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Autore: Majakovskij    05/04/2019    2 recensioni
Due amici si incontrano di fronte a una tazza di tè per discutere dei distruttivi problemi di memoria del protagonista.
Genere: Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Allora, - farfuglia lui mentre mi fa entrare, senza nemmeno un “ciao” - siediti, dobbiamo parlare di un po’ di cose.

Mi afferra per la spalla e mi fa accomodare quasi a forza sul divano. Sento sulla mia pelle la sua mano che trema, e inizio a innervosirmi anche io.

-Cosa devi dirmi? - gli chiedo quando finalmente sono seduto.

-Vuoi un tè?

-Cosa? No, voglio sentire cosa hai da dire. Mi sembra evidente che hai bisogno di sputare qualcosa fuori.

Fa un respiro profondo, prima di replicare. - Be’, io voglio un té. Aspettami qui.

Si alza e va in cucina. Decido di fare come dice lui. È la prima volta che entro in casa sua, e me l’aspettavo, come dire… diversa. Credevo che avrebbe rispecchiato il caos emotivo che ha nel cervello, e invece sono seduto in uno dei salotti più ordinati che io abbia mai visto. Non c’è un filo di polvere, e il tavolino in vetro sembra quasi invisibile. Ogni singolo libro è perfettamente riposto a scaffale (e dire che non pensavo fosse nemmeno un lettore, che sorpresa) in ordine per colore, e quasi si specchiano tanto il legno è lucido.

-Non potevi prepararlo prima il té? - gli chiedo, iniziando a spazientirmi.

-Sì, sì, è solo che ho avuto tante cose per la testa, oggi, non mi ero reso conto dell’orario - risponde tornando da me con una tazza fumante. Siede sulla poltrona di fronte a me, incrociando le gambe e posa il tè sul tavolino.

-Bene, -dice poi, dopo un profondo respiro a occhi chiusi. - Ti ricordi da quanto tempo ci conosciamo?

Mi metto più comodo e rifletto. - Non so, dieci anni?

-Ci conosciamo da dodici anni. Dal 2007, quando io avevo ventuno anni e tu ventitré. E sei sempre stato uno dei miei amici più intimi. Uno di quelli di cui mi fido di più, forse l’unico per cui darei la vita.

-Aspetta - lo interrompo mentre prende un sorso di tè, - non starai… intendo, io sono etero.

Scoppia a ridere nervosamente e si sputa sui pantaloni. - Che cazzo dici? - mi chiede senza smettere di ridere. - No, è una faccenda diversa. Una cosa molto più seria. - Sembra più calmo, ora. Ma nonostante ciò continua a tremare. - Allora, dicevamo, ora siamo nel pieno dei nostri trenta anni. Siamo migliori amici da quando ci conosciamo. Perciò spero tu capisca che tutto quello che dirò adesso è per il tuo bene. Ti ricordi l’ultima volta che sei stato a casa mia?

-Oggi - rispondo io prontamente.

Lui sembra accasciarsi sulla sedia.

-Cazzo, temo sia peggio di quanto non pensassi. - Respira senza fretta, mentre il suo volto recupera colore. - No, non è oggi la prima volta che sei a casa mia.

- Se fossi già stato qui me lo ricorderei, non pensi? - chiedo, leggermente piccato.

-Oh, certo, perché tu hai sempre avuto la memoria del secolo.

-Ora cosa staresti insinuando?

-Che fai le cose e non te lo ricordi. E adesso sto provano ad affrontare questo discorso con te per l’ennesima volta, ma non ho mai le prove necessarie per convincerti. Perché puntualmente te le dimentichi.

-Ma, - faccio in tempo a dire, prima che lui alzi la mano per fermarmi.

-Quello che ti stavo dicendo è che in questi dodici anni sei stato molto spesso a casa mia, ogni singolo giorno per diverse ore nell’ultima settimana, e più sporadicamente per il resto del tempo. E ogni volta che ti dico ciò che sei tu continui a negare.

-Ciò che sono? Cosa sarei, secondo te?

-Appunto. - Si passa una mano sulla faccia, sembra esausto. - Stiamo parlando da più di due ore, e ti ho detto almeno tre volte cosa sei. Ma il tuo cervello, semplicemente, lo rinnega. Elimina ogni ricordo che non gli faccia comodo.

-Non sono passate due ore. Posso giurare che non sono passate due ore, sarò qui al massimo da mezz’ora. Dov’è la telecamera? Non è uno scherzo divertente.

-Ah sì? Mezz’ora? A che ora sei arrivato?

-Erano le sette e mezzo - rispondo io prontamente.

-E ora sono le otto e cinque, quadra perfettamente - risponde guardando il suo orologio. E allora perché quando sei arrivato ti ho offerto un tè e non la cena?

Rimango per un attimo basito dalla domanda. - Non avevi fame, immagino.

-Ma cazzo. Ma che bella motivazione logica. Eppure posso dirti che sei arrivato qui esattamente alle cinque e quaranta, e se fossi stato un po’ più intelligente ti avrei fatto un bel video per dimostrartelo.

Non rispondo, pensieroso. Sono certo di essere arrivato qui davvero alle sette e mezzo?

-Quindi, cosa stai cercando di dirmi? Che sono pazzo?

-Magari, - mi risponde. - Magari lo fossimo tutti.

-Non capisco… - chiedo, mentre sento la confusione crescere.

-Guardati il braccio destro - mi dice, mentre poggia i piedi sul tavolo di vetro, guardando il soffitto.

Eseguo. - Non vedo niente di strano - dico poi.

-Ah no? - ride, quasi isterico. - E quella cazzo di ustione? Ti prego, non dirmi che non la vedi.

-Che ustione? Questa è una voglia, l’ho sempre avuta. Non ci avevi mai fatto caso?

Cerca di parlare, ma scoppia a tossire con forza. Dopo aver calmato il fiatone, dice: -Hai sempre avuto una voglia a forma di croce sul braccio destro. Hai sempre avuto una voglia di croce sul tuo maledettissimo braccio destro. E allora perché non la tocchi?

Al tatto fa male. Lo guardo in silenzio, in attesa che sia lui a spiegarmi, perché io non sto davvero capendo.

-Te l’ho appena fatta io, quell’ustione. Te l’ho appena procurata io colpendoti con un oggetto freddo, e tu hai urlato, ti sei bruciato e mi hai colpito. Ma immagino che non ricordi niente di tutto questo. Immagino che mi dirai che il sangue sul tavolino c’era già da quando eri arrivato.

-Sì, esatto. Mi ricordo perfettamente che c’era già del sangue.

-Quindi fammi capire, sei entrato, hai visto del sangue sul tavolo e non mi hai chiesto assolutamente niente? Non ti sei preoccupato per me?

-Ovviamente volevo chiederti cosa ti fosse successo, ma poi abbiamo iniziato a parlare e mi sono distratto. È… è andata così, no?

-Magari fosse andata così. E dimmi un po’, a che ora sei arrivato?

-Alle otto - rispondo prontamente.

-Ok - esala lui. Tira fuori il cellulare dalla tasca. - Facciamo così: non so perché non ci ho pensato prima, ma da adesso registrerò tutta la nostra conversazione, così non ci saranno problemi.

Fa partire la registrazione e poi si tira su la manica del maglione, che mi accorgo essere intrisa di sangue.

-Questo taglio me l’hai fatto tu, poco fa.

-È bello profondo, non ha senso che io sia riuscito a fare qualcosa del genere. Aspetta, non dovremmo andare in ospedale?

-No, non c’è bisogno. Non credo sia più molto importante. Ascoltami bene, io sto cercando di aiutarti. Cerca di capire questo. Non prenderla sul personale, se ti faccio questa domanda: pensi di essere una persona cattiva?

-Cosa? No, non penso. Tu pensi che io lo sia?

-Penso tu sia una bravissima persona che ultimamente ha fatto un sacco di stronzate. Ma tra il commettere atrocità e l’esser cattivi c’è una bella differenza.

-Atrocità?

Cerca di alzarsi, ma non ce la fa. Torna a sedersi sulla poltrona. - Perché non guardi alla finestra e mi dici cosa vedi?

-Va bene. - Mi alzo, vado alla finestra e alzo la serranda. - Niente di particolare - rispondo poi.

-No, no, no, così non va bene. Raccontami dettagliatamente cosa vedi.

-Il cielo. Sta piovendo. Poi ci sono i palazzi, dei cespugli in fiamme, i cadaveri per terra. Il solito.

-E tu non ti rendi proprio conto dell’assurdità di quello che stai dicendo?

-Assurdità? È tutto nella norma, - mugolo.

-C’è un bell’acquazzone, vero?

-Be, sì.

-E di che colore è la pioggia?

-Che domanda del cazzo è? Rossa, ovviamente.

-Ehehe, “ovviamente”. Va bene, facciamo finta che sia ovvio. E se sta piovendo così a dirotto, perché mai i cespugli sono ancora in fiamme? Non dovrebbero spegnersi?

Sento il cervello affaticato, mentre cerco di elaborare una risposta. -Non… non lo so - confesso alla fine.

-Ah, finalmente. Benvenuto nell’apocalisse, e ti prego, cerca di riparare al danno che hai fatto.

-Quale danno? - sillabo lentamente con tutte le tremanti energie del mio cervello. -Che dovrei - mi interrompo, accorgendomi di un cadavere seduto su una poltrona. Ho le meningi in fiamme, stavo parlando con un cadavere? Devo uscire a prendere una ventata di aria fresca, o inizierò a preoccuparmi della mia sanità.

   
 
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