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Autore: Lux in Tenebra    31/03/2019    2 recensioni
"Luce e oscurità.
In un mondo grigio, è quasi impossibile definire dove finisca l'una e inizi l'altra.
Un inteccio di anime legate da un filo rosso sangue. Il loro silenzioso patto stretto alla luce della luna e una maledizione antica che consuma tutto ciò che incontra sul suo cammino.
Le tenebre nascondono.
La luce acceca.
Non c'è una via giusta da prendere, solo tante scelte e due anime unite dal caso.
L'umanità si illude di essere arrivata in cima, ma lì, tra gli alberi più alti, nelle foreste più profonde, esistono creature molto più antiche.
Lui vive.
E ha una storia da raccontare.
Riuscirà il sentimento per la donna dagli occhi ambrati a sbocciare?
O avvizzirà sotto il peso di un passato segnato a fondo sulla pelle?"
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Offenderman, Slenderman, Splendorman, Trendorman
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 10

"L'altra metà."

 

Il battente rumore dell'acqua risuonava nelle tenebre, picchiettando contro i vetri oscurati, scrosciante in quegli attimi di eterna quiete. Ben presto si tramutò in un suono indistinto tra le ombre della notte.

Un pensiero, acuto come una spina, si infilò nella mente catturata dal sonno, ultimo sprazzo di una lucidità che si andava perdendo.

C'era qualcuno tra gli alberi. Era lì, ma allo stesso tempo non c'era.

Un miraggio? Forse. Sarebbe stato molto più semplice.

La coscienza mi parlava ancora, un delicato sussurro nelle tenebre, agitandosi invano prima che ogni cosa si tramutasse in silenzio impenetrabile.

Il buio mi aveva sempre dato pace.

Nascosto tra le ombre di qualche grande albero proteso verso il cielo, osservavo ciò che era lontano da me, guardando il mondo che viveva al di fuori di quella profonda coltre nera.

Poi, l'illusione di un vento fresco sfiorò con lentezza la pelle della mia guancia bianca.

Strano.

"Da quanto ha smesso di piovere? Sto dormendo?"

Mi si schiarì la vista, scorgendo all'improvviso un cielo pomeridiano incorniciato dalle fronde rosse degli alberi.

Il paesaggio mi era familiare, forse parte di un ricordo dei giorni appena passati.

Ogni cosa però, persino i cespugli, sembrava stranamente più alta di quanto rimembrassi.

Mi accomodai, tirandomi su con la forza delle mani premute al suolo erboso.

Le maniche della giacca scivolarono pesanti, ricoprendo fin troppo abbondantemente i palmi. La loro lunghezza era inusuale.

Mentre stavo rivolgendo le mie attenzioni a quell'evento singolare, cercando di tirar su la stoffa che continuava a ricadere molle, sistemandola al meglio delle mie possibilità, notai una figura nascosta tra la boscaglia.

Si spostava alle mie spalle, una macchia sfocata nella visione periferica, rimanendo fuori dalla mia portata. Una sensazione gelida si fece strada su per la schiena.

Non sembrava intenzionata ad uscire allo scoperto, osservando la mia figura con insistenza, i suoi occhi puntati fissi al mio collo con uno sguardo penetrante carico di avversione.

Per istinto, balzai in piedi.

Girando la testa nella sua direzione, riuscii a scorgere appena la sua figura che scattava verso di me. Una lunga mantella cremisi rovinata dal tempo e strappata in più punti l'avvolgeva quasi per intero e la poca pelle che si distingueva da quella massa era di un bianco spettrale. Le mani, ben più scure, ricordavano la corteccia di un albero.

Mi passò accanto, veloce come un fulmine, per poi svanire tra i tronchi degli alberi vicini.

Aveva deviato la traiettoria all'ultimo secondo.

La sua presenza, ancora viva e palpabile, mi fissava da un nascondiglio che non riuscivo a localizzare con precisione. Era come se si fosse trasformata in una nuvola di fumo, la sua energia sparsa tra la radura.

Una sensazione bagnata mi attraversò la guancia. E, con essa, arrivò il dolore: pungente e affilato, come lame che si conficcano nella carne viva.

Congelando per istinto ogni muscolo, il respiro si fece corto, incassando il collo nelle spalle per nascondere i punti vitali all'aggressore, incurvandomi leggermente in avanti, pronto al contrattacco.

Il mondo attorno si era come zittito, galleggiando in un tempo che rallentava ad ogni battito. Occhi e orecchie alla ricerca di un movimento o un suono rivelatore.

Rimbombando assordanti nella testa, il battiti accelerati del mio cuore spezzavano il pesante silenzio.

Ogni cosa immobile, ferma in posa nella tensione dell'attimo, attendendo il momento giusto per poter respirare ancora.

Cercavo con i sensi, disperato, un eco, un movimento, qualcosa che potesse permettermi di ritrovarla.

Poi, un tonfo sordo.

E la sua presenza si dissolse.

Sobbalzai, indietreggiando per ottenere vantaggio sull'aggressore e la possibilità di osservare i suoi movimenti da una distanza di sicurezza.

Il suono provenne da dove era apparsa la prima volta.

Teso come una corda di violino, i viticci mi circondarono, tentando di offrire una difesa ad ogni angolo cieco. Ma, con mio grande stupore, lasciarono molto spazio scoperto.

Non riuscivano a raggiungere la loro estensione solita, rimanendo bloccati ad un terzo della strada.

Troppo corti per contrattaccare o colpire l'origine del suono che mi si parava davanti, li ritirai ai miei fianchi.

"Tra tutte le situazioni possibili in cui mi sarei potuto andare ad infilare... " Strinsi i denti, per poi realizzare ciò che avevo davanti. Le mie braccia ricaddero pesanti ai lati del corpo.

Qualcuno, una bambina per essere precisi, di dodici anni al massimo, era finita di faccia a terra proprio a pochi passi da me.

Una bambina, una semplice bambina.

Quella fredda sensazione si tramutò e le sopracciglia invisibili si alzarono, indietreggiando con il busto.

Un mare di capelli rossi si era sparso al suolo, circondando la sua figura, fin troppo lunghi per il suo corpo esile. La pelle aveva una colorazione estremamente pallida con tinte a tratti rosate sulle giunture.

Emise un verso di disappunto, cercando di mettersi seduta, ma venne tirata indietro, ritornando alla posizione di partenza. I suoi sforzi resi vani da dei filamenti scuri che le avvolgevano gli arti inferiori con una forte stretta. Le gambe ricoperte da macchie rossastre e violacee erano scosse da dei tremiti.

Dei rovi le si erano conficcati nella carne, rovinando anche parte del suo lungo vestito nero e bianco. Calzava scarpe di due modelli differenti, una più vecchia dell'altra.

Nonostante i muscoli le si contraessero a causa del dolore, dalle sue labbra non sfuggì un lamento.

Quelle macchie erano di sangue.

Alcune ben più vecchie e rinsecchite, altre decisamente più recenti a causa delle spine. La forte stretta delle piante aveva creato dei profondi solchi nella pelle candida.

Lottava per cercare di liberarsi, facendo pressione con le dita lacerate in vari punti a causa dei suoi stessi sforzi. Più cercava di avanzare verso di me, più la presa dei rovi le faceva male.

In quell'incubo non ero solo.

Non poteva essere la creatura di prima, era fin troppo debole e umana. Le loro energie erano completamente differenti.

Nonostante questo, i miei sensi rimasero vigili e le spalle tese. Non mi sarei fatto cogliere impreparato.

I suoi grandi occhi cerchiati di nero incrociarono i miei, emettendo un leggero sospiro frustrato dalla piccola bocca screpolata. Avevano un colore familiare, ricordando un tramonto dalle sfumature gialle e arancioni.

Non era la prima volta che li incrociavo, ne ero sicuro.

"Dove li ho già visti?"

Sentivo di conoscerla ma, per qualche motivo, non riuscivo a riportare a galla i ricordi.

"Slender... " Sussurrò la sua voce affaticata, pronunciando il mio nome come se fosse stata la prima volta. Si distese a pancia all'aria, stremata per lo sforzo. I suoi occhi si strinsero, concentrandosi su qualcosa che io non potevo vedere, per poi venire illuminati da una luce improvvisa. "E' quello il tuo nome. Ora ricordo!"

Provai di nuovo a cercare nel fiume di memorie, ma la coltre che lo annebbiava era fin troppo spessa affinché l'attraversassi.

"Chi sei tu?" Mi avvicinai guardingo di pochi centimetri, incrociando le braccia, per poi rimanere fermo ad osservarla agitarsi ancora dalla mia altezza.

Spalancando le palpebre, non allontanò lo sguardo da me per un secondo, cercando almeno di stare seduta contro il tronco dell'albero accanto a lei.

"Allora anche tu hai dimenticato qualcosa quando sei entrato. Certo, ci siamo conosciuti di recente, ma pensavo che gli slender fossero molto più resistenti. E'... curioso." Rivolse le sue attenzioni alle sue gambe, osservando le ferite per tutta la lunghezza, passandoci sopra le dita.

Tirò su un altro sospiro. "Fortuna che queste non faranno più male appena mi sveglierò." Sorrise mestamente, una certa ironia aleggiava nella sua voce.

"Siamo in un sogno quindi?" Recando la mano sul mento, i miei occhi si incantarono a fissare il suolo alla mia sinistra.

Questo spiegava molte cose: il mio improvviso rimpicciolimento per esempio.

La rinnovata consapevolezza portò tante altre domande con se.

Era anche lei parte della finzione prodotta dalla mia psiche? O era una specie di sogno condiviso? Mi sembrava anche fin troppo consapevole, specialmente osservando le sue movenze, per essere solo una semplice illusione.

E poi perché così?

Con capelli e occhi di quel colore così specifico?

E specialmente perché quei rovi avvinghiati ai suoi arti inferiori?

Ad essere sinceri il reame dei sogni non aveva mai avuto molto senso: era solo un'accozzaglia di frammenti messi a caso che si riunivano caoticamente per creare qualcosa di nuovo da vecchie immagini e concetti.

Non doveva per forza avere un senso logico, anche se poteva nascondere un certo significato inconscio, mostrando lati repressi di una persona.

Lei alzò la testa verso di me, lo sguardo rischiarito, ergendosi piano contro la superficie dell'albero. Si aggrappò ad un ramo al suo livello per rimanere in piedi sulle gambe malferme.

"Si, lo siamo." Mi sorrise. "Il mio nome è Aliaga, colei con cui hai stretto il patto indissolubile. Piacere di incontrarti nuovamente, Slender."

Come d'incanto, quelle parole illuminarono la nebbia che mi avvolgeva, liberandomi dall'incantesimo che impediva ai miei ricordi di riemergere. Una linea rossa di un colore sanguigno era apparsa sul mio palmo. Lo stesso segno era sulla mano della bimba che me lo stava mostrando con fatica.

La sua identità mi fu immediatamente chiara: la strega rossa.

Molto più piccina, ma era lei.

Le poche battute che ci eravamo scambiati e il patto di sangue che era stato stretto tra le nostre anime riaffiorarono con forza, faro di ciò che era stato momentaneamente dimenticato.

Portai la mano alla fronte, colto alla sprovvista dai ricordi venuti a galla.

"... cos'è questa stregoneria?" Mi avvicinai a lei, la mano ancora sul viso, allungando i miei corti viticci per spezzare i rovi che la imprigionavano.

"Ciò che hai appena detto." Rispose brevemente, accostandosi, per poi allungare la manica della mia camicia fino a farla uscire fuori. Anche in quel sogno il suo profumo era lo stesso, solo molto più flebile. "Se vorrai scusarmi, questa serve a me." E ne strappò un bel pezzo con forza, risiedendosi al suolo, adesso libera e con parte della mia manica tra le dita.

Era diventata tutto ad un tratto molto più audace, il che mi lasciò inizialmente sbigottito, poi alquanto irritato da quel suo tocco non richiesto, incrociando le braccia, allontanandomi da lei di qualche passo.

"Sappi che era la mia camicia preferita e, cosa più importante, non mi piace che si tocchi me o le mie cose. Farai meglio a tenerlo a mente." Dichiarai contrariato, guardandomi intorno per controllare che quella cosa non fosse nei paraggi, pronta a prendere di sorpresa entrambi.

"Non preoccuparti. Non è successo nulla alla vera camicia, in più ho fatto attenzione a non sfiorare nemmeno un lembo di pelle." Ribatté senza nessuna particolare inflessione della voce, come se niente fosse accaduto, rigirandosi il tessuto tra le dita.

Divise il pezzo di stoffa in due parti e iniziò a fasciarsi con scioltezza le gambe al meglio che poteva, rimettendosi poi su due piedi anche se le fitte di dolore ancora le attraversavano il corpo, facendola piegare leggermente in avanti. La stavano sicuramente divorando dall'interno.

"Se mi stai mentendo... " Rimasi accigliato, rivolgendole un'occhiata di sfuggita.

Mi chiesi se fosse stata capace di leggere le mie espressioni. Poteva vederlo che ero alquanto contrariato dalla cosa? Almeno, fuori dal sogno sembrava capace. Ma qui? Quella era una bella domanda.

"No, non sto mentendo." Alzò lo sguardo, tenendolo fisso per pochi secondi. Era come se i suoi occhi stessero bruciando tanto era intenso. "E poi, si nota che non ti piacciono gli estranei, né il contatto con loro. Non ti biasimo. Ci vuole tempo e fatica per potersi fidare davvero di qualcuno e bastano pochi attimi per distruggere tutto. Ironico, non credi?" Posò la mano sul tronco, cercando di spostarsi ad un altro con le gambe che reggevano a malapena il suo stesso peso.

"Dopotutto, in una vita costantemente in bilico," una risata le sfuggì dalle labbra quando rischiò di cadere a terra, "si fa sempre ciò che è in nostro potere per proteggere quelle poche cose che si ritengono davvero importanti. Ti sei esposto per la foresta che ti è cara. Farò in modo che tu possa fidarti di me, questa è una promessa." La fiamma nelle sue pupille era viva più che mai.

"Le parole solo belle, ma prive di valore. Non senza i fatti. Dimostramelo e io ti offrirò la fiducia che cerchi. Ma sappi che non sarà una semplice passeggiatina al parco." Ricambiai lo sguardo, abbassandomi al suo livello, offrendole un viticcio per impedirle di cadere ancora, immobile come una statua, mentre lei mi ringraziò silenziosamente per l'aiuto con un cenno della testa.

"Ne sono consapevole." Portò la mano al petto, rovinando il vestito in quel punto con le dita sporche di terra. "E sono disposta a lottare per questo. Il nostro patto sarà portato a termine." Si appoggiò al viticcio mentre quello la sorreggeva per le spalle, mostrando una decisione che mai avevo visto negli occhi di un umano prima.

Riprese a camminare, zoppicante, avvicinandosi.

"Bene. Adesso, hai idea di che cosa stia accadendo qui?" Incrociai le braccia, conducendola un po' più vicina a me per tenerla sott'occhio. In quello stato non era in grado di combattere, toccava a me proteggerla da quella creatura, non avevo scelta.

A proposito, dov'era finita lei? Era come svanita nel nulla.

Lo sguardo di Aliaga incrociò il mio, fermandosi a pochi passi da me, per rivolgersi poi nella direzione in cui stavo guardando, abbassando gli occhi qualche secondo dopo.

"C'è una sola spiegazione logica. E' stato il suo potere a renderci di nuovo bambini nel sogno." Rivolsi il viso verso il suo, alzando un sopracciglio. Lei lesse velocemente la mia domanda silente, sentendo i miei occhi su di lei. Ricambiò, continuando il discorso.

"La creatura che ti ha attaccato. Lei è la vera essenza del potere di una strega. La parte più recondita della nostra anima, fatta di istinto primordiale. Magia pura in sintesi. Che tu non ne sappia nulla non mi sorprende, le streghe della Luna Argentata non condividono i loro segreti con il resto del mondo e questo pezzo della nostra psiche viene raramente a galla come entità dalla volontà propria. In nome del nostro legame, ti domando di non far parola con nessuno di tutta la conoscenza che ti verrà passata in questo periodo. Finché il nostro sangue sarà unito, ti permetterò di sapere."

Fece una pausa, fermandosi completamente. C'era una punta strana nella sua voce, come un monito sottinteso a non violare quella richiesta, mentre i suoi occhi mi fissavano intensamente.

"Non uscirà una parola dalla mia bocca, strega. Di questo ne puoi essere certa. Immagino che tu non abbia potuto dirmelo prima a causa di questa Luna Argentata. Le superiori di cui parlavi nella tua lettera appartengono a questa congrega?" Rilassò le braccia lungo il corpo, rasserenandosi.

"Si, hai indovinato. Sono state loro a mandarmi... per bontà del loro cuore." Il suo viso si contorse in una smorfia che non provò nemmeno a nascondere.

Alzai il sopracciglio. "Ti stanno molto simpatiche, non è vero?"

"Oh si, moltissimo! Un affetto completamente reciprocato." Posò le mani sui fianchi con la voce carica di ironia, facendo schioccare le labbra per poi riprendere a camminare.

Coprii la bocca con la mano, per nasconderne i lati che si erano inarcati e fortunatamente non notò il mio gesto.

Avanzai, standole dietro per non perderla di vista.

Rivolse lo sguardo alla boscaglia, rallentando sempre di più per le ferite mentre apriva la strada. "Questa è una cosa nuova anche per me comunque... lei intendo... l'ho scoperta solo da poco tempo e ho ancora tanto da imparare." La sua voce si rifece seria, abbassando lo sguardo, stringendo piano una parte della sua gonna con le dita.

Si schiarì la gola, spostando la sua faccia nella mia direzione. "Quel che so è che lei di solito vive negli specchi, mangia di rado e può controllare i sogni delle persone che sceglie, riplasmandoli a suo favore per privarle di ciò che le rende forti. Ma non può uccidere attraverso la dimensione onirica, solo indebolire... mi dispiace, per il taglio che ti ha fatto sul viso." Si fermò, abbassando le spalle con rammarico, rivolgendo gli occhi alla ferita sulla mia guancia che aveva appena smesso di sanguinare e si stava riparando da sola. Voleva toccarla, ma ritrasse la mano. Adesso che lo notavo, aveva la stessa identica ferita nello stesso posto. "Avrei dovuto informarla per tempo del patto. Avrà pensato a te come ad un nemico..."

"Non è nulla." Tagliai corto, sentendo un'anomala sensazione di disagio al centro del petto, alzando istintivamente le spalle. "E' già guarito." Sfiorai il punto con i polpastrelli.

Sulle sue labbra si accennò un sorriso che durò poco, lasciando andare la veste mentre le sue dita si rilassavano. "Adesso dovremo solo-"

Poi un suono.

Acuto e penetrante come il grido di un grosso uccello ferito, spaccò il silenzio in due, mentre gli animali della foresta si svegliavano uno ad uno di soprassalto e gli stormi di uccelli si alzavano in volo presi dal terrore. Tutto fin troppo reale per essere in un sogno.

Un'energia oscura, nera come una notte senza stelle, era apparsa a molti metri di distanza da noi.

Aliaga cadde in ginocchio, tenendo le mani premute ai lati della testa, colta da un improvviso spasmo di dolore. Delle piccole rune luminose comparvero sulle sue braccia, risplendendo di una luce rossa.

Raggiunsi il suo fianco in pochi attimi, afferrandola saldamente con i viticci per le spalle. I miei occhi scansionarono l'area attorno a noi per controllare se ci fossero nemici nei paraggi, ma non c'era nessuno.

Solo una sensazione, un'orribile sensazione, che mi fece gelare le vene.

Non aveva nessuna nuova ferita visibile sul suo corpo, doveva venire dall'interno.

Le labbra le si schiusero a fatica, respirando affannosamente, mentre le sue mani strinsero forte la presa sui capelli. "Devi raggiungere il centro del sogno per uscirne... agh! Immediatamente! I tuoi fratelli... sono in pericolo!" Le spalle le tremavano a scatti, facendo uno sforzo enorme per parlare, ma non si fermò.

"E' l'altare, non è vero?!" Preso dall'attimo, misi la mano sul suo mento e lo tirai su per costringerla a guardarmi. I battiti accelerarono, rimbombando con forza nelle orecchie.

Un disegno si illuminò al suolo attorno al corpo della donna, attivando una cupola luminosa rossa intorno all'intera foresta, proteggendo le piante dal tocco nefasto di quelle tenebre incontrollate che stavano iniziando a diffondersi.

Fece si con la testa. "E' una maledizione... sono riuscita a mettere delle barriere protettive in questi giorni... ma non so per quanto ancora reggeranno. Lui... argh... la persona del tuo ricordo...è qui. Il lago, quello dove siamo stati pochi giorni fa... anf... è lì che si trova la via di fuga." Nonostante gli spasmi, si sforzò per cercare di stare dritta su due gambe, ma la bloccai. "Lei sta cercando di proteggerli! Devi andare, non preoccuparti, non mi accadrà nulla! Dopotutto questo incubo è solo mio, mi risveglierò appena sarai fuori."

L'energia oscura trapassò in un lampo il cielo in lontananza. Le nuvole divennero nere, coprendo ogni raggio, mentre i suoi filamenti iniziarono a premere contro la barriera, spingendo con forza per crearsi un passaggio.

"..." I nostri occhi si incrociarono.

Un fantasma del passato affiorò funesto.

"Slender, va! Ti rallenterei soltanto!" Tremante, la donna si appoggiò al suolo sulla spalla, rannicchiandosi parzialmente su se stessa, mentre una figura bianca dai capelli neri che tendeva la sua mano verso di me si sovrappose alla rossa.

"Perchè?!"

"Andrà tutto bene... te lo prometto." Sorrise materna l'apparizione.

"Perché questo ricordo proprio adesso?!?"

Mi alzai veloce, senza guardarmi indietro, correndo verso la direzione che mi era stata indicata.

Era diverso.

Non era lei.

Non lo sarebbe mai stata.

Raggiunsi il lago in pochi minuti.

Il fiato iniziava a mancare nei polmoni, respirando profondamente ad ogni passo. Sentivo i muscoli contrarsi per lo sforzo, dolendo in più punti.

Quel corpo di bambino, così fragile, era soltanto un peso, un terribile peso che avevo dovuto portare per troppo tempo.

Sfiorai il confine che separava l'acqua dal suolo asciutto.

Il mondo attorno svanì ed ogni cosa cadde nelle tenebre. Il suono in lontananza del temporale che rombava forte mi costrinse ad aprire gli occhi, mettendomi seduto con quel senso di impotenza che mi stringeva ancora il petto nella sua morsa.

Ero nella mia stanza ma, sebbene la foresta fosse sparita, quell'energia oscura c'era ancora e con lei quella del suo portatore.

   
 
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