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Autore: _happy_04    01/04/2019    4 recensioni
[ Ray/Norman | prompt da Fanwriter.it, "In vino veritas", 28. "Sono troppo sobrio per questo." | 2383 parole ]
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A quel punto, Ray si sarebbe aspettato che la giovane sparisse di nuovo, dedicandosi a qualche altro cliente; invece, quando abbassò il boccale – già pieno solo per due terzi – la trovò ancora davanti a sé, la testa reclinata di lato, una guancia sul palmo di una mano. Aggrottò le sopracciglia. «Che ci fai ancora qui?» disse semplicemente, probabilmente più brusco del necessario.
«È il mio lavoro.» rispose, altrettanta semplicità.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Emma, Norman, Ray
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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empty eyes.

Quella sera, il locale puzzava di fumo e di alcol – come tutte le altre, del resto. C’erano clienti che urlavano, che scommettevano, che chiacchieravano, altri che facevano efferate volgarità in preda alla sbronza.
In generale, la confusione dava fastidio a Ray. I suoni gli rimbombavano nelle orecchie, riempiendogli il cervello, impedendogli di pensare ad altro.
Tuttavia, quando vi andava la sera insieme a Norman, dopo l’ennesima estenuante settimana di università, spegnere la mente era proprio quello di cui aveva bisogno. Lasciar andare un po’ lo stress annegandolo in un boccale di birra e vaporizzandolo in una boccata di sigaretta, dire qualche sciocchezza che gli ronzasse in testa da del tempo, farsi quattro risate senza doversi preoccupare. Oltretutto, gli altri clienti erano così concentrati nelle proprie attività più o meno decorose che se pure avesse raccontato di un UFO atterrato per caso nel suo giardino nessuno ci avrebbe fatto troppo caso.
Questo era anche forse il motivo per cui non ci andava mai con altri se non con Norman. La maggior parte delle persone lo ritenevano un tipo serio e responsabile – insomma, aveva una certa dignità da conservare. Ma con Norman no – diavolo, si conoscevano da tanto tempo che aveva perso il conto di quante volte si fossero reciprocamente visti sbattere contro qualcuno o qualcosa perché troppo intenti nella lettura di un libro.
Come dire, con Norman era inutile nascondere qualsiasi segreto. Anche perché li avrebbe scoperti tutti nel giro di un istante.
O almeno, quasi tutti.
Questa era una di quelle sere, quelle in cui Ray aveva dato tre esami in due giorni ed era letteralmente a pezzi. Aveva avvertito il suo amico quando erano ancora in piedi, esordendo con un secco «Azzardati a parlarmi di diritto romano e ti spezzo il cranio in cento parti.»
«Quindi suppongo che sarebbe inutile chiederti di togliermi qualche curiosità sulla Ius Soli, giusto?» lo stuzzicò l’altro, sedendosi e poggiando il mento su una mano con quella fastidiosa luce negli occhi.
L’unica cosa che impedì a Ray di commettere un omicidio e sporcarsi la fedina penale quasi pulita fu l’arrivo di una cameriera dai corti capelli biondi, legati in due piccoli codini (evidentemente sapeva bene che era molto meglio non lasciar crescere troppo la chioma per la propria incolumità). «Buonasera, ragazzi! Cosa posso portarvi? I soliti boccali del venerdì sera?»
Il corvino sospirò e si lasciò cadere sulla sedia. «Ciao, Anna. Sì, grazie, il solito andrà più che bene.»
La giovane annuì, avviandosi nuovamente verso il banco, e tornò qualche minuto dopo con due alti boccali, pieni di un frizzante liquido color del grano sovrastato da uno spesso strato di schiuma bianca. Ray osservò Norman bere i primi sorsi, e il ragazzo gli lanciò un sorrisetto dall’aria dannatamente innocente. «Cosa c’è? Vuoi che vedere se per una volta mi ubriaco prima di te?»
Ray rispose con una risata sarcastica. «All’incirca; sai com’è, mi piacerebbe avere una foto di te che fai stronzate con cui poterti ricattare.»
Sul momento l’aveva detto come scherzo, ma entrambi sapevano che detestava profondamente quanto Norman reggesse l’alcol molto meglio di lui; quel demone con il viso da angelo lo prendeva in giro quasi costantemente per le scemenze che sparava da sbronzo, e Ray avrebbe pagato oro pur di poter controbattere con qualcosa di ancora peggiore.
E poi, forse, con un Norman ubriaco avrebbe avuto qualche speranza.
Repentino, Ray soppresse quel pensiero con un’energica sorsata di birra. Infinite volte si era detto che era il momento di piantarla, che il suo rapporto con Norman non si sarebbe mai evoluto in quel modo, che di questo passo si sarebbe solo fatto male. Eppure, continuava a cadere nella stessa vecchia trappola, come un animale debole e stupido che il cacciatore è così crudele da lasciare libero seppur menomato e ferito.
«Oggi le ragazze sono carine, eh?»
«Eh?» Ray poggiò di nuovo il bicchiere sul tavolo, in realtà non troppo sorpreso – era abituato a certe uscite di Norman, di quelle che metteva in mezzo giusto per farlo innervosire un po’. «Immagino di sì, ma credo che puntino più sul sabato sera che sul venerdì. E comunque non c’è bisogno di chiedermi un’opinione così. Lo sai che non mi interessano.»
«Oh, beh…» Norman bevve un altro sorso e si lanciò uno sguardo intorno, con quella sua insopportabile nonchalance. «Se è per questo, neanche i ragazzi sono male.»
Un impeto di rabbia misto ad una sorta di strano imbarazzo intrecciò un nodo alla bocca dello stomaco di Ray. «Tanto il più carino…» Bloccandosi appena in tempo, il ragazzo gettò a forza giù per la gola un fiotto di birra. Lo fa apposta per farmi dire cose scomode.
Norman alzò un sopracciglio, perplesso. «“Il più carino…”?»
«Lo spogliarello là dietro.» improvvisò. Norman si voltò di scatto, cercando la direzione indicata dall’amico, il quale gli tirò un pugno sulla spalla, un ghigno stampato sul suo volto. «Hai guardato.»
Colto in flagrante, il biondo avvampò, ed era terribilmente piacevole da guardare – sia per la soddisfazione di averlo colto alla sprovvista, sia perché era così dannatamente adorabile. «E tu lo hai fatto apposta per farmi guardare!»
Quello scrollò le spalle. «Scusa se sono troppo stronzo per essere tuo amico.»
Norman scoppiò a ridere. «Vorrà dire che dovrò conviverci.»
Ray sorrise a sua volta. «Comunque, credo tu abbia ragione. Stasera ci sono davvero ragazzi carini.»
«Facciamo una scommessa, allora.» Il ragazzo congiunse le mani e posando il mento sulle dita intrecciate. Gli occhi grigi scintillavano, maliziosi, con una finta leggerezza che lasciava presagire l’arrivo di un’azione al limite dello sleale. Parevano provocarlo, dirgli che non era abbastanza forte per raccogliere la sfida imminente.
Ray ghignò, intrigato e infastidito da quell’aspetto di Norman che lo avvinceva così tanto. «Sentiamo un po’, cosa vuoi?»
«Entro la fine della notte, almeno uno di noi dovrà conquistare qualcuno, che sia l’avventura di una notte o l’inizio di una cosa seria.»
Per poco Ray non sputò mezzo boccale di birra sui capelli perfetti di Norman. Riuscì a cavarsela con qualche colpo di tosse, ma per un attimo il suo cuore aveva veramente smesso di battere – e non certo perché si stesse soffocando con la bevanda. «Spero tu mi stia prendendo in giro.»
«Oh, assolutamente no.» gli angoli della sua bocca si allungarono impercettibilmente, e in quel momento Ray avrebbe sinceramente gradito tirargli un pugno su quelle labbra perfette. «Se vinco io, dovrai venire con me alla mostra d’arte di sabato prossimo, e assistere alla conferenza. Se vinci tu cosa vuoi, invece?»
«Tu sei crudele.» sputò il corvino, limitandosi a quell’aggettivo solo perché altrimenti avrebbe rischiato di essere cacciato dal locale. E ce ne voleva. Tra le tante cose che Ray non sopportava c’erano sia le mostre d’arte che le conferenze, e da parte di Norman era a dir poco un colpo basso usare una di quelle come minaccia. «Beh, allora se vinco io… Bah, ci penserò poi.»
«Molto bene, allora.» Norman finì il suo fondo di birra e si alzò dal tavolo, stiracchiandosi con le braccia in avanti. «Ci rivediamo a questo tavolo tra tre ore, e per allora almeno uno di noi dovrà avere la propria compagnia.»
«Bene.» In piedi, con un’aria spavalda e un sorriso di sfida, guardò il compagno sistemarsi quel ciuffo simile ad un corno del diavolo quale era e addentrarsi nella folla, poi crollò nuovamente sulla sedia, fissando mestamente la birra, lo sguardo vuoto, il boccale pieno – anche se ancora per poco, dal momento che ne bevve fino all’ultima goccia un istante dopo.
Che soddisfazione ci doveva essere ad attirare le attenzioni di qualcuno che non voleva? Prendere in affitto il suo cuore, il suo corpo; e perché poi? Un piacere vuoto, insignificante, uno stupido gioco? Un trofeo da esibire?
E poi, se pure ci fosse riuscito? Avrebbe baciato le sue labbra, accarezzato la sua pelle, bramando in realtà le labbra di Norman, la pelle di Norman. Lo avrebbe cercato in qualcun altro, finendo solo per sentire bruciare ancora di più la sua assenza, la distanza che li separava.
Con un grugnito sofferente, si avviò verso il bancone per posare il contenitore e magari annegare i propri sentimenti in un altro po’ di birra. Proprio mentre prendeva posto su uno sgabello, una ragazza si stava incamminando velocemente dal suo lato, con cinque bicchieri vuoti in mano. La barista gli lanciò uno sguardo, e Ray le lasciò intendere i propri programmi per il proseguimento della serata con un cenno al boccale davanti a sé. Quella annuì con un ampio sorriso e gli riempì nuovamente il bicchiere.
A quel punto, Ray si sarebbe aspettato che la giovane sparisse di nuovo, dedicandosi a qualche altro cliente; invece, quando abbassò il boccale – già pieno solo per due terzi – la trovò ancora davanti a sé, la testa reclinata di lato, una guancia sul palmo di una mano. Aggrottò le sopracciglia. «Che ci fai ancora qui?» disse semplicemente, probabilmente più brusco del necessario.
«È il mio lavoro.» rispose, altrettanta semplicità.
Ray sbatté le palpebre, ancora più confuso.
La barista annuì con energia, scuotendo i corti capelli arancio dorato. «Il mio capo dice che dovrei versare birra e basta, ma non posso certo non dare supporto morale ai miei clienti depressi!»
Il collegamento venne a galla nella mente di Ray quasi immediatamente. «Tipo me?»
«Tipo te. Il mio nome è Emma. Ti va di parlare e dirmi cosa c’è che non va?»
Il ragazzo trascorse forse una decina di secondi a fissarla con un’aria da beota. Era rimasto a dir poco atterrito dalla sua naturalezza, il suo genuino preoccuparsi per gli altri. Perché ne era sicuro, i suoi occhi verde smeraldo, grandi e profondi, parlavano chiaro. Non c’erano secondi fini, fosche intenzioni; era puro e semplice desiderio di aiutare gli altri, sincero altruismo.
Ma non poteva certo sbandierare i fattacci propri al mondo così. «No, grazie. Sono a posto. Se proprio insisti mi vedo domani con uno psicologo, ok?»
Tuttavia, era fin troppo saturo di emozioni, ammassate, accumulate, compresse. Bastarono altri due sorsi di birra perché quel delicato palloncino scoppiasse e tutto quello che c’era dentro venisse riversato. «Cioè, non proprio. È che quel Norman mi fa incazzare! È come con la mostra d’arte, lo fa apposta, merda!»
Tra un sorso e un singhiozzo, vomitò tutto quello che provava e che aveva sempre evitato di guardare in faccia, nascosto in una pelle troppo stretta, per cui il cervello era un guardiano fin troppo debole. Era inutile illudersi, costruire falsità e fittizie convinzioni, non era mai riuscito né mai sarebbe riuscito a controllare i propri sentimenti. Era per questo che li odiava tanto, e poi odiava anche se stesso, per far sempre finta di contenerli con facilità.
Il suo discorso finì insieme al boccale di birra, vuotato in pochi minuti che erano valsi più di tanti giorni della sua vita.
Emma era ancora dietro il bancone, e lo aveva ascoltato con attenzione, registrando ogni dettaglio nella sua mente, appuntandosi tutto. Dopo alcuni istanti di riflessione, se ne uscì con un semplice «Vaglielo a dire, allora.»
Ray forzò una risata amara. «Ma che, sei pazza? Non lo faccio da ubriaco, figurati adesso. Sono troppo sobrio per questo.»
«Allora scolati altri due boccali e sparagli tutto in faccia.»
Il ragazzo spalancò gli occhi davanti ad un’affermazione così ovvia da essere quasi assurda. Però, per una volta dopo tanto tempo, sentì qualcosa affacciarsi nel suo cuore – qualcosa di luminoso, felicità, forse? «Sai che ti dico? Hai ragione. Due boccali pieni, allora.»
Seguendo alla lettera il consiglio di quella ragazza così simile ad un raggio di sole, vuotò due bicchieri in dieci minuti e si alzò, lasciandole delle monete sul banco. Emma le raccolse in un taschino e alzò l’indice e il medio, in un segno di vittoria. «Faccio il tifo per te!»
Ray si incamminò nella folla, gli occhi vigili nella ricerca del suo obiettivo; si sentiva vagamente accaldato per tutto l’alcol che aveva ingurgitato negli ultimi minuti, ma aveva anche una certa euforia che bolliva nel suo stomaco (insieme alla birra). Se da un lato temeva che le sue ginocchia potessero cedere in qualsiasi momento, dall’altro sentiva che niente avrebbe potuto fermarlo dal portare a compimento le sue intenzioni.
Come si aspettava, Norman era seduto ad un tavolo insieme ad un gruppo di ragazzi e ragazze; aveva una sigaretta tra le labbra, piegate in un sorriso ammiccante, ed era evidente il flirt che stava intraprendendo con ogni singolo elemento del gruppo. Pareva uno di quei gentleman dei circoli inglesi dell’Ottocento, solo con una buona dose extra di sensualità in più. E cavolo, quella vista faceva schifo a Ray, ma allo stesso tempo ne avrebbe potuto godere per ore. «Certo che sei proprio un bastardo, Norman.»
Non realizzò di aver parlato ad alta voce finché tutti non alzarono lo sguardo su di lui. Nello specifico, il diretto interessato lo guardò esterrefatto per un attimo, poi schiacciò la sigaretta in un posacenere al centro del tavolo e si avvicinò a lui, il viso a pochi centimetri dal suo, guardandolo dritto negli occhi. «Ehilà, Ray, che sorpresa! Ti stai arrendendo, per caso?»
«In realtà, sarei qui per fare la mia mossa. Sai, una cosa che sogno di fare da secoli
Non lasciò neanche che Norman avesse il tempo di elaborare, forse come vendetta. Premette una mano sul suo fianco e afferrò le sue labbra tra le proprie, accarezzando i suoi capelli, scompigliandoli, facendovi scorrere le proprie dita. Le sue labbra avevano un sapore di nicotina, la sua gola di birra e tabacco, ma riusciva ancora a sentire il profumo che non lo abbandonava mai, quello di biblioteca, di libri antichi; di segreti celati, di verità così nascoste da diventare menzogne.
Poi sentì le mani fredde di Norman posarsi sul suo collo, scorrere sulla sua pelle, guidare la sua testa, e i brividi lungo la schiena, quelle spinte a non fermarsi, a divorarsi finché di loro non fosse rimasto più niente se non i soli cuori, nudi e crudi.
Quando separarono le labbra per respirare, Ray le piegò in un ghigno. «Che dici? Ho vinto io? Ti ricordo che sono stato io a farmi avanti.»
«Ma anche io ho un partner per stanotte.» replicò il biondo, gli occhi che per niente celavano la sua malizia.
Ray rovesciò la testa all’indietro e scoppiò a ridere. «Perlomeno stasera avrò finalmente anch’io delle tue foto compromettenti.»
«Non ci sperare.»
«Vedremo.»

------Angolo dell'autrice
Buffo cosa può nascere da una partita di biliardino, eh?
Okok, ricominciamo da capo--
Visto che sono nuova del fandom, mi presento: il mio nick è _happy_04, ma preferisco Happy. Piacere!
Comunque, per spiegare: stavo giocando a biliardino contro mia sorella, e abbiamo fatto una specie di scommessa. Chi avesse vinto avrebbe scelto una sfida da fare. Anche se di pochissimo ho vinto io, e ho scelto di usare dei prompt da Fanwriter.it, precisamente la challenge "In vino veritas", con cui ciascuna di noi due avrebbe dovuto scrivere una fic, compresa nell'intervallo tra 1600 e 1605 parole.
Morale della favola: ho scritto 2383 e ho miseramente perso.
Però boh, a lei è piaciuta un sacco e sinceramente anche a me è piaciuto molto scriverla. In qualche modo ho usato un tipo di ambientazione e un po' di temi che mi stanno piuttosto a cuore, quindi- niente non lo so mi sto incartando aiutatemi.
Prima di combinare altri disastri chiudo qui. Aspetto qualche recensione!!
Bacioni,
Happy.
   
 
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