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Autore: Spoocky    04/04/2019    4 recensioni
Missing moment dal secondo libro della saga "Costa Sottovento".
Dopo che la Lord Nelson è stata catturata dai Francesi, Stephen si prende cura di Jack e di Pullings, rimasti feriti nello scontro.
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Genere: Guerra, Hurt/Comfort, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments in Patrick O'Brian'
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Disclaimer: i personaggi riconoscibili non mi appartengono e questo scritto non è a scopo di lucro. 

Warning: descrizione di ferite da battaglia, pur non nel dettaglio. 

Questa storia, e questo capitolo in particolare, sono dedicati a nattini1 che voleva leggere di interventi chirurgici ad opera di Stephen, con i miei migliori auguri ^^

Buona Lettura ^^


Quando glielo deposero davanti, Stephen vide solo sangue.
Il liquido cremisi sgorgava inesorabile, impregnando i vestiti lacerati al punto da impedirgli di individuare l’origine del sanguinamento a prima vista. Il rosso pulsante del corpo disteso sul tavolo operatorio soppiantò il pallore cadaverico del volto di Aubrey, ancora fisso nella sua mente, spingendolo verso il fondo dei suoi pensieri e permettendogli di concentrarsi su chi aveva più bisogno del suo aiuto in quel momento.
La figura dinoccolata del marinaio gli era apparsa da subito famigliare ma fu scostandogli i capelli,  scioltisi nella foga della battaglia e incrostati di sangue rappreso, dal viso che con una fitta al cuore riconobbe il giovane Thomas Pullings. 
Contratti per il dolore anche nella profonda incoscienza in cui versava, i lineamenti dell’allievo erano ingrigiti e ricoperti da una patina di sudore. La pelle era gelata, sintomo della copiosa emorragia, e respirava con evidente fatica. Tastandogli il torace, mentre i suoi assistenti facevano pressione sulle ferite per rallentare il flusso di sangue, Maturin individuò una depressione causata dalla frattura di due costole sul fianco destro.

Tagliò la camicia con il bisturi e la strappò a mani nude senza rimorsi: sarebbe finita da buttare comunque. Sotto trovò una serie di lividi, freschi ma profondi, che circondavano l’area delle fratture, dove l’infiammazione aveva già iniziato a gonfiare la carne. Con una serie di guizzi secchi delle dita, ricompose la cassa toracica come meglio poteva. Il corpo dell’allievo sussultò violentemente sotto di lui, e gemette attraverso il pezzo di cuoio che gli avevano fatto scivolare tra i denti ma, con grande sconcerto del dottore, non riprese conoscenza. 

“Non andatevene, Tom. Non così!” Si ritrovò a sussurrare, contro la sua volontà cosciente, mentre scollava brandelli di tessuto dalla coscia destra del giovane, dilaniata da sopra il ginocchio fin quasi all’anca, la pelle squarciata ed i muscoli a vista. Riconobbe l’operato terrificante di un proiettile di mitraglia e pregò con tutto il cuore che il femore fosse ancora intatto, o avrebbe dovuto amputare la gamba e il suo paziente avrebbe potuto non sopravvivere.
“Grazie a Dio! Grazie a Dio!” singhiozzò quando si accorse che, non solo l’osso, ma anche i vasi sanguigni principali erano intatti.
Impiegò un tempo indefinito, un minuto, un’ora, una vita intera, a ricomporre i muscoli e l’epidermide lacerati per poi rinsaldarli attraverso le suture.
Avvolse la ferita in diversi strati di bende con un’attenzione che sfiorava la tenerezza.

Stava per passare alla spalla sinistra, una ferita di spada profonda un pollice abbondante, quando i francesi irruppero nell’infermeria, e due di loro lo afferrarono alle spalle, strappandolo di forza dal tavolo operatorio.
“No! No! No!” Gridò, contorcendosi come un’anguilla per divincolarsi dalla presa ferrea dei due energumeni. Senza rendersene conto, contrasse spasmodicamente le dita sulla lancetta e un terzo individuo gli si avventò contro, cercando di forzare la sua stretta con entrambe le mani.
Attorno a lui echeggiavano grida e insulti, molto probabilmente stavano anche piovendo colpi ma non vi prestò attenzione: gli importava solo del ragazzo che si stava dissanguando sul suo tavolo.

“Fermi! Fermi, che il diavolo vi porti!” Una voce più forte ed autoritaria delle altre irruppe nella foschia del suo smarrimento e si bloccò immediatamente, congelandosi tra le braccia dei suoi assalitori. Solo in quel momento si accorse che il nuovo arrivato aveva parlato in Francese, ma si stava ora rivolgendo a lui in un Inglese ineccepibile, sebbene con un forte accento: “Voi dovete essere, le docteur. E’ corretto?”
“Sì.” Rispose lui, secco.
L’altro, un pezzo d’uomo di sei piedi abbondanti[1] e robusto quasi quanto Jack, annuì comprensivo e ordinò ai suoi uomini di lasciarlo andare: “Non farà del male a nessuno. Lasciategli fare il suo dovere.”

Maturin non perse tempo con le presentazioni ma si precipitò subito accanto al suo paziente.
Fu enormemente sollevato nel constatare che respirasse ancora. Il processo di coagulazione iniziava a prendere piede e l’emorragia dalla spalla era rallentata notevolmente, ma una ferita del genere andava suturata quanto prima per eliminarne la pericolosità.
Era talmente assorto nelle sue osservazioni da non notare che l’uomo misterioso si era portato dall’altra parte del tavolo e, piegando il tronco con le braccia incrociate sul petto, stava studiando anch’egli il corpo martoriato che vi era disteso, con un' espressione di sensibile comprensione. Neppure vide come l’altro non poté impedirsi di aggrottare le sopracciglia, quando realizzò la gravità della situazione.

Non si accorse di lui finché non lo sentì considerare:  “E’ molto giovane.”
Stephen non batté ciglio e continuò a pulire con delicatezza i labbri infiammati della lacerazione, tastandoli con i polpastrelli per accertare l’assenza di corpi estranei, ma non gli sfuggì il fatto che lo sconosciuto avesse parlato in Inglese, per farsi capire: “Ventun’ anni lo scorso agosto.”
Con la coda dell’occhio, vide l’altro irrigidirsi: “Mon Dieu, è quasi un bambino! Lo conoscete?”
“Da un paio d’anni. Ho servito con lui in precedenza.”
“Sono delle brutte ferite. Deve aver combattuto bene e aver resistito fino all’ultimo, per uscirne così.”
“Sì.” Accondiscese il chirurgo, con un tono deliberatamente brusco, appena nei limiti dell’accettabile “Ma non gli resterà molto da vivere, se non intervengo. E per farlo ho bisogno dei miei strumenti.”
Il suo sguardo corse verso il marinaio francese che stava osservando i suoi attrezzi con un’ espressione vorace, come se stesse valutandone il prezzo in un’ eventuale asta.
Gli occhi dell’estraneo seguirono i suoi e quando l’avvoltoio se ne accorse, arretrò immediatamente di un passo, abbassando la testa mortificato.

Fu in quel momento che Stephen capì di avere davanti il capitano di quella gente, o quanto meno un ufficiale comandante e provò un improvviso moto di rispetto verso di lui, per il modo civile in cui lo stava trattando: a quel punto era evidente che fossero stati catturati, e quell’uomo aveva ora su di lui potere di vita e di morte.
Sentendo il suo sguardo su di sé, il Francese si voltò e, con sua grande sorpresa, sorrise, incoraggiandolo con un cenno del capo: “Lavorate tranquillo, docteur, salvate la vita di questo poveretto. Baderò io che nessuno vi disturbi, e potete stare certo che non vi saranno altre interferenze.”   

Se la ferita sulla coscia era slabbrata e irregolare, la spalla presentava invece una lacerazione netta, con i bordi ben definiti.
Stringendo gli occhi a due fessure, inserì il filo nella cruna dell’ago annodandone il capo estremo per suggellare la sutura. Accostò con le dita i margini della ferita, li trapassò con l’ago e vi fece scorrere il filo attraverso, sigillando il primo punto. Poco dopo, il braccio di Pullings cominciò a contrarsi e a sussultare, sull’onda di spasmi involontari causati dal dolore. Fu l’ufficiale Francese ad appoggiarvi sopra le mani, aiutando Maturin a mantenere tesa la pelle e permettendogli di portare a termine la ricucitura in tempi ragionevoli.

Finalmente, Stephen poté lavare la zona circostante la ferita, coprirla con dei tamponi di garza, e avvolgerla delicatamente con un rotolo di bende. Poi sfilò il morsetto di cuoio dalle labbra dell’allievo e gli accarezzò una guancia con la mano libera, lasciando scorrere le dita sulla sua epidermide umida e gelata  finché il palmo non andò a posarsi sulla giugulare.
Per un lungo momento rimase immobile, assaporando il pulsare silenzioso della vita sotto la sua mano e trattenendo le lacrime di sollievo che gli bruciavano gli occhi.  

Alzò lo sguardo, intenzionato a passare lo straccio umido sul volto di Pullings per detergerlo, ma venne sbilanciato da un capogiro improvviso: l’infermeria prese a girargli vorticosamente intorno mentre i corpi distesi sul tavolo diventavano due e poi quattro.
Tutto era sfocato e confuso.

La pezza gli scivolò di mano, tentò inutilmente di aggrapparsi a qualcosa ma perse immediatamente la presa e sarebbe caduto a terra se qualcuno non lo avesse sostenuto. Si sentì afferrare per un gomito e condurre con fermezza fino ad un supporto orizzontale prima ignoto, dove venne fatto sedere.
Qualcuno gli stava parlando, non capì di cosa, ma riconobbe la voce dell’ufficiale francese. Con un supremo sforzo di volontà alzò la testa nella sua direzione generica e sbiascicò: “Il ragazzo...”
“E’ vivo, docteur, e presto starà bene. Potete rilassarvi adesso, state tranquillo.”
Maturin scosse il capo, provocandosi un’ulteriore ondata di vertigini che per poco non lo abbatté: “Il ragazzo... ha le costole rotte.” Strinse i denti per dominare la nausea “Bisogna farlo stendere... adagio... con la testa e le spalle sollevate... sempre... ha difficoltà a respirare.”
“Non preoccupatevi, docteur: me ne occuperò io. Voi avete bisogno di riposare.”

Poi diventò tutto buio.

Quando Stephen riaprì gli occhi, si trovò disteso a terra, con la giacca piegata sotto la testa come cuscino. Scattò a sedere e dovette portarsi una mano alla fronte per l’ondata di capogiri che ne conseguì.  Si riprese piuttosto rapidamente e subito iniziò a fare il punto della situazione: erano stati catturati e, a quanto poteva vedere, confinati nella stiva del veliero, Jack era stato ferito.

JACK!

Il pensiero dell’amico in pericolo lo galvanizzò immediatamente e scattò in piedi.
Trovò il comandante riverso in posizione supina a un braccio scarso da dov’era stato disteso lui. Controllò immediatamente i segni vitali e scoprì con sollievo che respirava correttamente, mentre il cuore batteva forte e regolare. L’unica fonte di preoccupazione era il prolungato stato d’incoscienza.
Voltando delicatamente la testa dell’amico con una mano, vide una serie di ematomi che andavano formandosi dalla tempia sinistra fino sopra l’orecchio, dove sparivano sotto i capelli.

“Beh, mio caro, hai sempre avuto la testa dura: supererai anche questa.” Lo disse più a se stesso per farsi coraggio che ad Aubrey, perché era abbastanza convinto che questi non potesse sentirlo. Non si poteva mai dire, con le ferite alla testa: potevano stabilizzarsi e poi precipitare all’improvviso, senza che si potesse intervenire in alcun modo.  C’era anche ben poco da fare, in effetti, con Jack incosciente: poteva solo sperare, e pregare, che la situazione si risolvesse.
Strinse forte la spalla dell’amico, nella speranza di comunicargli tutto il suo affetto e dargli un appiglio per tornare al mondo dei viventi, e si tirò in piedi.

Visitò rapidamente i suoi pazienti: grazie a Dio, i Francesi avevano avuto il buon senso di separare i malati d’influenza dagli altri, e i suoi feriti erano in condizioni relativamente stabili. Apprese da un marinaio che, mentre era incosciente, i loro carcerieri li avevano perquisiti e privati della maggior parte dei loro beni, tra i quali gli inestimabili strumenti chirurgici anche se, nel complesso, erano stati trattati più che decentemente.
Soffocando una serie di virulente imprecazioni, Stephen si accostò ad un capannello di uomini, riuniti intorno ad una figura prostrata sul pavimento che riconobbe come Thomas Pullings.

“Adagio, adesso. Adagio! Adagio!”
“Vedi di fare più attenzione, Wilkies, imbranato d’un leccapalle!”
“Morte e dannazione a te, Stevenson, scimunito pidocchioso!”
“Signori.” Al sentire la voce di Maturin, i marinai si placarono istantaneamente “Potrei sapere cosa stareste facendo al mio paziente?”
“Beh, signore... dottore, cioè, sarebbe che Stevenson, qui, è riuscito a recuperare una camicia e dei calzoni puliti dal baule del signor Pullings prima che i mangiarane lo sequestrassero, e siamo appena riusciti ad infilarglieli.”
“Non potevamo mica lasciarlo lì mezzo spogliato” spiegò l’interessato, come per giustificarsi “Non va bene per un giovane gentiluomo come lui.”
Sinceramente toccato dalla premura degli uomini, Stephen si inginocchiò accanto all’allievo e gli prese un polso tra le dita, per contargli i battiti: “Si è svegliato? Ha detto qualcosa?”
“No, dottore.”
“Niente, dottore. Però il capitano francese ha detto che voi avete detto di tenergli su la testa ed è quello che abbiamo fatto.” Effettivamente, le spalle di Tom erano puntellate dalle ginocchia di un marinaio, che gli cullava la testa nel proprio grembo.
Il chirurgo notò la secchezza delle labbra e delle narici del giovane, mentre le vene pulsavano troppo velocemente sotto i suoi polpastrelli e la pelle gelida era ancora ricoperta dal sudore freddo: “Ha perso molto sangue.” Constatò “ Forse troppo.”
“Ce la farà, dottore?”
Solo allora Stephen si rese conto di aver parlato ad alta voce e di non poter ritrattare: “E’ giovane e forte, confidiamo in questo. Sapreste dirmi che ore sono, per cortesia?”
“Hanno appena suonato i due colpi della prima guardia, dottore.”
Circa le nove di sera, dunque: “Molto bene, signori. Vi dispiacerebbe trasportare il signor Pullings presso il mio giaciglio? Vorrei poterlo sorvegliare questa notte.”
“Certo, dottore.”

Nel giro di pochi minuti, Stephen si trovò con la schiena appoggiata alla paratia e la giacca sotto la testa, aprì le braccia e vi accolse il corpo inerte di Tom, supportandolo con il proprio, petto contro petto, mentre la fronte gelata del ragazzo si andava a posare nell’incavo del suo collo.  Per quanto filiforme potesse essere, l’allievo era molto alto e il suo peso non indifferente, ma riuscì a distribuirselo addosso in maniera soddisfacente.

Il marinaio che prima aveva tenuto il ragazzo sulle ginocchia si sfilò la giacca dalle spalle e vi avvolse sia il ferito che il dottore. Quello che avevano chiamato Wilkies si sedette accanto a loro e sfilò i capelli dell’allievo dalla coperta improvvisata, lasciando che si spargessero sulle sue spalle prima di produrre un nastro di riserva da un qualche meandro dei suoi indumenti.
“Con permesso, dottore, ma non sta bene lasciarlo così.” In pochi, agili, movimenti raccolse la capigliatura del giovane in una coda e annodò la striscia di tessuto prima di salutare e ritirarsi. Solo allora il medico notò che avevano anche provveduto a lavare via il sangue dai capelli del ferito.

In tutto quel movimento, Pullings non si era mosso di un centimetro e non aveva emesso un fiato, anche se Stephen sapeva che, per quanto fossero stati cauti nel maneggiarlo, dovevano sicuramente avergli provocato dolore.
Quella debolezza lo spaventava: esisteva la possibilità concreta di perdere sia il suo amico più caro che il giovane subordinato, per il quale entrambi avevano maturato un sincero affetto.

Pur non essendo di norma dedito ai sentimentalismi, in quel momento Maturin venne sopraffatto dall’angoscia al punto da stringere il ragazzo più forte che poteva, come avrebbe voluto fare con Jack se avesse potuto. Si spinse addirittura a premere le labbra sulla fronte del giovane, sfiorandogli l’attaccatura dei capelli con un bacio leggerissimo: “Resistete, Thomas, ve ne prego.”
Come unica risposta, ricevette gli ansiti sommessi ed irregolari che costituivano il respiro del giovane. Lo accompagnarono nel sonno, rassicurandolo sul persistere della sua vita.
 
Note: 
[1] Poco più di 1,80 m


 
  
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