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Autore: Kira Nikolaevic    30/03/2019    0 recensioni
Tutto ciò che Brylee Aelin Black vuole, è scoprire chi è e chi fossero i suoi genitori.
Sarà l'addozione da parte dei Malfoy ad aiutarla o l'arrivo della sua lettera per Hogwarts?
se vi va, scopritelo assieme a lei, rivivendo, per l'ennesima volta, o forse la prima, un'avventura di sette anni ad Hogwarts, vista dagli occhi di una Serpeverde.
Ebbene sì, gente! Purtroppo per voi, non sono ancora morta e sono tornata con un'altra nuova ff, su cui "lavoro" da anni. (Quindi, sì. Questa la finisco. Poco ma sicuro ;D)
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Malfoy, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Voldemort
Note: AU, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Più contesti
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Chapter one​
The Orphanage
 

Ottobre 1980, Barrington Road, Londra.
 
Una ragazza poco meno che diciottenne, una strega dai capelli ramati e gli occhi viola ametista, correva sull’asfalto bagnato della buia Barrington Road incurante della pioggia che scendeva incessante.
Col compagno avevano deciso di vivere in mezzo a coloro che non possedevano poteri magici, per tenere al sicuro la bambina di pochi mesi che teneva tra le braccia avvolta in qualche coperta di lana. Il padre della bambina, scomparso da diversi mesi, secondo lei era stato ucciso dai mangiamorte, solo perché, loro avevano scelto di non schierarsi più dalla parte dell’Oscuro Signore e alla sua causa, a detta di lei, malata. La ragazza sapeva che mancava poco al suo momento.
Si era spaventata sentendo parlare la bambina in una lingua strana, aveva capito di cosa si trattasse solo quando vide passare dei serpenti sotto lo spiraglio della porta per andare accanto alla culla, quasi a proteggerla. Era serpentese. Sua figlia era rettilofona. Allarmata da ciò, prendendolo come un invito a scappare da lì, decise che era giunto il momento di staccarsi da lei, così l’avvolse nelle coperte di lana pregiata verde della culla e si precipitò fuori di casa.
L’avrebbe lasciata davanti al Brixton Orphanage. Si assicurò di lasciare una lettera in cui lasciava le generalità e l’importante discendenza della bambina e spiegando il perché di quell’abbandono. Prima di sparire in un vicolo lì vicino, la donna, Nimue Rhiannon, ebbe il tempo di lasciare alla bambina il suo ciondolo.
Questo era un piccolo ed elaborato portafoto, dove all’interno c’erano i ritratti della madre e del padre della bambina, il coperchietto, decorato con un rapace, molto simile ad un falco e un corvo, simboli delle famiglie dei genitori della piccola e sul retro erano incise le loro iniziali: “R.A.B.” e “N.G.R.”.
Poco dopo, dopo un urlo di donna, e un improvviso rumore di sparo, quella notte fu rischiarata da un unico lampo verde proveniente da un vicolo vicino all’orfanotrofio.
L’urlo, il forte rumore come di sparo e il forte lampo verde destò alcune collaboratrici dell’istituto, compresa la direttrice, una donna di piccola statura, naso aquilino, occhi piccoli e neri e i capelli biondo cenere, tirati in una crocchia tenuta più con lacca che forcine. Si precipitarono tutti fuori per vedere cosa avesse generato quella luce verde, ma tutto ciò che trovarono fu un’infante di circa un anno avvolta in quello che ormai era diventato un bozzolo di coperte zuppe, al cui interno, al riparo dall’acqua trovarono una lettera in cui chiunque avesse lasciato lì quella neonata, spiegava chi fosse -Brylee Aelin Black- e a che famiglia appartenesse -una delle più importanti e potenti famiglie di purosangue, la famiglia Black- e del perché si erano trovati costretti ad abbandonarla lì, in mezzo ad un mondo a lei completamente estraneo e alieno, quello dei babbani, a causa della caccia da parte dei mangiamorte. “Sciocchezze. Queste sono solo sciocchezze, care signore. Parole di qualcuno uscito di mente”, disse la direttrice, la signorina Price, “questa – continuò sventolando la lettera – la tengo io. Sotto chiave, nessuno saprà mai del suo contenuto, nessuno. Tornerà fuori solo quando qualcuno verrà ad adottarla, fino a quel momento, nessuno di voi dovrà mai menzionare quanto accaduto questa notte a nessuno, tantomeno alla bambina, a... Bry-come si chiama. Sono stata chiara?” “Sissignora” “Si, signorina Price” risposero le collaboratrici in coro.

Sei anni dopo.

Brylee Aelin Black, l’emarginata del Brixton Orphanage for fatherless girls, affiliato alla Royal Opera House ed alla sua Ballet Academy.
 Sei anni, capelli rosso mogano e occhi grigio antracite con delle pagliuzze viola, nessuna relazione con nessuno se non con i libri della piccola saletta dei libri, grazie ai quali ha imparato a leggere da sola, e dei giochi.
I libri che Brylee legge, sono veramente speciali per lei, sembrano quasi dirle che lei non è poi così tanto strana, come le vogliono far credere tutti quanti là dentro. Più legge di animali fantastici, “irreali”come continuano a ripeterle i collaboratori dell’orfanotrofio, di streghe e maghi, più si sente simile a loro e più sente dentro di sé che in fondo, quelle non sono solo storie di fantasia, ma qualcosa di reale, quasi, magari. Certo, era diversa, ma aveva dovuto crescere in fretta e già all’età di sei anni, pensava e parlava come una bambina di nove-dieci anni.
Quello era diventato il suo piccolo mondo isolato, aveva sempre funzionato per stare lontana da quelle altre bambine stupide e sempre cattive con lei, talmente perfide da metterle delle schegge di vetro nelle scarpette da ballo quasi sempre. Fino a quando un giorno, Elizabeth, dieci anni, e il suo gruppetto di bimbette stupide tutte fiocchi e codini, (classica bambina carina e dolce, occhioni azzurri e boccoli biondi con riflessi dorati- Brylee si chiedeva come mai ancora non fosse stata adottata, a prima vista sembrava una bambina così dolce e cortese. Già. A prima vista), non avevano deciso di seguirla, o meglio, perseguitarla fino alla stanzetta per continuare a stuzzicarla riguardo la sua stranezza, la sua asocialità, come se avesse deciso per conto suo di non giocare mai con nessuno o di essere “diversa”.
“Perché non vieni a giocare con noi, Brie?” stava diventando peggio di un martello pneumatico, assillandola con quelle stupide frasi.  “Il mio nome è Brylee. Non brie. Brylee Aelin Black.” Sbuffò la bambina, stufa di essere chiamata con il nome di un formaggio straniero. Quei nomi avevano uno specifico significato che, era sicura, avrebbero rispecchiato la sua personalità.
“Pensi di essere speciale solo perché hai imparato a leggere prima di noi, eh, Brie?”
“Hai paura di finire di nuovo in punizione per qualcosa che non hai fatto? È che sei troppo stupida, troppo sola perché qui qualcuno ti creda, sai, Brie?”
“Forse, l’hanno abbandonata perché era troppo stupida da sopportare, vero Elizabeth?” disse una  del gruppetto.
“Siete voi ad essere troppo stupide da sopportare! Mi domando se sia questa la ragione per cui anche voi siate ancora qui. Come. Me.” A quelle parole, le altre scoppiarono a piangere e scapparono via. A riferire a qualcuno l’accaduto, sicuramente.
“Questa volta hai esagerato, B-r-i-e.” disse Elizabeth, calcando su ogni singola lettera di quell’odioso nomignolo, mentre le si avvicinava e iniziò a tirarle forte i capelli fino quasi a strapparglieli. Brylee sopportava in silenzio, nonostante le lacrime che avevano iniziato a rigarle il volto. Si morse il labbro inferiore a sangue pur di non emettere suono, pur di non dare soddisfazione a quella streghetta. Fino a quando non perse il controllo, di sé o delle parole che uscirono dalla sua bocca.
“No! Sei tu che stai esagerando, Lizzy – sibilò chiamandola con il nomignolo che le davano tutti- e... e io, mi sono stufata di te e delle tue cattiverie!” disse prima di allontanarsi di colpo, lasciando tra le dita della biondina qualche ciocca di capelli. I giocattoli e i libri in terra iniziarono a tremare sul pavimento, fino ad alzarsi in aria ad un cenno del capo di Brylee, fino a vorticare all’impazzata attorno a lei e la bulletta. Le lacrime continuavano a rigarle il volto e un rivolo di sangue le colava sul mento, partendo dall’apertura che si era procurata al labbro precedentemente. Dopo alcuni istanti, le pupille le si rigirarono, facendo diventare gli occhi bianchi, e dalle sue labbra iniziarono a uscire sibili, parole di una strana lingua.
Agli occhi della bambina bionda si presentava come indemoniata, con gli occhi ribaltati e quelle strane parole che uscivano dalla sua bocca insanguinata. “Va bene, ho capito, m-ma ora smettila... B-Brylee...  p-per favore” disse Elizabeth, iniziando a piangere spaventata dallo spettacolo che aveva davanti a sé, ma l’altra non sembrava più in sé, fino a quando Elizabeth non urlò alla vista di un serpente appena entrato dalla finestra socchiusa. Solo allora Brylee si ridestò, facendo cessare il tutto nel giro di pochi secondi, così com’era iniziato.  
Non appena fu tornata in sé, Brylee, uscì dalla stanza senza dire una parola. Era troppo sconvolta da ciò che le era successo, da ciò che aveva, finalmente, capito. La punizione non tardò ad arrivare, lasciandole così, il tempo di una giornata rinchiusa nello stanzino delle punizioni, il modo di poter processare gli accaduti di quella mattina. La sera, provò a ripetere ciò che aveva fatto, in preda all’esasperazione nella saletta dei libri e dei giochi: nello stanzino oltre ad una brandina sgangherata e rattoppata in più punti, c’erano uno sgabello di legno a tre zampe, sicuramente pieno di termiti e un banco risalente ad almeno venticinque anni prima, con dei fogli e delle matite posati sopra; si concentrò su quegli oggetti e provò a farli volare in aria. Quelli inizialmente presero solo a tremare e a rovesciarsi sul pavimento, per poi – dopo qualche minuto di concentrazione da parte della bambina- librarsi in aria, levitando placidamente attorno a lei.
In quello stesso momento, da qualche parte in Scozia, in un castello che appare tale solo ad alcuni, in una torre di cui conoscono solo pochi, davanti agli occhi di un uomo dai capelli e barba argentea, occhiali a mezzaluna sul naso, un libro incantato si spalancò, permettendo ad una penna, altrettanto incantata, di trascrivere con grafia elegante un nome: Brylee Aelin Black.

Cinque anni dopo.

Brylee aveva ormai preso dimestichezza con i suoi poteri, quando capitava non perdeva occasione di tirare scherzi mancini a compagne, tutte ormai terrorizzate da lei, e collaboratrici, le quali avevano preso a starle alla larga il più possibile, così come le povere insegnanti di danza della Royal Ballet School.

Quando finiva in punizione, nello stanzino, si faceva tenere compagnia dalle bisce presenti nel giardino dell’istituto con cui aveva instaurato un rapporto di fiducia, quasi d’amicizia. Aveva anche dato un nome a ciascuno di loro.
A undici anni si era rassegnata a vivere in quel posto fino alla maggiore età, perché tanto nessuno sarebbe mai andato al Brixton Orphanage per adottare un’undicenne. Anche Elizabeth era ancora lì, ma lei almeno faceva avanti e indietro da una famiglia all’altra, ritrovandosi ogni due-tre mesi di nuovo in quel posto, ma questo a Brylee poco importava. Aveva altro per la testa, come capire anche cosa Dorian e Blake, i più anziani dei suoi amici striscianti, le avevano detto riguardo la notte in cui lei fu lasciata davanti ai cancelli dell’orfanotrofio e della misteriosa lettera lasciata - a quanto pare da uno dei suoi genitori- ai collaboratori della struttura. Era determinata a prelevare quella lettera e scoprire, una volta per tutte, chi fosse lei e la sua famiglia, non l’avrebbe fermata la cassaforte o il cassetto che conteneva quella lettera, pur di metterci anni, lei l’avrebbe trovata.
La fine di Luglio si stava avvicinando e Brylee era seduta tranquillamente su una delle panchine di marmo attorno al campetto di terra battuta, dove le bambine più piccole giocavano quando faceva bel tempo. Stava pensando, per l’ennesima volta in quella giornata, al perché proprio lei fra tutte le bambine dell’orfanotrofio, dovesse avere quei poteri, con i quali non avrebbe mai avuto una vita normale, non in quel mondo, per lo meno. Un verso di rapace però la distrasse e la ragazzina non poté credere a cosa si trovasse davanti:  un barbagianni bianco e grigio che le porgeva una lettera che teneva delicatamente col becco.
“Prendila” la incoraggiò Blake, sdraiato sulle sue gambe, godendosi il sole di quella giornata, muovendo solo la testa.
La ragazzina, allora, fidandosi di quanto detto dall’amico rettile, guardando negli occhi il rapace, allungò la mano per ricevere l’involucro di carta. Non appena le sue dita afferrarono la busta, l’uccello lasciò la presa, avvicinando la testa alla sua mano, per ricevere una carezza. Brylee lo assecondò, ridacchiando, fino a quando quello non spiccò il volo per tornare da dov’era venuto. A quel punto, si rigirò tra le mani la busta in carta pregiata, trovandovi scritto sul retro:
 
Signorina Brylee Aelin Black
ultima stanza del corridoio a est
Brixton Orphanage for fatherless girls,
Barrington road, Londra.
 
 
“Wow”, commentò tra sé e sé. Ma ciò che la meravigliò e stupì più di tutto, fu il contenuto della busta:

Signorina Black,
siamo lieti di informarla che è stata ammessa alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.
Troverà qui allegata una lista di tutto il necessario, libri ed equipaggiamento.
L’anno scolastico avrà inizio il primo di Settembre. Aspettiamo il suo gufo entro e non oltre il 31 luglio.
 
Cordiali saluti,
Minerva McGranitt,
vicepreside.
 
Hogwarts, scuola di Magia e Stregoneria
Preside Albus Silente, Grande Mago dell’ordine di Merlino, Stregone capo del Wizengamot, Capo Supremo.
“E questa che roba è?” chiese ai serpenti che le si erano avvicinati mentre leggeva a voce alta quanto scritto, come se loro ne potessero sapere più di lei.
Come per risponderle, arrivò Christine, una delle più giovani collaboratrici dell’orfanotrofio, venuta a riferirle che la direttrice, la signorina Price, la aspettava nel suo ufficio.
Brylee sospirò mandando gli occhi in gloria, alzandosi delicatamente dalla panchina e avviandosi all’ufficio, i cui muri erano stati testimoni di parecchie punizioni corporali negli ultimi cinque anni. Una volta giunta davanti alla porta in legno verniciato di blu scuro, bussò tre volte, aspettando che la voce della direttrice le desse il permesso di entrare. Non dovette aspettare più di qualche secondo, cosa che la sorprese non poco, così come la sorprese il tono di voce – era più tesa di una corda di violino la donna, ma anche cordiale, quasi- con cui la signorina Price le disse di entrare e di accomodarsi. Era tutto fin troppo strano, fino a quando non vide che era attesa da un’altra donna, tra i trenta e i quarant’anni, dai  capelli biondi e gli occhi azzurri, vestita in maniera elegante, un tailleur verde foresta che s’intonava perfettamente con la sua carnagione chiara, che sedeva su una sedia davanti alla scrivania della direttrice. Alla sola vista di quella donna, Brylee iniziò ad avere come un attacco d’ansia, non sapendo cosa fare o come comportarsi, né tantomeno cosa stesse succedendo, aveva un ché di familiare quella donna.
“Brylee, cara, accomodati pure” disse la signorina Price indicandole nervosamente la sedia libera davanti alla scrivania in mogano, con un sorriso falso e tirato. Si sentiva quasi a disagio, accanto a quella donna elegante, con addosso il suo vestito estivo di terza mano e consumato in più punti. La donna in verde aprì bocca solo quando notò che in mano Brylee aveva la lettera arrivata da Hogwarts.
“Allora ti è arrivata. Nonostante tu stia ancora... qui. -disse con un sorriso leggermente tirato, ma sincero- Draco l’ha ricevuta giusto due settimane fa, sai? Andrete alla stessa scuola” continuò con tono affettuoso, ma una luce di preoccupazione apparì fugace negli occhi azzurri della donna.
“La signora Malfoy, cara, è qui per portarti con sé. Non sei contenta, hm?” intervenne la direttrice, quasi fosse più contenta di lei. “Bene! Allora io vi lascio sole, così potete parlare un po’, con permesso” disse sempre la Price con fare reverenziale nei confronti dell’altra donna, lasciando la stanza non dopo aver lasciato alla donna in verde una busta di una lettera vecchia. La cosa non sfuggì alla ragazzina: la lettera che avevano lasciato prima di lasciarla in quel posto.
Una volta da sola con la signora Malfoy, come l’aveva chiamata la signorina Price, Brylee iniziò a giocherellare con il ciondolo che da sempre portava al collo, era solo grazie a quel piccolo porta foto che sapeva che aspetto avessero i suoi genitori e se si concentrava un po’, poteva notare qualche somiglianza fra la donna seduta davanti a lei e suo padre, forse era quello ad averle dato quella sensazione di familiarità.
Brylee non faceva altro che spostare lo sguardo freneticamente dalla donna in verde, alla porta e poi alla lettera sulla scrivania in mogano. Ma nonostante quello, si ricompose schiarendosi la gola e raddrizzando la schiena.
“Quindi... voi sareste qui, per... adottarmi?! Perché io? E soprattutto, perché ora?!” iniziò a chiedere sentendo crescere dentro di lei sempre di più una rabbia indescrivibile. La donna davanti a lei, continuava a sorriderle in maniera quasi affettuosa
“Sei proprio uguale a tuo padre, sai, Brylee?”. Al suono di quelle parole, la ragazzina si congelò sul posto: come faceva quella donna a conoscere suo padre? A meno che... “L-lei conosceva mio padre? ... come?”
“Hm... -iniziò senza perdere quel sorriso che stava iniziando a far calmare la ragazzina- bhè, cara la mia Brylee, vedo che c’è ancora molto che devi sapere della nostra famiglia, non pensi anche tu?” tutto quello che riuscì a fare o dire, Brylee, fu solo un cenno di consenso con la testa, mantenendo gli occhi bassi.
“E per carità, vediamo di rinnovare il tuo guardaroba! Non potrei sopportare ancora la vista di quell’abito vecchio e consunto! Se solo non avessi vissuto per tutti questi anni in mezzo a dei babbani, hai idea di che vita avresti avuto?” esclamò ad alta voce, dirigendosi verso la porta della stanza, come a voler andare via.
“A-aspettate!” esclamò la ragazzina, quasi correndole dietro, fino a che non la sentì parlare con la Price. “Sarò di ritorno tra un’ora, signora. Le chiedo di fare in modo che in questo tempo Brylee abbia un bagno e degli abiti decenti addosso, sono stata chiara?” sentenziò con voce fredda, completamente diversa da quella che aveva usato fino a poco tempo prima con lei. Poi girò i tacchi e se ne andò. Solo allora la Price, ancora scossa da quella conversazione, notò Brylee.
“Tu! – esclamò indicandola- mi crei problemi anche quando devi andare via!” disse raggiungendola a grandi falcate, per poi rivolgersi ad una delle collaboratrici che stava passando lì vicino. “Agatha, per favore, prepari un bagno caldo e... dei vestiti decenti a Brylee Aelin. Voglio che sia pronta entro quaranta minuti, chiaro?” “Sì, signorina. Mi occuperò subito della bambina.”
Dopo di ché, fu tutta una confusione tra acqua calda, saponi profumati e abiti che sembravano nuovi.
 
 
~L’Angolo della miseria~
Salve a tutti! Ho voluto provare a scrivere questa... roba. Non avendo letto i libri (sisi, lo so. Sono solo una piccola sporca mezzosangue, -cit- ma mi sono documentata e riparerò subito la mia mancanza) [edit: sono al Quarto libro]
Se dovessi aver fatto qualche errore, per favore, as always, ditemelo. Ditemi dove e cosa sbaglio, grazie. Un bacione, Kira. Alla prossima!
[edit-2: ho apportato qualche modifica, sia in questo che nei capitoli successivi]
  
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