Crossover
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Autore: Registe    26/03/2019    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 27 - Larxen (II)





Xaldin





“Come si dice, Marly?”
Sua eccellenza il principe si contorceva fino alla punta dei boccoli. Nonostante l’espressione impeccabile era chiaro che ancora gli bruciasse il dover chiedere e non comandare.
E a lei di certo non comandava nessuno.
“… per favore, Larxen”.
“Stiamo facendo progressi, wow! Guarda, lo faccio proprio perché me lo hai chiesto in modo carino. Ma non montarti la testa!”
L’altro sibilò.
Più il momento del loro trionfo si avvicinava, più il suo compagno petaloso si contorceva. Gli cadeva quel suo sorrisetto ipocrita più spesso del solito e nemmeno perdeva tempo a raccoglierlo e rimetterselo sulla faccia. “Vexen non è mai in ritardo”.
“Magari la demenza senile ha avuto finalmente il sopravvento?”
“Non c’è niente da scherzare, Larxen. Aveva promesso di portarmi la pozione …” disse “… stasera”.
Larxen sorrise, e non si sforzò di nasconderlo: Marly, sempre dritto al punto.
Mancavano pochi, pochissimi giorni al loro trionfo, ed il principe bramava di uscire da quella cella ed avere nuovamente il controllo del Castello. Grazie al Nirvana l’unico produrre (e possedere) il filtro in grado di ripristinargli i poteri era proprio quel barbogio del n. IV, dunque almeno la parte del piano in cui il n. XI sarebbe tornato operativo era fattibile.
Se non fosse stato che, per la prima volta in due anni, la mummia era in ritardo.
“Ho capito, ho capito, vado. Pozione blu, frizzante, molto fredda” rispose, lasciando che la sua lamentela fosse ben chiara e marcata quando aprì un portale. L’aria di noia e di muffa si respirava già dai primi strali. “Tanto cosa vuoi che gli sia successo?”
Eppure, per la prima volta da quando aveva avuto a che fare con quello scienziato, la sorpresa ebbe il sopravvento.
L’armadio bianco, quello dove il n. IV custodiva i suoi camici, era stato investito da qualcosa di contundente: le ante erano state quasi divelte dai cardini, ed il contenuto sembrava essere entrato a contatto con una palla di fuoco di Axel.
Così come il tavolo operatorio. Ed il ripiano delle erbe officinali.
E la vecchia sedia di legno che forse era l’unica cosa lì dentro più ammuffita del padrone.
In effetti, ad una seconda occhiata, TUTTO lì dentro dava l’idea di aver avuto un incontro ravvicinato o con un chackram impazzito del n. VIII o con un attacco selvaggio del n. VII. Entrambi, nel caso dell’armadio.
Sotto i suoi piedi dei cristalli di ghiaccio si sgretolarono per poi liquefarsi lentamente a contatto degli stivali. Crepitavano piacevolmente, accompagnati da ciò che rimaneva di chissà quale contenitore di vetro dai liquidi più disparati. Su ciò che rimaneva del tavolo, un libro giaceva aperto con le pagine centrali divelte ed annerite.
Del Gelido Accademico nessuna traccia.
Qualunque cosa fosse accaduta lì dentro, lei, la Regina delle Risse nei Laboratori, non era stata invitata.
Una scarica elettrica le attraversò tutto il braccio destro.
Fece per liberarla contro uno dei macchinari, furiosa, ma il polso le si bloccò a metà, inchiodato in una morsa.
“Sapevo che prima o poi uno di voi bastardi sarebbe ripassato per qui”.
Provò a liberarsene con uno strattone, ma l’unico risultato fu accorgersi che l’ombra gigantesca aveva appena oscurato la già flebile luce del laboratorio “Anche se personalmente avrei preferito un un pesce più grosso”.
Venne strattonata contro uno dei mille strumenti distrutti, incapace di divincolarsi dalla morsa.
Quando riuscì a voltarsi, le iridi viola del n. III dell’Organizzazione erano venate di rosso.
Il gigante che controllava il vento, che li faceva correre come dei forsennati durante gli allenamenti in palestra, che aveva sempre un cipiglio truce per tutti, aveva pianto. Nel silenzio di quell’istante, Larxen sentì i denti del soldato stridere. “Lo avete preso alle spalle, maledetti figli di puttana”.
“Ehi, sarebbe carino avere una spiegazione, stupida massa di muscoli!”
“Una spiegazione … io a VOI traditori?”
Questo al caro Marly non piacerà neanche un po’ …
Cercò di affibbiargli un calcio tra le gambe, ma l’altro la spinse contro un’altra parete, senza mai perdere la presa. Larxen fu abbastanza veloce da spostare il collo ed evitare di colpire con la testa lo spigolo di uno scaffale, e in quell’istante vide una figura nera, accartocciata e distesa a terra nell’angolo della stanza da cui era sbucato Xaldin e che non aveva notato affatto al suo arrivo. Dalla tunica ancora risalivano degli sbuffi di fumo, ed il braccio destro, allungato nell’ultimo istante quasi ad afferrare qualcosa, non era più altro che una massa carbonizzata.
Non sarebbe riuscita a riconoscere nessuno in quella figura, ma l’espressione distrutta del n. III poteva essere interpretata solo in un modo.
Così come la firma dell’omicidio.
E, notò con sommo disdegno, Axel aveva iniziato il gioco al massacro senza di lei. “Cosa vuoi farci, scemo di un gorilla? Lo diceva sempre Xigbar che solo i coglioni si fanno prendere alle spalle” ghignò “Stavolta il coglione è stato lui”.
Le due sopracciglia nere si contrassero. “Ripetilo di nuovo, se hai il coraggio”.
In quell’istante, davanti a quegli occhi, Larxen capì di essere libera.
Prese l’obbediente n. XII degli ultimi mesi, quella che fingeva di essere dolce e tranquilla per non destare sospetti, quella che attendeva con pazienza che un vecchio bavoso preparasse un sonnifero per vincere la loro guerra, e la buttò in un inceneritore. Contro le sue gambe sentì il metallo di uno dei macchinari che aveva visto usare decine di volte dal n. IV, uno che analizzava il contenuto delle sue provette e gli comunicava il contenuto.
Nonostante i colpi ricevuti, l’oggetto era ancora funzionante.
“Certo che te lo ripeto. Xigbar era un coglione, beveva come un coglione, parlava come un coglione, obbediva al Superiore da bravo coglione”.
La mano libera toccò il metallo, felice. “E quindi è morto come il più grande dei coglioni”
L’elettricità attraversò tutto il suo corpo come un’unica onda. Lo strumentario si spense in uno sbuffo di fumo, e lei ballò.
Il Feroce Lanciere tentò di mantenere la presa, ma fu costretto a ritirare la mano. Lei si portò indietro, evocando i suoi kunai tra le dita, e con un salto si portò oltre il lettino da lavoro, alla ricerca di un vantaggio. Si mosse in tempo, perché l’istante successivo lo stesso lettino venne sbalzato via quando una folata di vento nata dal palmo del n. III attraversò il laboratorio e lo fece schiantare contro un armadio a vetri.
Per non cadere si aggrappò ad un frigorifero. Ne risucchiò l’energia, poi scagliò due saette in rapida successione verso l’avversario. Entrambe vennero respinte nella sua direzione, e le sei lance del n. III fluttuarono nell’aria, chiamate solo per difendere il loro padrone: comparvero da altrettanti portali oscuri, e fluttuarono intorno all’enorme figura creando a loro volta dei piccoli flussi d’aria.
Xaldin ne afferrò una con la mano sinistra e la scagliò nella sua direzione; lei si gettò di lato appena in tempo, schivando uno scaffale e tutto ciò che vi era poggiato sopra ormai in caduta libera. Qualcosa schizzò da una provetta in frantumi, ma prima di potersi anche solo rimuovere il liquido dal viso fu costretta a rotolare in un altro angolo perché una seconda lancia scattò verso di lei. Sentì la punta seghettata sfiorarle la coscia e strapparle la tunica, ma si rimise in piedi.
Qualunque cosa le fosse esploso in faccia bruciava più del fuoco.
Con la coda dell’occhio vide le aste appena scagliate svanire nell’oscurità e materializzarsi di nuovo intorno al loro proprietario.
Si accorse di sanguinare.
E non si era mai sentita così viva.
“Che c’è, stupido gorilla? Non riesci a prendermi? Non sarai troppo lento?”
Stare sulla difensiva non faceva per lei.
Saltò su un fornello, sfidando il vento. Caricò un kunai e lo scagliò proprio davanti a sé, evocando una cascata di scintille. Quelle schizzarono contro le lance, ma la difesa del soldato le rimandò indietro come la mano di un gigante contro delle mosche.
Ne approfittò.
Quando il vortice d’aria si attenuò per deflettere l’attacco saltò verso l’alto con tutta l’energia che aveva. Afferrò l’angolo di una lampada rettangolare fissata al soffitto e la mano sinistra vi impresse tutta la propria forza; prese tutta l’elettricità possibile, e dopo meno di un istante si lanciò di nuovo in avanti, esplodendo di energia.
Due lance si inclinarono per bloccarla, ma lei andò loro incontro e ne afferrò una.
Non aveva mai saltato un allenamento in palestra con Xigbar, Xaldin o Lexaeus. Lei, al contrario di quella margheritina di Marly, si divertiva solo quando ci si poteva far male sul serio. Solo i preti imparavano le cose sui libri, ed in quegli anni si era preparata a diventare l’unica Regina della Battaglia.
Certo, sollevare l’arma del n. V era stata un’impresa impossibile, ma un paio di volte aveva colpito il centro dei bersagli con entrambi i fucili di Xigbar.
Aveva fatto un sacco di prove con le lance del n. III, perché combattere con più di due armi era sempre stato uno dei suoi grandi sogni nel cassetto.
E sapeva benissimo quanto potessero condurre il fulmine.
La strinse tra le mani, lottando per impedire al nemico di evocarla di nuovo al suo fianco. Si lasciò attraversare dalla corrente, concentrandola prima tra le dita e poi sull’asta grigia e violacea: la liberò in entrambe le direzioni, ridendo al metallo che si anneriva contro i suoi palmi. Le saette partirono in ogni direzione. Rimbalzarono lungo le altre cinque lance, saettando intorno al nemico.
Una gabbia di fulmini illuminò a giorno il laboratorio, e lei ne era l’unica e sola batteria. Anche il bruciare del liquido contro il suo viso era un tutt’uno col suo cuore che batteva, galvanizzato dalla cascata di scintille pronte solo a friggere la massa di muscoli intrappolata al loro interno.
Piantò gli stivali a terra, caricandosi con tutte le proprie forze.
Premette, premette la catena di fulmini in avanti, chiudendo nella sua morsa il n. III, arroccato dietro un turbinare impetuoso di vento.
Tra le saette vide le prime scintille rompere la barriera e bruciargli la tunica.
Rise, pregustando il lanciere alla griglia in arrivo.
Quando vide il labbro dell’altro inarcarsi in un sorriso fu troppo tardi.
Cinque lance svanirono nell’aria, scagliando scintille in ogni direzione. Quella ancora tra le sue dita crepitò di elettricità, ma per lo sforzo sostenuto lei scivolò in avanti. Perse l’equilibrio e tentò di puntellarsi con l’arma, ma Xaldin le fu addosso. Cercò di aumentare la carica lungo la lunga asta, ma l’attacco di prima doveva averla scaricata. Con rabbia puntò l’oggetto ormai annerito contro il soldato, ma quello si mosse e tese il braccio per afferrarla.
La scagliò via, pronta a richiamare i propri kunai, ma l’altro la prese al volo. Provò a schivare, ma l’assenza del proprio potere la disorientò.
L’asta la colpì alla testa, proprio sull’occhio sinistro. Cercò di difendersi, mulinando un kunai in avanti, ma il suo braccio era troppo distante dal bersaglio.
Il secondo colpo, piazzato tra capo e collo, le portò via il fiato.
Si ritrovò sul pavimento, con frammenti di vetro piazzati contro tutto il corpo. Estese un braccio verso un altro macchinario, ma una raffica di vento feroce la fece rotolare contro una vetrina, sfondandola di netto. Si pulì il sangue dalla faccia con un solo gesto, ma tutto fu molto più doloroso del previsto.
Due fiale si sgretolarono quando i piedi del n. III le calpestarono senza esitazione. “Già, perché la cosa non mi stupisce? Non avreste vinto in uno scontro faccia a faccia con Xigbar nemmeno tutti insieme. Figuriamoci quel vigliacco del n. VIII …”
Cercò di rispondergli, ma si ritrovò a sputare sangue.
Si sforzò almeno di rialzare il busto, ma la mano sinistra incespicò in mezzo ad un cumulo di filtri, pozioni e boccette che il n. IV aveva stipato chiaramente alla rinfusa in quella vetrina. Una di queste, gelida come un intero ghiacciaio, per poco non le ustionò la mano nonostante il guanto.
Per la seconda volta l’ombra dai capelli neri le coprì la luce.
“Il Superiore ha detto che dobbiamo portarvi da lui vivi. Vuole guardarvi negli occhi, tutti quanti” ringhiò “Se fosse per me gli porterei direttamente i vostri cadaveri”.
Eccola, di nuovo.
La voglia di ridere.
Di ridere di quelle cazzate. Di quei cani addomesticati.
Di quelle masse di muscoli dai poteri enormi che potevano battersi come mostri, e che ballavano davanti ad un pazzo.
Marluxia ci perdeva il sonno, cercava di studiarli.
Lei no.
“Che c’è, Xaldin? Fai ancora il bravo cagnolino? E quando troverai Axel cosa farai, lo porterai al tuo adorato Superiore con un bel fiocchetto al collo?”
“Non credo che la cosa ti riguardi, n. XII”
L’estremità appuntita della lancia le si parò proprio davanti alla bocca. Provò a sputarci sopra, ma anche la bocca non le rispondeva. “Tu verrai con me dal Superiore in questo preciso momento”
“Ma guarda un po’ …”
Strinse con forza il filtro ghiacciato. Sentì il freddo bruciarle contro il guanto, ed il dolore le diede la giusta carica.
Nessun lanciere avrebbe messo dietro le sbarre la Regina della Fuga all’Ultimo Secondo. “… io non credo proprio!”
Si caricò un’ultima volta, ed aprì un portale proprio sotto di sé.
Poteva farcela.
I primi sprazzi di bianco all’uscita non lasciarono spazio a molti altri dubbi. “AL VOLO, MARLY!”
Non riuscì a vedere la traiettoria della pozione, perché nel momento preciso in cui i suoi piedi toccarono terra venne afferrata per il cappuccio dal n. III. La massa di muscoli mandò un grugnito non appena emerse dal suo stesso portale, scrollandosi gli ultimi strali prima che si richiudesse. La scagliò contro le sbarre della cella, e per un istante vide tutto rosso. Ma il cuore le batteva anche nelle orecchie, e tutto il dolore sembrava soltanto una cascata di folgori che le bruciavano ogni fibra dei muscoli. Con un colpo di kunai tagliò il cappuccio di netto. Barcollò, usando una delle sbarre per non perdere l’equilibrio, ma si portò a diversi passi dal gigante.
Era viva.
Viva come l’ultimo lampo prima del dissiparsi delle nuvole.
“Due traditori al prezzo di uno. Il principe senza poteri e la sua tagliagole” sbuffò. Sollevò la lancia, prendendole di mira proprio il centro del petto. “Forse hai ragione, ho proprio voglia di lasciarti inchiodata a quella parete. E, rispetto a quello che avete fatto al mio amico, sarebbe comunque un trattamento di favore”
“Ma fammi il piacere!”
Era lì, tutto come lo aveva sempre immaginato. Il sangue che bolliva, e la punta della lancia dritta contro di lei. “Xigbar era un povero ubriaco. È morto come un imbecille …”
Sorrise.
“… e tu insieme a lui”.
La lancia venne strattonata via. Il clangore metallico risuonò per tutta la cella quando l’asta sbatté con violenza contro le sbarre, trascinata insieme a tutto il braccio del padrone.
Xaldin grugnì quando i rampicanti si avvolsero prima intorno alle sue caviglie, poi intorno alle braccia. Su uno di essi esplose una spina lunga quanto il dito di un umano, e gli si piantò nel polso con un unico movimento. Cercò di strapparseli di dosso, ma quelli sfuggivano alla presa delle sue mani, inchiodandolo contro le grate della cella.
Una seconda spina, ancora più acuminata, gli attraversò la carne subito dopo la prima, e con un grido che avrebbe richiamato tutto il Castello perse la presa sull’arma.
Larxen si scagliò verso la lancia con tutte le poche energie rimaste, afferrandola prima ancora che toccasse il suolo.
Da oltre le sbarre il sorriso feroce di Marly sembrava attendere soltanto lei.
“Scusami, n. III” disse “Ma è una vita che volevo farlo!”
Si bagnò nella pioggia di sangue.
Rossa, fantastica, l’unico segno inconfutabile della vittoria.
Della sua vittoria.
Vide Marly, ormai riacquistati tutti i suoi poteri, teleportarsi all’istante fuori dalla prigione. Con il suo solito cenno imperioso richiamò i rampicanti, ed il corpo del nemico cadde a terra, con la lancia ancora infissa tra capo e collo.
Larxen non sentiva più né le gambe né le braccia, eppure scoppiò a ridere.
Non si era mai sentita così bene.
Stava ancora ridendo quando un portale oscuro apparve sotto i loro piedi, risucchiandoli.
  
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