Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: MisSilvieLemon    28/03/2019    0 recensioni
Cinque momenti diversi, persi nel tempo, nella storia, inafferrabili ma universali per certi versi. Momenti nella vita di Liam, Harry, Zayn Niall e Louis che passano esclusivamente attraverso gli occhi. Occhi principalmente disillusi, a volte avventurosi e altre ancora intrisi di dolore e, a volte, semplicemente spaventati.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Guardami

Look at me

 

 

 

 

Liam pendeva ancora dalle sue labbra esattamente come due anni prima solo che ora stava cercando di capire il filo logico di quelle parole che proprio continuavano a non entrargli in testa. Totalmente senza senso. Cosa significava “E’ meglio se non stiamo più insieme”. E’ meglio ma Liam avrebbe voluto il peggio allora, sempre.
Danielle si era preparata tutto, tutto quanto quello che avrebbe dovuto dire. Ogni giustificazione, spiegazione, qualunque cosa per renderla più facile a entrambi. Vuole solo il bene per lui, e anche se nella preparazione di questo singolo istante si è concentrata alla ricerca di tutte le possibili risposte, obbiezioni ha capito che nulla l’avrebbe distolta dal pensare che avevano bisogno di stare soli, nonostante tutto quell’amore che ancora voleva esplodere.
«Sta diventando esasperante...la lontananza, gli impegni...semplicemente pensavo di poter reggere» è riuscita a dirlo , ad alta voce, dopo almeno tre mesi che queste parole continuavano a sbattergli da una parte all’altra del cervello. E lo sforzo che  ha fatto per prenderne coscienza e riaggiustarsi, le sta togliendo tutte le lacrime che avrebbe buttato.
La voce di Liam è rimasta aggrappata al fondo della gola, e sa che per farla uscire quella raschierebbe tutto, farebbe male.  E lo sente che , piano, si sta spezzando. 
Sono sul loro divano, della loro casa, quella in cui vivono insieme. Dove fanno tutto insieme, si svegliano, fanno la colazione, guardano la televisione, si baciano, lavano i piatti, cucinano e fanno l’amore. Insieme.  E ora Liam si sta spezzando da solo, perché Danielle lo è già.
Ma lui per accorgersene aveva bisogno di una sola cosa, dei suoi occhi. Sempre i soliti, quelli così nocciola che si portava a presso, che osservavano  ogni cosa e soprattutto erano sorridenti, sempre.
«Danielle, guardami» l’unica frase per cui Liam può accettare di sentire quel male. E forse è l’unico modo per convincerlo che è tutto vero. Lei sbatte le ciglia, più volte, e riversa lo sguardo nel suo. Liam si avvicina impercettibilmente e riesce solo a trovarci una resa. 
E può anche darsi che quella luce, che vedeva prima, ci sia ancora. Ma sembra tutto inutile appena vede la cieca determinazione che ha sempre caratterizzato Danielle. Quella che le ha permesso di ignorare i loro anni di differenza per mettersi con lui, quella che le ha permesso di diventare una ballerina come aveva sempre sognato e ora quella che la sta aiutando a lasciarlo. 
Allora vuole semplicemente piangere, ma da solo. E riesce infine a ricordarsi quello sguardo appena lei lascia la casa. 
E forse negli occhi di Liam non è rimasto niente.

 

-

 

Quelle pareti quando sono state costruite, non erano abbastanza forti e pronte. Non erano pensate per reggere quello che stava accadendo in quel momento. Erano belle, ma troppo sottili. Certo piene di buone speranze, ma con queste la casa non si reggeva e la tensione che si diradava dai due le faceva tremare, improvvisamente insignificanti. 
Tutti glielo avevano detto, buttato lì, sussurrato alle sue spalle, fatto correre veloce dalle labbra appena voltava la faccia. Lei non negava, non negava e stava zitta. E questa era la parte più dura, dopo il danno la beffa. Nemmeno la buona decenza di ammetterlo subito, sembrava che volesse prolungare quella tortura per sempre. Ma Harry non ci stava, e doveva tirargliela fuori la verità.
Doveva strappargliela dagli occhi, che continuavano a guardare ovunque. Dentro di se, conosceva la risposta meglio di quanto credesse, ma perché doveva farsi male da solo? Doveva essere lei a dirglielo, lei quella da incolpare, lei quella su cui riversare i prossimi mesi di lacrime e rabbia infinita. In qualche modo, perché se anche l’amava, non poteva prendersela con quell’amore che gli era sembrato così dolce. Non era colpa sua se lei non lo aveva capito, e non lo aveva protetto.
«Cindy, guardami» la voce è dura, dura che la parete si sente male e sentirla dopo tutte le risate di cui ha vissuto.
I capelli chiari, li tocca nervosa e si chiede ancora a che serva mentire. A che serva mentire quando quella sera è stata più sincera che in tutti gli ultimi mesi passati con Harry. Ma lei lo giura, anche a se stessa, che lo amava. E si è chiesta tantissime volte la colpa di cosa fosse, e relegare questa colpa all’alcool la farebbe sentire una vigliacca. Appena l’aveva visto, a quella festa, il modo in cui l’aveva osservato era già di per se un tradimento. E non si sarebbe dovuta stupire quando l’aveva seguito, tutto era già programmato da quell’unica occhiata. 
Allora alza lo sguardo,gli occhi sono pieni di lacrime e ha preso una decisione. Nemmeno lei sa perché piange, forse perché non ha avuto la forza di lasciare Harry dopo quell’occhiata. 
Ha voluto sperimentarla, senza pensare a qualunque cosa ci fosse aldilà di quella camera da letto sconosciuta. 
E Harry oltre le lacrime vede nei suoi occhi un colore diverso, offuscato da mani che non sono sue. Le sue lacrime sono fastidiose, pungono come l’allergia.
Non può sopportare questa vista e non vuole sapere altro perché le ultime sue parole non sono “Mi Dispiace”, “Mi pento”, sono solo “Forse doveva andare così” e questo gli basta. Gli basta a calcolare i mesi che gli ci vorranno per ingoiare quattro parole e non rimandarle indietro solo alla prima sillaba.

Così quelle pareti si sentono intruse, e si sentono anche complici appena Harry apre la porta e le dice di andarsene, di andarsene più velocemente che può. 
E lui contro la porta chiusa, giura che non la aprirà più per nessuno. 

 

-

 

La preparazione è sempre la stessa, la ricetta è rimasta invariata in ogni piatto. Eppure Zayn giura di sentire un sapore diverso, e non è per la sigaretta spenta poco prima. E’ un qualcosa che non sta negli ingredienti fisici, in quanto sale in quanta acqua, sta nel fatto che in casa si respira un’aria diversa. Aleggia tra tutti loro, invisibile ma persistente e comunque non ignorabile. 
Zayn sa bene che le sue sorelle sanno qual è l’ingrediente cambiato, la situazione che lui ancora non conosce. Ma mangia e fa finta di nulla, in casa Malik le notizie si danno durante il dolce. Quando si è avuto tutto il tempo del pranzo per riordinare i pensieri e godersi ogni piatto.
Allora davanti a una bella torta al cioccolato Zayn alza gli occhi su quelli di suo padre, l’unico tranquillo mentre sente mutare attorno a lui le altre.
Suo padre e lui sono sempre stati simili, simili nel carattere e nell’aspetto. Trisha è stata per Zayn, come quel tocco finale che ha sfumato gli angoli e addolcito tutto fino a renderlo così. 
Entrambi, comunque, mantengono quella fondamentale caratteristica di famiglia: la praticamente inesistente loquacità. L’unica che sembra essere arrivata da un'altra galassia è Safaa, o almeno sembra essere arrivata direttamente da quel ramo di famiglia che vive in Irlanda. E’ tutta sua madre.
«Stavamo pensando di fare una viaggio in Pakistan»
E Zayn non capisce.
«E voglio che tu venga con noi» non ci ha messo troppe parole, e il viso è sereno.
Ma Zayn capisce ancora meno e sente lo stomaco stretto. Lo guarda, le guarda. E cerca le parole, balbetta, per chiedere spiegazioni. E quelle arrivano puntuali da sua madre, e arrivano con qualche frase da suo padre.
Non capisce il perché di questa cosa improvvisa, nessuno ha mai sentito il bisogno di andare a trovare parenti mai visti. Né lui, né le sue sorelle. Sua madre forse, per cortesia e pura curiosità. Zayn ha sinceramente paura, paura perché non saprebbe cosa aspettarsi. Paura di una settimana sperduto. 
Poi allora, cerca gli occhi di suo padre, quasi uno specchio dei propri e allora la nota una differenza. Nei suoi si stanno riflettendo dei colori diversi, colori non inglesi più forti, più veloci e carichi. Gialli, arancioni e rossi che Zayn non ha mai visto. E si chiede, spaventato, se suo padre abbia voglia di viverli e non tornare più. E si ricorda di tutte quelle volte in cui gli ha raccontato di suo nonno, e dei viaggi lunghissimi con le sue zie per trovare tutti quelli che avevano lasciato. La cosa a cui il nonno teneva di più. E Zayn sente riflettersi per soli pochi istanti tutti quei colori che da piccolo aveva solo immaginato, durante i racconti.
Sono tutti zitti mentre Zayn, in silenzio religioso, pensa e ripensa.
«Zayn, è solo una settimana...non dobbiamo trasferirci» e sorride ironico suo padre, a stemperare.
E lui si sente di nuovo un bambino, quando aveva paura che quei racconti lo avrebbero risucchiato. Quando, a volte, lo aveva desiderato e quando invece ne aveva paura e amava la sua Inghilterra dal profondo. Ma di suo padre si fida ciecamente, davvero.
«Guardami, è tutto okay giusto?» solo per non avere dubbi, solo perché quel “guardarmi” è come un “parlami” per loro due. Il padre di Zayn invece, guardando gli occhi del figlio, ha visto i colori di tutto il mondo. Quelli della Tour Eiffel di prima mattina, dell’Empire State Building, di Harrods sotto Natale, delle discese a San Francisco nel primo pomeriggio e soprattutto della strada bagnata dalla pioggia di Bradford. E spera, con quel viaggio, di far spuntare un po’ dei suoi di colori.
Allora Zayn sorride, più o meno: «Per me va bene, ditemi solo quando e cercherò uno spazio tra i miei impegni» e ridacchia, con la sua risata strana e la tensione sparisce dall’aria.

 

-



Niall,  con il culo sulla poltrona dell'aereo privato, si sente a piedi. Le ore passate in aria, attraverso tutto il mondo, lo hanno temprato. Ora il sedile del jet privato, sembra il divano di casa sua. Il cibo non ha più sapore di fabbrica e il rumore del motore è quasi un cinguettio. Ma mentre ha gli occhi azzurri puntati sulla campagna inglese, che man mano si rimpicciolisce, non sta pensando a nulla di tutto ciò.
In una piccola parte del suo cervello sta pensando a ogni volta che torna in Irlanda e guarda tutto ciò che passa dal posto in cui si trova sino a casa sua.
E ora dice un ennesimo, e non ovviamente ultimo, "ciao" a quella terra che per quanto può adorare, non è sua. Niall si lascia scorrere via quell'odore di Londra, di cose non direttamente partorite da madre natura e di Burger King mentre sovrasta il cielo, sorpassa le nuvole e le distrugge.
Però per quanto si sia sforzato di pensare al solito panorama, il cielo assolutamente azzurro gli impedisce la minima fantasia e di nuovo cade in quello stato comatoso che non gli si potrebbe vedere in faccia nemmeno da morto. E in ordine: Dolore al petto, il fiato che se ne va, stomaco terribilmente annodato.
Niall torna a casa e ha paura.
Paura mentre è sospeso nel mare e non lo sa. Paura perché si sente sperduto in mezzo a un mare, e questo lo sa bene. 
E il viaggio è infinitamente breve, infinitamente  più lento di tutti i suoi pensieri incasinati in testa. Non nota, l'Irlanda che si staglia davanti a lui pochi minuti prima dell'atterraggio. Si muove come un fantasma, assuefatto da un qualcosa ancora immobile e a lui quasi sconosciuto.
Deve arrivare a casa sua, a Mullingar, e vedere.
Quando suo mamma aveva chiamato cinque giorni e diciotto ore e ventitré minuti prima, Niall ne tiene il conto, non era per una cena in famiglia, non era per una nuova ragazza di Greg ne per un nuovo casino in famiglia da raccontare.
Suo fratello era malato.
Niall, zainetto verde sulle spalle, cammina con lo sguardo basso attraverso le persone sino alla macchina e non sa assolutamente cosa aspettarsi, si sente impreparato.
Vorrebbe addormentarsi e tenere il cervello scollegato almeno sino al vialetto di casa sua. E, se non con una dose enorme di sonniferi, questo è impossibile.Allora resta quarantacinque minuti a fissare il vuoto sperando di essere risucchiato. Poi altri cinque davanti alla porta di ingresso, e infine si decide e suona il maledetto campanello. Sua madre spunta con le labbra appena curvate sul viso. Gli viene incontro, lo bacia forte su una guancia e lo tira dentro dopo un breve abbraccio.
Niall sospira solo un "Ciao, mamma" mentre lei prende tutta la sua roba, come se fosse appena tornato da scuola.

Sbuca in salotto e quando vede suo fratello, spaparanzato sul divano che gioca a Fifa con la Play, si chiede dove sia il trucco.
- Hey, fratello! Che ci fai qua?- esclama mettendo in pausa il gioco e voltandosi con la sorpresa negli occhi già in piedi per dargli un abbraccio.
Dove sono la faccia stanca,le occhiaie,il corpo andato per sempre. Dov'è la malattia?
Così è tutto più difficile, se non la vede come può odiarla appieno?
Niall, in realtà, sa tutto. Sa cosa è entrato nel corpo di Greg e che continua a mangiarselo, anche ora mentre lo guarda. Mentre batte le ciglia  pensa a quella cosa che avanza.
- Sono venuto a trovarti- biascica, la testa in panne.
- Allora ti mancavo, fratellino! – ride e lo fa sentire uno scemo. Scemo abbastanza per mandarlo a quel paese, scatenando una risata più grande. 
- Come stai?- dice Niall, il joystick già in mano a entrambi.
- Si va avanti, come sempre no? – risponde e le parole stanno lì ferme, nessuno a catturarle nessuno a rispondere. 
Dublino – Manchester.
Pari e in silenzio.
Ma poi sono fratelli e quindi non dura più di una partita tra di loro.
-Greg...senti, io...lo sai perché sono qua e...guardami- soffia l’ultima parola perché suo fratello non lo stava propriamente facendo. 
Ma quando lo fa sembra esserci del sollievo dentro, sollievo che si trasforma in un solo attimo in paura. Uguale a quella che si poteva trovare negli occhi di Niall. E allora pensa che deve aver retto quei giorni così, mascherando tutto dietro il suo sorriso più grande. Prendendo tutto sottogamba, facendo forza lui agli altri e impedendo il contrario. 
E’ sempre stato così, Greg quello forte, quello maggiore.
Per parlare Niall cerca di non pensare alla sua assenza, non può semplicemente farlo. La finirebbe a metà, senza un pezzo. La finirebbe senza la sua infanzia, la sua infanzia più bella. E il suo sorriso non sarebbe lo stesso, sarebbe incompleto.
E allora trova la forza di quelle poche parole: - Io ci sono okay? E tutto...va tutto bene-  
Lo dice e si sente grande ed è l’unica cosa a cui vuole credere.    
E Greg è travolto dai soliti occhi azzurri di Niall, ora più caldi, dentro ci legge le sue stesse identiche paure e soprattutto si stupisce di quella maturità. E lo vede improvvisamente uomo, qualcuno su cui poggiarsi finalmente, suo fratellino.
Dirselo da solo non è nemmeno paragonabile a quando Niall pronuncia quella frase, così da conservarsi quelle parole quando tutto andrà male.
E lo abbraccia, lo abbraccia forte mentre entrambi, e per ragioni diverse, trattengono le lacrime.
Ma è il fratello maggiore, un pazzo irlandese con la passione per la birra e per il calcio, quindi tocca a lui staccarsi,dargli una pacca piena di tranquillità e dirgli che lo sa,  e che si fida delle sue parole.  Ed è maggiore di nuovo, ma non più solo.
Dopo pochi istanti, tutto è come prima. Solo più chiaro, e forse più facile.
-Beh, tu ed Amy?- e Greg allude alla sua “migliore amica”.
 -Oh, ancora? Non c’è...non è niente!- rosso sino allo orecchie.
-Mandale un messaggio, chiedile di uscire quando torni a Londra e poi baciala- lo dice come se fosse facile, e forse lo è.
Ma Niall lo sente come se fosse giusto, allora lo farà.
 

-
 

Era un remix tremendo quello che era stato fatto su quella canzone ma essendo le undici e mezza del trentuno Dicembre non era pensabile farci caso. Era tutto perfetto, Louis si era assicurato che non mancasse mai un bicchiere in mano a tutti, che la musica continuasse incessante e che ogni persona appena uscita, sempre che ne fosse uscita, avrebbe gridato alla “festa migliore dell’anno”.
Louis, un qualunque alcolico a scendere per la gola, si aggirava fra tutti quei corpi che strusciavano e ridevano, salutava tutti e si compiaceva di vederli divertiti.
Non pensava, solitamente, che il capodanno potesse rappresentare svolte nella vita di qualcuno. E lo pensava ancora, al massimo si potevano fare progetti persi in partenza, pensare nuovi buoni propositi che sarebbero sfumati all’alba del primo Gennaio, convincersi che questa volta andrà meglio. Ma, sarà il caso, questo capodanno qualcosa di diverso, di nuovo e potenzialmente distruttivo gli sta capitando. Ed è ingiusto, e non lo sopporta, quasi quanto quelle frasi spicciole sull’anno nuovo. A poco tempo dall’inizio del nuovo tour in America, di un anno anche migliore del precedente, fatto di mille viaggi, mille persone nuove, troppi tatuaggi e troppe notti sveglio perché doveva spuntare lei?
Perché ora?
Ed è lì a poca distanza quella ragazzetta dai capelli fiammanti, stretta in un vestitino da togliere il fiato. Louis beve il suo ultimo sorso e poggia il bicchiere nella prima superficie, ormai sporca, che trova. Si sta avvicinando quando lei si volta, e sorride.
Sorride e basta, e i piedi non lo reggono. 
Non ha paura delle relazioni a distanza, dei troppi impegni, del tempo che dovrà stare lontano. E’ una parte da accettare se si fa quel lavoro. E poi lui sarebbe tornato, lei sarebbe andata da lui. 
Il fatto era che si conoscevano da nemmeno due mesi.
Due mesi che non gli erano bastati, tra tutti gli impegni, a provarci come si deve. A conoscerla per davvero.  E ora era lì alla sua festa, a muovere quel suo corpicino, e a fargli desiderare di sapere la storia di ogni cicatrice, di quel tatuaggio che ha e che non gli ha detto dove si trova. E Louis lo vorrebbe cercare, insieme a quel piercing nascosto. E non c’era modo di uscirci, di guardare film assieme, battibeccare sul calcio.
Nina, si chiama, ma appena l’aveva incontrata si ricordava solo “Rosso” dei suoi capelli.
E se lo ricorda benissimo il giorno in cui l’ha incontrata: era piuttosto scocciato di fare altre prove per il vestiario del tour, aveva un leggero post sbornia, erano le dieci del mattino, e tutto gridava “Trova una scusa e scappa”. Poi però il suo buonsenso, o Paul a minacciarlo, lo avevano deciso a restare.

“Ci vorrà poco Louis, sono solo qualche paio di jeans”.
Cinque camicie e quattro pantaloni dopo era arrivata come una furia rossa, lei.
Da quello che poteva capire era un’assistente dato che appena li aveva individuati si era messa all’opera. E grazie alla sua tremenda parlantina tra una misura e l’altra riesce a scoprire  che non è proprio un’assistente, ma solo la nipote di Lou che l’ha consigliata, che sta studiando per “Sicuramente non fare la sarta”. E lo colpisce che il tono non è per niente spocchioso, scoprirà poi che sua madre fa proprio quel lavoro e le ha insegnato tutto ciò che sa, ma solo non è la sua strada.
E non ci vuole molto prima che Louis si ritenga “innamorato perdutamente” del suo accento, della sua vita, delle cose che non sa, delle cose che vuole sapere mentre lei ride, ride e si chiede perché quel ragazzo voglia sapere così tante cose. 
Così non trova momento migliore per chiederle se la rivedrà, e che  se così non fosse dirle che vuole uscire con le,i di quando è inginocchiata a prendere le misure della sua gamba. Con quelle mani a scorrere dalla caviglia al cavallo dei pantaloni, si sente un maniaco. Forse non è un buon momento per un invito, ma la risposta è sì.

Si è appena voltata rivolgendogli uno di quei suoi sguardi così carichi, ma si vede che è felice.
-Finalmente, dove eri finito?- 
- Controllavo che la mia festa procedesse al meglio- dice, poco interessato ora, poco interessato a qualunque cosa appena lei è lì con lui.
-Soddisfatto?- lo sfotte un po’ con il tono di voce, ma poi torna a guardarlo in quel modo.
Louis sa cosa fare, un’ispirazione improvvisa.
Nemmeno le risponde, nemmeno le da spiegazioni. La prende per mano e la porta in un posto dove ci sono solo loro.
Camera sua.
E Nina scoppia a ridere, per nulla intimorita, perlopiù è curiosa. Ma è una tipa che si abitua facilmente a un carattere come quello di Louis.
-Mi dici che c’è?- con la voce fintamente scioccata e la risata già incastrata alle guance.
-Non ho intenzione di approfittarmi di te, non è da gentiluomini e non sei nemmeno troppo ubriaca- scherza, ma parla rapido. Deve arrivare al dunque.
-D’accordo e non te lo permetterei, tu lo sei troppo- un lampo rapido nei suoi occhi che Louis non riesce a comprendere fino in fondo, un po’ gli mette i brividi. 
-Parti con me- lo dice, con la voce ferma e sicura. Solo che dentro gli si è scatenata una tempesta e gli sta facendo tremare il petto. 
Nina, finalmente stupita, boccheggia. –Come, scusa?- 
-Parti con me, vieni con me in tour...- inizia Louis, intenzionato a spiegarsi. – Tu mi piaci, mi piaci così tanto e non posso...non posso andare via ora, non ho avuto...il tempo che mi serviva con te- 
Rapido, concitato, come se tutto gli stesse per sfuggire dalle mani mentre si accorge che effettivamente, ancora non sta stringendo nulla.
Si è sbagliata, non si può più dire abituata a lui. A uno come lui sì, ma a lui a cui piace anche, no.
Dopo un paio di battiti persi, cerca di rispondere, a lui e anche a se stessa.
-Louis ma come...è una cosa fuori di testa- non era ciò che voleva dire.
-Nina, io ti piaccio...vieni con me, provaci...sai bene di avere un lavoro pronto, che ti aspetta, lo sanno che sei brava...-
Il modo in cui lo dice, “io ti piaccio”, le ricorda il momento in cui se n’è accorta per davvero. Quando erano usciti, una volta, e lui aveva dimenticato i soldi. Louis Tomlinson che non le può offrire il gelato, e allora lei aveva pagato per entrambi facendo ridere Louis per interi giorni solo a ripensarci. E quella risata non voleva più smettere di sentirla.
-Louis...- lo sospira, gli occhi lo stanno guardando così forte mentre lui si avvicina ma non la tocca, non la tocca.
-Ti giuro che se andasse male, se non dovesse funzionare, ti pago il primo volo per Londra - e forse le parole non servono più, lo vedono, l’uno negli occhi dell’altra –Nina, guardami- 
La voglia di conoscersi, folle e insensata stampata negli occhi di entrambi appena si incrociano.
L’avventura, forse per quello si piacciono, sono simili.
Nina sente il cuore così forte, che quasi gli pulsa sulla lingua quando parla. E Louis non si aspetta un no, ma non si aspetta nemmeno un sì.
-Louis...non ci siamo nemmeno mai baciati- infatti.
Ed è solo perché lo vuole, lo vuole così tanto un suo bacio. E allora vuole anche partire.
Louis vorrebbe saltare di gioia, urlare al mondo.
Il Capodanno passato sulle sue labbra è decisamente un buon proposito.

 
 
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: MisSilvieLemon