Ribadisco quanto scritto
nell’introduzione, ovvero che prima
di affrontare questa ficcy è necessario leggere il prequel,
che trovate qui: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3688739&i=1.
Faceva caldo per essere
l’inizio di aprile. Il cielo,
misericordiosamente privo di foschia, si mostrava fiero nella sua
più sfavillante
sfumatura di azzurro. Non una nuvola si decideva ad oscurare il sole,
che quel
pomeriggio picchiava davvero forte. Una lieve brezza, poco
più che un alito di
vento, faticava a mitigare l’arsura quasi estiva
dell’aria. L’unico refrigerio
era offerto dall’ombra, invero generosa, dei possenti olmi,
pioppi, tigli e
faggi che affollavano il parco circostante Villa Wu.
A goderne erano due persone, sedute
su una panchina in ferro
battuto posta proprio sotto le fronde cascanti di un salice piangente.
La prima,
va da sé, era il celebre e ricchissimo padrone di casa,
Yifenzio Wu. La seconda
era una giovane donna sotto la trentina, dai capelli rosso rame,
intenta a
sbuffare come un mantice difettoso: Marta Vincisguerra, vice questore
aggiunto
di Padova.
“Vado a prenderti qualcosa
di fresco da bere, tesoro?”
propose ad un certo punto lui, a suo agio in jeans e golfino leggero.
“Ti vedo
sofferente”.
“No, grazie, tra poco mi
passa. Potrebbero essere le
scaldane da sindrome premestruale, mi capitano spesso”
spiegò lei, in top
sbracciato e pantaloni di tela, sventolandosi con le mani.
“Dove hai dimenticato il
ventaglio?” sorrise intenerito. “Di
solito ce l’hai sempre in borsetta”.
“Taci va’, mi si
è rotto qualche tempo fa e non ne ho ancora
comprato uno nuovo!” esclamò. “Speravo
che il clima si sarebbe dimostrato
clemente almeno per un altro mesetto. E poi ci ero affezionata,
l’avevo preso a
Siviglia durante l’Erasmus. Non so se ne troverò
uno altrettanto bello” si
imbronciò.
“Beh, non si può
mai dire nella vita” finse un tono vago.
“Mi piacerebbe andare in Andalusia, non ci sono mai stato. Se
quest’estate non
hai impegni, potremmo organizzare un viaggetto in terra iberica e tu
potresti
farmi da cicerone. Se ti va, ovvio”.
Marta sorrise.
“Perché no? Anche Cordova e Toledo meritano
una visita. E Madrid, certo. Città un po’ asettica
ma piena zeppa di musei
spettacolari. Davvero ti piacerebbe? Non lo dici solo per darmi una
scusa per
tornare a Siviglia e fare razzia di ventagli artigianali?”
gli rifilò una
gomitata lieve, affettuosa.
“Si chiama ‘unire
l’utile al dilettevole’, tesoro mio: da
una parte ti vizio, dall’altra scopro un Paese che mi
affascina” la attirò in
un abbraccio.
“Trovi che sia utile
viziarmi? Prenderò nota” ridacchiò lei
contro il suo petto. “Comunque, è meglio che ti
prepari sin da ora. Non
aspettarti la natura lussureggiante o i panorami della Corsica; quelli
sono
ineguagliabili”.
“Ah, la Corsica”
sospirò Yifenzio con aria nostalgica. “La
nostra prima vacanza insieme”.
“Ne parli come se fosse
passato un secolo. Stiamo insieme
soltanto da un anno e mezzo, amore”.
“Che vuoi farci? Sono un
sentimentale; i ricordi felici mi
toccano il cuore” le accarezzò i capelli.
“Sicura di non volere una bibita?
Bechiòn ha preparato una limonata buonissima”.
“Magari dopo. Voglio
restare aggrappata a te come un koala
al suo eucalipto, per il momento” scherzò Marta.
“A proposito. Non mi è
sembrato di vederlo, oggi”.
“Gli ho dato mezza giornata
libera. Abbiamo la casa tutta
per noi” ammiccò allusivo. “Ho pensato
che per cena potremmo cucinare qualcosa
insieme, o magari ordinare dal take-away”.
“E costringere il fattorino
a scarpinare su per la collina?
Poveretto, evitiamo. Se hai delle zucchine, del pesto, qualche patata e
la
sfoglia di Giovanni Rana possiamo preparare le famose lasagne
vegetariane di
mio papà. E al diavolo la dieta”.
“Così ti
voglio” la strinse. “Ti metteresti quel grembiulino
che mi piace tanto…?” propose in un mezzo sussurro.
“Solo se anche tu metti
quello che piace a me” gli strizzò
l’occhio.
Si scambiarono un bacio e rimasero
abbracciati, con la testa
di lei incastrata tra il mento e il collo di lui. Non era ancora la
stagione
delle cicale, ma il frusciare sottile delle foglie mosse dalla brezza e
lo
zampillio d’acqua delle fontane costituivano un sottofondo
decisamente più
gradevole.
La vita sembrava così
facile, immersi in quella pace. La
dottoressa Vincisguerra amava Villa Wu, il grande giardino
all’inglese, la
quiete della natura tutt’intorno. In particolare (ammetterlo
la imbarazzava un
po’) amava il proprietario di tutto quel ben di Dio, difetti
compresi e
nonostante la sua notevole avvenenza. Normalmente gli uomini molto
belli la
innervosivano e non le ispiravano fiducia. Yifenzio l’aveva
conquistata non
avendo paura di mostrarsi a lei per quello che era: un uomo in fin dei
conti
timido, a tratti impacciato, elegantemente indolente, filantropo, dalla
mente
vivace, suscettibile, testardo, ambizioso e cortese. Che avesse un
fisico da
sballo, il volto da modello di Vogue
e un delizioso villino Liberty arredato con gusto e dedizione di certo
aiutava
a renderlo uno degli uomini più appetibili sullo spietato
mercato dei single a
caccia. Eppure, tra tanti possibili candidati, quella specie di Tony
Stark
venuto dall’Oriente aveva scelto come compagna una tipetta
fumantina,
all’occorrenza gelida, in perenne lotta con l’umido
clima padano-veneto,
introversa e fornita di lingua tagliente nonché dotata di un
appetito che
avrebbe reso insicuro un camionista cinquantenne.
Questa consapevolezza dava da pensare a Marta. Aveva troppa stima di
sé per
considerarsi inferiore o inadatta a Yifenzio; nondimeno, si sentiva
abbastanza
fortunata a ritrovarsi lui come fidanzato. Un uomo che si ricorda
sempre di
abbassare la tavoletta del water, crede fermamente nella
parità di genere,
adora i bambini e addirittura si ferma a chiedere indicazioni stradali
bisogna
tenerselo stretto. Questo, se non altro, le aveva consigliato sua madre
tempo
addietro.
“Ti rendi conto che ad
agosto saranno due anni?” domandò
d’un tratto Yifenzio, meditabondo. Pareva meravigliato
all’idea.
“A settembre, in
realtà. Ad agosto abbiamo iniziato ad
uscire insieme” puntualizzò lei. “Mi
aspetto un anello di fidanzamento entro
dicembre, sappilo” scoppiò a ridere.
Non poté vedere lo sguardo
che lui le piantò addosso,
trasudante panico e terrore. Né si accorse del tic nervoso
con cui la mano
destra di lui scattò verso il piccolo rigonfiamento della
tasca dei jeans. Non
si chiese nemmeno il perché del tremore nella sua voce; il
caldo e quella assolata
felicità le annebbiavano il raziocinio.
“Ma scusa, a dicembre non
si dovrebbero sposare Gionghin e
Sehunno?”
“Lo sai benissimo! Siamo
invitati entrambi. E io sono la
testimone di nozze di Gionghin, che diamine. Non me lo perderei per
nulla al
mondo” esclamò. “Ho comprato un vestito
favoloso. Con una coppia di sposi tanto
fighi, non posso mica sfigurare”.
“Chissà se il
testimone di Sehunno si sta facendo le tue
stesse pare mentali” insinuò malizioso Yifenzio.
“Glielo chiederai questo
sabato, se vuoi; l’ho invitato a
cena da me. Dovremmo parlare proprio del matrimonio e degli addii al
celibato
da organizzare, ma a Yeollo farà piacere se ti
aggreghi”.
“Dovrei essere
geloso?” scherzò. “Lavorate gomito a
gomito,
vi vedete a pranzo, vi scambiate consigli sul
look…”
“Siamo troppo amici per
essere altro, tesoro. Ed io piuttosto
che dovrei dire di Bechiòn, eh? Non è malaccio,
è giovane, efficiente, vive
persino qui” rispose a tono lei.
Bechiòn, in una vita
passata, era stato il rampollo di una
nota famiglia di impresari funebri. Una cattiva gestione degli affari e
l’incauta decisione di chiedere denaro in prestito a gente
poco raccomandabile
gli avevano tolto, cambiale dopo cambiale, l’azienda e il
lussuoso attico in
centro in cui aveva convissuto con la fidanzata, Minsocca. La quale
-era
saltato fuori durante un memorabile weekend trascorso a Villa Wu un
anno e
mezzo prima- si era rivelata una temibile spia sovietica ed era finita
nel
carcere di massima sicurezza di Sing Sing, da cui sarebbe uscita
soltanto
dentro ad una bara. Giacché la serie di sfortunati eventi
che aveva portato
alla cattura di Minsocca e, in qualche modo, anticipato il tracollo
finanziario
di Bechiòn era stata messa in moto dallo stesso Yifenzio,
l’uomo aveva
generosamente offerto all’ex becchino di ricoprire il ruolo
(vacante, dopo
l’arresto di Luigino) di maggiordomo personale nella sua
magione, vitto e
alloggio inclusi.
“Non è il mio
tipo d’uomo: troppo basso” ammise
candidamente.
“Ops, errore mio. A te
piacciono alti e un po’ elfi come
Yeollo, no?”
Yifenzio rispose cautamente.
“Beh, sì”. Si concesse una
pausa. “Marta. Per te non è un
problema… Insomma, non ti crea disagio sapere
che ho avuto storie con degli uomini?”
Lei sospirò.
“Abbiamo già affrontato l’argomento. Se
i tuoi
trascorsi sentimentali fossero un problema, credi che sarei ancora qui?”
si staccò
dall’abbraccio e prese le mani di Yifenzio tra le sue.
“Onestamente, a me non
frega una beneamata cippa di chi ti sei scopato prima di incontrarmi.
Sono
tutte storie finite, giusto? Questo mi interessa. Se scoprissi che hai
l’amante
-maschio o femmina che sia- sì che sarebbe un
guaio”.
Le iridi blu di lui si scurirono.
“Sono una persona fedele,
mi conosci. Non tradisco per principio”.
“Sei un’anima
antica” sorrise lei, guardandolo con
tenerezza. “Ti fa onore”.
Scosse la testa. “No. Sei
tu quella da ammirare. Non molte
donne accetterebbero di stare con un bisessuale. Ad alcune fa schifo,
sai,
l’idea che il loro uomo sia andato a letto con altri
uomini”.
“Beh, accetto il loro punto
di vista ma non lo condivido.
Yifenzio, dimentichi che io ho Venere nei Gemelli: non ho il mito della
famiglia tradizionale modello Mulino Bianco. Sono una ragazza trasgry,
che ti
credi” ammiccò con fare spiritoso.
“Parlando seriamente, tatuati nel cervello
quanto ti sto per dire. Non mi sentirò mai meno donna se
dovessi mollarmi per
un maschio. Non penso che tu sia un lurido puttaniere solo
perché ti piacciono
entrambi i sessi, come non penso che la tua sessualità ti
renda un traditore
seriale a prescindere. Le tentazioni capitano a tutti, è
inutile che ci
raccontiamo le favolette. Ciò che tiene insieme una coppia
è la volontà di
entrambi, scegliersi ogni giorno, crescere insieme, desiderare le
stesse cose.
Se tu mi lasciassi, mi importerebbe assai poco sapere il sesso
dell’altra o
dell’altro, perché vorrebbe dire che nel nostro
rapporto non trovi più nulla
per cui lottare. Questo è ciò che mi farebbe
soffrire” concluse, gli occhi
umidi.
“Scusami, amore”
Yifenzio la strinse di nuovo a sé. “Non
volevo intristirti, anzi. Sei la Venere nei Gemelli che ho sempre
sognato di
avere al mio fianco”.
“Cavoli, sganci le
munizioni pesanti” si ringalluzzì lei.
E così, per lasciarsi alle
spalle una conversazione affatto
spensierata, iniziarono a chiacchierare d’altro. Marta gli
riferì i lusinghieri
giudizi che il procuratore Stella aveva espresso sul suo operato di
vice
questore aggiunto. Tale carica le impediva di scendere nei dettagli
riguardo ai
casi che le erano affidati, ma a Yifenzio bastò osservarla
gesticolare
animatamente, lo sguardo fiero e brillante, per capire che la ragazza
non
mentiva dichiarandosi soddisfatta del suo lavoro. Di contro,
ricambiò le
confidenze parlandole diffusamente delle fondazioni benefiche che egli
gestiva,
del rifugio per animali salvati dalla strada o dal macello che stava
aprendo e
di alcuni titoli azionari in cui, dietro suggerimento del suo
consulente di
fiducia, intendeva investire.
“Chionsù
dovrebbe saperne più del diavolo. Perché non
chiedi
un suo parere?” lo interruppe Marta, cinicamente.
“Come sia riuscito ad
accumulare tutti quei soldi e a costruire un simile impero finanziario
resta un
mistero” si corrucciò.
“Martina-stellina,
Chionsù è stato sempre prosciolto da
qualsiasi accusa di collusione con la mafia gli sia stata rivolta. E di
insinuazioni ce ne sono state molte, fidati. Lo conosco da almeno dieci
anni.
So che dall’esterno può dare
quell’impressione, ma è un imprenditore onesto.
Uno dei pochi, in Italia” sospirò.
“Credi davvero che potrei essere amico di un
delinquente e avere al contempo la coscienza pulita?”
“Non ho dubbi sulla tua
buona fede, oh mio bronzo di Riace.
È lui che non mi convince. Non dimenticherò mai
le sue minacce di rovinarmi la
carriera” mugugnò.
“A sua discolpa, credeva
che tu fossi un avvocato” soffocò
un risolino. “Ma devi anche capirlo, in quella particolare
occasione era fuori
di sé. Chiunque avrebbe dato di matto, al suo
posto”.
“Sì, beh, era
necessario” ammise controvoglia lei. “Fosse
dipeso esclusivamente da me o da Yeollo, non avremmo mai fatto piangere
un
bambino dolce come Yiscing. Povero piccolo, mi si era stretto il cuore
a
vederlo così disperato” frullò le
ciglia. “A proposito, come se la passa? Hai
sentito Suha di recente?”
“Ah-ah, ecco cosa stavo
dimenticando di dirti!” si batté una
mano sulla fronte. “Fortuna che l’hai nominata. Mi
ha telefonato ieri, vorrebbe
organizzare un pranzo o una cena a casa loro, invitando i promessi
sposini, noi
due, Yeollo, Giongdè e Zio Tao. I nostri assistenti stanno
cercando da questa
mattina alle sette di fissare un giorno che si incastri con gli impegni
di tutti”.
“Beati voi riccastri VIP
che avete qualcuno che vi organizza
l’agenda” gli rifilò un buffetto sul
naso. “La mia segretaria si limita solo
agli appuntamenti di lavoro”.
“Ma tesoro, tu sei una
dipendente statale mangiapane a ufo”
sghignazzò Yifenzio. “Vorresti pure che i
contribuenti ti pagassero uno schiavo
extra, eh?”
“Perché no? Il
potere corrompe; il potere assoluto è
piuttosto gradevole” chiosò lei, citando una
massima di John Lehman. Si
guadagnò un’occhiata di apprezzamento da parte del
compagno. “Comunque,
telefonerò a Suha per ringraziarla dell’invito.
Diffido del marito, mentre lei
è una donna così carina! Potrebbe essere mia
sorella, ha solo dodici anni più
di me. E ha un gran senso dello stile. Mi sa che con
l’occasione le chiederò di
passarmi il numero del sarto da cui si fa confezionare gli
abiti” soppesò.
“Avevo capito che
l’abito per il matrimonio già ce
l’hai”
ribatté lui, perplesso.
“Dimentichi che sono
un’alta funzionaria dello Stato e che
devo vestirmi all’altezza del mio incarico. E poi, se non
sbaglio, quando mi
sono rivolta a Zio Tao per rinnovare la mia collezione di lingerie non
hai
avuto di che lamentarti” fece le fusa come una gatta,
gustandosi il velo
d’imbarazzo che costrinse Yifenzio ad abbassare gli occhi.
Zio Tao, infatti, era un celebre
modello di Victoria’s
Secret. Lo era stato, almeno, fino a quando il proprietario del marchio
aveva
dichiarato che mai nessuna modella transgender avrebbe sfilato per la griffe. Indignato da cotanta grettezza e
incoraggiato da Giongdè, che oltre ad essere il suo
fidanzato lavorava come
fotografo di moda, Zio Tao aveva interrotto la collaborazione con
Victoria’s
Secret e da qualche mese era diventato il volto di La Perla, un
esclusivo e
costosissimo marchio di biancheria intima. Conosciutisi durante quel
Ferragosto
di tregenda di due anni prima, che aveva visto il povero Gionghin
rischiare di
rimetterci la pelle e Sehunno votarsi ad una quasi vedovanza anzitempo,
il
modello e la dottoressa Vincisguerra erano rimasti in contatto e si
erano
rivisti spesso per un caffè -talvolta invitando i rispettivi
partner- e qualche
sessione di shopping sfrenato.
Quando il sole iniziò a
declinare verso ovest, Yifenzio si
stiracchiò e dichiarò che era giunta
l’ora dell’aperitivo. Offrì della birra
fredda di frigo a Marta, che però rifiutò con un
sorriso birichino, sottilmente
divertito. Yifenzio si rese conto che quel giorno la ragazza sembrava
avere
diversi motivi per sorridere. Raramente l’aveva vista
così serena, addirittura
raggiante. Benché fosse pronta al riso come lo era al
pianto, il suo non era un
carattere che si potesse definire smaccatamente solare o gioioso. Che
ci fosse
un segreto dietro a quella felicità? In tal caso, Yifenzio
sperava che in
qualche modo lo coinvolgesse. Anzi, sperava di renderla lui stesso
più felice
che mai. E forse… forse era arrivato il momento di tentare.
La bottiglia di birra era ancora
piena a metà quando si
decise. La posò a terra, ignorando lo sguardo interrogativo
della ragazza. Doveva
prepararsi mentalmente, prendere coraggio. Certe domande fanno paura
perché non
se ne conoscono in anticipo le risposte; ma nella paura germoglia anche
la
bellezza. Inspirò a fondo, ad occhi chiusi. La mano destra
tornò sulla tasca
anteriore dei jeans, svelandone il contenuto: una scatolina dal
coperchio
bombato in velluto verde. Espirando, aprì gli occhi.
Marta, seduta davanti a lui, lo
fissava con un’espressione attonita.
Basita. Allucinata. Lentamente, battendo le palpebre come per mettere a
fuoco
la scena, indicò la scatola. “Non…
cosa-?” farfugliò, sotto shock.
Yifenzio sollevò il coperchio. Un solitario in oro bianco,
con una splendida
acquamarina azzurro ghiaccio incastonata al centro, si affacciava dal
suo
guscio di raso bianco, ornato da una scritta dorata che riportava il
nome della
gioielleria in cui era stato comprato.
“Apparteneva a Irina, la
mia nonna materna. Era un cimelio
di famiglia” Yifenzio usò un tono di voce molto
basso, tranquillizzante. Quelle
sì che erano munizioni pesanti, e lo sapeva. “Lo
regalò a mia madre in
occasione del suo matrimonio. Quando avevo quindici o sedici anni, lei
lo diede
a me, pregandomi di regalarlo alla persona che un giorno avrei
desiderato
sposare”.
“Persona, eh?”
riuscì a dire Marta. “Non la
donna”.
“Mi conosceva
bene”.
“Doveva essere una donna
molto intelligente” mormorò lei,
aprendosi in un sorriso. “È un peccato non aver
potuto conoscerla”.
“Sareste andate
d’amore e d’accordo” la mano di lui
tremò. Il
taglio sfaccettato dell’acquamarina rendeva la pietra liquida
e cangiante.
Viva. “Che ne dici, dottoressa? Mi vorresti sposare e
trasferirti in questa
grande casa che aspetta soltanto te e che potrai riempire con tutti i
cani e gatti
del mondo?” domandò in un soffio.
“Tesoro…”
Marta non ebbe il tempo di terminare la frase. La
suoneria del suo cellulare frantumò l’idillio e
spazzò via la tensione
creatasi. “Oh, per l’amor del cielo”
sbuffò lei, frugando nella borsa come
sempre piena all’inverosimile. “Scusami, ci metto
un secondo- sì, pronto?”
rispose seccamente. Rimase un attimo in silenzio. “Dice sul
serio? Adesso? Non
si può rimandare a domani? Ah, è urgente.
Addirittura” esclamò con evidente
sarcasmo. “Sì, Pancrazia, so che non dipende da
lei. Perdoni il mio tono
sgarbato. Se mi assicura che la questione deve essere risolta entro
stasera, mi
metto subito in cammino. Tra mezzora sarò in Questura.
Grazie per avermi
avvisata con tanta sollecitudine. Buonasera anche a lei”
riattaccò.
“Pancrazia?!”
strabuzzò gli occhi Yifenzio.
“È il nome della
mia segretaria. Mi hanno detto che fuori
dal lavoro si fa chiamare Laura. Non la biasimo”
alzò le spalle. “Amore,
purtroppo ho una faccenda da risolvere. Niente di grave, una delle
solite
trafile burocratiche che ammorbano l’amministrazione
pubblica: se non c’è la
mia firma su un tal documento in carta bollata potrebbe cadere il
mondo. Devo
correre in ufficio”.
“Oh” Yifenzio
curvò le spalle, visibilmente abbattuto.
“Certo, vai pure”.
“Non preoccuparti, torno
presto. Nel giro di un’ora mi
riavrai di nuovo tra i piedi. E festeggeremo come si deve”
ridacchiò.
Lui si mise sull’attenti,
una luce speranzosa nello sguardo.
“Significa che-?” si illuminò.
“Hai davvero creduto che
avrei detto di no?”
Yifenzio la prese tra le braccia e,
alzatosi in piedi, la
sollevò in aria girando su se stesso. Risero, tubarono
sciocchezze, ci scappò
persino una lacrimuccia.
“Mi auguro che non ti
dispiaccia bere champagne da solo.
Temo che per un po’ non mi sarà permesso toccare
una goccia d’alcol” ammiccò Marta
quando i suoi piedi toccarono di nuovo terra.
Yifenzio si sentì venir
meno le forze. Smarrito, cercò gli
occhi della compagna. “Non stai male, vero? È una
nuova dieta che segui, o cose
del genere?”
“Risposta negativa ad
entrambi i quesiti. Volevo darti la
notizia proprio stasera, ma poi mi hai rubato la scena”
sorrise come mai le era
successo prima. Si sporse a baciarlo sulla guancia. “Ti ho
mentito sulla sindrome
premestruale: sono incinta. Di sei settimane”.
A Yifenzio quasi cascò la
mascella. “Sei… incinta. Avremo un
bambino?” balbettò con l’aria di chi
è stato onorato da un’apparizione divina.
“Ho ritirato le analisi
stamattina” confermò lei. “Mi
sembrava brutto comunicartelo per telefono. Meglio di persona,
no?”
L’abbraccio stritolante con
cui il fidanzato la avviluppò fu
una risposta più che sufficiente. “Mi sa che hai
vinto tu” le mormorò
all’orecchio. “La tua sorpresa è
infinitamente, straordinariamente,
fantasmagoricamente più bella della mia”.
Tornarono a guardarsi negli occhi. La
risata che seguì fu
spontanea, sonora, frizzante come le bollicine che non avevano bevuto.
“Prepariamoci,
però. Nella mia famiglia nascono spesso
gemelli” lo avvertì Marta.
“Adoro i gemelli”
replicò lui baciandole la fronte.
In quell’istante, un
pensiero identico attraverso la mente
di entrambi: c’era da sperare che il bambino non decidesse di
nascere proprio
il giorno del matrimonio di Gionghin e Sehunno. Non si era mai vista la
testimone di uno degli sposi entrare in travaglio durante il lancio del
bouquet… Ma chissà.
C’è sempre una
prima volta.
Continuo a non saper scrivere romance
etero (manco quello
gay, s’è per questo). Perdonatemi.
Una cliccatina è sempre
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