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Autore: Yanez76    04/04/2019    1 recensioni
In questa storia ho immaginato alcuni flash della vita di Elsa Schneider sia prima che dopo gli eventi narrati in "Indiana Jones e l'ultima crociata". La storia si ricollega alla mia precedente "L'ultima impresa del cavaliere del Graal" e ne costituisce un'espansione ma è di fatto una storia indipendente.
Genere: Avventura, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elsa Schneider, Henry Jones, Sr., Henry Walton Jones Jr.
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Territet, Canton Vaud, Svizzera, 1942
 
L’imperatrice Elisabetta d’Austria teneva il segno del libro con l’indice della mano destra mentre volgeva uno sguardo melanconico verso le magnifiche vette alpine che si stagliavano aldilà del lago.
Certo che si era scelta proprio un bel posto per evadere dalla vita di corte. Povera Sissi… pensava Elsa, seduta su una panchina del piccolo e grazioso giardino che circonda la bella statua in marmo di Carrara, contornata da splendide rose, che ritrae l’infelice sovrana che, proprio da quei luoghi, un giorno di più di quarant’anni prima, era partita per Ginevra, incontro al suo tragico destino.
Elsa si alzò pigramente, rivolgendo a Sissi un ultimo sguardo, mentre ripensava a suo padre che aveva dato la vita per gli Asburgo e che le parlava sempre con grande rispetto e ammirazione della bella imperatrice dallo spirito libero; poi s’incamminò, passeggiando un po’annoiata lungo le stradine linde e ordinate della cittadina svizzera.
Gli Svizzeri erano famosi per la loro efficienza e discrezione e la fama era ben meritata: i falsi Graal che Elsa aveva preso nel tempio erano stati venduti ad un’asta a Ginevra a prezzi da capogiro ed il ricavato, versato su un conto bancario di Losanna, era più che sufficiente per permetterle di vivere agiatamente e senza preoccupazioni per il resto della sua vita. Solo la collana che le aveva donato il Cavaliere non aveva voluto venderla: la conservava tra i ricordi più cari e, ogni volta che la guardava, sospirava come presa da un dolce ricordo.
Territet, incastonata tra i dolci declivi del Lavaux, coperti di floridi vigneti, e affacciata sull’elegante Riviera del Lemano, era decisamente un luogo idilliaco; poco distante, il castello di Chillon con il suo aspetto suggestivo e romantico sembrava fatto apposta per rievocare gli scenari di un’avventura cavalleresca. In mezzo a tanta pace e tranquillità, sembrava veramente impossibile che, in quello stesso momento, a poca distanza da lì, si stesse compiendo il più orribile massacro che la Storia ricordasse: una carneficina talmente immane da far impallidire persino la terribile ecatombe che, un quarto di secolo prima, le aveva strappato suo padre.
Elsa ricordò con un brivido il suo incontro con Hitler durante quel raduno a Berlino nel 1938; a quel tempo, nonostante il ribrezzo che aveva provato alla presenza del dittatore, non avrebbe certo potuto immaginare ciò che quel folle sarebbe stato in grado di scatenare negli anni successivi. La bionda storica dell’arte sperava ardentemente che gli Americani, da poco entrati nel conflitto, potessero rovesciarne le sorti e che un giorno anche il suo paese, l’Austria, potesse riacquistare la sua libertà; ma, intanto, le truppe naziste sembravano inarrestabili e dilagavano per il continente europeo, portando devastazione ovunque.
La Svizzera, circondata dalle minacciose truppe del Reich e dei suoi alleati, era diventata un crocevia, percorso da ogni genere di rifugiati, disertori, diplomatici, spie di tutte le nazioni o semplicemente da gente che intendeva continuare a godersi la vita nonostante la guerra. In quell’oasi di pace, Elsa conduceva esattamente il tipo di vita che potrebbe condurre una giovane e bella donna che, ricca e annoiata - come può annoiarsi chi ha raggiunto l’obiettivo cui ha dedicato tutta la prima parte della sua vita e non ha idea di cosa fare nel prosieguo - inganna il tempo tra escursioni in montagna, nuotate nel lago, cocktails con gente raffinata e più annoiata di lei, epiche mangiate di fonduta, qualche fugace avventura amorosa e serate al casinò.
Una sera, al bar del Casinò di Montreux, un accanito giocatore inglese dai modi un po’ volgari le aveva attaccato bottone dopo aver perso con nonchalance una buona quantità di fiches al tavolo del baccarat. Diceva di essere un uomo d’affari della Universal Exports, ma Elsa era convinta che si trattasse solo di uno di quei ricchi figli di papà che, lasciando i compatrioti a difendere il loro paese, si erano imboscati in Svizzera in attesa di tempi migliori. George McHale, così si chiamava quell’inglese, aveva già vuotato un paio di bicchieri di scotch quando era stato raggiunto da quello che doveva essere il suo segretario; costui era poco più di un ragazzino, avrà avuto sì e no vent’anni, e si era diretto con fare deciso al banco del bar dove aveva ordinato un Vodka Martini, raccomandando al cameriere di non mescolarlo. Elsa approfittò del suo arrivo per lasciare il Casinò, che ormai cominciava ad impregnarsi di un odore di fumo e sudore che le dava la nausea; non era certo interessata a proseguire la conversazione con quel pappagallo, convinto di potersela portare a letto sventolando mazzetti di banconote. Doveva ammettere però che il segretario era interessante, la sua faccia le ricordava qualcuno… doveva averla già vista… ma dove?
“Elsa! Anche tu qui?! Che bella combinazione…”, la fermò una voce familiare sulla porta del Casinò.
“Herr Oberhauser!”, fece Elsa, sorridendo nel riconoscere il viso simpatico del suo vecchio maestro di sci.”
“Cosa ci fate qui? Vi credevo sempre a Oberaurach.”
“Bah, con questa maledetta guerra a Kitzbuhel non si vede più l’ombra di un turista che voglia farsi dare lezioni di sci o di scalata e così ho pensato di cambiare aria. Almeno da queste parti non devo vivere chiedendomi quando verrà il prossimo allarme aereo.”
“Già, dannata guerra!”, fece Elsa.
“Ti va di fare due passi? La serata è ancora tiepida.”
“Buona idea, ho proprio bisogno di una boccata d’aria.” ripose Elsa.
I due passeggiarono per un po’ sul lungolago, chiacchierando del più e del meno fino a giungere ad una zona poco illuminata sotto una macchia di alberi da cui, all’improvviso, emerse la figura di un uomo armato di una luger.
 “Piacere di rivederla, doktor Schneider”, disse l’uomo, puntandole contro l’arma, “non tenti di gridare, qui non c’è nessuno che possa udirla.”
“Cosa vuole? I soldi? Se li prenda…”, fece Elsa titubante, allungando le mani a prendere il borsello. In fondo non aveva molti contanti con sé e non era il caso di rischiare per fare gli eroi.
“Ferma! E tenga le mani bene in vista. Mi ha forse preso per un volgare ladro? Suvvia Fräulein non si ricorda più del nostro incontro a Vienna quattro anni fa?”
Elsa lo guardò meglio ed ebbe un sussulto riconoscendo l’uomo della Gestapo, il laido tirapiedi di Vogel che lei aveva schiaffeggiato in un caffè di Vienna.
“Cosa…cosa vuole da me?”
“Ah, ah, non se lo immagina, Fräulein? Lei sa qual è la pena per il tradimento… Lei era stata incaricata dal Führer di compiere una missione, una missione fallita miseramente. Il corpo del colonnello Vogel è stato ritrovato in fondo ad un burrone e i soldati superstiti hanno riferito che Walter Donovan è scomparso in un passaggio sotterraneo dove era entrato con lei e dal quale lei è ricomparsa al fianco di quella spia americana, Jones. Credeva davvero di potersi prendere impunemente gioco di noi? Non mi sono mai fidato di lei. Cosa ci si può aspettare da una donna capace di darsi ad un ebreo?”
“Aspetta, Helmut, questo non era nei patti! Avevi detto che volevi solo farle delle domande. Elsa è un’amica, ho accettato di fartela incontrare ma…” intervenne Oberhauser.
Il calcio della pistola colpì violentemente il volto della guida alpina. Con un gemito, Oberhauser crollò sulle ginocchia, portandosi le mani al viso imbrattato del sangue che gli usciva dal naso.
“Idiota!”, urlò l’agente della Gestapo, “Tu stanne fuori e lasciami lavorare. Ringrazia il cielo che non ti abbia ucciso per aver tentato di difendere questa traditrice”.
Poi il nazista puntò di nuovo l’arma verso Elsa.
“No…no, la prego, mi lasci, posso darle molti soldi se vuole…”
“Ah, ah, e a cosa mi servirebbero? Se tradissi, loro non mi lascerebbero certo il tempo di godermeli. Ha fatto male i suoi calcoli, doktor Schneider, noi nazisti siamo invincibili, chiunque tenti di contrastarci sarà schiacciato senza pietà! Io l’ho capito subito e ho saputo schierarmi dalla parte giusta, quella dei vincitori, della razza superiore, dei padroni del mondo! Adesso sta a lei rendere le cose facili o difficili…”, disse il nazista con un ghigno beffardo, posando con fare lascivo la sinistra sul seno della giovane donna che lo fissava muta e terrorizzata.
 “Fermo!”, si udì gridare una voce dall’accento inglese che Elsa riconobbe come quella di McHale.
“Maledetto inglese!”, fece il nazista, voltandosi e sparandogli a bruciapelo.
McHale cadde a terra imprecando, riuscendo però a mettersi al riparo dietro un albero.
Il nazista avanzò cautamente verso di lui con la luger spianata.
“Ora regolerò i conti con te, ficcanaso, così come faremo tra poco con la tua miserabile isoletta.”
All’improvviso, dal cespuglio dove finora si era tenuto nascosto, il giovane che accompagnava McHale balzò sul nazista, facendogli saltare l’arma di mano con un calcio ben assestato e atterrandolo con un potente gancio alla mascella.
Il nazista si rialzò estraendo un pugnale e si avventò sul giovane inglese, che, con un abile mossa, riuscì a bloccargli il braccio armato. I due rotolarono a terra, lottando avvinghiati per alcuni lunghi istanti, finché non si udì un grido strozzato. Poi il giovane inglese si alzò, gettando un’occhiata sprezzante al corpo del nazista che giaceva stecchito con il proprio pugnale affondato nel petto e si scosse via la polvere dallo smoking con fare quasi da dandy.
“Tutto bene, George?”, fece il giovane rivolto a McHale.
“Sì, James, per fortuna il crucco mi ha preso di striscio.”
I due inglesi si affrettarono poi a raggiungere Elsa ancora sotto shock.
“Non abbia paura, miss Schneider, quell’uomo non le farà più del male.”, le disse McHale, aiutandola ad alzarsi.
“Grazie…mio Dio, c’è mancato poco. Ma voi chi…chi siete?”
“Servizio segreto di Sua Maestà Britannica.”
Il giovane inglese si era intanto avvicinato a Oberhauser che giaceva ancora a terra e, quando lo vide in faccia, non poté trattenere un’esclamazione di sorpresa.
“Hannes!”
“James!” gli fece eco l’austriaco, afferrando la mano che l’inglese gli aveva porto per aiutarlo a rialzarsi.
“Che succede, James?”, intervenne Mc Hale, “Lo conosci?”
“Sì, George, è tutto a posto. Hannes è un vecchio amico.”
La guida alpina si guardò attorno e, incrociando lo sguardo di Elsa, abbassò gli occhi confuso.
“Perdonami Elsa… loro sono venuti a prendermi perché sapevano che ci conoscevamo… mi hanno detto che volevano solo farti qualche domanda e poi ci avrebbero lasciati in pace… io ho una famiglia, dei figli… lo sai cosa fanno a chi si mette contro di loro… non ho avuto il coraggio di dire di no, ma io non ne so niente di questa storia… ti giuro che non immaginavo che…”
Elsa sorrise, posando una mano sulla spalla dell’uomo.
“Sì, so bene quanto sa essere convincente quella gente…”
“Ma, cosa succede? Perché l’Intelligence Service si interessa a me?”, fece la donna rivolta ai due agenti inglesi.
“Le spiegazioni a dopo. Andiamocene prima che arrivi qualcuno che ha sentito lo sparo.”, ripose Mc Hale.
“Faccio sparire il corpo?”, fece James rivolto a McHale, accennando al cadavere dell’agente della Gestapo.
“Ci penseranno i colleghi dei servizi elvetici a mettere a tacere la cosa. Anche se sbandierano la loro neutralità, sanno benissimo che, se non fermiamo Hitler, loro saranno il suo prossimo boccone.”
“Addio, Hannes. Mi raccomando, tu non hai visto nulla.”, fece il giovane inglese, congedandosi dalla guida alpina.
“Non preoccuparti, James, dirò che mi hanno colpito e sono svenuto.”
Anche Elsa salutò il suo vecchio maestro di sci, poi seguì i due inglesi fino ad una macchina posteggiata poco lontano. McHale si mise al volante ed in breve i tre furono al sicuro nella stanza dell’Hôtel des Alpes che fungeva da base per gli agenti del S.I.S.[1]
“Sigaretta?”, chiese l’agente giovane, porgendo galantemente ad Elsa un elegante portasigarette, “È una miscela speciale, turca modello Macedonia, preparata da Moreland di Grosvenor Street.”
“Grazie, mi ci voleva proprio.”, rispose la giovane, prendendone una con le dita ancora leggermente tremanti per lo spavento provato poco prima.
 “Bene”, esordì Elsa, espirando una nuvoletta di fumo azzurrino, “adesso qualcuno vorrebbe cortesemente spiegarmi cosa sta succedendo?”
“Presto detto, miss”, rispose McHale, versandosi l’ennesimo bicchiere di scotch della serata, “i nazisti non hanno gradito la vostra defezione di quattro anni fa in Hatay.”
“E voi come fate a sapere tutto questo? E cosa c’entrate in questa storia?”, fece Elsa stupita.
“Ho conosciuto un vostro vecchio amico che adesso lavora per l’O.S.S.[2]  e mi ha raccontato un sacco di cose interessanti su di voi, miss Schneider”, fece l’uomo con un sorriso che la irritò leggermente.
Ovviamente, non poteva trattarsi che di Indy. Lui ed Elsa non si erano più rivisti dopo l’avventura nel Tempio del Graal; ma lei gli aveva scritto per fargli sapere che se l’era cavata. Lo sguardo ironico di McHale la indispettiva, facendole sospettare che le “cose interessanti” che l’archeologo americano andava raccontando in giro su di lei non si limitassero al solo ambito professionale.
“A quanto pare, lei ha lavorato all’Istituto di Cultura Ariana e sa molte cose sui progetti dei nazisti per accaparrarsi leggendari reperti di cui intendono sfruttare gli straordinari poteri. Ci hanno provato con l’Arca dell’Alleanza e poi con il Graal, ma non credo che la lista finisca qui.”
“No di certo, ricordo che volevano inviare degli agenti in Irlanda alla ricerca della lancia di Longino, che secondo la tradizione ha trafitto il costato di Cristo, e si interessavano anche agli alchimisti, alla Clavicula Salomonis e ad un manoscritto di Alberto Magno con cui sperano di realizzare la Pietra Filosofale, al codice di Voynich e…”, rispose Elsa.
“Va bene, va bene, risparmiateci la conferenza, professoressa Schneider. Le vostre conoscenze possono rivelarsi molto utili per noi. Sapete troppe cose, così i nazisti hanno deciso di chiudervi la bocca; ma non preoccupatevi, se accettate di aiutarci, noi possiamo proteggervi.”
Elsa sapeva di essere ormai nel mirino dei suoi vecchi alleati; ma non fu solo la paura della vendetta dei nazisti ed il bisogno di ottenere una protezione a spingerla ad accettare la proposta di McHale. Forse il destino le stava finalmente offrendo una possibilità di riscatto, di riparare ai suoi errori passati, schierandosi dalla parte giusta e contribuendo alla sconfitta di quelle forze oscure con cui un tempo si era compromessa.
“Bene”, concluse infine McHale, quando la studiosa ebbe accettato di collaborare con i servizi alleati, “probabilmente i nazisti pensavano fosse facile eliminarvi ed hanno inviato solo quell’uomo della Gestapo; ma è meglio non correre rischi: il mio collega vi scorterà alla vostra stanza, per fortuna, alloggiamo nello stesso albergo. Fate le valige, miss Schneider, domani mattina partiremo per Berna. All’Ambasciata americana, l’agente 110 le darà ulteriori istruzioni. Tutto chiaro?”
“Chiarissimo”, annuì Elsa, congedandosi da McHale ed uscendo scortata dal giovane agente.
“Conoscete anche voi Oberhauser?”, chiese la donna, rimasta sola con il giovane.
“Da ragazzo passavo le vacanze scolastiche a Kitzbuhel, lui mi ha insegnato a sciare e a scalare le montagne. È stato come un secondo padre, dopo che i miei sono morti quando avevo undici anni.”
“Oh, mi dispiace. Anch’io ho perso mio padre quand’ero piccola: è caduto in guerra.”
“I miei sono morti entrambi in un incidente in montagna, vicino a Chamonix. Mia madre era nata da queste parti, era svizzera, del Canton Vaud, mio padre invece era scozzese di Glencoe.”
“Uhm, scozzese di Glencoe avete detto?”, fece Elsa pensosa. Ma certo! Ecco dove avevo già visto quella faccia. Questo ragazzo è praticamente identico ad una foto di Henry da giovane che ho visto in un libro.
“Conoscete il professor Jones di Princeton?”
“Professor Jones? No, non lo conosco. Del resto non vado granché d’accordo con i professori da quando mi hanno buttato fuori da Eton per una storia con una cameriera…”
Hai capito il ragazzino… mi sa che l’aspetto non è l’unica cosa che ha in comune con i Jones…
 “Ecco fatto, quando partiamo?” disse Elsa, dopo aver saldato il conto e preparato la valigia.
“Immediatamente.”, rispose il giovane inglese. Poi, d’improvviso, si chinò a baciarle le labbra. “Beh, quasi immediatamente… In fondo la camera è pagata ancora per questa notte e sarebbe uno spreco non approfittarne…”.
“Come osate! Non conosco neppure il vostro nome!”, sbottò Elsa, cercando di apparire più arrabbiata di quanto non fosse in realtà. Ma guarda che razza di insopportabile impertinente! Certo che è dannatamente carino però…
“Oh, se è solo per questo ti accontento subito, bellezza… Il mio nome è Bond, James Bond!”
 
[1]                    Secret Intelligence Service, servizio segreto britannico conosciuto anche come MI6.
[2]                    Office of Strategic Services, il servizio segreto statunitense, precursore della C.I.A.
   
 
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