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Autore: Il_Genio_del_Male    01/04/2019    5 recensioni
Una primavera troppo calda, i progetti di una giovane coppia e un mistero -forse l'ultimo- ancora da svelare.
Il tutto, ovviamente, ambientato nella sempre magnifica Villa Wu.
[Sequel di 'Get a Clue(do)']
[Italy!AU]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Kris, Kris, Nuovo personaggio
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Quei fagiani maledetti'
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Ribadisco quanto scritto nell’introduzione, ovvero che prima di affrontare questa ficcy è necessario leggere il prequel, che trovate qui: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3688739&i=1. 

 

 

 

 

 

Faceva caldo per essere l’inizio di aprile. Il cielo, misericordiosamente privo di foschia, si mostrava fiero nella sua più sfavillante sfumatura di azzurro. Non una nuvola si decideva ad oscurare il sole, che quel pomeriggio picchiava davvero forte. Una lieve brezza, poco più che un alito di vento, faticava a mitigare l’arsura quasi estiva dell’aria. L’unico refrigerio era offerto dall’ombra, invero generosa, dei possenti olmi, pioppi, tigli e faggi che affollavano il parco circostante Villa Wu.

A goderne erano due persone, sedute su una panchina in ferro battuto posta proprio sotto le fronde cascanti di un salice piangente. La prima, va da sé, era il celebre e ricchissimo padrone di casa, Yifenzio Wu. La seconda era una giovane donna sotto la trentina, dai capelli rosso rame, intenta a sbuffare come un mantice difettoso: Marta Vincisguerra, vice questore aggiunto di Padova.

“Vado a prenderti qualcosa di fresco da bere, tesoro?” propose ad un certo punto lui, a suo agio in jeans e golfino leggero. “Ti vedo sofferente”.

“No, grazie, tra poco mi passa. Potrebbero essere le scaldane da sindrome premestruale, mi capitano spesso” spiegò lei, in top sbracciato e pantaloni di tela, sventolandosi con le mani.

“Dove hai dimenticato il ventaglio?” sorrise intenerito. “Di solito ce l’hai sempre in borsetta”.

“Taci va’, mi si è rotto qualche tempo fa e non ne ho ancora comprato uno nuovo!” esclamò. “Speravo che il clima si sarebbe dimostrato clemente almeno per un altro mesetto. E poi ci ero affezionata, l’avevo preso a Siviglia durante l’Erasmus. Non so se ne troverò uno altrettanto bello” si imbronciò.

“Beh, non si può mai dire nella vita” finse un tono vago. “Mi piacerebbe andare in Andalusia, non ci sono mai stato. Se quest’estate non hai impegni, potremmo organizzare un viaggetto in terra iberica e tu potresti farmi da cicerone. Se ti va, ovvio”.

Marta sorrise. “Perché no? Anche Cordova e Toledo meritano una visita. E Madrid, certo. Città un po’ asettica ma piena zeppa di musei spettacolari. Davvero ti piacerebbe? Non lo dici solo per darmi una scusa per tornare a Siviglia e fare razzia di ventagli artigianali?” gli rifilò una gomitata lieve, affettuosa.

“Si chiama ‘unire l’utile al dilettevole’, tesoro mio: da una parte ti vizio, dall’altra scopro un Paese che mi affascina” la attirò in un abbraccio.

“Trovi che sia utile viziarmi? Prenderò nota” ridacchiò lei contro il suo petto. “Comunque, è meglio che ti prepari sin da ora. Non aspettarti la natura lussureggiante o i panorami della Corsica; quelli sono ineguagliabili”.

“Ah, la Corsica” sospirò Yifenzio con aria nostalgica. “La nostra prima vacanza insieme”.

“Ne parli come se fosse passato un secolo. Stiamo insieme soltanto da un anno e mezzo, amore”.

“Che vuoi farci? Sono un sentimentale; i ricordi felici mi toccano il cuore” le accarezzò i capelli. “Sicura di non volere una bibita? Bechiòn ha preparato una limonata buonissima”.

“Magari dopo. Voglio restare aggrappata a te come un koala al suo eucalipto, per il momento” scherzò Marta. “A proposito. Non mi è sembrato di vederlo, oggi”.

“Gli ho dato mezza giornata libera. Abbiamo la casa tutta per noi” ammiccò allusivo. “Ho pensato che per cena potremmo cucinare qualcosa insieme, o magari ordinare dal take-away”.

“E costringere il fattorino a scarpinare su per la collina? Poveretto, evitiamo. Se hai delle zucchine, del pesto, qualche patata e la sfoglia di Giovanni Rana possiamo preparare le famose lasagne vegetariane di mio papà. E al diavolo la dieta”.

“Così ti voglio” la strinse. “Ti metteresti quel grembiulino che mi piace tanto…?” propose in un mezzo sussurro.

“Solo se anche tu metti quello che piace a me” gli strizzò l’occhio.

Si scambiarono un bacio e rimasero abbracciati, con la testa di lei incastrata tra il mento e il collo di lui. Non era ancora la stagione delle cicale, ma il frusciare sottile delle foglie mosse dalla brezza e lo zampillio d’acqua delle fontane costituivano un sottofondo decisamente più gradevole.

La vita sembrava così facile, immersi in quella pace. La dottoressa Vincisguerra amava Villa Wu, il grande giardino all’inglese, la quiete della natura tutt’intorno. In particolare (ammetterlo la imbarazzava un po’) amava il proprietario di tutto quel ben di Dio, difetti compresi e nonostante la sua notevole avvenenza. Normalmente gli uomini molto belli la innervosivano e non le ispiravano fiducia. Yifenzio l’aveva conquistata non avendo paura di mostrarsi a lei per quello che era: un uomo in fin dei conti timido, a tratti impacciato, elegantemente indolente, filantropo, dalla mente vivace, suscettibile, testardo, ambizioso e cortese. Che avesse un fisico da sballo, il volto da modello di Vogue e un delizioso villino Liberty arredato con gusto e dedizione di certo aiutava a renderlo uno degli uomini più appetibili sullo spietato mercato dei single a caccia. Eppure, tra tanti possibili candidati, quella specie di Tony Stark venuto dall’Oriente aveva scelto come compagna una tipetta fumantina, all’occorrenza gelida, in perenne lotta con l’umido clima padano-veneto, introversa e fornita di lingua tagliente nonché dotata di un appetito che avrebbe reso insicuro un camionista cinquantenne.
Questa consapevolezza dava da pensare a Marta. Aveva troppa stima di sé per considerarsi inferiore o inadatta a Yifenzio; nondimeno, si sentiva abbastanza fortunata a ritrovarsi lui come fidanzato. Un uomo che si ricorda sempre di abbassare la tavoletta del water, crede fermamente nella parità di genere, adora i bambini e addirittura si ferma a chiedere indicazioni stradali bisogna tenerselo stretto. Questo, se non altro, le aveva consigliato sua madre tempo addietro.

“Ti rendi conto che ad agosto saranno due anni?” domandò d’un tratto Yifenzio, meditabondo. Pareva meravigliato all’idea.

“A settembre, in realtà. Ad agosto abbiamo iniziato ad uscire insieme” puntualizzò lei. “Mi aspetto un anello di fidanzamento entro dicembre, sappilo” scoppiò a ridere.

Non poté vedere lo sguardo che lui le piantò addosso, trasudante panico e terrore. Né si accorse del tic nervoso con cui la mano destra di lui scattò verso il piccolo rigonfiamento della tasca dei jeans. Non si chiese nemmeno il perché del tremore nella sua voce; il caldo e quella assolata felicità le annebbiavano il raziocinio.

“Ma scusa, a dicembre non si dovrebbero sposare Gionghin e Sehunno?”

“Lo sai benissimo! Siamo invitati entrambi. E io sono la testimone di nozze di Gionghin, che diamine. Non me lo perderei per nulla al mondo” esclamò. “Ho comprato un vestito favoloso. Con una coppia di sposi tanto fighi, non posso mica sfigurare”.

“Chissà se il testimone di Sehunno si sta facendo le tue stesse pare mentali” insinuò malizioso Yifenzio.

“Glielo chiederai questo sabato, se vuoi; l’ho invitato a cena da me. Dovremmo parlare proprio del matrimonio e degli addii al celibato da organizzare, ma a Yeollo farà piacere se ti aggreghi”.

“Dovrei essere geloso?” scherzò. “Lavorate gomito a gomito, vi vedete a pranzo, vi scambiate consigli sul look…”

“Siamo troppo amici per essere altro, tesoro. Ed io piuttosto che dovrei dire di Bechiòn, eh? Non è malaccio, è giovane, efficiente, vive persino qui” rispose a tono lei.

Bechiòn, in una vita passata, era stato il rampollo di una nota famiglia di impresari funebri. Una cattiva gestione degli affari e l’incauta decisione di chiedere denaro in prestito a gente poco raccomandabile gli avevano tolto, cambiale dopo cambiale, l’azienda e il lussuoso attico in centro in cui aveva convissuto con la fidanzata, Minsocca. La quale -era saltato fuori durante un memorabile weekend trascorso a Villa Wu un anno e mezzo prima- si era rivelata una temibile spia sovietica ed era finita nel carcere di massima sicurezza di Sing Sing, da cui sarebbe uscita soltanto dentro ad una bara. Giacché la serie di sfortunati eventi che aveva portato alla cattura di Minsocca e, in qualche modo, anticipato il tracollo finanziario di Bechiòn era stata messa in moto dallo stesso Yifenzio, l’uomo aveva generosamente offerto all’ex becchino di ricoprire il ruolo (vacante, dopo l’arresto di Luigino) di maggiordomo personale nella sua magione, vitto e alloggio inclusi.

“Non è il mio tipo d’uomo: troppo basso” ammise candidamente.

“Ops, errore mio. A te piacciono alti e un po’ elfi come Yeollo, no?”

Yifenzio rispose cautamente. “Beh, sì”. Si concesse una pausa. “Marta. Per te non è un problema… Insomma, non ti crea disagio sapere che ho avuto storie con degli uomini?”

Lei sospirò. “Abbiamo già affrontato l’argomento. Se i tuoi trascorsi sentimentali fossero un problema, credi che sarei ancora qui?” si staccò dall’abbraccio e prese le mani di Yifenzio tra le sue. “Onestamente, a me non frega una beneamata cippa di chi ti sei scopato prima di incontrarmi. Sono tutte storie finite, giusto? Questo mi interessa. Se scoprissi che hai l’amante -maschio o femmina che sia- sì che sarebbe un guaio”.

Le iridi blu di lui si scurirono. “Sono una persona fedele, mi conosci. Non tradisco per principio”.

“Sei un’anima antica” sorrise lei, guardandolo con tenerezza. “Ti fa onore”.

Scosse la testa. “No. Sei tu quella da ammirare. Non molte donne accetterebbero di stare con un bisessuale. Ad alcune fa schifo, sai, l’idea che il loro uomo sia andato a letto con altri uomini”.

“Beh, accetto il loro punto di vista ma non lo condivido. Yifenzio, dimentichi che io ho Venere nei Gemelli: non ho il mito della famiglia tradizionale modello Mulino Bianco. Sono una ragazza trasgry, che ti credi” ammiccò con fare spiritoso. “Parlando seriamente, tatuati nel cervello quanto ti sto per dire. Non mi sentirò mai meno donna se dovessi mollarmi per un maschio. Non penso che tu sia un lurido puttaniere solo perché ti piacciono entrambi i sessi, come non penso che la tua sessualità ti renda un traditore seriale a prescindere. Le tentazioni capitano a tutti, è inutile che ci raccontiamo le favolette. Ciò che tiene insieme una coppia è la volontà di entrambi, scegliersi ogni giorno, crescere insieme, desiderare le stesse cose. Se tu mi lasciassi, mi importerebbe assai poco sapere il sesso dell’altra o dell’altro, perché vorrebbe dire che nel nostro rapporto non trovi più nulla per cui lottare. Questo è ciò che mi farebbe soffrire” concluse, gli occhi umidi.

“Scusami, amore” Yifenzio la strinse di nuovo a sé. “Non volevo intristirti, anzi. Sei la Venere nei Gemelli che ho sempre sognato di avere al mio fianco”.

“Cavoli, sganci le munizioni pesanti” si ringalluzzì lei.

E così, per lasciarsi alle spalle una conversazione affatto spensierata, iniziarono a chiacchierare d’altro. Marta gli riferì i lusinghieri giudizi che il procuratore Stella aveva espresso sul suo operato di vice questore aggiunto. Tale carica le impediva di scendere nei dettagli riguardo ai casi che le erano affidati, ma a Yifenzio bastò osservarla gesticolare animatamente, lo sguardo fiero e brillante, per capire che la ragazza non mentiva dichiarandosi soddisfatta del suo lavoro. Di contro, ricambiò le confidenze parlandole diffusamente delle fondazioni benefiche che egli gestiva, del rifugio per animali salvati dalla strada o dal macello che stava aprendo e di alcuni titoli azionari in cui, dietro suggerimento del suo consulente di fiducia, intendeva investire.

“Chionsù dovrebbe saperne più del diavolo. Perché non chiedi un suo parere?” lo interruppe Marta, cinicamente. “Come sia riuscito ad accumulare tutti quei soldi e a costruire un simile impero finanziario resta un mistero” si corrucciò.

“Martina-stellina, Chionsù è stato sempre prosciolto da qualsiasi accusa di collusione con la mafia gli sia stata rivolta. E di insinuazioni ce ne sono state molte, fidati. Lo conosco da almeno dieci anni. So che dall’esterno può dare quell’impressione, ma è un imprenditore onesto. Uno dei pochi, in Italia” sospirò. “Credi davvero che potrei essere amico di un delinquente e avere al contempo la coscienza pulita?”

“Non ho dubbi sulla tua buona fede, oh mio bronzo di Riace. È lui che non mi convince. Non dimenticherò mai le sue minacce di rovinarmi la carriera” mugugnò.

“A sua discolpa, credeva che tu fossi un avvocato” soffocò un risolino. “Ma devi anche capirlo, in quella particolare occasione era fuori di sé. Chiunque avrebbe dato di matto, al suo posto”.

“Sì, beh, era necessario” ammise controvoglia lei. “Fosse dipeso esclusivamente da me o da Yeollo, non avremmo mai fatto piangere un bambino dolce come Yiscing. Povero piccolo, mi si era stretto il cuore a vederlo così disperato” frullò le ciglia. “A proposito, come se la passa? Hai sentito Suha di recente?”

“Ah-ah, ecco cosa stavo dimenticando di dirti!” si batté una mano sulla fronte. “Fortuna che l’hai nominata. Mi ha telefonato ieri, vorrebbe organizzare un pranzo o una cena a casa loro, invitando i promessi sposini, noi due, Yeollo, Giongdè e Zio Tao. I nostri assistenti stanno cercando da questa mattina alle sette di fissare un giorno che si incastri con gli impegni di tutti”.

“Beati voi riccastri VIP che avete qualcuno che vi organizza l’agenda” gli rifilò un buffetto sul naso. “La mia segretaria si limita solo agli appuntamenti di lavoro”.

“Ma tesoro, tu sei una dipendente statale mangiapane a ufo” sghignazzò Yifenzio. “Vorresti pure che i contribuenti ti pagassero uno schiavo extra, eh?”

“Perché no? Il potere corrompe; il potere assoluto è piuttosto gradevole” chiosò lei, citando una massima di John Lehman. Si guadagnò un’occhiata di apprezzamento da parte del compagno. “Comunque, telefonerò a Suha per ringraziarla dell’invito. Diffido del marito, mentre lei è una donna così carina! Potrebbe essere mia sorella, ha solo dodici anni più di me. E ha un gran senso dello stile. Mi sa che con l’occasione le chiederò di passarmi il numero del sarto da cui si fa confezionare gli abiti” soppesò.

“Avevo capito che l’abito per il matrimonio già ce l’hai” ribatté lui, perplesso.

“Dimentichi che sono un’alta funzionaria dello Stato e che devo vestirmi all’altezza del mio incarico. E poi, se non sbaglio, quando mi sono rivolta a Zio Tao per rinnovare la mia collezione di lingerie non hai avuto di che lamentarti” fece le fusa come una gatta, gustandosi il velo d’imbarazzo che costrinse Yifenzio ad abbassare gli occhi.

Zio Tao, infatti, era un celebre modello di Victoria’s Secret. Lo era stato, almeno, fino a quando il proprietario del marchio aveva dichiarato che mai nessuna modella transgender avrebbe sfilato per la griffe. Indignato da cotanta grettezza e incoraggiato da Giongdè, che oltre ad essere il suo fidanzato lavorava come fotografo di moda, Zio Tao aveva interrotto la collaborazione con Victoria’s Secret e da qualche mese era diventato il volto di La Perla, un esclusivo e costosissimo marchio di biancheria intima. Conosciutisi durante quel Ferragosto di tregenda di due anni prima, che aveva visto il povero Gionghin rischiare di rimetterci la pelle e Sehunno votarsi ad una quasi vedovanza anzitempo, il modello e la dottoressa Vincisguerra erano rimasti in contatto e si erano rivisti spesso per un caffè -talvolta invitando i rispettivi partner- e qualche sessione di shopping sfrenato.

 

 

Quando il sole iniziò a declinare verso ovest, Yifenzio si stiracchiò e dichiarò che era giunta l’ora dell’aperitivo. Offrì della birra fredda di frigo a Marta, che però rifiutò con un sorriso birichino, sottilmente divertito. Yifenzio si rese conto che quel giorno la ragazza sembrava avere diversi motivi per sorridere. Raramente l’aveva vista così serena, addirittura raggiante. Benché fosse pronta al riso come lo era al pianto, il suo non era un carattere che si potesse definire smaccatamente solare o gioioso. Che ci fosse un segreto dietro a quella felicità? In tal caso, Yifenzio sperava che in qualche modo lo coinvolgesse. Anzi, sperava di renderla lui stesso più felice che mai. E forse… forse era arrivato il momento di tentare.

La bottiglia di birra era ancora piena a metà quando si decise. La posò a terra, ignorando lo sguardo interrogativo della ragazza. Doveva prepararsi mentalmente, prendere coraggio. Certe domande fanno paura perché non se ne conoscono in anticipo le risposte; ma nella paura germoglia anche la bellezza. Inspirò a fondo, ad occhi chiusi. La mano destra tornò sulla tasca anteriore dei jeans, svelandone il contenuto: una scatolina dal coperchio bombato in velluto verde. Espirando, aprì gli occhi.

Marta, seduta davanti a lui, lo fissava con un’espressione attonita. Basita. Allucinata. Lentamente, battendo le palpebre come per mettere a fuoco la scena, indicò la scatola. “Non… cosa-?” farfugliò, sotto shock.
Yifenzio sollevò il coperchio. Un solitario in oro bianco, con una splendida acquamarina azzurro ghiaccio incastonata al centro, si affacciava dal suo guscio di raso bianco, ornato da una scritta dorata che riportava il nome della gioielleria in cui era stato comprato.

“Apparteneva a Irina, la mia nonna materna. Era un cimelio di famiglia” Yifenzio usò un tono di voce molto basso, tranquillizzante. Quelle sì che erano munizioni pesanti, e lo sapeva. “Lo regalò a mia madre in occasione del suo matrimonio. Quando avevo quindici o sedici anni, lei lo diede a me, pregandomi di regalarlo alla persona che un giorno avrei desiderato sposare”.

“Persona, eh?” riuscì a dire Marta. “Non la donna”.

“Mi conosceva bene”.

“Doveva essere una donna molto intelligente” mormorò lei, aprendosi in un sorriso. “È un peccato non aver potuto conoscerla”.

“Sareste andate d’amore e d’accordo” la mano di lui tremò. Il taglio sfaccettato dell’acquamarina rendeva la pietra liquida e cangiante. Viva. “Che ne dici, dottoressa? Mi vorresti sposare e trasferirti in questa grande casa che aspetta soltanto te e che potrai riempire con tutti i cani e gatti del mondo?” domandò in un soffio.

“Tesoro…” Marta non ebbe il tempo di terminare la frase. La suoneria del suo cellulare frantumò l’idillio e spazzò via la tensione creatasi. “Oh, per l’amor del cielo” sbuffò lei, frugando nella borsa come sempre piena all’inverosimile. “Scusami, ci metto un secondo- sì, pronto?” rispose seccamente. Rimase un attimo in silenzio. “Dice sul serio? Adesso? Non si può rimandare a domani? Ah, è urgente. Addirittura” esclamò con evidente sarcasmo. “Sì, Pancrazia, so che non dipende da lei. Perdoni il mio tono sgarbato. Se mi assicura che la questione deve essere risolta entro stasera, mi metto subito in cammino. Tra mezzora sarò in Questura. Grazie per avermi avvisata con tanta sollecitudine. Buonasera anche a lei” riattaccò.

“Pancrazia?!” strabuzzò gli occhi Yifenzio.

“È il nome della mia segretaria. Mi hanno detto che fuori dal lavoro si fa chiamare Laura. Non la biasimo” alzò le spalle. “Amore, purtroppo ho una faccenda da risolvere. Niente di grave, una delle solite trafile burocratiche che ammorbano l’amministrazione pubblica: se non c’è la mia firma su un tal documento in carta bollata potrebbe cadere il mondo. Devo correre in ufficio”.

“Oh” Yifenzio curvò le spalle, visibilmente abbattuto. “Certo, vai pure”.

“Non preoccuparti, torno presto. Nel giro di un’ora mi riavrai di nuovo tra i piedi. E festeggeremo come si deve” ridacchiò.

Lui si mise sull’attenti, una luce speranzosa nello sguardo. “Significa che-?” si illuminò.

“Hai davvero creduto che avrei detto di no?”

Yifenzio la prese tra le braccia e, alzatosi in piedi, la sollevò in aria girando su se stesso. Risero, tubarono sciocchezze, ci scappò persino una lacrimuccia.

“Mi auguro che non ti dispiaccia bere champagne da solo. Temo che per un po’ non mi sarà permesso toccare una goccia d’alcol” ammiccò Marta quando i suoi piedi toccarono di nuovo terra.

Yifenzio si sentì venir meno le forze. Smarrito, cercò gli occhi della compagna. “Non stai male, vero? È una nuova dieta che segui, o cose del genere?”

“Risposta negativa ad entrambi i quesiti. Volevo darti la notizia proprio stasera, ma poi mi hai rubato la scena” sorrise come mai le era successo prima. Si sporse a baciarlo sulla guancia. “Ti ho mentito sulla sindrome premestruale: sono incinta. Di sei settimane”.

A Yifenzio quasi cascò la mascella. “Sei… incinta. Avremo un bambino?” balbettò con l’aria di chi è stato onorato da un’apparizione divina.

“Ho ritirato le analisi stamattina” confermò lei. “Mi sembrava brutto comunicartelo per telefono. Meglio di persona, no?”

L’abbraccio stritolante con cui il fidanzato la avviluppò fu una risposta più che sufficiente. “Mi sa che hai vinto tu” le mormorò all’orecchio. “La tua sorpresa è infinitamente, straordinariamente, fantasmagoricamente più bella della mia”.

Tornarono a guardarsi negli occhi. La risata che seguì fu spontanea, sonora, frizzante come le bollicine che non avevano bevuto.

“Prepariamoci, però. Nella mia famiglia nascono spesso gemelli” lo avvertì Marta.

“Adoro i gemelli” replicò lui baciandole la fronte.

In quell’istante, un pensiero identico attraverso la mente di entrambi: c’era da sperare che il bambino non decidesse di nascere proprio il giorno del matrimonio di Gionghin e Sehunno. Non si era mai vista la testimone di uno degli sposi entrare in travaglio durante il lancio del bouquet… Ma chissà.

C’è sempre una prima volta.

 

 

 

 

Continuo a non saper scrivere romance etero (manco quello gay, s’è per questo). Perdonatemi.

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