprattutto perché mi resi conto che poteva trattarsi di qualcosa di positivo.

Dentro di me qualcosa si stava muovendo, che fosse una nuova vita? Passai entrambe le mani sul mio ventre nudo, ma ancora perfettamente piatto.

“George”, sussurrai, mentre il mio compagno era steso a fianco a me, ansante e a sua volta nudo.

“Dimmi”, mugugnò, stancamente.

“Credo di essere incinta”. Lo dissi così, senza riflettere, come mio solito.

“Cosa?!”, saltò su lui, sbigottito. Ebbe davvero uno scatto, mettendosi di nuovo seduto sul letto e fissandomi con intensità.

“Ho un ritardo abbastanza prolungato…”, tornai a sussurrare.

“Sì, ma… non è una certezza, vero?”. Lasciai che i miei occhi incontrassero i suoi, imperscrutabili.

“Se così fosse, sarebbe il bambino che ho sempre voluto”, affermai con decisione.

“Io ne sarei davvero felice”, si chinò poi per baciarmi sulla fronte.

Eppure, avevo avvertito un qualcosa che non andava, nella sua voce. Non era affatto felice.

“Sicuro che sia così?”, gli chiesi, titubante.

“Ma certo, amore mio. Comunque, sarà meglio fare il test o rivolgersi a uno specialista”, si limitò a dire.

“Tutto qui? Mi dici solo questo?”, lo spronai, notando che era stato molto reticente a riguardo dell’argomento che stavamo affrontando. Non sapevo se ero incinta, si trattava solo di una mia impressione o di una mia fissa momentanea, però sapere che il mio partner non era molto partecipe mi feriva.

Piergiorgio mi rivolse un sorrisone immenso, sciogliendosi e prendendomi per mano.

“Ti dirò di più quando saremo immersi in una bella vasca, a lavarci di dosso il peso di questa giornataccia”.

Restai seria, ma nonostante tutto l’assecondai e mi lasciai condurre nel bagno collegato alla nostra stanza, che disponeva appunto di una lussuosa toilette appartata, rispetto al resto della villa.

L’ambiente era piuttosto vintage, con mobili anni sessanta e una specchiera d’altri tempi, però la vasca e i servizi igienici erano in perfetto stato e moderni. La vasca era molto ampia, ci si stava bene immersi, come notai quando ci andammo a mollo assieme.

“Voglio fare installare una bella vasca idromassaggio, che ne pensi?”, mi interpellò, mentre l’acqua tiepida e pulita rinvigoriva le mie membra.

“Non cambiare discorso, George”, lo ripresi con gentilezza, cercando ancora quelle risposte che non mi aveva saputo offrire. Se anche il solo supporre che sarebbe diventato padre non lo allietava, come avrebbe potuto reagire nel qual caso ce ne fosse stata la certezza?

Notando la mia motivazione, si distese e si mise più comodo, sorridendo in modo molto disteso e socchiudendo le palpebre.

“Se il destino vorrà che io sia di nuovo padre, ne sarò felice. E poi, che bello! Un figlio da te, un figlio nostro! Alla faccia di chi ci prende in giro”, disse, sempre sorridente.

Non sorrisi, da parte mia, poiché mi tornò alla mente la discussione che quella mattina avevo avuto con Ilenia, la mia collega.

“Anche a lavoro ridono di me. Di noi”, quasi bisbigliai, seria.

Piergiorgio ancora non fece una piega, anzi, rimase con il sorriso sulle labbra.

“Peggio per loro, non sanno cosa ci unisce. Spero che non si tratti di Virginia, lei…”. Lo interruppi subito, onde evitare equivoci.

“No, Virginia è nostra amica e sostenitrice, per fortuna”, lo rassicurai.

“Lo so”.

Continuò a sorridere, beatamente.

“Isa, non devi lasciarti schiacciare dai giudizi altrui. Non sei più una bambina, dovresti sapere quanto le persone sanno essere cattive. Quanto alcuni desiderino fare del male, per ferire, anche solo per il gusto di umiliarti; e questo non è sempre un atteggiamento spinto dalla razionalità. Ci sono persone che sull’astio ci costruiscono castelli e fortezze”.

Annuii involontariamente, ben sapendo che non mi stava ancora guardando. Restava calmissimo e con la testa rivolta verso al soffitto, gli occhi socchiusi e con le folte sopracciglia che parevano gettare ombre oscure sulla sua fronte.

“Non devi lasciare che ti facciano del male e che provino il gusto di vederti soffrire. Tu hai un cuore, segui quello che esso ti suggerisce; quando ti senti a posto con te stessa, lo sei anche con il mondo. Lascia fuori dal tuo animo tutta la spazzatura”, proseguì, ed io continuai ad ascoltarlo.

Sempre inebriata dalle sue parole, adoravo restare in rigoroso silenzio quando parlava e mi impartiva quella sorta di lezioni di vita che doveva aver appreso durante il corso della sua lunga esistenza. Lui in fondo era anche una fonte di saggezza, per me, un punto saldo e fisso da seguire in un mondo fatto di labili maschere e di labirinti composti da scelte e cattiverie.

George era il mio porto, e quando ero in giro e in balìa dei flutti desideravo costantemente di tornare tra le sue braccia accoglienti e calde.

“E ti parlerò ancora, e sarò chiaro. Se diverrò padre, ne sarò felicissimo; amerò te e il bambino, o bambina, all’infinito. Vi amerò per sempre, ma…”.

“Ma…?”, trovai il coraggio per spingerlo a proseguire, mentre i miei sensi tornavano in fretta all’erta, abbandonando la tranquillità che aveva caratterizzato il precedente argomento affrontato.

“… sarò consapevole di non poterci essere a lungo. Questa consapevolezza mi distrugge e mi fa sentire in colpa”, concluse, in un battito di ciglia.

I nostri occhi finalmente si incontrarono, i suoi così profondi e arguti, i miei invece spalancati, atterriti da quelle apocalittiche prospettive. Non ero sciocca, sapevo che il mio uomo non era più un ragazzino, ma da lì ad affermare una cosa del genere, ce ne passava di acqua sotto i ponti.

“Non devi dirlo neanche per scherzo, intesi?”.

Mi allungai per prendergli di nuovo le mani, ed esse si incontrarono sotto la superficie dell’acqua.

“Tu vivrai ancora a lungo, hai tanto tempo davanti a te. Lo sai”, proseguii, come a voler scongiurare le mie paure. Lo feci anche in modo infantile, probabilmente, poiché egli rise in modo sommesso.

“Mi piacerebbe poterti assicurare ciò, ma la verità è che temo che non ci sarà più tanto tempo”, affermò, con un tono di voce basso, roco e dispiaciuto.

Mi preoccupai.

“Ma per dirmi delle parole così brutte, avrai un motivo… anche se voglio sperare di no”, mugugnai, di nuovo senza sapere come comportarmi.

“Non ce l’ho, per ora e per fortuna. Però la salute degli anziani è precaria…”.

Lo interruppi per baciarlo sulle labbra.

“Tu non sei anziano, George. Sei ancora tanto giovane, dentro di te, e il tuo corpo e il tuo aspetto esteriore non rivelano la tua vera età, te lo giuro”, gli assicurai.

“Io mi tengo curato, con il corpo e con la mente, ed ho avuto fortuna a non diventare troppo flaccido o rattrappito”, ridacchiò, e quella volta mi parlò con il suo solito tono scherzoso e a tratti erudito, “ma non possiamo ingannare il tempo, che è sempre in corsa verso la sua meta finale”.

“Lo so, ma per adesso non pensiamoci… e non vorrei mai, mai, che un nostro figlio possa udire simili discorsi. Io ti ho scelto ed ho deciso di stare con te perché ti amo così come sei, e certe cose proprio non voglio ascoltarle, eh”, sancii, rattristandomi di nuovo.

George mi cinse forte tra le sue braccia, iniziando a massaggiarmi la schiena con la spugna.

“Nemmeno io voglio parlarne più, va bene?”, mi domandò, ed io annuii con prontezza.

“Allora godiamoci questo bel bagno, poi andiamo a letto, che ne dici? Stiamo un po’ assieme sulle lenzuola, e chiacchieriamo ancora un po’, così ci sfoghiamo a vicenda”, tornò a dire, ed io non potei far altro che essere di nuovo d’accordo con lui.

Con decisione, pensai che l’indomani avrei svolto un po’ di mansioni durante la pausa pranzo, invece di tornare a casa. Una in particolare mi stava molto a cuore e mi metteva ansia, e cioè quella che mi avrebbe portato in farmacia per acquistare un apposito test di gravidanza. Quello probabilmente sarebbe stato un verdetto importante, soprattutto perché avrebbe potuto delineare la mia situazione fisica.

Se ero davvero incinta, be’, tutto di certo sarebbe stato bellissimo, altrimenti mi avrebbero atteso alcuni approfonditi esami, davvero poco piacevoli. Decisi di non pensarci, e anzi, mi ritrovai a credere che fosse di nuovo colpa del mio corpo, che tornava a fare le bizze.

Temevo che per l’ennesima volta i cicli avrebbero ripreso a saltare, con il terribile spettro di un problema grave alle ovaie e dell’impossibilità di avere figli. Senza contare lo stress di cure e di possibili interventi a cui sarei stata sottoposta.

Già a sedici anni uno specialista aveva detto a mia madre che se quel problema si fosse verificato ancora durante l’età adulta, sarebbero stati guai seri. Avevo paura. E in fondo avevo paura di entrambe le ipotesi, anche se si trattava di pensieri davvero pessimi.

Preferii cercare di soffocare tutte quelle idee malsane dedicandomi al mio amore, come lui si stava dedicando a me, con mani e animo.

Nonostante qualche incertezza e il fatto che fossimo una coppia davvero mal assortita, bastava un minimo di contatto fisico per estraniarci dalla realtà e renderci una sola persona. Per questo amavo George così tanto, e non solo, lui era stato anche l’unico uomo disposto a dedicarsi a me, a sacrificarsi per me e ad amarmi davvero così com’ero, e questo non era per niente facile.

Assieme, però, potevamo provare a superare ogni problema.

E così, finalmente, tutte le brutte parole di Ilenia e il disgusto che mi trasmetteva Irina passarono in secondo piano, almeno per tutta la durata del bagno e di quella serata, così come i pessimi pensieri riguardanti il futuro.

Una volta tornati tra le lenzuola, puliti e profumati, tornammo ad amarci come la prima volta in cui i nostri corpi si erano incontrati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Grazie a tutti per essere giunti fin qui ^^ spero che questo capitolo non vi abbia annoiato.

Vi preannuncio che il prossimo aggiornamento forse avverrà tra due settimane, poiché sono rimasto folgorato da un’ispirazione improvvisa xD (sottolineo il forse, speriamo bene xD), quindi… tornerò al più presto ad aggiornare, non temete ^^

Grazie ancora, un abbraccio a tutti!

 

   
 
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