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Autore: Daleko    28/03/2019    3 recensioni
Orbene, uno di questi silenziosi giardini apparteneva a un vecchio mercante, ch'era stato molto ricco in gioventù ma che poi, con le rughe e i capelli grigi, si era rinchiuso in una grande e fredda casa, ignorando il mondo esterno e le sue bellezze. Possedeva qualunque cosa potesse comprare, ma anche sedendo sui cuscini più morbidi e mangiando il cibo più prelibato, non era mai riuscito ad acquistare la cura al suo malanno più tenace: la solitudine...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C'era una volta, nei giardini di ogni paese, molto più silenzio di quanto non ce ne sia oggigiorno. C'erano gli schiamazzi dai bambini, il vociare delle persone, anche il latrato di qualche solitario cane; ma in nessun luogo si poteva trovare un uccello, ché non ne esistevano di alcun tipo. Orbene, uno di questi silenziosi giardini apparteneva a un vecchio mercante, ch'era stato molto ricco in gioventù ma che poi, con le rughe e i capelli grigi, si era rinchiuso in una grande e fredda casa, ignorando il mondo esterno e le sue bellezze. Possedeva qualunque cosa potesse comprare, ma anche sedendo sui cuscini più morbidi e mangiando il cibo più prelibato, non era mai riuscito ad acquistare la cura al suo malanno più tenace: la solitudine.
Ogni mattina si alzava dal letto, accendeva una candela e si vestiva in silenzio, ché non aveva con chi parlare. Vedete, egli poteva accendere tutte le candele che voleva, essendo molto ricco; e le sprecava anche in pieno giorno, quando il sole era alto e splendente, non potendo soffrire le finestre aperte sul suo giardino. Più le piante divenivano rigogliose e più il vecchio le disprezzava, e giunto a odiarle aveva smesso di riaprire gli scuri delle finestre, per non dover più invidiare quella gioventù ch'egli aveva perso.

Un di' come un altro gli giunse agl'orecchi una risata trillante e gioiosa, che lo indusse a ricercarne la provenienza. Guardò in ogni angolo della grande casa, non trovando nessun intruso, e quando la udì ancora schiacciò un orecchio contro la finestra chiusa. Presto si affrettò all'ingresso, aprendo la pesante porta di legno e mettendo piede nel giardino, già col sole che gli scottava la pelle. Era da poco giunta la primavera, e il forte profumo di fiori gli intorpidì la mente; impiegò così qualche momento per orientarsi all'esterno. Tutta la casa era circondata, per suo volere, da una larga e alta siepe. Il vecchio fu molto sorpreso di vedere, a metà di essa, un piccolo buco alla sua base: era abbastanza largo perché una persona, seppur molto piccola, potesse passarci attraverso. Perciò quando sentì nuovamente ridere, il vecchio sbottò: "Questo è un giardino privato!", dirigendosi a gran passo verso il retro della sua proprietà. Una vocina gli rispose: "Ci scusi, signore, è che profumava così di buono...". Proprio dietro l'angolo, seduti alla base di un albero, due bambini riccioluti si passavano una mela, gonfia e succosa, colta da uno dei rami più bassi. Ancora con gli occhi grandi da fanciulli, timorosi di una punizione, i due bambini lo fissavano inquieti. Il vecchio posò lo sguardo sui loro volti sporchi, sui cenci lisi che li copriva, e dimenticando sia il buco nella siepe, sia la mela rubata, chiese loro: "Perché siete così sporchi? Avevate fame?". "Oh sì, signore, avevamo molta fame. Siamo sporchi perché non abbiamo i soldi per il sapone, e neanche per il cibo". Il vecchio si commosse, corse in casa e prese loro saponi e saponette, formaggio, salumi, frutta di ogni tipo, e ne riempì un sacco così generoso da doverlo trascinare in terra. Torno quindi in giardino, porgendo loro il sacco, e disse loro: "Ecco, così potrete lavarvi e mangiare ancora". I bambini ringraziarono il vecchio per la sua generosità, presero il sacco e s'infilarono di nuovo nel buco della siepe, allargandolo un pochino per trascinare via il sacco colmo di doni. 

Qualche tempo dopo, nel mezzo di una mattina tranquilla, un alto vociare arrivò agli orecchi del vecchio mercante. Ancora una volta egli discese in giardino, vide il buco nella siepe e aggirò la casa, trovando i bambini col viso e i riccioli puliti. Ringraziarono ancora il vecchio e gli presentarono due loro amici, anche loro con le guance lavate. "Cosa fate qui oggi?" chiese il vecchio senza adirarsi, e i bambini gli mostrarono una palla di stracci. "Giochiamo a palla all'ombra di quest'albero. Per strada è pericoloso, e non abbiamo giocattoli da usare in casa" rispose uno dei bambini. Allora il vecchio rincasò in tutta fretta e prese cibo e balocchi di ogni tipo, e ne riempì un sacco così generoso da doverlo trascinare in terra. Tornò quindi in giardino, porgendo loro il sacco, e disse loro: "Ecco, così potrete giocare e mangiare ancora". I bambini ringraziarono il vecchio per la sua generosità, presero il sacco e s'infilarono di nuovo nel buco della siepe, allargandolo un pochino per trascinare via il sacco colmo di doni.

I giorni passavano uno dopo l'altro, e durante uno di essi degli schiamazzi infantili richiamarono l'attenzione del vecchio. Subito egli corse in giardino, andando sul retro e trovando i quattro bambini che gli sorridevano felici, e lo abbracciarono vedendolo arrivare. Gli presentarono quattro loro amici, tra cui due bambine dalle gonne sporche, come gli abiti consunti degli altri piccini. Così il vecchio disse: "Mangiate le mele e giocate a palla, vado a preparare un altro sacco". I bambini cominciarono a mangiare e giocare. Allora il vecchio rincasò in tutta fretta e prese abiti e tessuti e cibo di ogni tipo, e ne riempì un sacco così generoso da doverlo trascinare in terra. Tornò quindi in giardino, porgendo loro il sacco, e disse loro: "Ecco, così potrete vestirvi e mangiare ancora". I bambini ringraziarono il vecchio per la sua generosità, presero il sacco e s'infilarono nel buco della siepe, allargandolo un pochino per trascinare via il sacco colmo di doni.

A ogni visita c'erano più bambini, e per ogni bambino c'era sempre un sacco più grande. Quando il buco nella siepe raggiunse la cima, si creò un varco così grande da permettere a tutti i bambini di entrare e uscire a ogni ora di ogni giorno, tutti insieme. Il vociare allegro dei fanciulli riscaldava sì tanto il cuore del vecchio che gli scuri delle finestre vennero riaperti e dimenticati, perché le loro risa riempissero la casa; e quando anch'egli usciva in giardino ecco che i bambini lo abbracciavano e gli baciavano le guance rugose, e lui baciava i loro ricci luminosi, contornanti i loro visi rubicondi e in salute. Lo salutavano: "Nonno!" e insieme a lui giocavano a palla, a rincorrersi e a nascondersi, ai salti e a salire sugli alberi, felici; ma il più felice era il vecchio, che finalmente aveva curato la sua solitudine. Aveva egli, infatti, dimostrato il suo buon cuore a tutti i bambini della città, donando tutto ciò che possedeva a quei fanciulli bisognosi; la casa s'era svuotata ma il giardino riempito, e il vecchio non sentiva la mancanza dei suoi averi più di quanto sentisse la mancanza di qualche malattia. Godendo della compagnia dei suoi piccoli amici, imparava tutte le loro filastrocche e cantilene, ora facendo la conta, ora cercandoli dietro i cespugli. Il tempo passava veloce, e quando erano tutti troppo stanchi per continuare a giocare, qualcuno diceva: "Nonno, una storia!", e il vecchio raccontava ora di quella volta in cui si era perso in mare, ora di quell'altra in cui aveva viaggiato per paesi lontani. Narrava della sua vita a quei piccoli esseri stupiti e meravigliati per ogni sua parola, e intanto egli stesso si stupiva e meraviglia della loro innocenza.

Passò la primavera, passarono l'estate e l'autunno. Durante l'inverno i bambini venivano sempre più di rado, e quando arrivò la neve cessarono di visitarlo, perché il rigore del freddo lo rendeva troppo difficile. La casa vuota era molto fredda, e senza coperte e un fuoco a scaldarlo, ben presto il vecchio si ammalò. Avrebbe mandato a chiamare un dottore perché lo visitasse, ma aveva donato tutti i suoi soldi; e così rimase steso a letto per tutto l'inverno, tremando per il vento gelido ma rifiutandosi di chiudere le finestre, nella speranza di sentire la risata dei suoi bambini.

Quell'inverno fu il più rigido da che se ne avesse memoria, e la neve cadde così copiosa da ovattare il mondo. Il vecchio gemeva disperato, soffrendo per le febbri e il ritorno della solitudine. Era passato quasi un anno da quando aveva sentito quella prima risata, e il suono delle loro voci gli scivolava via dalla mente; così, per tenersi occupato, cantava tutto solo, nella sua immensa casa vuota, le conte e filastrocche dei suoi bambini. Cantò e tossì finché non ne ebbe più le forze. Quando sentì di avere in gola il suo ultimo fiato, il vecchio lanciò uno sguardo alla finestra ed esclamò: "Ah, se solo potessi cantare con loro per un'ultima volta! Addio, bambini miei!". Quindi spirò nel silenzio, senza nessuno accanto.

Si sa, però, che le ninfe dei boschi amano i fanciulli, e qualcuna ancora si aggirava tra gli alberi del giardino del vecchio. Udita così quella preghiera, mossa a compassione una ninfa si rivolse alla Natura Madre, narrandole del buon cuore del vecchio ravveduto. Così Ella prese la foglia più verde della sua chioma, l'avvolse intorno all'ultimo fiato del vecchio e strinse il pugno tra i suoi seni, tenendolo al caldo. Quando, indurito il desiderio, le si schiuse tra le mani, ne uscì un minuscolo animo pigolante, nutrito e accudito fino alla calda primavera. Quando i bambini ritornarono per giocare, piansero la morte del vecchio: ma presto si rallegrarono perché un esserino colorato batteva l'ali tra i loro riccioli, pizzicava loro le guance col becco e cantava con loro le loro conte e filastrocche; e loro lo chiamavano "nonno", i grandi lo chiamarono fringuello e il primo uccello cantò in un giardino. Da quel giorno le Ninfe sorvegliano sui bambini, e l'ultimo fiato di ogni anima buona viene portato a Madre Natura, sì che possa cantare ancora nei giardini di ogni paese.

E tutti vissero felici e contenti per molti canti ancora.

 
   
 
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