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Autore: Prince Lev Swann    05/04/2019    1 recensioni
Kairi, personaggio con un potenziale IMMENSO, si merita un trattamento migliore di quello che le viene riservato: è per questo che ho deciso di ripercorrere la storia di Kingdom Hearts dal suo punto di vista. Completamente ed esclusivamente!
"...A quel tempo Sora era geloso del suo Riku, e Riku era geloso del suo Sora. Loro non se ne rendevano conto, ma quel cerchio di gelosia era la causa della mia timidezza: non potevo avvicinarmi troppo a nessuno dei due senza aver paura che l’altro si sentisse lasciato fuori o persino tradito. [...]
Eppure non ci siamo mai allontanati del tutto. Forse è per paura di perderli che negli ultimi anni, senza volerlo, ho rafforzato la loro tendenza ad entrare in competizione. Non vorrei che prendessero le competizioni così seriamente, non vorrei che fossero in competizione nella vita – per me o per qualsiasi altra cosa – ma ancor meno voglio che noi tre smettiamo di essere quello che siamo. E finché loro continuano a stimolarsi a vicenda, purché il nostro rapporto viva, la nostra amicizia è salva. Sono certa che con il tempo riscopriranno la forza del proprio legame. Sono certa che questo conflitto avrà fine, offuscato dall'amore che lega tutti e tre noi."
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Kairi, Riku, Sora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Kingdom Hearts
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Esco di casa in fretta e furia, dopo aver discusso con mio padre.
Non gli interessa quel che facciamo, ha detto. È solo un altro dei nostri giochi, ha detto, e in quanto tale non gli causa alcuna preoccupazione.
Meglio così, devo dire. Se capisse quanto serie sono le nostre intenzioni, probabilmente non si limiterebbe a rimproverarmi; arriverebbe persino a impedirci l’accesso all’isola come ha già fatto in passato. No, meglio che non dica altro. Ora come ora potrei morire, se ci togliessero le nostre barche.
Procedendo a passo tranquillo giù per la collina sollevo il capo al cielo: meraviglioso come sempre. Sulle Isole del Destino la pioggia è una cosa rara. Quando piove, la gente si barrica in casa e non osa guardare fuori. Tutto il loro mondo si paralizza. Ma per me, Riku e Sora non è mai stato così. Nei giorni di pioggia siamo sempre usciti di nascosto, per andare in esplorazione: con la pioggia si vedono venire fuori cose molto buffe, come le lumache. Per fortuna loro non se sono mai accorti. Qui, gli adulti non si accorgono di niente…
«Kairi!»
È la voce di Selphie a gridare il mio nome. Mi volto e le faccio un sorriso.
«Aspettami» dice.
«Scusami, non ho proprio pensato di chiamarti.»
Selphie non ha una barca, i suoi genitori non ne possiedono una perché lavorano al mercato. Non sono pescatori, come la maggior parte degli isolani. Quindi lei può raggiungere la nostra isola solo se si fa dare un passaggio.
«Non ci pensare!» esclama, per nulla offesa. «…Ma sbrighiamoci. Oggi ho proprio voglia di starmene tranquilla.»
Annuisco. «Anch’io.»
E siamo già arrivate alla battigia. Afferro la mia barca e chiedo a Selphie di darmi una mano. Pochi minuti dopo siamo già a metà strada.
Di nuovo, senza smettere di remare, alzo lo sguardo al cielo. Poi lo abbasso di nuovo, sgranando gli occhi verso l’orizzonte.
«Ho una strana sensazione» sussurro senza quasi rendermene conto.
«Hmm?» fa Selphie.
Esito, prima di rispondere. Lei, Tidus e Wakka non sanno del nostro progetto; o, meglio, nessuno di noi ne ha fatto parola con loro. È possibile, però, che abbiano intuito qualcosa.
«Il cielo» dico infine, guardandola, «…oggi è di un colore più intenso del solito.»
Selphie si passa una ciocca di capelli dietro all’orecchio e ridacchia leggermente.
La guardo sorpresa. «Fa ridere?»
«Oh, no! Ma è una cosa un po’ bizzarra da dire. Pensi che pioverà?»
Scuoto il capo e continuo a remare senza aggiungere altro. Selphie non può capire cosa intendo; dubito, in realtà, che ci sia qualcuno in grado di capire. Ma io la sento, questa sensazione. È come se il mondo fosse un palloncino che è stato gonfiato troppo, soggetto a forze che minacciano di farlo scoppiare.
Ma che penso?
È una stupidaggine. Il mondo non è un palloncino. Probabilmente sono solo inquieta per la partenza imminente; ancora non riesco a credere che vogliamo farlo sul serio.
Ormai siamo arrivate.
Mi tolgo le ciabatte e salto giù dalla barca. Quando anche Selphie ce l’ha fatta, la ormeggio al piccolo molo. Quindi mi ci siedo e rimetto le ciabatte.
«Oh, Tidus è già qui!» Selphie corre via senza aspettarmi, così mi alzo per guardarmi intorno.  La barca di Riku è qui, quindi devono essere venuti insieme. Mi chiedo se abbiano chiamato anche Sora. La sua barca non c’è…
Ultimamente, Sora e Riku non sono più inseparabili come lo erano una volta. Mi duole ammetterlo, ma un sacco di cose stanno cambiando. È anche per questo che il nostro progetto è importante. A momenti mi chiedo se non sia principalmente quello a tenerci uniti… ma no, che sciocchezze. Siamo sempre stati amici, anche al di fuori del nostro sogno comune, il desiderio di libertà. Sì, sono certa che resteremo amici per sempre. E forse è normale che, crescendo, il nostro rapporto subisca delle variazioni. Però ho nostalgia dell’infanzia. Quando eravamo piccoli, la stupida questione della virilità maschile non esisteva. Mentre adesso…
«Ehi!»
È Riku a chiamarmi: lo vedo procedere verso di me con un sorriso strafottente sul viso.
«Sapevo che non sareste mai arrivati qui per l’ora stabilita…»
Mi porto una mano sulla nuca, combattuta. Non sono sicura che sia il caso di dirgli della discussione con mio padre.
«Scusa!» sbotto. «Ho aspettato Selphie…»
 Riku annuisce senza alcun entusiasmo.
«E Sora? Non è venuto con te?»
«Sora è grande. Non può aspettarsi sempre che qualcuno vada a chiamarlo. Deve imparare a badare a se stesso…»
Glaciale.
«L’avrei chiamato io, se non avessi dato per scontato che fosse già con te…»
Silenzio.
«Non fa niente» aggiungo, «fra poco verrà con la sua barca.»
Riku si porta una mano sulla fronte.
«Speriamo. Ma intanto andiamo alla baia, ti voglio far vedere a che punto sono arrivato con la zattera.»
Ridacchio. «…Certo!»
Giunti alla baia, anche in lontananza riesco a distinguere una sagoma che fino a ieri non c’era.
«Certo che ti sei proprio dato da fare…»
«E perché lo dici con quel tono deluso? Non sei anche tu impaziente di metterci in viaggio?»
Non mi piace il tono accusatorio con cui me l’ha chiesto, ma faccio finta di niente.
«Scherzi? È solo che… mi dispiace che tu abbia fatto tanta fatica. Mi sento in colpa.»
«Pff. Non avresti comunque potuto fare molto per aiutarmi, fino ad ora si è trattato perlopiù di trasportare legname. Ma Sora… cosa dobbiamo fare con lui?»
Questa volta Riku ha terminato la frase ridendo, ma quel leggero astio che nutre nei confronti di Sora, non ho smesso di sentirlo. E poi perché mi sottovaluta in questo modo?
Anch’io posso trasportare la legna.
Eppure non riesco a prendermela con Riku, non riesco a provare rancore per questo suo atteggiamento. Così sto zitta, mentre ci avviciniamo all’imbarcazione incompleta.
Ciò che Riku ha fatto con tanta determinazione è stato procurarsi tutti i pezzi che gli sembravano più adatti e metterli insieme alla bell’e meglio, ma vedo che la corda non è abbastanza, il supporto che ha tentato di rendere solido e compatto con quella che aveva risulta instabile. Inoltre i nodi non sono stati stretti come si deve.
Senza dire nulla, mi abbasso rapidamente, sistemo la corda e rifaccio i nodi. Così poca non terrà mai tutta la base insieme, ma una parte di essa sì. Per il resto è necessario trovare altra corda.
«Oh!»
Alzandomi, mi accordo che Riku è diventato rosso.
«Tranquillo» faccio con gentilezza, mettendogli una mano sul braccio destro. «Come vedi, questa è una cosa che dobbiamo fare insieme.»
Riku sorride; eppure percepisco che il suo imbarazzo non è sparito del tutto.
Mi guardo un po’ intorno per dargli il tempo di scacciarlo, quindi individuo la sua spada di legno a terra, appoggiata alla baracca che collega la baia con il resto dell’isola. In silenzio, mi avvicino ad essa e la afferro con rapidità.
«Cosa stai…»
Senza smettere di sorridere, sollevo l’avambraccio verso di lui e mi volto con spavalderia. Vedo Riku sogghignare.
«Dai. Ridammela.»
Scuoto il capo con lentezza,
«Ti sfido, prode guerriero!»
«…Non ho un’arma, dal momento che ti sei presa la mia, e poi non abbiamo tempo per giocare. Dobbiamo procurarci altra corda, no?»
Se due minuti fa era solo un po’ a disagio, adesso Riku è proprio nel panico. Abbasso la spada.
«…Ma se fosse stato Sora a sfidarti, non avresti rifiutato. O mi sbaglio?»
Riku e Sora non hanno mai voluto che usassi le loro spade giocattolo. Non hanno mai voluto neanche che me ne procurassi una tutta mia, se è per questo. Riku non l’ha mai detto esplicitamente, ma so che l’idea non gli è mai andata a genio. E Sora… Sora ha sempre avuto paura che mi facessi male, affermando di non saper “dosare la sua forza” con una principiante. Ma persino Selphie li sfida, di tanto in tanto.
Riku è ammutolito. Abbasso l’arma, soddisfatta.
La verità è che non mi diverte granché combattere. Preferisco dedicarmi ad altre attività, come l’esplorazione, la ricerca e la fabbricazione di oggetti. Mi piace anche disegnare, ma non lo faccio da anni. Disegnare mi era di conforto quando ero molto piccola, e questo mondo mi era del tutto sconosciuto; fu proprio mentre stavo disegnando, il primo giorno alle Isole, che Sora e Riku vennero a trovarmi. Sono passati quasi dieci anni.
La verità, però, è che disegnavo per scacciare l’inquietudine, e quella parte di me – l’inquietudine – è sparita da anni. Adesso che non sono più inquieta, non mi capita mai di prendere in mano i pastelli. Penna e bloc notes hanno preso il loro posto.
«Lasceremo che sia Sora a trovare i materiali mancanti» sbotto. «Va bene?»
Riku scuote il capo.
«Ho un’idea migliore: noi due continuiamo a darci da fare, finiamo il lavoro e lasciamo Sora a casa… Sto scherzando, non guardarmi così!»
Ridacchio. «Va bene, allora mi metto a cercare il resto dei materiali. Oltre alla corda, ovviamente ci serve una vela, e forse anche un altro po’ di legname… Sì, vado. Allora a dopo, Riku!»
«A dopo, audace guerriera.»
Corro via ridacchiando.
Ogni tanto mi capita di ridere per mascherare le mie vere emozioni. Adesso, per esempio, avrei voluto chiedere a Riku cosa sta succedendo fra lui e Sora, ma qualcosa me l’ha impedito. Forse non ho davvero il bisogno di chiederglielo, comunque. Quel che succede fra loro è abbastanza chiaro.
Quando cominciammo a giocare insieme, da bambini, Sora e Riku non ci misero molto ad affezionarsi a me. Nel loro rapporto, però, c’era già allora qualcosa di molto speciale che a me veniva precluso. Non che non mi andasse bene. Tutt’altro, in effetti; ma ero sempre un po’ timorosa di invadere il loro spazio, anche quando non c’era un motivo valido per esserlo. E come sono cambiate le cose, da allora…
A quel tempo Sora era geloso del suo Riku, e Riku era geloso del suo Sora. Loro non se ne rendevano conto, ma quel cerchio di gelosia era la causa della mia timidezza: non potevo avvicinarmi troppo a nessuno dei due senza aver paura che l’altro si sentisse lasciato fuori o persino tradito. Da bambini si è così. E per quanto riguarda il luogo segreto, dapprima pensai che fosse il nostro luogo segreto, di tutti e tre noi, ma poi Sora ha fatto in modo che diventasse il nostro luogo segreto, di lui e me, ed è a quel punto che il cerchio ha cominciato a cambiare orientamento. Riku ha continuato ad essere geloso del legame che c’era fra lui e Sora, ma intanto è cresciuta anche l’invidia per l’intimità che nasceva fra me e Sora.
Eppure non ci siamo mai allontanati del tutto. Forse è per paura di perderli che negli ultimi anni, senza volerlo, ho rafforzato la loro tendenza ad entrare in competizione. Non vorrei che prendessero le competizioni così seriamente, non vorrei che fossero in competizione nella vita – per me o per qualsiasi altra cosa – ma ancor meno voglio che noi tre smettiamo di essere quello che siamo. E finché loro continuano a stimolarsi a vicenda, purché il nostro rapporto viva, la nostra amicizia è salva. Sono certa che con il tempo riscopriranno la forza del proprio legame. Sono certa che questo conflitto avrà fine, offuscato una volta per tutte dall’amore che lega tutti e tre noi.
Spingo la porta di legno che collega i due lati dell’isola e mi ritrovo di nuovo sulla spiaggia. Distinguo subito una macchietta rossa, gialla e marrone vicino alla riva. Dopo aver realizzato che si tratta di Sora, mi avvicino con calma.
Pare stia dormendo.
Lo osservo per un po’, attenta a non fare rumore. Non voglio svegliarlo subito; mi piace guardarlo dormire, e non posso fare a meno di sorridere osservando i piccoli movimenti che fa nel sonno. Le sue dita tremolano in maniera appena percettibile, come se stesse cercando di afferrare qualcosa.
Non ha trovato me e Riku qui, e ha così pensato bene di farsi un sonnellino. Il solito Sora!
Incapace di scacciare via il sorriso, sollevo lo sguardo oltre le enormi scarpe di Sora e colgo fra la spuma delle onde un minuscolo bagliore. Chiedendomi cosa possa essere, mi avvicino alla riva e mi metto sulle ginocchia per esaminare l’oggetto in questione: a catturare il sole era una conchiglia Talassa. Finalmente! Me ne mancava solo una per poter completare la mia collana portafortuna.
Mi volto di nuovo verso Sora. Contemplandolo ancora, ripenso al viaggio imminente. Se durante questa o qualunque altra avventura fossimo costretti a separarci, è a lui che affiderò il mio portafortuna.
Mettendo in tasca la conchiglia, torno all’ombra delle palme e mi ricordo improvvisamente della promessa fatta a Riku di trovare i pezzi mancanti: è il momento di svegliare Sora.
Meglio darci da fare, così Riku non avrà modo di indurire i toni un’altra volta…Ma prima che possa avvicinarmi di nuovo a lui, Sora sobbalza di colpo. Non mi vede; sono alle sue spalle. Lo vedo mettersi seduto e stiracchiarsi. Sembra un po’ scombussolato.
«Ma… che cos’era?»
Silenziosa, mi avvicino ancora. Ma lui decide di sdraiarsi nuovamente, e chinando il capo il mio viso si trova esattamente al di sopra del suo. Sora riapre gli occhi.
«Oddio!» esclama, balzando in piedi.
«Sora, brutto pigrone!» replico. «Sapevo che ti avrei trovato qui a poltrire…»
*
“Pare che sia l’unico intenzionato a finire quella zattera” ha detto Riku vedendoci ridere e ignorare i ‘compiti’ assegnati. Ci ho scherzato su, per nulla in vena di irritarlo ulteriormente e perché probabilmente ha ragione lui a voler prendere il nostro progetto con tutta la dovuta serietà.
Sora mi ha parlato di un sogno inquietante, e anche lui non l’ho preso sul serio. La verità è che non voglio nutrire la sua inquietudine, non voglio che si faccia prendere dalla paura e cambi idea sulla partenza; se continuiamo a rimandare i nostri sogni, non li raggiungeremo mai. Ed è per questo che non ho parlato – né a lui né a Riku – neanche della sensazione di inquietudine che ho provato stamattina. È già sparita, devo dire, ma sono sicura che non si sia trattato di pura suggestione…
Sento, d’altra parte, che un’avventura sta per cominciare. Questo presagio di cambiamento… la nostra partenza è segnata. Dobbiamo essere pronti ad andare, e non solo per realizzare il nostro sogno, ma perché è il destino che ci ha indirizzati su questa via, sempre. Fin da quando arrivai qui non si sa come, e Sora pensò che fossi una sirena. Ma ci misero poco – lui e Riku – a supporre che forse non fossi arrivata dal mare, bensì dal cielo. Non potendo volare, comunque, salpare per mare è la nostra unica possibilità.
Sora mi ha chiesto proprio poco fa, come tante altre volte in passato, di parlargli del luogo da cui provengo. Come gli ho detto ogni singola volta, non me lo ricordo; non ci posso fare nulla. Se di quei giorni mi resta qualcosa, è il flebile ricordo di mia nonna e della storia che mi raccontava, a proposito delle tenebre che si celano nei cuori di tutti gli uomini e di come al principio dei tempi quelle stesse tenebre abbiano divorato il mondo. C’è una seconda parte della storia, di cui non sono del tutto certa, secondo la quale sarebbero stati i bambini, in quanto esseri puri, a ricostruirlo…
Ma il “mondo” … cosa sarà mai? Io, Sora e Riku abbiamo sempre saputo che l’universo è molto più immenso di come ci appare, e che intorno a noi, oltre il mare e forse oltre il cielo, esistono altre terre, probabilmente più grandi e più popolate del minuscolo frammento di terra che noi chiamiamo “Isole del Destino”.
Ho sempre pensato che fosse un nome poetico, ma la verità è che non sa nessuno perché si chiamano così. Alcuni, come mio padre – il sindaco –, sostengono che in qualche modo i nostri antenati siano finiti qui perché l’ha voluto il destino, e che quei primi isolani abbiano deciso di chiamarle in questo modo in onore al Fato, la volontà superiore che li ha condotti sulle rive di questa oasi di vita. Una terra bellissima e piena di risorse, eppure minuscola: Riku ha ragione.
Comunque non gli ho mai raccontato della storia di mia nonna. Non l’ho fatto perché non sono nemmeno sicura che non sia frutto della mia fantasia, e poi ci sono stati momenti in cui dargli altre prove delle proprie convinzioni avrebbe solo aumentato la frustrazione che è in loro; l’impeto di far qualcosa quando non puoi fare nulla, la voglia di correre quando sei chiuso in gabbia…Riku è sicuro di ricordarsi di due misteriosi visitatori, un uomo e una donna, che passarono di qui – proprio qui, sull’isola minore –  poco prima del mio arrivo, per poi svanire nel nulla e non tornare mai più. E Sora gli dà man forte, pur ammettendo di non esserne certo in quanto allora davvero troppo piccolo. Tuttavia Riku sembra esserne certo. Come sembra certo che in un passato assai più lontano ci si sia stato qualcun altro, un ragazzo, che sarebbe riuscito ad abbondare le Isole e a raggiungere altri mondi.
Ecco, hanno già tante prove.
A che scopo raccontar loro di una storiella che può significare tutto, ma anche niente? A che scopo incuriosirli più del dovuto? La curiosità può portare le persone alla rovina, ha detto una volta mio padre. Lui non ha mai approvato le nostre ambizioni; questo è chiaro. Però non ha tutti torti: bisogna cercare di non farsi divorare dalla curiosità, e ricordarsi sempre che esistono dei limiti. Non voglio che i miei amici impazziscano, non voglio che oltrepassino limiti di cui nemmeno si rendono conto.
Queste sono le ragioni per cui non ho mai parlato loro dei miei sogni, delle immagini sfocate, buffi commercianti e uomini con cappelli a punta, delle grosse fontane e del bel castello che la mia mente ha rievocato spesso, ma sempre con qualche differenza. Se ciò che hai da comunicare sono solo sagome e forme confuse, tanto vale non comunicare nulla. Almeno non a parole; e infatti – Sora e Riku non lo sanno – ciò che ritraevo attraverso i miei disegni, persino quelli fatti sui muri del luogo segreto, erano i riflessi dei miei sogni. Ora, non potrei farli più. Troppo tempo è passato; troppe immagini, distinte e definite, hanno preso il posto di quelle sagome, e adesso non ci resta che andarle a scoprire da noi. Osservare tutti i mondi che ci aspettano con i nostri occhi.
La zattera è completa.
Non ci resta che procurarci le provviste per il viaggio, ma questo lo faremo domani; ormai è tardi. Il sole sta già calando. Lo vedo, più ardente che mai, inondare l’orizzonte di sfumature calde.
«Se raggiungiamo l’altro capo del mare» dice Sora, sdraiato sul tronco ricurvo della palma da cui osserviamo il tramonto, «…sono sicuro che prima o poi raggiungeremo il mondo da cui provieni, Kairi.»
Non ne sembra così sicuro, dal tono. Lentamente, volto di nuovo lo sguardo verso l’orizzonte.
«Non possiamo esserne certi» replico.
«Se non funziona, penseremo a qualcos’altro» sbotta Riku.
Tutti e tre vogliamo trovare il mondo da cui provengo. Io voglio allargare i miei orizzonti, Sora vuole visitare posti sconosciuti. Ma Riku? Cos’è che rende Riku così impaziente? Cos’è che vuole davvero? Non riesco a trattenermi.
«Ammesso di raggiungere davvero un altro mondo… cosa faresti lì?» Mi sfugge una risatina. «…Ti importa solo di vedere, come per Sora?»
«A dire il vero non ci ho mai pensato molto. È solo che… mi sono sempre chiesto: perché siamo capitati qui, su quest’isola? Se è vero che esistono altri mondi, se è vero che il nostro è solo un piccolo frammento, perché è toccato proprio a noi?»
Non capisco dove vuole arrivare. Sora balbetta qualcosa.
«… Non ci resta che scoprirlo. È la solita conclusione.»
No, in effetti non posso dargli torto. Se vogliamo fare qualcosa, possiamo tentare oppure rassegnarci. E Riku sembra disposto a tutto pur di non rassegnarsi. Con calma, mi rivolgo di nuovo a lui.
«Ci hai penso molto ultimamente, vero?»
«È grazie a te» ribatte lui immediatamente. «…Se non fosse stato per te, dubito che sarei mai giunto a una conclusione.»
Sarà… ma io la vedo diversamente. Conoscendolo, credo che Riku non si sarebbe mai accontentato di questa vita, in nessun caso.
«Uhm» bofonchio, «…Figurati.»
Non è il caso di aggiungere altro, così mi volto di nuovo verso il mare senza dire nulla. E per qualche minuto, tutto tace.
Poi, quando il sole è calato del tutto, Riku si discosta dalla sua postazione e fa per dire qualcosa.
«È meglio se andiamo… domani ci aspettano gli ultimi preparativi.»
*


 
   
 
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