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Autore: Bethesda    27/03/2019    6 recensioni
One-shot facente parte della serie AU "Diario di un Consulente Criminale".
Holmes si annoia e tormenta Watson in modi peculiari quanto sensazionali.
Genere: Commedia, Erotico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Diario di un Consulente Criminale'
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Ammetto che mi sento come Miyazaki: me ne vado. Ma no, dai, non me ne vado. Ma non so più cosa scrivere. E vabbé, lo faccio lo stesso.
La realtà è che in queste ultime settimane più persone mi hanno scritto di tirar fuori qualcosa di nuovo e io, da brava peripatetica letteraria, mi ci sono buttata.
Mi manca la mano per scrivere, mi mancano le idee, mi manca la scioltezza di un tempo.
Ma soprattutto, mi mancavano loro.
Come sempre.
Non è detto che non scriva altro, ma per ora, ecco a voi quello che doveva essere un racconto fluff ed ha raggiunto livelli pressoché demenziali.
Povero Watson <3

P.S.: il titolo si riderisce ovviamente al famoso "elefante nella stanza", ovvero quando un problema è enorme ma si fa di tutto per ignorarlo. Purtroppo è un termine del 1959 e non ho potuto inserirlo nel testo in sé. 

Buona lettura

 
 
An Elephant in the Room
 
 
Il salotto di Baker Street non era certo il luogo più ordinato di Londra.
Vecchi giornali, pipe, libri, tazze di tè, documenti, armi da fuoco e da taglio sparse ogni dove occupavano qualsiasi ripiano disponibile. Il caminetto era costretto a sorreggere la corrispondenza di Holmes, e con essa il pugnale che la teneva ferma, di modo che non si spargesse per la stanza alla prima corrente.
Ovviamente la nostra padrona di casa aveva tentato in tutti i modi di riordinare, con risultati infausti, e io stesso, un tempo amante dell’ordine che la vita militare mi aveva infuso, finii per arricchire questo caos in costante mutamento.
Fu tuttavia con una certa inquietudine personale e sorpresa che una mattina, scendendo dabbasso per far colazione, mi trovai davanti, posata contro lo schienale del nostro divano, una pala d’altare.
 
«Holmes».
«Ah, buongiorno Watson. Se lo desideri vi dovrebbero essere ancora due uova sode calde in tavola e l’acqua dovrebbe essere alla giusta temperatura».
«Holmes, perché una pala d’altare è nel nostro salotto?»
Distolsi finalmente lo sguardo dall’opera d’arte per posarlo sul mio amico, che sembrava intento a leggere il giornale con aria attenta, quasi non vi fosse alcunché di diverso nelle nostre stanze. Tuttavia, di fronte alla mia domanda, parve un poco risentirsi. Abbassò i fogli, piccato.
«Non credo che il nostro bagno possa essere luogo consono ad una simile opera».
Per assurdo che fosse, non me la sentii di controbattere.
Mi andai a sedere, senza smettere di lanciare lunghe occhiate alle tavole d’oro al centro della stanza, lasciando che il mio coinquilino mi versasse il tè.
«Si tratta di una commissione?»
«Affatto».
La cosa cominciava a frustarmi.
«Son assolutamente convinto che qui ieri non vi fosse. Si tratta di un oggetto enorme, come puoi averlo trasportato qui? E soprattutto, da dove? Se non è una commissione cosa intendi--»
«Watson, gradirei terminare la lettura della cronaca in pace», e, detto ciò, si chiuse in un silenzio ostinato, che non riuscii a smuovere in modo alcuno.
 
 
La pala rimase nel nostro salotto tutto il giorno, e, debbo essere sincero, riuscii ad apprezzarne la bellezza delle pennellate fresche nonostante fosse evidentemente vecchia di secoli. Avrei voluto sapere di più su tale opera, ma Holmes si comportò come se questa non fosse presente.
Andai a dormire, convinto che sarebbe svanita come era giunta, ma ovviamente le mie speranze furono vane.
Il giorno dopo scesi a far colazione e la trovai sempre lì, in appoggio allo schienale del nostro divano.
Tuttavia, voltando lo sguardo verso il caminetto acceso, notai con rammarico la presenza di altri due oggetti, che fino alla sera prima sicuro si trovavano in ben altro luogo.
«Sono due Turner quelli?»
La voce di Holmes mi giunse soffocata dalla porta socchiusa di camera sua.
«Ah, vedo che sei un estimatore!»
Lo vidi uscire quasi subito, il corpo sinuoso avvolto dalla vestaglia grigio topo.
«Debbo ammettere che potrebbero dare un tocco fresco alla stanza: a guardali pare quasi di sentire il frastuono di un mare in tempesta e il sale sulle labbra. Davvero due opere magistrali, non credi? Forse un poco monotematiche, ma comprendo che l’autore in quel periodo volesse dedicarsi unicamente a quello. Come dargli torto: quando l’ispirazione prende, è necessario seguirla, nella pittura come nella musica», disse, imbracciando il violino e mettendosi a suonare un’aria allegra, non particolarmente adatta alla sensazione che mi davano i due quadri, men che meno la pala d’altare che pareva giudicarci colpevoli unicamente con la propria ingombrante presenza.
Provai ad indagare, ma non mi permise di scoprire alcunché e questo mi fece tormentare parecchio: solitamente Holmes mi informava subito di fronte a nuovi incarichi e certo la ricettazione di opere d’arte di grande importanza era compito che più volte avevamo portato a termine, ma la sua reticenza nel parlare mi insospettiva e preoccupava.
Tuttavia, non riuscii a fargli sfuggire alcunché.
Passai il resto della mattina a cercare di leggere il giornale, cosa che mi rese impossibile con il suo strimpellare gioioso e con la sua mania di tenere per sé alcune sezioni del quotidiano, quali la cronaca e le corse dei cavalli. Inoltre nel primo pomeriggio, mi trascinò a passeggiare nonostante il tempo minacciasse un temporale burrascoso.
Tornammo a casa giusto in tempo perché l’acqua non ci cogliesse, dopo aver consumato una gustosa cena in un ristorante che da poco avevamo introdotto nella nostra quotidianità.
 
Nonostante la stranezza che da due giorni regnava nell’appartamento, la sua giovialità mi travolse, tanto che non mi trattenni dall’indugiare la mano sul suo fianco sinuoso, con un delicato invito che non colse o che non volle cogliere.
Mi liquidò sulle scale che portavano alla mia stanza, le labbra inclinate in un ghigno vittorioso, baciandomi rapidamente prima di svanire dietro alla porta della propria camera.
Non mi adirai.
Il buon vino e l’ottima bistecca mi avevano intorpidito le membra e se Holmes non voleva cogliere l’invito a passare la notte nelle mie stanze, lo avrei fatto da solo, cullato da lenzuola calde e asciutte mentre fuori imperversava la tempesta.
 
 
 
Non fu tanto la presenza di tre nuove tele a stupirmi la mattina dopo, quanto il modo in cui una di esse era ridotta.
Un insieme di colori nascondeva forme familiari ma distorte, senza alcun senso cromatico né logico. Il risultato aveva un qualcosa di impressionante quanto sbagliato.
«Holmes, non ho idea di cosa tu abbia fatto questa notte e dove tu abbia preso questi quadri ma è evidente che sei stato poco attento», sbottai irritato, stringendomi nella vestaglia, indicando con una mano il maltolto. «Quello si è anche bagnato! Guarda come si son mescolati i colori».
Il mio amico si alzò dalla sedia che stava occupando e mi affiancò, osservando il quadro in questione.
«Amico mio, sai bene quanto sia attento quando si tratta di arte. Posso assicurarti che ciò che vedi non è frutto della mia incoscienza quanto pura e semplice fantasia dell’autore, per quanto discutibile. Fa parte di una corrente che si sta sviluppando da anni soprattutto a Parigi, dove un gruppo di sbandati ha pensato bene di sfidare i critici con opere come questa, andando contro tutto ciò che conosciamo per niente di meno che l’amore per l’espressività stessa e un poco di esibizionismo. Si definiscono per l’appunto “Impressionisti” ed in tutta sincerità non mi era capitato ancora di averne un esempio davanti. Peculiare, non trovi?»
«L’unica cosa di peculiare che trovo in tutto ciò è la presenza di questi oggetti nelle nostre stanze».
«Certo, non credevo che ne avrei trovato uno, ma era malamente nascosto in un--»
«In un…?», lo rimbeccai, speranzoso di aver risposta perlomeno a qualche domanda
Ma Holmes si limitò a ridere chioccio e tornò al suo uovo alla coque.
Mi sedetti accanto e lui e lo osservai mentre mi ignorava ostentatamente, sino a che non optai per fare lo stesso. Mi guardai intorno.
«Dove è il giornale?»
«Quale giornale?»
«Quello che leggiamo ogni mattina».
«Credo che vada contro logica leggere un singolo giornale ogni mattina. Non vi sarebbero notizia fresche e non avrebbe senso definirlo “quotidiano”».
Lo fulminai con lo sguardo.
«Holmes».
«Mh».
«Potrei offendermi per questa tua mancanza di fiducia nei miei confronti. È evidente che c’è una qualche commissione dietro questa tua nuova ossessione per l’arte pittorica e a questo punto penso tu mi ritenga talmente sciocco da prenderti gioco di me senza alcuna remora. Sono anni che lavoriamo l’uno accanto all’altro e ritengo di averti dimostrato la mia fedeltà e devozione più volte, se è ciò che vuoi sentirti dire, e posso dire di essere offeso. Qualsiasi cosa vi sia su quel giornale voglio leggerla sedutastante, dovessi minacciarti di squarciare quelle tele con il coltello da burro».
Mi osservò con un ghigno sardonico, e mi resi conto di quanto tutto ciò fosse grottesco, benché più volte mi avesse ammonito sull’utilizzare tale parola*.
«Ti assicuro», cominciò con voce bassa, alzandosi dal tavolo per raggiungermi. Lo fece con una lentezza esasperante, felina. «Che se fosse un qualcosa di importante ti avrei già reso partecipe. Vedilo come un gioco».
Si andò a sedere sulle mie gambe, e mi vergogno ad ammettere che non feci nulla per fermarlo.
Non che non mi irritasse essere trattato con tale accondiscendenza, ma il suo tono mi fece intendere quali fossero le sue intenzioni e che delle scuse sarebbero giunte in modo particolarmente piacevole quanto poco dignitoso per un gentiluomo. Certo, avrei dovuto impormi e non cedere alle sue lusinghe e moine e cercare di ottenere ciò che da giorni mi tormentava, ma il passaggio della sua lingua calda sulle mie labbra mi fece vacillare.
Vorrei poter dire che resistetti ai miei bassi impulsi, ma mentirei a me stesso.
Inoltre, la semplicità con cui il nodo della sua vestaglia si scioglieva per lasciar scoperto il petto glabro e delicatamente scolpito non poteva che darmi il colpo di grazia.
Posso affermare che non lo baciai.
D’altronde, dopo ciò che avevo detto, cedere alle sue labbra mi avrebbe automaticamente trascinato dalla parte del torto e avrebbe scusato le sue azioni. Mentre limitarmi a mordere la pelle d’alabastro del giugulo e della mandibola mi permise di mantenere una qual certa supremazia sulla situazione.
«Un tempo», sussurrai, soffiando roco nelle sue orecchie, «non mi avresti corrotto così facilmente».
«Forse», rispose divertito. «Ma debbo ricordarti quanto mi ci è voluto per convincerti a non restituire quel grazioso ninnolo che rubai diversi anni orsono?» **
Mi alzai dalla sedia, sollevandolo con me, mettendolo a sedere sul tavolo.
Il tintinnio del servizio da tè, spostato di malagrazia, non mi fermò e certo non bloccò Holmes, che mi cinse la vita con le lunghe gambe flessuose. Lo afferrai per i capelli, costringendolo a reclinare la testa e a scoprire il collo, sul quale mi gettai subito come se fossi stato affamato di lui.
I sottili tessuti che ci separavano non bastavano certo a nascondere l’effetto che mi faceva tutto ciò, e certo lui non finse di non accorgersene. Mi afferrò da sopra il pigiama, strusciando le dita macchiate dagli acidi lungo l’erezione che vergognosamente sentivo pulsare ogni istante di più, sino a che non si decise a liberarla, giocando finalmente lungo tutta la lunghezza di questa.
Mi resi conto di quando fossi alla sua mercé quando mi avvidi dei movimenti che stavo facendo con il bacino, pronti a seguire quelli di lui, alla ricerca di un minimo di piacere in più. Non potevo resistere a quelle mani.
Allentai la presa sulle sue ciocche corvine e lasciai che la sua fronte venisse direttamente a contatto con la mia. Le palpebre socchiuse, lo sguardo basso su quello spettacolo così dannatamente eccitante, poco mi ci volle per distrarmi dai miei intenti e lasciare che mi baciasse con voluttuosità.
Ma come avrei potuto resistere?
Si fermò pochi istanti ed unicamente per inumidire il palmo della mano con la propria saliva, tornando nuovamente a darmi le attenzioni che agognavo con rinnovato vigore.
Per il piacere avvertivo spasmi corrermi lungo le gambe e dovetti impiegare tutta la mia buona forza di volontà per non cadere nuovamente seduto.
«Andiamo in camera», suggerii.
«Per quale motivo?»
Cielo, voleva farmi ammattire.
«Devo averti. Ora».
«Quanta fretta. Abbiamo tutta la giornata di fronte a noi», miagolò, passando con il polpastrello del pollice proprio sulla mia parte più sensibile, facendomi sobbalzare di piacere. «Inoltre, cosa non ha questa stanza rispetto alla camera da letto?»
«Mrs.Hudson potrebbe--»
«Le è già stato detto che oggi non sarebbe stata necessaria la sua presenza».
Aveva previsto tutto.
Cielo, quanto avrei voluto punirlo per tale sfacciataggine nei miei confronti. Ma i suoi movimenti si fecero sempre più veloci e l’idea che la lingua che mi stava tormentando il lobo di un orecchio potesse trovarsi di lì a poco a sostituire la mano mi fece desistere.
Ciò nonostante, non mi opposi all’idea di utilizzare il tavolo come fosse un comodo giaciglio.
Inutile dire che non tutto il servizio da tè della signora Hudson sopravvisse a quella giornata.
 
 
Era pomeriggio inoltrato quando mi svegliai.
Holmes non mi aveva dato tregua per ore, tormentandomi, bloccandomi al culmine del piacere così tante volte che quando finalmente mi concesse di liberarmi caddi in un profondo oblio di stanchezza e soddisfazione.
Mi sollevai dal divano, la vestaglia che ancora avevo indosso oscenamente aperta. Mi affrettai a stringermela in vita, come se ciò avesse potuto darmi ancora un minimo di decoro.
Mi resi conto di essere spettinato, con i capelli arruffati e con la presenza di macchie di origine poco discutibile sul basso addome. Mi meravigliai non poco, vista la dedizione con cui Holmes mi aveva ripulito dopo l’amplesso, usando la lingua calda per donare un minimo di compostezza e pudore alle mie membra. E per farmi definitivamente ammattire.
Il pensiero di quelle lame d’acciaio che erano i suoi occhi puntati sui miei, mente era intento in tali faccende, fece correre un brivido lungo la mia schiena.
In pochi istanti mi ritrovai in piedi, diretto verso il bagno. Una veloce occhiata al pendolo mi sorprese a scoprire che erano quasi le otto di sera e decisi che, prima di reclamare qualcosa per cena presso la nostra povera padrona di casa, avrei dovuto ricompormi.
Mi diressi in bagno, pronto a sciogliermi nel tepore dell’acqua calda, quando impietrii alla vista di ciò che si celava dietro la porta.
Mezza dozzina di dipinti di varie misure, un vaso che avrebbe potuto essere greco o etrusco e una piccola pala d’altare non dissimile per stile da quella che giaceva nel nostro salotto.
Il nome del mio amico, benché tutto meno che l’affetto fosse ciò che mi muoveva in quell’istante, risuonó fra le pareti di casa.
Mi precipitai fuori dal bagno, oltre le scale, attraverso il salotto, per entrare senza bussare in camera sua, pronto a riprendere da dove avevamo piantato la discussione di qualche ora prima, senza l’impiccio di tentazioni carnali questa volta.
 
«Holmes, questa volta hai passato il segno! Dove diavolo--»
Sobbalzai.
Di fronte a me vi era un bobby, elmetto ed uniforme inclusi, il fischietto luccicante al collo. Era di poco più basso del sottoscritto e una zazzera biondiccia sfuggiva a ciocche dal copricapo che avrebbe dovuto domarle. Un paio di folti favoriti pareva voler ridare ordine e compostezza a quello che era il volto di un ragazzino.
Non dissi nulla ma subito la mia mano corse a cercare il fedele revolver che, ovviamente, non ero solito portare nelle tasche della vestaglia. Mi ritrovai disarmato e quasi completamente nudo di fronte a uno dei miei peggiori incubi.
«Watson, ragazzo mio, prima che tu faccia qualche insano gesto ti chiederei di rinsavire».
Respirai dopo quelli che mi parvero minuti infiniti.
«Giusto Cielo, Holmes. Sei tu. Cosa pensi di fare vestito in tal modo?»
«Rappresentare la legge, mi pare ovvio», chiocció, strappandosi, non senza dolore, i favoriti posticci.
Mi lasciai sedere sul letto sfatto, sprofondando, i gomiti in appoggio sulle cosce, osservandolo nel processo di svestizione.
«Holmes, questa cosa sta superando il ridicolo. Dimmi cosa stai macchinando, o giuro su ciò che più mi è caro che prenderò tutti quei quadri uno ad uno e li butteró in strada».
Si voltò verso di me, gli occhi pieni di quello che mi parve rammarico.
«Amico mio, come possono dei dipinti ridurti in tale stato?»
«Non sono gli oggetti insieme, è il tuo atteggiamento insensato».
Mi diede le spalle, il volto rivolto all toeletta. Si sparse una qualche crema lattea sul viso, passando le dita magre e lunge su tutta la pelle, senza saltare un singolo angolo. Lo vidi distendere le poche rughe di espressione che aveva intorno agli occhi e quasi mi incantati.
«Apri il cassetto del mio comodino. Esatto, quello. Ora prendi quel ritaglio di giornale e leggi, vuoi? Ad alta voce».
L’articolo risaliva a circa una settimana fa ed era stato preso evidentemente dal Times.
Lessi:
                  “Il luogo più sicuro della Città
Si è giusto inaugurata ieri la nuova ala della National Gallery e con essa tutta la sicurezza che deve accompagnare opere di tale entità.
Noto museo londinese aperto da ormai quasi ottant'anni, lo abbiamo visto negli ultimi decenni ampliare la propria collezione, dalla trentina degli originali agli oltre trecento presenti al giorno d’oggi.
Le generose donazioni di mecenati e benefattori hanno attratto migliaia di visitatori da tutta Europa. [...] In onore dell’inaugurazione il museo si è dunque visto al centro di cambiamenti anche dal punto di vista della sicurezza, con l’introduzione di un serrato numero di nuovi guardiani ed alcuni membri delle nostre forze di polizia, soprattutto alla luce dei passati tafferugli legati alla troppa libertà di cui vantavano i visitatori. Sarà certo sempre possibile perdersi nella bellezza di paesaggi e ritratti di altre epoche, sempre senza necessità di versare alcun scellino, ma le mirabolanti opere presenti potranno restare al sicuro fra le mura create appositamente per loro. Il capo della polizia, accompagnato dal curatore del museo, ha affermato subito dopo il taglio del nastro:” Non vi è criminale che possa nuocere a queste opere, benché meno trafugarle. Si trovano in uno dei posti più sicuri della Capitale”.

 
Riflessi fra me e me le ultime righe, corrucciato, senza realmente cogliere, sino a che non mi illuminai.
«Non posso crederci».
Holmes era in piedi, nuovamente nella sua tenuta da casa. Sbottò, lasciando la vestaglia roteare nella corrente stessa che aveva generato.
«Esattamente, Watson! Il luogo più sicuro della città, a prova di criminale. Tsk. Non ho dovuto neanche impiegare tutte le mie dote intellettive per trovare una falla nel sistema, e ti dirò di più. Ce ne sono per esattezza sei, quasi tutte vagliate. Ne ho giusto sperimentate quattro e, come puoi ben vedere, con enorme successo. Come possono anche solo pensare di essere un luogo sicuro quando son riuscito in pieno giorno e in completo stato di allarme a sottrarre loro le tele che trovi nel nostro bagno? Questo, nondimeno, forse non mi rende il miglior criminale sul nostro pianeta, ma sicuro addita la polizia e tutto il sistema di sicurezza del museo come una vera e propria baggianata. È stato come rubare le caramelle a un bambino. Questo stesso pomeriggio mi è bastato travestirmi come hai visto pocanzi per entrare indisturbato. Dovresti vederli. Tutti indaffarati, come formiche a cui è appena stata calpestata la tana da un essere talmente enorme da non essere minimamente concepibile. Povere, semplici menti. Inoltre—posso sapere il perché di quello sguardo?»
Non so esattamente come fosse la mia espressione, ma potevo immaginarla.
«Tu sei definitivamente matto, Holmes».
«Suvvia, non è certo stata un’impresa così titanica».
«Hai passato quattro notti a trafugare opere d’arte che non ti interessano perché un articolo di giornale, nel quale non sei stato menzionato perché -Lode al Signore, solo lui sa come è possibile tutto ciò- nessuno sa che esisti, ha osato lodare la sicurezza di un museo».
Lo vidi mutare l’espressione per giusto un istante, notevolmente piccato, come se la mia mancanza di apprezzamenti nei suoi confronti gli pesasse.
«Sai bene che è il mio lavoro», tentò di controbattere.
«Vuoi dirmi che lo hai fatto perché qualcuno vorrà sicuramente prendersi carico di queste opere e non per vana gloria? Per altro totalmente inutile, dacché lo sappiamo unicamente il sottoscritto e te stesso, e per estorcertelo ho dovuto dannarmi».
Scrollò le spalle, allungando le dita verso una delle pipe sparse per casa. Forse si trattava di quella di ciliegio, ma la penombra non mi permise di confermarlo.
«Se la vita fosse unicamente lavoro, senza un pizzico di sfida, non saremmo qui insieme, Dottore. Vedilo come un gioco intellettuale per non lasciare che la mente ristagni».
Sospirai, alzandomi, avvicinandomi a lui. Finse di ignorarmi, concentrandosi sul fornelletto della pipa.
«Devi restituirli».
«Ho ancora due falle nel loro schema da testare. Vedila come una buona azione, amico mio».
«Holmes», sussurrai, a un passo da lui, una mano ad afferrargli il fianco più lontano per cingerlo. «Se mi dovessi trovare fra le mani ancora un’anfora, una pala d’altare, un crocifisso ligneo che possa essere considerato persino fuori luogo in una qualsiasi istituzione religiosa in fatto di dimensioni, un dipinto, ti posso assicurare che farò loro ciò che tu hai fatto al muro del nostro salotto con il revolver».
«Non oseresti», mormorò, fissandomi negli occhi con sfida.
«Saresti pronto a scommettervi sopra?»
Non son certo sul quanto durò il nostro scambio. Mi resi tuttavia conto che faceva tutto parte del gioco e che la mia parte stava nel non cedere. A distanza di anni, ripensandovi, il tutto aveva assunto tratti assurdi, ilari, che solo adesso posso apprezzare appieno.
Fu lui a cedere e la considerai una delle mie più grandi vittorie.
«Vi è una ragione se il tuo libretto degli assegni si trova nel mio cassetto, John Watson e no, non scommetterò con un uomo disposto a tutto pur di vincere. E sia».
Si divincolò, svanendo nel salotto, da dove avvertii il tonfo sordo del divano quando vi si gettò sopra.
Lo seguii, osservandolo.
«Quando lo farai?»
«Giusto cielo, Watson, lascia che prenda fiato e che perlomeno mi goda i frutti di questo ultimo furto. Domani si saranno già accorti dei nuovi spazi vuoti alle pareti e avrò il mio attimo di gloria. Non mi meraviglierei se lo sapessero già adesso, ma dal momento che vuoi continuare a fare il guastafeste, lascia almeno che mi goda i proventi di questa mia avventura. In meno di ventiquattro ore svaniranno».
«Pensi di riuscire a riportare tutto dentro?»
«Come vi sono sei brecce nella sicurezza per uscire indisturbati, ve ne sono sei per entrare, e come già ho detto vorrei perlomeno testare le ultime due, sebbene con intenti ben diversi rispetto a quelli iniziali. Ora, gradirei silenzio», sentenziò, sollevando un libro a caso di quelli che si trovavano ai piedi del divano e mettendosi ostentatamente a leggere, il lungo corpo a coprire tutta l’estensione del mobile.
Senza dire nulla testai quanto davvero fosse arrabbiato.
Afferrai un romanzo che da giorni avevo abbandonato, sollevai le gambe al mio amico e mi sedetti, facendole posare nuovamente sopra di me, utilizzandole come appoggio.
Non disse nulla, e capii di non aver esagerato.
Entrambi fingemmo di non notare il lieve sorriso altrui, e ci immergemmo nelle rispettive letture.
 
 
Holmes fu di parola, e preso la casa fu libera di impicci e io riuscii finalmente a reimpossessarmi della mia abitudine a leggere il giornale.
Fu solo dopo qualche giorno che comparve la notizia che tutte le opere d’arte erano state restituite, illese e originali, dalla prima all’ultima.
Lo comunicai ad Holmes, che sbuffò accigliato, intento a giocare con provette e soluzioni, senza tuttavia degnarmi di uno sguardo o di una risposta vera e propria.
«Il Museo», lessi, «ha confermato che tutto è tornato come il giorno dell’inaugurazione. Nulla manca all’appello e in tanti si domandano chi possa aver compiuto un gesto simile, un’evidente dimostrazione di forza, forse una vera e propria critica nei confronti del museo stesso. Potrebbero esserne ulteriore indizio le uniche due note stonate in tutta la melodia: il fatto che i ladri –se così possiamo definirli- abbiano sì riportato tutto, ma tuttavia posizionandolo alla rinfusa, senza un senso logico, e in alcuni casi persino al contrario e in stanze certamente non consone al contesto dell’opera; secondariamente, la comparsa di un dipinto appartenente al museo da pochi mesi ma scartato sin dalla sua venuta, dell’artista Claude Monet, facente parte di quella corrente artistica che da ormai un decennio imperversa soprattutto in Francia, dove ha fatto parlare di sé, e non sempre per le migliori ragioni. Forse una critica, una ricerca di fama tramite un gesto tanto folle? Non ci è dato sapere».
 
Conclusi la mia lettura e sollevai nuovamente gli occhi verso Holmes, di spalle.
Era silenzioso, evidentemente concentrato, ma mi accorsi quasi subito che le spalle, solide, magre, stavano sussultando lievemente.
Sherlock Holmes rideva, prima sommessamente, di nascosto, ma durò poco, perché una risata cristallina ruppe il silenzio della stanza e continuò a lungo, contagiosa, sino a che io stesso non mi unii a lui, dilettato, felice.
 
 
 
 

*Lieve allusione a “L’Avvenuta di Villa Glicine”
** Holmes si riferisce alla storia “Safe in the Shadows” e al Carbonchio Azzurro
 
   
 
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