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Autore: Diletta_86    26/03/2019    1 recensioni
La perdita di così tanti volti amici, di un altro figlio, rende inevitabile fare i conti col passato, col dolore e con le emozioni represse. Ogni perdita porta ad un cambiamento e Carol e Daryl sono i primi ad accorgersene, i primi ad avvertirne il peso.
( Spoiler per la 9.15 )
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Peletier, Daryl Dixon
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Trying to stand up on my own two feet
this conversation isn’t comin' easily
and darling, I know it's getting late
So what do you say we leave this place?
-P!nk-
 
Non aveva ancora finito di voltare la testa ed osservare quello scempio, l’inutile barbarie di speranza in un futuro migliore nonostante tutto, eppure il suo cuore già sapeva cosa avrebbe voluto e forse dovuto fare.
Un “No” strozzato e prepotente al contempo era uscito dalle labbra di Daryl Dixon, l’uomo che quasi tutti pensavano incapace di qualsiasi manifestazione tangibile di reale affetto.  Cazzate.  Avrebbero dovuto vederlo mentre si lanciava a farle scudo alla vista con l’intera prestanza del suo fisico da arciere. 

Carol era rimasta leggermente attardata rispetto al loro minuscolo gruppo, probabilmente provata nella tempra dalla lotta notturna. Lei non voleva combattere, non voleva far sì che quel mondo distrutto e disciolto come la carne dei vaganti facesse di lei un mostro.  Era ferma, le labbra spalancate in orrore per quegli amici e compagni. L’aveva vista voltare lo sguardo, seguendo il suo in un istinto alla sincronia che ancora non riuscivano a spiegarsi; l’aveva afferrata per le spalle, obbligandola a voltare il capo.  “Guarda Me …Guarda soltanto me “, un sussurro e poc’altro.  Daryl si era voltato a controllare, sperando in cuor suo di essersi sbagliato, ma quello era innegabilmente, intollerabilmente Henry. Si era imposto di continuare a guardarla, aveva assistito allo stupore, allo choc ed alla disperazione che si palesavano su quei suoi occhi color cielo che già così a lungo avevano sofferto. 

Sentirla collassare contro di sé, dopo averla sentita ribellarsi, anni prima, in un’identica situazione, l’aveva prosciugato delle poche forze rimaste. Carol si fidava di lui adesso, eppure Daryl era terrorizzato all’idea che quel nuovo dolore la portasse via da lui.L’aveva sollevata di peso, incurante delle domande di Michonne o del singhiozzare sommesso di Yumiko prostrata a terra, ridiscendendo la collina ed addentrandosi nei boschi da cui erano usciti.  Stava iniziando a nevischiare. Un altro maledetto inverno. 

Era arrivato fino al suo accampamento come un automa, senza smettere per un secondo di tenerla, rivivendo il ricordo di quando l’aveva trovata esanime alla prigione, ed anche allora ce l’avevano fatta.
Sollevò con un calcio la tenda di lana grezza che copriva l’ingresso della zattera, depositandola sul giaciglio che lei stessa aveva contribuito a costruire in quegli anni di incontri clandestini all’insaputa del re.  Promettendo a sé stesso di rendere quel posto una vera casa.  Le fosse costato l’inferno non avrebbe permesso che lei tornasse al regno, che di nuovo dovesse affrontare il dolore dei ricordi tutto attorno.

“Daryl?!”

Era sicuro di stare sognando, ed invece era proprio la sua voce.

“Sono qui...”

“Devo essere stata davvero una madre orribile... “

“Non pensarlo neppure.”

Un singhiozzo sommesso: “E allora perché?”
 
Adesso Daryl sedeva al suo fianco, indeciso se stringerla ancora a se o rispettare il suo spazio vitale.
Alzò lo sguardo al cielo grigio che s’intravedeva dallo spiraglio della tenda, cercando le parole giuste tra i troppi pensieri.

“Quella donna è una persona disturbata…che cerca di imporre la sua logica perversa come fosse la sola possibile. Un branco di stronzate.  Henry era più Alfa di quanto lei sarà mai, tutti loro lo erano… “

Carol lo osservava in silenzio, gli occhi gonfi e rossi adesso non piangevano più, rendendogli ancora più difficile il compito. Non era abituato ad esprimersi in quel modo, temeva sempre di usare le parole sbagliate. 

“...quella pazza assassina è convinta che la brutalità spezzi chiunque… ma noi non ci spezziamo.”

Concluse la frase fissandola con un’intensità che non si permetteva di usare da anni ormai, e lei fece altrettanto, mantenendo il contatto per tutto il tempo, limitandosi ad annuire col capo, sopraffatta di nuovo da un singulto di pianto.  Daryl si protese afferrandola, finalmente, in un altro dei loro abbracci.

“L’inverno arriverà presto…dovrei riportarti al sicuro.”

“Non voglio tornare, ma devo. ci sono cose…”

“Non mi devi alcuna spiegazione…”

“...verrai con me vero?”

Il Daryl che era partito dal regno il pomeriggio antecedente avrebbe borbottato qualcosa sul pensarci su, ma quel Daryl era morto poco prima sulla collina, sopraffatto dal dolore della donna che amava da almeno dieci anni e che aveva lasciato ad un altro pur di saperla al sicuro.  Resuscitarlo adesso, anche se forse era la cosa più giusta da fare, a Daryl pareva impossibile.

“…se vorrai. Ma non voglio, non posso stare a guardarti mentre ogni cosa ti ricorda quello che hai perso. L’ho già fatto una volta... sappiamo come è finita.”

“Pookie...”

Nessuno dei due riuscì a dire altro. Attesero in silenzio che il sole tramontasse e lentamente Daryl si accorse che il tremore di lei, ancora appoggiata contro la sua spalla era andato scemando fino a crollare in un sonno agitato. Avrebbe vegliato per entrambi. Non sarebbe comunque riuscito a chiudere occhio, peccato non avere anche “Cane” con loro, in quel libro che aveva sottratto dal centro di aiuto per donne in fuga c’era scritto che un animale era di grande aiuto nel superare gli choc emotivi, e gli dei sapevano se Carol né avrebbe avuto bisogno.

Trascorse la notte stilando un programma mentale di come avrebbero potuto organizzarsi nel tempo a seguire; tracciando una mappa immaginaria dei percorsi migliori e dei luoghi dove avrebbero potuto trovare rifugio senza incappare nel branco di quella pazza pelata. Gliela avrebbe fatta pagare, su quello si poteva star certi.  Perché una cosa Daryl non aveva ancora confessato, neppure a sé stesso, quel ragazzino era un po’ anche figlio suo sin da quando lo aveva visto sbucare fuori dal bosco in piena notte con lei, anni prima.
 L’aveva tenuto al sicuro, ci aveva discusso, lo aveva visto innamorarsi di quella ragazza, Lydia, rivedendo in loro sé stesso e sua madre. Aveva tifato per quel loro amore adolescenziale. Ed ora era tutto perduto.   Per questo neppure si accorse delle lacrime che gli rigavano il viso, cadendo spudorate di fronte all’ineluttabilità della morte.  Piangere non era da deboli, ed era stata proprio Carol a farglielo capire, ora doveva solo escogitare un modo per restituirle tutto il bene ricevuto e magari salvare anche la giovane Lydia.
 
Rientrarono al regno tre giorni dopo, quando ormai tutti disperavano di riuscire a vederli di nuovo, convinti che la follia del dolore li avesse spinti a qualche azione incosciente.  In verità, pensava Daryl, verso qualcosa erano stati spinti, solo che cosa fosse di preciso nessuno dei due ancora lo aveva espresso a parole. 

Carol parve rientrare in una corazza di apatia non appena varcati i portoni di "" Casa"", Daryl la vide salutare, lasciarsi consolare ed ascoltare paziente ogni parola che le veniva rivolta, ma niente di tutto ciò riusciva a coinvolgere la sua espressione, lasciandole gli occhi spenti verso un qualcosa che non c’era. Malgrado tutta l’attenzione che stava dedicandole, l’uomo fu più che felice di rivedere il suo cane, che festoso corse incontro ad entrambi, profondendosi in latrati e saltelli davanti ai loro piedi. Gli parve perfino di udirla ridacchiare di tanta accoglienza, ma forse stava impazzendo anche lui.

Ezekiel fu il loro primo problema.  La perdita, esattamente come era avvenuto con Shiva, aveva fatto cadere la sua maschera di positiva cordialità, lasciando libero l’uomo insicuro, pedante ed ingiustamente cattivo che era davvero. Allora Carol era riuscita a riportare le cose ad un ordine apparente, ma adesso non sembrava disposta a fare alcunché.  Lasciò che l’abbracciasse, ma non mosse un dito per ricambiare il dolore del “”padre”” di Henry, scrollandosi dal contatto fisico col massimo tatto, ma il più in fretta possibile.  Fu a quel punto che il re alzò lo sguardo su di lui, immobile come una statua di sale alle spalle della donna, la mascella lievemente contratta, guardingo.

“Ti sono grato per averla tenuta al sicuro…” – era il suo solito tono affettato, falsamente cordiale. Daryl si limitò ad un cenno del capo, pronto a fare un passo di lato e andarsene, ma Zeke lo bloccò, trattenendolo per un braccio, avvicinandosi a sussurrare qualcosa che suonava come un “faresti bene ad andare adesso”, e nessuno dava ordini ad un Dixon.  Si volse, fronteggiandolo, scrollando via il braccio, pronto allo scontro, e poi si ricordò di come Henry fosse stato felice di scoprire che lui era quel genere di persona che sembrava sempre pronto ad appendere la gente al muro, salvo poi trattenersi.

“Te lo dico una volta sola, Re, io non sono la puttana di nessuno…”

L’attimo dopo era già lontano, inseguendo la corsa festosa di cane.  Chi non era andata da nessuna parte era Carol, che spuntò di nuovo fuori appena lui fu a distanza di sicurezza. Gli occhi che Ezekiel aveva sempre visto posarsi in giro con materna indulgenza adesso erano un muro di ghiaccio puntato contro di lui.

“Non trascorreremo l’inverno al regno. Non vivremo più qui, trascorreremo il periodo duro alla stazione di passaggio, come sempre, puoi venire, o restare, e le cose di Henry vengono con me in ogni caso.  La pace è finita.”

Zeke fece per protestare, ma fu zittito da un cenno della mano di Carol.

“Tu e la tua sciocca utopia del bene… credevo che Rick avesse raggiunto il punto più in basso in questa follia... evidentemente mi sbagliavo.  Lo hai almeno cercato? “

“Ho pensato fosse venuto a cercarvi, di nuovo…non credevo…”

Carol piangeva di nuovo, forse per frustrazione, forse perché davvero non sarebbe più riuscita a sollevarsi da una simile catastrofe emotiva.
   
 
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