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Autore: DeaPotteriana    01/04/2019    0 recensioni
Nessun mostro mi aveva mai prestato attenzione. Fu per questo che per tutta la mia vita ignorai di essere una semidea. Pensavo di essere una ragazza un po' sfortunata, forse, ma nel complesso abbastanza normale.
Fu una gioia scoprire di essermi sbagliata per quindici anni, sì.
Una vera gioia.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chirone, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
 

Nessun mostro mi aveva mai prestato attenzione. Fu per questo che per tutta la mia vita ignorai di essere una semidea. Pensavo di essere una ragazza un po' sfortunata, forse, ma nel complesso abbastanza normale.

Fu una gioia scoprire di essermi sbagliata per quindici anni, sì. 

Una vera gioia.



 

Mi trasferii all'orfanotrofio Santa Maria tre giorni dopo la morte di mio padre, due ore dopo il funerale, nel quale ero stata costretta a dire addio all'unico genitore che avessi mai avuto. Quando entrai nella camera a cui ero stata assegnata e mi guardai attorno, scorgendo il mio futuro nelle espressioni astiose delle mie compagne, capii che non avrei mai potuto considerare quel posto la mia casa. Di conseguenza, me ne sarei dovuta trovare un'altra.

Decisa come non mai ad andarmene da lì, non notai nemmeno che una delle giovani mi si era sistemata davanti. "Ehi, novellina," ghignò. "Benvenuta!"

Inizialmente mi ritrassi, senza capire se potermi fidare delle sue parole o se dover stare attenta alla sua espressione - più probabile la seconda, mi dissi. "Qual è il tuo nome?" mi domandò l'orfana e io mi schiarii la gola, raddrizzando la schiena e alzando il mento. 

"Katrina."

"Tory," sorrise lei, forse apprezzando la mia aria di sfida. Com'è che si deve fare con gli animali pericolosi? Dimostrarsi più grandi e pericolosi di loro?

"La tua vita sarà un inferno, qui."

Oppure ci si finge morti?

"Tory, Tory!" la chiamò un ragazzino dall'aria nervosa. "Ne è arrivata un'altra!"

Quella che sembrava a tutti gli effetti il capo dei giovani orfani si alzò, dandomi un colpo con il ginocchio e ridendo sguaiatamente. "Ci si vede, uragano!" mi salutò, poi uscì dalla stanza e mormorò qualcosa come: "Battezzatela."

Dopodiché tre ragazze, la cui età sarà stata più o meno come quella di Tory, sui diciassette anni, entrarono nella stanza. Due mi afferrarono per le braccia e mi costrinsero a sedere su una sedia di metallo pescata da chissà dove; mi tennero ferma, mentre la terza orfana afferrava le forbici e mi tagliava grandi ciocche sul lato destro della testa. Prima non lo avevo notato, ma avevano tutti i capelli di lunghezza asimmetrica, quasi si divertissero ad essere incasinati. Stavano per passare al lato sinistro del cranio quando la voce della Direttrice - che urlava qualcosa in un'altra stanza - le costrinse a desistere e a lasciarmi andare, prima di dileguarsi in fretta. Non sono fiera di come reagii, ma la verità è che venivo dritta dal funerale di mio padre ed ero allo stremo delle forze, sia quella fisica che quella psicologica. Perciò, anziché reagire come si sarebbero meritate, scivolai a terra e scoppiai in lacrime.

Quello che accadde dopo non lo dimenticherò mai.

Nella stanza entrò di corsa un ragazzo con le stampelle - sì, zoppicava molto velocemente -, seguito da una bambina non più grande di dodici anni. Mi squadrarono entrambi per un istante e poi il più grande chiuse di scatto la porta alle sue spalle. "Mi hanno mandato una squadra di supporto? Davvero mi credono così incapace?"

"Non ho idea di cosa tu stia dicendo, io sono appena arrivata," borbottai asciugandomi in fretta le lacrime e alzandomi da terra. 

Solo allora il giovane sembrò capire, perché mi guardò comprensivo e mi tolse dalle spalle alcune ciocche tagliate. "Non eri prevista," mi sussurrò. Aveva un viso particolare, un po' ovale, e grandi occhi castani dalle sfumature verdi, leggermente coperti da un cappellino da baseball. "Ma starai bene, vedrai."

Non mi andava molto di essere quella da consolare, soprattutto considerato che la bambina alle sue spalle era decisamente più piccola di me. 

"Ehm... Mi chiamo Vinny," si presentò il ragazzo, appoggiando il peso sulla stampella sinistra e porgendomi la mano destra. La afferrai con un sorriso, perché nonostante tutto mi sembrava degno di fiducia, e lui indicò la bambina con un cenno della testa. "Lei è Violet."

"Katrina, piacere."

Si susseguirono diversi rumori nel corridoio, che evidentemente convinsero Vinny che era ora di filarsela, perché imprecò e si avvicinò zoppicando alla finestra. "Che fortuna, se non ti fosse capitata una camera al pianoterra sarebbe stato più complicato."

Non mi ero mai considerata una persona baciata dalla buona sorte, ma in realtà che cos'è la fortuna, se non l'assenza di sfortuna?

Afferrai i miei pochi averi, disfando gli scatoloni per trovare le cose importanti, che racchiusi in uno zaino malmesso, buttandolo poi fuori dalla finestra, dritto sul prato. Dopo fu il mio turno e quello di Violet, che aiutai a scendere. Ero pronta ad aiutare anche Vinny, ma lui si calò con agilità, nonostante le ingombranti stampelle.

"È ora di andare!" esclamò; dall'orfanotrofio, intanto, si udirono grida di allarme. Mi voltai verso l'edificio e mi parve di vedere Tory squadrarci furiosa da una finestra. Doveva essere uno scherzo della mia mente, però, perché mi sembrò avesse gli occhi gialli e i denti affilati come zanne. 

Corremmo fino alla fermata dell'autobus più vicina, dove per fortuna riuscimmo a prendere la corriera che passava in quel momento. Eravamo ormai già alla fine della strada quando la Direttrice corse in strada, guardandosi attorno freneticamente.

"Dove andiamo?" domandò Violet con voce flebile. Era la prima volta che parlava e subito innescò in me un forte istinto di protezione. La bambina aveva uno splendido sorriso e i capelli ricci, una nuvola bionda che le arrivava fino a metà schiena - sarebbe stato un crimine rovinargliela. Mi toccai distrattamente il lato destro della testa e mi morsi il labbro. 

"Te li sistemeremo," promise Vinny, cercando di rassicurarmi. 

"Sei bella anche così," disse invece la piccola Violet.

Mi appoggiai allo schienale del sedile e lasciai che il mio sguardo scivolasse fuori dal finestrino, senza realmente fissare nulla. 

"Vi porterò in un posto," esordì ad un certo punto Vinny. "Vi assicuro che è magnifico e sarete al sicuro... E se vi troverete male sarete liberissime di andarvene."

L'alternativa era l'orfanotrofio, alla fin fine, quindi perché non fidarsi? Violet sembrò aver compiuto il mio stesso ragionamento, perché annuì insieme a me.

Scendemmo dall'autobus dopo quasi mezz'ora di tragitto e subito Vinny entrò nel negozio che ci trovammo di fronte. Ne uscì dieci minuti dopo, l'aria molto soddisfatta e una chiave tra le dita. "Ho noleggiato un'auto," spiegò. "E ora," sorrise mettendosi alla guida, "si parte!"

 

Eravamo in viaggio già da più di tre ore quando Vinny si schiarì la gola, attirando così la mia attenzione. Violet, distesa sui sedili posteriori, era crollata addormentata dopo solo mezz'ora di macchina, stravolta a causa dei recenti avvenimenti. La guardai con affetto, poi mi voltai e osservai il nostro "salvatore". "Da quanto tempo programmavi di scappare?" domandai, interrompendo sul nascere le sue parole. "Ehm... È una questione complicata," rispose senza distogliere lo sguardo dalla strada. "Mi prometti che aspetterai che io abbia finito, prima di darmi per matto? E... Ti prego, non scappare. Sto cercando di aiutarti, di aiutare entrambe."

Deglutii e mi morsi il labbro. Non era molto rassicurante, come premessa, ma quante volte ero stata presa ingiustamente per pazza o melodrammatica? Quando dicevo che tutte le persone che mi stavano vicine finivano per farsi male, quanti mi avevano derisa? O quando cercavo di convincerli che non fosse normale il mio desiderare tanto qualcosa e vederlo sempre - o quasi - avverarsi, quanti avevano riso?

"Cosa sai della mitologia greca?" domandò Vinny sistemandosi il cappellino da baseball, che aveva preferito tenere addosso, sebbene in auto non fosse necessario. 

Mi sforzai di scavare nella memoria. "Intendi Giove e quelli là? Da cui vengono i nomi dei pianeti?"

"Quelli sono romani. Sai, intendo... Odissea, Iliade... Ne sai qualcosa?"

Mi feci scrocchiare le dita, pensando. Qualcosa mi suonava dentro, come se fosse stato mio dovere ricordare. "La mela della discordia e Elena di Troia?" esitai e Vinny annuì. "Esatto."

Cercai di seguire quel filo della memoria. "Gli dei, mmm... Zeus, Era, Afrodite... Ehm... Ade," li contai con le dita di una mano, "Triton..."

"Poseidone! Ti prego, attenta a non confonderli," mi riprese Vinny. "Tritone è suo figlio." 

Io continuai, imperterrita. "Ares, Atena, Bac-Dioniso e... Boh. Eris, Apollo... Gli altri non me li ricordo, mi dispiace."

"Beh, è già qualcosa, suppongo," sospirò il ragazzo. "Devi sapere che sono reali, tutti loro. Vivono ancora e, come facevano un tempo, si - ehm - dilettano con i mortali e ci fanno figli, che si allenano e combattono con le spade, le lance, gli scudi... Questo genere di cose. Imparano anche a gestire i loro poteri."

Rimase qualche secondo in silenzio, mentre io cercavo di elaborare ciò che mi aveva appena detto. "Tu e Violet siete due di questi figli, capisci, e il mio compito è portarvi in salvo al Campo Mezzosangue, dove sarete al sicuro dai mostri. Sai, più il tuo genitore divino è potente, più mostri attiri. A proposito, il mio olfatto mi dice che non sei né forte, né troppo debole... Però nessuno ti ha mai trovata... Immagino sia stata questione di fortuna."

Fortuna. Certo.

I miei pensieri corsero al funerale di quello stesso giorno e, scivolando indietro nel tempo, al momento in cui ero stata chiamata a scuola. Non avevo mai visto la preside così umana.

"Katrina."

"Tu sei matto," sbottai. 

"No, io... Senti, che bisogno avrei di mentirti? E poi, dimmi la verità, non ti è mai capitato niente di strano, di inspiegabile?"

Dovette leggere la mia espressione, perché sorrise. "Non ti sei mai sentita diversa rispetto a tutti gli altri?"

Altro sale sulla ferita.

"Sei dislessica? Iperattiva?"

"Okay, mi stai spaventando," mormorai sforzandomi di ridere come se fosse uno scherzo divertente. 

Vinny mi fissò, serissimo. "Katrina..."

"Guarda la strada, ti prego."

Il ragazzo eseguì. "Vuoi scendere?" domandò cambiando la marcia e rallentando progressivamente. 

Accostò sul ciglio della strada e si appoggiò meglio al sedile, mentre io lanciavo un'occhiata a Violet, ancora addormentata. Dopodiché squadrai il paesaggio fuori dal finestrino. "Per andare dove? Senza soldi o documenti... Ho quindici anni, mi riporterebbero dritta all'orfanotrofio... O peggio."

Vinny sembrò soddisfatto. "È già qualcosa. Quando arriveremo al Campo ti convincerai che sto dicendo la verità."

Poi rimise in moto e il viaggio ricominciò. 

 

Passarono altre due ore, in cui restai ostinatamente in silenzio. "E allora dimmi," mormorai ad un certo punto, "tu di chi sei figlio, eh?"

"Io non sono un semidio, sono un..."

Ma la sua voce prima si affievolì e poi scemò del tutto, perché dalla parte anteriore della macchina si udì uno scoppio. Del fumo cominciò a salire dal motore e Vinny accostò immediatamente a lato della carreggiata, per poi uscire dalla macchina e cercare di rimediare al danno.

"Con la meccanica me la cavo, di solito, però questo guasto... Ci vorrebbe un figlio di Efesto, io non sono in grado. Cavolo che sfortuna!" disse il giovane quando mi ci avvicinai. 

"Ovvio," borbottai in risposta - non ne potevo più. "Perché deve sempre andare male?!" imprecai verso il cielo. 

In tutta risposta cominciò a piovere. "Perfetto, davvero perfetto."

Intimai a Vinny di entrare in auto, all'asciutto, perché avrei sistemato io le cose, ma appena mi lasciò sola mi sentii peggio di prima. Mi sporsi verso la strada deserta e alzai il pollice, scostandomi con l'altra mano i capelli fradici dal volto. Dopo dieci minuti passati a congelarmi, alzai lo sguardo al cielo e chiusi gli occhi. "Okay, probabilmente Vinny è un matto e io un'idiota credulona, ma se - e dico se - avesse ragione, beh..."

Forse mi sarei solo dovuta buttare.

"Mamma? Se sei davvero una dea, chiunque tu sia, aiutami. Abbiamo bisogno di un passaggio di fortuna per arrivare al Campo."

Forse fu un caso, ma la pioggia si fermò, lasciandomi sorpresa; fu il rumore di un clacson a ridestarmi dai miei pensieri.

"Katrina!" urlò Vinny uscendo di scatto dall'auto, spaventato, mentre io mi scansavo con un salto dalla traiettoria di un camioncino dall'aria malmessa. Il finestrino del guidatore si aprì e un volto paffuto ne fece capolino. "Stai bene?"

I miei piedi erano immersi in una pozzanghera, ma sarebbe potuto essere peggio, perciò annuii con un gesto frenetico, mentre Vinny mi raggiungeva seguito da Violet, appena svegliata. 

"Avete bisogno di un passaggio?" ci chiese sorpreso l'uomo. Forse non si aspettava di vedere tre ragazzini da soli per la strada - non che avesse tutti i torti, eh!

"Siete fratelli?" indagò l'uomo, squadrandoci con attenzione. Cercai di immaginarci ai suoi occhi e quasi scoppiai a ridere. Violet era bionda e riccia, la pelle un po' abbronzata e il fisico ancora acerbo; Vinny era grosso, moro e con il viso completamente diverso, così come la carnagione. Io, d'altro canto, avevo sempre avuto un fisico abbastanza tonico, magro ma forte. Mio padre mi diceva spesso che ero perfetta per essere un piccolo soldato. Per quanto riguardava il viso, i capelli erano lunghi e mossi, neri come la notte; gli occhi, invece, erano di un bel color ambra - incredibile quanto poco avessi preso da mio padre, sul piano fisico. Mi impedii di pensare a lui, altrimenti la tristezza avrebbe minacciato di sopraffarmi.

"In realtà Johnny," mentii indicando Vinny, "è il mio ragazzo. Già da un anno, sa. Mentre Melissa," e indicai Violet, "è la sua cuginetta. Stiamo andando nella casa di campagna di suo padre, per una... Riunione di famiglia."

E sorrisi.

L'uomo non sembrava molto convinto; continuò a squadrarci, sospettoso, e io mi innervosii. Credimi, pensai. Tu mi crederai. Credimi.

"Okay, salite a bordo."

Violet ringraziò entusiasta, mentre Vinny mi afferrava per un braccio. "Cuginetta? Ragazzo?!"

"Taci. Ci ho appena procurato un passaggio."

La sfortuna può avere due effetti, nella vita di una persona: può costringerla a cedere o può spronarla a fare di più.

Io avevo appena fatto di più.





______________________

Buonasera a tutti! Prima parte su tre, quindi una storia breve a cui però tengo abbastanza. Ho avuto quest'idea anni fa, l'ho scritta anni fa, ma solo ora mi sono decisa a postarla, dopo aver riguardato PJ in un momento di insonnia ahah

Fatemi sapere cosa ne pensate :) (e se avete idea di chi sia il genitore divino di Katrina ;) )

  
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