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Autore: Roberto Turati    01/04/2019    0 recensioni
[ARK: Survival Evolved + Horizon Zero Dawn]
 
Una collaborazione tra me e Manon, mia buona amica e grande appassionata di Horizon Zero Dawn, autrice su Wattpad.
 
Dopo aver salvato il mondo da ADE, Aloy può finalmente rilassarsi pensando ad alcune faccende marginali come esplorare, partecipare alle cacce della Loggia, sbloccare nuovi override nei Calderoni eccetera. Ed è proprio in uno dei Calderoni che, per incidente, scopre un progetto segreto e abbandonato che gli Antichi avevano inizialmente preso in considerazione come un'alternativa a Zero Dawn, prima di decidere che quest'ultimo era un'idea migliore. Così l'amazzone Nora scoprirà un posto che non avrebbe mai immaginato, ma dovrà suo malgrado salvarlo da alcune Macchine che vi hanno acceduto assieme a lei...
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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ARK: FERRO E SANGUE

Lassù, in cima alla sporgenza in quella parete di roccia calcarea, c’era la sua destinazione: l’ingresso triangolare di un Calderone, una forgia sotterranea e meccanizzata dove venivano assemblate le Macchine, che venivano poi rilasciate e lasciate libere di vagare per il mondo.

“Il Calderone Zeta, finalmente!” pensò Aloy.

L’obiettivo che si era posta dopo aver letteralmente salvato il mondo dalla distruzione totale e definitiva era cercare e perlustrare tutti i Calderoni presenti nel territorio e accedere ai terminali al loro interno per potenziare il dispositivo legato alla sua lancia, con cui poteva eseguire un override sulle Macchine e prenderne il controllo. Aveva già scaricato i dati da ogni Calderone, mancava solo lo Zeta. Sapeva già che non sarebbe stato facile, ma non aveva più paura di affrontare delle Macchine in spazi chiusi come quelli. Notò da lontano che, di fronte alla parete, si aggiravano quattro Inseguitori, Macchine da combattimento dalla fisiologia di una pantera, capaci di mimetizzarsi così bene da essere quasi trasparenti. Tuttavia, ogni tanto, tornavano visibili per mezzo secondo, il che la aiutò a scorgerli.

“Al diavolo, non voglio sprecare tempo e frecce con loro!” si disse Aloy, nervosa.

Dunque, mantenendo un basso profilo e facendo meno rumore possibile, evidenziò i loro percorsi fissi col suo focus (un oggetto triangolare da applicare ad un orecchio e che forniva indicazioni utili sull’ambiente circostante sotto forma di scritte olografiche) e si avvicinò alla parete stando certa di non entrare nel loro campo visivo. Quando ci fu arrivata, la scalò con agilità fino a raggiungere il bordo. Ora, di fronte a lei, c’era l’ingresso, decisamente piccolo in confronto a quello dei Calderoni che aveva visitato fino ad allora. Prese la lancia e inserì il dispositivo per override nella presa elettrica sulla porta metallica sigillata. Le luci rosse sulla serratura diventarono blu e l’ingresso si aprì, scorrendo verso l’alto.

“Bene, adesso arriva il difficile…” pensò Aloy, attraversata da un rapido brivido.

Roteò un po’ spalle e caviglie per accertarsi di avere i muscoli sciolti, poi entrò nel lungo e stretto corridoio d’accesso. Faceva parecchio freddo, lì dentro. Sulle pareti di metallo si era formato uno spesso strato di ghiaccio per i secoli di chiusura stagna. Quando Aloy raggiunse la fine del corridoio, si ritrovò su una balconata che dava sulla camera centrale, la forgia. Come al solito, dal soffitto del Calderone scendevano due file di bracci meccanici appaiati che montavano e fornivano elettricità alla Macchina in costruzione, che stava immobile su una piattaforma bassa e cilindrica, protetta da un campo di forza elettromagnetico.

E la macchina in questione era un Divoratuono, una bestia imponente con la fisiologia di un antico rettile bipede vissuto sulla Terra centinaia di milioni di anni prima. Era longilineo, aveva due robuste zampe posteriori, nessun arto anteriore, una lunga coda e una mandibola composta da due parti semi-snodate ed estendibili poste sulla parte inferiore della testa. Il muso era un incavo in cui brillavano i due piccoli fanali blu che fungevano da occhi. Il grande Divoratuono stava fermo, aspettando pazientemente di essere finito di costruire. Aloy entrò giusto in tempo per vedere i bracci meccanici montare due mitragliatrici al plasma sul dorso della creatura d’acciaio.

«Bene bene bene, guarda chi c’è! – salutò sarcasticamente Aloy, sapendo che non poteva ancora essere attaccata – Una volta ho distrutto un tuo simile, sai? Mi ha quasi calpestata, ma ci sono riuscita. Non posso ancora farti l’override, ma vedrò di rimediare…»

Dunque balzò giù e aggirò la piattaforma, sapendo già dove andare. Salì una scala in fondo alla stanza e raggiunse la presa elettrica che avrebbe rilasciato il Divoratuono. Dopo aver sospirato un’ultima volta, hackerò la presa… ora cominciava il vero inferno. La prima cosa che la Macchina fece una volta libera fu voltarsi verso di lei e ruggire; i suoi visori diventarono rossi e la “mandibola” si spalancò. Aloy vide una luce azzurra apparire sulle canne delle mitragliatrici schienali della bestia e capì che voleva spararle. Saltò giù da lì appena in tempo e attutì la caduta rotolando. Prese subito una bomba congelante dalla sua bisaccia e la lanciò in testa al mostro appena quello si voltò. Colpito in pieno e confuso dalla nuvola di vapore gelido che si espanse, il Divoratuono incespicò e scosse la testa. Aloy ne approfittò per prendere una freccia dirompente dalla faretra e la lanciò ad una delle torrette. L’impulso elettromagnetico della freccia staccò la mitragliatrice dalla schiena della Macchina, come sperava. Sapendo che non avrebbe avuto un’opportunità migliore, Aloy prese il lancia-trappole e iniziò a scagliare una serie di cavi con rampino al Divoratuono, per poi fissarli al terreno. Alla fine, la Macchina si ritrovò completamente immobilizzata. Mentre strattonava per liberarsi, Aloy si sbrigò a colpire uno degli “occhi” e a rompere la giuntura in silicone che fissava una componente della mandibola, che cadde. Ma ci fu un imprevisto: molto prima di quanto si aspettasse, il Divoratuono si liberò e, ruggendo, la caricò. Aloy si scansò di lato, ma un lembo della sua veste rimase impigliata nel lato della coda del mostro quando le passò accanto. Così fu trascinata mentre il Divoratuono investiva la parete con tanta forza… da sfondarla. Aloy riuscì a strappare il pezzo di tessuto e rotolò sul pavimento, mentre la Macchina cadeva in una fossa cilindrica nella stanza segreta che aveva portato alla luce per caso e sbatteva contro il suo fondo. La ragazza andò sul bordo a vedere: il Divoratuono aveva una zampa gravemente danneggiata e la coda mozza; si contorceva sul fondo della buca in un vano tentativo di rialzarsi.

«Ti sta bene, bastardo! Io, intanto, vado a scaricare un paio di dati!» lo insultò Aloy, con un sorriso beffardo.

Tornò alla piattaforma d’assemblaggio, su cui ora era spuntato il server contenente tutti i dati necessari per rendere il suo override capace di controllare anche le macchine più grosse, come il Colosso, l’Avistempesta e il Divoratuono stesso. Scaricò i dati e il Calderone si spense. Contenta, la ragazza fece per andarsene, ma… all’improvviso, si accese un’altra luce, rosso fuoco, nella stanza dove il Divoratuono era caduto.

«ATTENZIONE: TELETRASPORTO INTER-DIMENSIONALE AVVIATO VIA CONTATTO» annunciò un altoparlante.

“Cosa?! Che significa?” Aloy si sarebbe aspettato di tutto, meno che quello.

E se fosse stata un’altra branca del progetto Zero Dawn, su cui sapeva ancora troppo poco? Non poteva perdere una tale occasione! Corse a vedere e tornò là dentro giusto in tempo per vedere una nuvola circolare viola, vorticante e apparentemente fatta d’aria aprirsi sotto quel povero Divoratuono, ancora sdraiato, e risucchiarlo.

«Cosa diamine...» Aloy non poteva crederci.

Improvvisamente, una vibrazione fece tremare la struttura, facendole perdere l’equilibrio. Non poté resistere: cadde nella nuvola viola.

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Caddero per venti metri dal cielo, prima di schiantarsi in acqua. Il Divoratuono cadde dritto al centro dell’enorme fiume, che poco più in là formava una cascata da cui la Macchina cadde rovinosamente. Aloy, invece, riuscì a trascinarsi a riva e a salvarsi. Riprese fiato; poi, sconvolta, si mise seduta e si guardò intorno: era circondata da strani alberi che non aveva mai visto. Erano indubbiamente sequoie, con le chiome coniche e i tronchi rossi, ma non ne aveva mai viste di così grosse: misuravano quindici metri di diametro e centoventi d’altezza, dai dati che il suo focus trovò dopo una scansione.

“Nemmeno nelle terre dei Banuk c’erano alberi così grandi… dove sono?” si chiese, confusa e spaventata.

Vedendo che nei tronchi c’erano scanalature profonde e ruvide, appigli perfetti, fu tentata di scalarne uno fino in cima per guardarsi attorno. E così fece, in un impulso di coraggio e di curiosità. Si arrampicò cautamente, ma in fretta, per tutta l’altezza della sequoia. Ci vollero venti minuti, ma ne valse la pena: come poté vedere il paesaggio, Aloy restò senza fiato. Non era più nel mondo dove era nata e cresciuta e che aveva salvato. Non somigliava a nessun posto di cui avesse mai anche solo sentito parlare. La foresta di pini giganti era solo una porzione: attorno riuscì a scorgere di tutto. Montagne rocciose, picchi ghiacciati, un deserto di rocce e dune, fiumi e laghi giganteschi, paludi nebbiose, praterie... ma quello che la colpì di più fu la distesa blu e ondeggiante che circondava tutto, a perdita d’occhio. Aloy sospettava cosa fosse, e l’idea la faceva morire dall’entusiasmo:

“Quello è… l’oceano? Bellissimo…” pensò, sorridendo dalla commozione.

Aloy non lo sapeva ancora, ma era in un altro universo e su un’isola. Un’isola sconosciuta che ospitava creature di ogni sorta, vissute nel passato e degne dei peggiori incubi: era su ARK.

Il suo momento di gioia fu interrotto da un rumore lugubre. Sembrava un sommesso ringhio gorgogliante… si sentiva osservata… si voltò appena in tempo per vedere una figura rossa e pelosa scagliarsi su di lei alla velocità della luce, facendo precipitare entrambi nel vuoto. Era un tilacoleo, un leone marsupiale…

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Un uomo tossiva convulsamente, senza riuscire a fermarsi, maledicendo la vita che conduceva. Alocin Ollednom, inginocchiato sulla riva del fiume, ansimava e sputava sangue, per poi stare ad osservare le gocce rosse che venivano portate via dalla corrente. Si pulì la bocca, poi si versò in gola metà del contenuto della sua fiasca di sidro.

«Zio, è così difficile capire che rischi di morire una volta al giorno perché hai più alcol che sangue?» gli chiese ironicamente sua nipote Asile, seduta poco più in là e accarezzando il collo piumoso del loro terizionosauro, uno dei loro vari animali.

«Il sidro è carburante, mica veleno, nipote! – le replicò lui, rialzandosi e facendo passare il fiato corto – Ci vorrà molto di più per ammazzare questo bastardo, come pensare a te per qualche altro anno»

«Ha-ha-ha, muoio dal ridere»

«Che ci vuoi fare, sono un comico nato. Allora, pronta per l’ultimo esercizio?»

«Sì»

«Chi lo dice?»

«Io»

«Preoccupante…»

«Lo dico io, punto. Anche perché ormai ho fatto fissare la data»

«Hai idea di quanto ci voglia ad addomesticare un allosauro?»

«Eccome»

«Hai visto cos’è successo all’idiota che ti ho fatto osservare l’altro giorno. Quel pivello era un diciottenne sognante come te che stava facendo la sua bella Prova della Maturità come vuoi fare tu e l’ha fatto allo scoperto perché era sveglio…»

«Zio, vuoi farmi cominciare o no?»

«Ehi, non è mai troppo presto per morire, io non vedrei l’ora se non ci fossi tu a bloccarmi qui! Comunque, la prima traccia che ho trovato è proprio laggiù. Scegli una bestia e trova l’allosauro, io ti terrò d’occhio» e indicò l’impronta di una zampa a tre dita poco più in là.

Asile balzò in sella ad un gallimimo, scelto probabilmente per poter fare una fuga veloce, e si inoltrò nella foresta di sequoie: da lì in poi, avrebbe osservato tutti i vari indizi che facevano capire dove fosse andato l’animale.

“Ora… come festeggio la solitudine? Ah, facile!” pensò Alocin, finendo il sidro.

Poi, tanto per cambiare, prese una foglia di tabacco essiccata e cominciò a masticarla. Il loro parasauro lo raggiunse e gli strofinò il fianco col muso per chiedergli delle bacche.

«Chiedimelo ancora e ti ficco il tabacco in quella gola da cantante di strada, schifoso viziato! Vai a qualche cespuglio e mangia per conto tuo!» lo aggredì Alocin.

Il parasauro muggì indignato e si allontanò. L’uomo aspettò una decina di minuti, poi decise di muoversi a su volta.

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La pista attraversava la foresta mantenendosi sempre parallela al fiume. Asile aveva trovato una pozza di urina, poi notò che su un albero c’erano pezzi di pelle morta: l’allosauro doveva aver strofinato il fianco contro il tronco per staccarla più in fretta. Sentiva che l’avrebbe incrociato molto presto, anche considerando che il gallimimo cominciava ad agitarsi più di quanto non facesse già. Poi le impronte si unirono a quelle di altri tre esemplari: forse, quello era andato a bere da solo, mentre gli altri l’avevano aspettato. Solo l’alfa poteva permettersi di separarsi dal suo gruppo per qualsiasi motivo, quindi era il maschio dominante che lei stava seguendo. Emozionata, spronò il gallimimo per farlo accelerare. Si mise a fiancheggiare una parete umida, coperta di muschio, da cui scendevano dei rigagnoli. Mentre il gallimimo arrivava a più o meno la metà di quel costone, le sembrò di sentire dei passi leggeri e affrettati venire da sopra il bordo… poi sentì una voce femminile gridare e qualcosa di abbastanza pesante precipitò dalla sporgenza, colpendola in pieno e disarcionandola. Spaventato, il gallimimo stridette e corse via, sparendo nel sottobosco. Asile si alzò subito, anche se la testa le faceva male e sentiva di essersi sbucciata diverse giunture. Si guardò intorno e scoprì cosa le era caduto addosso: una ragazza. Capì subito, dal fatto che aveva la pelle bianca e i capelli rossi, che era una straniera. Indossava vestiti di tessuto bianco e dipinto in alcune parti per decorazione. La sua chioma era folta e aggrovigliata: in mezzo ad una grande massa informe di ciocche sciolte, aveva delle piccole trecce. Quello che attirò di più la sua attenzione fu il suo equipaggiamento: aveva una lancia e un arco in uno strano metallo grigio chiaro diverso da qualunque altro avesse mai visto, somigliava vagamente al TEK degli Uomini dal Cielo. Aveva anche polsiere e cavigliere in quel materiale. La ragazza, coperta di graffi e lividi, si trascinò fino ad uno strano oggetto triangolare rotolato più in là e se lo mise all’orecchio destro. Irritata, Asile la raggiunse e, ignorando il fatto che era letteralmente sotto shock, le afferrò le spalle e cominciò ad inveirle contro:

«Stammi a sentire, scema d’una straniera! Non so da dove o da che anno sei venuta, ma di certo ho capito che se pensi di passare il resto dei tuoi giorni rotolando addosso a…»

«Là dietro…» boccheggiò la ragazza coi capelli rossi, ma Asile era troppo infuriata e non smise di predicare:

«… ora tu ti alzi, mi chiedi scusa per avermi rovinato la caccia… anzi, diciamo la giornata, e sparisci prima che ti dia da mangiare a…»

«Girati!» esclamò lei, disperata.

«Non so il tuo nome e non mi interessa saperlo, fatto sta che io sono Asile Olledmon e che mi devi delle scuse, adesso!»

RRRRRRRRRRRRRRRR…

Si accorse solo allora del brontolìo che echeggiava già da una decina di secondi dal bordo del costone roccioso e lo riconobbe subito: un tilacoleo. Ecco cosa stava facendo la straniera: scappava da un leone marsupiale. Ora si sentiva in colpa per averla aggredita senza nemmeno fare domande… nessuna delle due osò fare un movimento quando l’enorme pantera balzò giù. Contrasse le narici un paio di volte e, senza smettere di fare le sue lugubri fusa, si avvicinò con aria curiosa. Alla fine, fu così vicino che le due ragazze potevano sentire il suo respiro umido sulla loro pelle. Il tilacoleo strinse gli occhi, scoprì i denti e ruggì: stava per attaccare. Asile chiuse gli occhi, sperando di non essere stata scelta per prima… ma il tilacoleo fu interrotto dal verso di un triceratopo. Si girò poco prima di essere spietatamente infilzato dai due corni lunghi del dinosauro.

«AH!!! Cos’è quello?!» esclamò la ragazza coi capelli rossi, facendo la celebre domanda per cui gli stranieri erano famosissimi su ARK.

«Zio!» gridò invece Asile, sollevata, vedendo l’uomo in sella al triceratopo.

«Asile, non è educato fare la predica ad uno straniero che sta per morire!» la rimproverò lo zio, ma col suo irritante tono canzonatorio.

«Ehi, è quello che tu fai con tutti! – poi si rivolse alla sconosciuta – Ehi, scusa per prima: mi succede, quando ho degli imprevisti»

«Già, sei la degna nipote di tuo zio!» scherzò Alocin.

«Finiscila, zio! Tu chi sei, comunque?» le chiese, aiutandola ad alzarvi.

«Io sono Aloy – fu la risposta – E voi chi siete? Dove mi trovo?» era molto disorientata.

«Io, come già detto, sono Asile Ollednom e lui è mio zio Alocin. Mi raccomando, non prender mai sul serio quello che dice o i suoi insulti: è una grandissima testa di cavolo, lo siamo tutti in famiglia»

«Ah, lo eravamo» precisò malinconicamente Anocil.

«Benvenuta su ARK, comunque!»

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Aloy ascoltò poco o niente dei convenevoli di quei due: era troppo impegnata a scansionare le bestie che avevano con loro col focus: non pensava che potessero esistere animali simili.

“Alcuni sembrano familiari… forse è su questo che GAIA e i suoi sotto-programmi si sono basati per Zero Dawn! Magari, se li osservo meglio, potrei anticipare le prossime creazioni di EFESTO e affrontarle già pronta…” rimuginava.

Provò a scansionare la bestia che aveva ucciso il felino simile ad un Secodonte: il focus le mostrò il suo scheletro e un elenco puntato con delle statistiche essenziali:

NOME COMUNE: triceratopo
NOME SCIENTIFICO: Triceratops styrax
PERIODO: Cretaceo superiore
DIETA: erbivora
TEMPERAMENTO: difensivo


In quel momento, sentì la ragazza darle il benvenuto su ARK. Quindi, da quanto sapeva fino ad ora, era finita su un’isola con creature che si erano estinte milioni di anni prima ancora della Piaga di Faro e civilizzata, chiamata come un’arca e civilizzata da persone che, da quel che vedeva, erano capaci di sottomettere le bestie. Tutte queste informazioni le davano emozioni miste fra meraviglia e paura, tanto da farle chiedere se doveva avere paura di questa ARK e tornare alla nuvola viola o se era meglio indagare e scoprire questo nuovo mondo.

   
 
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