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Autore: fumoemiele    27/03/2019    12 recensioni
Diciamo spesso di conoscere il silenzio, ma quanto c’è di vero in tutto questo?
Quanti di noi sanno tenere le menti mute, vuote? Quanti di noi sanno svuotare il brulicare incessante dei pensieri, il rincorrersi delle paranoie, il susseguirsi dei deliri?
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Asal e il silenzio
 
 
 
Le persone silenziose hanno le menti più rumorose.
Stephen King

Diciamo spesso di conoscere il silenzio, ma quanto c’è di vero in tutto questo?
Quanti di noi sanno tenere le menti mute, vuote? Quanti di noi sanno svuotare il brulicare incessante dei pensieri, il rincorrersi delle paranoie, il susseguirsi dei deliri?
Secondo alcuni complotti il nostro cervello è controllato da un immenso sistema complicato, pieno di codici e numeri. Secondo alcuni esseri umani, la voce che sentiamo nella nostra testa non è davvero la nostra, per questo ci appare diversa da quella che utilizziamo per parlare.
La soluzione a questo controllo la si trova smettendo di pensare.
Ma com’è possibile farlo? Siamo abituati ad avere quella maledetta voce in testa giorno e notte, incessante, petulante, e maledettamente fastidiosa.
Alcuni esseri umani sentono il bisogno di farla tacere.
Se necessario, talvolta Asal pensa che la ucciderebbe, quella voce. La strozzerebbe solo per non sentirla più parlare, sussurrare cattiverie, condurla al delirio.
Non sta zitta mai.
Gli umani cercano rimedi, sono abituati a farlo. C’è chi digita su internet, convinto di poter trovare una risposta, la domanda fatidica: come si zittisce il pensiero? Come si placa quel rumore assordante?
E desiderano, gli umani. Desiderano il silenzio, lo bramano fino a non poterne più, a disintegrare le barriere mentali, fino a far crollare i castelli di carta, a rompere ogni finestra in frantumi e poi rimpiangerne i pezzi.
Asal non ne poteva più, dei suoi pensieri. Continuavano a tormentarla, a ricordarle quell’esistenza gelida. Talvolta erano assillanti.
Pensava a tante cose, Asal.
Pensava al significato del suo nome: miele. Perché cazzo l’avevano soprannominata così, se era più acida di un cartoncino sciolto sulla punta della lingua?
Imprecava spesso, Asal, ma mai ad alta voce. Almeno sapeva di essere lei a pronunciare quelle parole, almeno sapeva di essere lei. Lei e basta.
Essere persone introverse crea un bisogno incessante di trascorrere del tempo da soli. Da soli con il silenzio, però; pensava Asal. Senza quella fottuta voce in testa, incapace di regalarle privacy. Incapace di darle il silenzio.
Che cosa poteva fare, per farla stare zitta? Non lo sapeva più. Le aveva provate tutte. Doveva cancellarla, rimuoverla come un file indesiderato sul computer, trascinarla fino al cestino, magari per i capelli. Che aspetto aveva, la sua voce in testa? Era un controsenso, sfatava la sua teoria che fosse un’altra persona, perché aveva esattamente il suo aspetto.
La odiava comunque.
E allora non ne poteva più, di litigarci, di sentire le sue opinioni su ogni cosa, di vedere le sue emozioni tramutate in parole.
Si tirò il cappuccio su in testa, si infilò gli auricolari lasciando partire una canzone a caso solo per concentrarsi su di essa e sul dimenticare tutto il resto, occupando la mente.
Non ci riuscì, e allora affrettò il passo verso casa. Si sentiva stanca, ma correva e le gambe le facevano male.
Si barricò in camera, accese la luce. Girò la chiave nella serratura due volte, per chiudersi all’interno di quel quadrato ridipinto di bianco.
Afferrò un paio di forbici, si tirò su la manica della felpa. Si divertì a tagliarsi le braccia, lasciando schizzare il sangue un po’ ovunque.
Sorrise, trattenendo il sospiro per sopportare il dolore, per assaporarlo e capirlo fino in fondo.
Ora stava zitta, quella fottuta voce in testa. C’era soltanto il dolore, nient’altro che quella sensazione asfissiante e che ti priva di tutto il resto.
Quando iniziò a sparire fu orribile. Le sue braccia gocciolavano ancora sulla moquette rovinata, la sua testa aveva ricominciato a parlare, a rimproverarla del casino combinato.
Decise che voleva vincere.
Barcollò fino alla cucina, rovistò nel cassetto delle posate, ma sapeva che lì non avrebbe trovato nulla capace di soddisfarla.
Scese in cantina e recuperò un’ascia, che le sembrò subito un’ottima arma da usare contro quella maledetta voce. Aveva bisogno di silenzio eppure continuava ad ansimare, e lei continuava a parlare, a torturarle i pensieri. Asal non sapeva come rispondere.
Era muta.
Si calò con forza l’ascia sul braccio, e non poteva urlare. Solo rantoli e l’assenza di silenzio. Il rumore assordante.
Si frantumò l’osso, ma non riuscì a tirare via il braccio. Cadendo sulle ginocchia prese a colpirlo con l’ascia con la poca forza che le era rimasta. La carne si disintegrava sotto alla lama, il mondo circostante si tingeva di rosso. 
Morì quando il suo braccio si staccò, rotolando sul pavimento e spargendo altro sangue. 
Aveva riverniciato le pareti.
Fu l’ultima cosa che pensarono, sia Asal, sia i suoi pensieri.


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Oggi pensavo proprio di continuare una delle long in corso... e niente, alla fine ho trovato quella frase di King ed è nata la seguente storiella. lol
Anche questa volta fatemi sapere se il rating va bene... non ho idea di come mi sia venuto in mente di far automutilare un personaggio. Povera Asal. 
E, a proposito, Asal significa davvero "miele". Non so perché me lo ricordavo, ma trovo sia un nome adorabile xD
Spero davvero che vi sia piaciuta questa storia. Grazie per averla letta! <3
  


 
 
 

 

   
 
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