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Autore: Luana89    06/04/2019    0 recensioni
Non fu la sua bellezza a colpirmi: bensì l’assenza d’espressione sul suo viso. Il mio occhio fissava attraverso l’obiettivo, poco prima di scattare la prima foto del mio anno scolastico. Lo sconosciuto sembrò quasi sentire il lavorio dei miei pensieri, sollevò di scattò il capo guardando tra la folla, e i suoi occhi si poggiarono su di me per una manciata di secondi che valsero un’intera vita. C’era qualcosa in lui, qualcosa di assolutamente inspiegabile. Lo capii poco prima che sparisse all’interno della struttura: le persone attorno a quel ragazzo sembravano scostarsi al suo passaggio, come se quel singolo essere umano fosse in grado di domare la forza di gravità e il baricentro spostandoli a suo piacimento. Mi persi per un istante.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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XXIV.



Alternava momenti di incoscienza ad altri in cui sembrava lucido, gli avevo fatto mangiare qualcosa di caldo nonostante le sue proteste e cambiavo il panno umido sulla sua fronte ogni dieci minuti, tenendogli la mano. Sentivo sul serio come fossi stato sbalzato indietro nel tempo, a quella stanza minuscola del dormitorio con Lui che mi chiedeva semplicemente di stargli accanto. Stavolta non lo aveva fatto a parole, non ce n’era bisogno perché supponevo avessimo superato quella fase già da un po’. Tolsi il panno ormai asciutto poggiando la mia fronte contro la sua, la febbre persisteva ma a giudicare dal calore ero sicuro fosse scesa di almeno mezzo grado. Restai così, con le mani sul suo viso a respirare il suo stesso fiato.
«Ti amo.» ‘’Mi dispiace di non avertelo detto prima’’ lo pensai ma non lo dissi, aprì gli occhi guardandomi assente, mi aveva sentito? Stavo per ripeterglielo ma lo vidi chiudere le palpebre nuovamente e il campanello di casa mi distrasse, sospirai alzandomi e socchiudendo la porta andando a vedere chi è che disturbava a quell’ora del mattino. Mi ritrovai davanti Peter con un mazzo di rose, le fissai senza afferrarle.
«Posso entrare?» Mosse un passo ma gli sbarrai la strada.
«No non puoi.» Misi la mano sul fianco guardandolo con una certa fretta, avevo Enoch incosciente nell’altra stanza non potevo perdere tempo di certo con lui. Inoltre era di sicuro l’ultima persona che avrei voluto vedere dopo l’episodio fuori dal ristorante.
«Mi dispiace molto per quella sera, davvero..» chinò il capo e vidi il pentimento disegnarsi sui suoi lineamenti, sospirai lasciando perdere la mia postura rigida. «Non volevo picchiare il tuo amico..»
«Non è un mio amico, è il mio fidanzato.» Ci soppesammo in silenzio qualche secondo e lo vidi sorridere, nonostante apparisse più come una smorfia divertita la sua.
«E’ lui la persona che hai aspettato per tutto questo tempo, quindi?» Non risposi, a che pro? Mi sembrava piuttosto evidente. «Mi dispiace di non aver avuto una minima occasione con te, mi piacevi molto.. moltissimo.»
«A me dispiace averti ferito, senti Peter..» cercai dentro me stesso le parole adatte in una situazione simile. «Tu mi piaci davvero, sei un ragazzo d’oro, e mi sono sempre trovato benissimo insieme a te..» sorrisi tristemente, era chiaro il messaggio? Era un bravo ragazzo, mi piaceva come mi sarebbe piaciuta qualsiasi altra persona: come amico. I suoi occhi presero consapevolezza, sollevò il mazzo di rose mostrandosi imbarazzato.
«Questo posso lasciarlo?» Soffiai fuori una risatina costernata afferrandoli e odorandoli.
«Grazie, sono bellissime.» Andò via pochi istanti dopo senza aggiungere altro, poggiai il bouquet sull’isola della cucina tornando in camera da Enoch, era tutto come lo avevo lasciato a parte il mio malatissimo ragazzo che adesso stava girato dando la schiena alla porta. Lo lasciai di nuovo solo per andare a farmi una doccia, mi sentivo come se mi fosse passato sopra un camion, non avevo dormito tutta la notte praticamente e supponevo l’acqua bollente sarebbe riuscita a sciogliere il fascio di nervi tesi all’altezza del mio collo. Durante la doccia sentii come un tonfo, chiusi l’acqua tendendo l’orecchio ma solo il silenzio mi accolse, scrollai le spalle continuando a lavarmi ma dopo aver finito ed essermi rivestito capii la matrice di quel rumore: Enoch era sparito. Provai a chiamarlo ma il cellulare risultava spento, per un motivo a me sconosciuto il panico mi sommerse, poggiai una mano al muro sostenendomi respirando lentamente per acquisire la calma persa. Andava tutto bene, aveva avuto probabilmente qualcosa da fare e non mi aveva detto nulla perché sapeva mi sarei arrabbiato nel vederlo uscire ammalato. Si, era sicuramente così.
 
*
 
La testa mi scoppiava, mi sentivo confuso persino il mio respiro giungeva ovattato alle mie orecchie dandomi fastidio. Ero rimasto incosciente tutta la notte, eppure mi sentivo felice, avevo persino sognato: Joshua mi baciava e diceva di amarmi. Sorrisi sentendo la testa girare, delle voci mi strapparono dalla mia veglia, una era quella che viaggiava ormai da sempre nei miei pensieri mentre l’altra non credevo di conoscerla nonostante avesse un timbro familiare. Mi alzai a fatica girando la maniglia, dallo spiraglio vidi Peter con delle rose e Joshua di spalle di fronte a lui, stavo per aprire la porta e dargli altri quattro cazzotti ma le parole che sentii mi raggelarono sul posto.
‘’A me dispiace averti ferito, senti Peter.. tu mi piaci davvero, sei un ragazzo d’oro, e mi sono sempre trovato benissimo insieme a te..’’, un senso violento di nausea attanagliò le mie viscere e la confusione che sentivo dentro il cervello a causa della febbre divenne più pressante, mi trascinai nuovamente sul letto raggomitolandomi su me stesso. Era finita davvero? Avevo perso Joshua definitivamente? Mi coprii il viso con la mano tremante, era uno stato d’animo così strano il mio, nonostante avessi la mente in pappa e febbricitante la sensazione squassante di perdita sovrastò tutte le altre sensazioni. Si sarebbero detti di amarsi? Si sarebbero baciati? Sarebbero andati a letto insieme? Quei pensieri mi torturavano, ma più di tutto era la consapevolezza di averlo perso a distruggermi. Sentii l’acqua della doccia e capii fosse in bagno, ne approfittai per alzarmi e trascinarmi fuori da quella casa, la prima cosa che feci fu chiamare Sean la seconda spegnere il cellulare. Volevo isolarmi e buttare fuori tutto il mondo restando io e il mio dolore a farci compagnia. Per tutta la mia schifosissima esistenza.
 

«Josh mi ha mandato un messaggio.. – rettifico mi sta chiamando adesso.» Sean mi fissò nel panico, spostai lo sguardo sulla vetrata fissando il mio riflesso appannato dalla pioggia estiva che cadeva violenta.
«Digli che non sai nulla.» Sentii il suo biasimo trapassarmi la schiena ma non mi importò, niente importava in quel momento. Avevo prenotato un volo per Berlino il giorno dopo, mi sarei fatto spedire le mie cose con calma tra qualche tempo, in quel momento era vitale per me mettere una distanza, stavolta consapevole, tra me e Joshua. Ero sicuro mi stesse cercando per dovere di coscienza, voleva essere lui a dirmi chi aveva scelto alla fine tra me e Peter, ma non glielo avrei permesso. Era già abbastanza devastante così, senza doverlo guardare e pensare a tutto ciò che mi stava venendo negato, tutto ciò per la quale avevo vissuto in quei due anni mentre attendevo di ritornare da lui. Mi pressai il petto, lì dove sentivo un dolore acuto come un ago conficcato nel cuore; non riuscivo ancora a credere di averlo perso, e insieme a Lui persi anche me stesso.
 
*
 
Fissai il palazzo con occhi stanchi, in quei tre giorni mi ero sentito come se delle mani m’avessero sbalzato a forza nell’incubo del passato. Enoch era sparito e di lui nessuno sembrava sapere nulla, ero stato nel suo appartamento solo per ritrovarmi il padrone di casa con una coppia al seguito: ‘’il precedente inquilino ha disdetto il contratto, sono qui per far vedere il loft ad altri acquirenti’’. Se quando avevo trovato il suo cellulare spento pensavo di aver raggiunto il culmine del mio dolore, dopo quell’incontro mi resi conto che non era nulla. La devastazione della mia vita era appena ricominciata. Come poteva rifarmi questo? Come poteva uccidermi una seconda volta? Non riuscivo a crederci, anzi non volevo farlo. Non potevo semplicemente accettare di vederlo svanire nel nulla ancora.
Suonai con forza il campanello una volta, e poi un’altra ancora finché non decisi di attaccarmi con violenza. Avrei demolito quella merda di casa. Sean aprì la porta con un cipiglio incazzato che si dissolse appena mi vide.
«Che diamine ci fai qui tu..» dalla sua faccia giurai avesse visto un fantasma, e probabilmente visto il mio pallore di morte gli somigliavo.
«Perché ormai fiuto i bugiardi come te a chilometri. Se pensa di poter rifare lo stesso giochetto di due anni fa a Stoccarda si sbaglia di grosso, torna tra un’ora.» Lo spinsi con violenza fuori da casa sua sbattendogli la porta in faccia, e quando mi voltai incrociai i suoi occhi blu. Pensavo che la mia prima emozione sarebbe stata la rabbia, il furore cieco per quella ferita che mi stava infliggendo consapevolmente per la seconda volta ma mi sbagliai. Le lacrime uscirono incontrollate dai miei occhi mentre mi avvicinavo alla sua figura seduta su uno sgabello, teneva gli occhi bassi come se mi stesse escludendo non solo dalla sua vista ma anche dalla sua mente.
«Hai idea di quanto mi sia preoccupato?» Cercai di tenere un tono fermo di voce senza riuscirci.
«Sto bene come vedi, puoi andare via.» Il suo tono freddo mi ferì, arretrai di un passo provando a respirare profondamente.
«Perché mi stai facendo di nuovo questo..» perché proprio adesso? Adesso che finalmente avevo ucciso le mie paure abbracciando tutto l’amore provato e mai dimenticato. Non lo dissi a parole ma supponevo i miei occhi parlassero per me.
«Ti sto solo lasciando libero, domani parto.. torno a Berlino.» Per la prima volta da quando ero entrato in quella casa si azzardò a guardarmi, nei suoi occhi vidi un vuoto che mi sommerse come un’ondata violenta, mi teneva bloccato lì sul posto impedendomi persino di pensare con lucidità.
«Perché..» non capivo, non riuscivo a comprendere cosa fosse accaduto e come i suoi sentimenti potessero essere cambiati.
«Sono tornato per te, ho vissuto due anni pensandoti, pensando al momento in cui ti avrei rivisto, in cui ti avrei abbracciato.. baciato.» La sua voce si incrinò e per la seconda volta da quando i nostri destini si erano incrociati lo vidi piangere disperatamente. «Cosa vuoi che ti dica ancora? Cos’altro posso fare o dire affinché tu possa perdonarmi? Ho pensato ‘’non importa, finché mi ama ci sarà sempre speranza’’, ma adesso? Adesso che speranza mi è rimasta?» Gli andai incontro chinandomi fino ad arrivare alla sua altezza, afferrandogli il viso tra le mani per scrutarlo attentamente.
«Che cosa stai dicendo? Enoch, io..» non mi fece nemmeno finire di parlare, si sciolse dalla mia presa alzandosi per allontanarsi, mi sentii come se mi avesse schiaffeggiato.
«Non voglio sentire quello che stai per dire, voglio solo tu te ne vada.» Nonostante il tono freddo e aggressivo le lacrime non smettevano di scendere bagnandogli le guance; mi alzai a fatica stringendo i pugni delle mani.
«Ti ho detto di amarti, mentre ti vegliavo in quel letto, in casa mia.. ho detto di non aver smesso nemmeno per un secondo e tu mi chiedi di sparire?» Strinsi i denti affinché non tremassero, cercavo dentro me stesso l’eco sordo del mio cuore, ma non lo sentivo.
«Quel giorno a quanto pare hai detto tante cose, anche a Peter.» accolsi quella notizia con uno stupore che non mi premurai di celare, che voleva dire? Ripensai alla conversazione di quella mattina, che c’eravamo detti per fargli avere quella reazione? Più ci pensavo e più non arrivavo a nessuna conclusione.
«Se mi avessi sentito parlare con lui saresti rimasto lì con me.. hai almeno sentito il momento in cui gli dicevo che eri il mio fidanzato?» Mi fissò sbigottito e in silenzio, approfittai di quel momento per avvicinarmi cautamente a lui.
«Ho sentito che gli confessavi di volerlo, hai detto ‘’tu mi piaci’’.» Chiusi gli occhi pressandoli con due dita, scuotendo il capo affranto.
«Oh Enoch.. non sai ciò che dici, la febbre deve seriamente averti dato alla testa.» Mi avvicinai ancora e per mia fortuna non si scostò fissandomi però guardingo, come se temesse che la mia fosse tutta scena prima di dargli un ipotetico colpo di pistola al petto. «Peter mi piace davvero, ma come amico.. non è lui la mia metà. Non è lui il mio ‘’koi no yokan’’ o l’hai dimenticato?» I suoi occhi ancora lucidi di lacrime minacciarono l’ennesimo pianto mentre tirava sul col naso sorridendo dolorosamente.
«Come potrei dimenticarlo? Penso di aver vissuto tutta la vita solo per trovarlo..» mi guardò come se fossi la cosa più preziosa che avesse mai visto, gli afferrai il viso tra le mani asciugandogli ancora una volta le lacrime come quella famosa notte di due anni fa.
«L’hai trovato davvero, sono qui non mi vedi? Ti amo .. non abbandonarmi, non ancora. Stavolta non potrei sopravvivere.» Le mie labbra tremarono nello sforzo di esser forte, mi afferrò di slancio, le sue braccia mi avvolsero con forza e io mi sentii nuovamente a casa. Perché non c’era nessun altro posto al mondo che potessi considerare ‘’casa’’ al di fuori del suo abbraccio.
«Pensavo di averti perso..» il respiro ancora caldo per gli strascichi della febbre mi solleticò il collo, mi aggrappai alla sua schiena stringendone la maglia tra le dita.
«Non mi hai mai perso, sono sempre rimasto qui.. dove avresti potuto ritrovarmi, ricordi?» Non lo vidi sorridere ma ero sicuro lo stesse facendo, si scostò baciandomi con desiderio e disperazione, facendomi quasi perdere l’equilibrio per l’irruenza messa. Quando si staccò da me sentii di non avere abbastanza fiato nei polmoni.
Sean non tornò dopo un’ora, e io non mi preoccupai nemmeno di chiamarlo, restai seduto con Enoch sul divano a parlare di cose prive d’importanza, come se fossimo desiderosi di recuperare il tempo perso.
«Il tuo letto è comodo..» aggrottai la fronte cercando di capire cosa diamine centrasse adesso la comodità del mio letto, sembrò leggermi nel pensiero e io vidi la furbizia illuminare il suo sguardo. «Ho disdetto il contratto del mio appartamento, dovrò pur vivere da qualche parte.»
«Sono sicuro Sean sarà felice di continuare ad averti qui.» Misi su un sorrisino ironico mentre mi allontanavo lentamente da lui.
«Non ci provare nemmeno.» Mi seguì minacciosamente mentre iniziavo a correre lungo quella casa, provando a sfuggirgli, alla fine rallentai di proposito solo per permettergli di afferrarmi e tornare a baciarmi.
 
L’aeroporto era gremito di gente, tenevo stretto tra le dita il mio biglietto e il documento mentre Enoch di fronte a me mi spintonava ridendo.
«Ma come puoi frignare così? Sembri un bambino.» Mi stizzii incenerendolo con un’occhiata.
«E tu come puoi essere così stronzo? Il tuo fidanzato sta partendo, c’è qualcuno in linea??» Imitai una cornetta con tono sarcastico che servì solo a divertirlo di più.
«E già mi manca infatti..» mi addolcii a quelle parole asciugandomi le lacrime, alla fine mi ero licenziato davvero accettando il master a Parigi. All’atto pratico era tutto molto bello, insomma avrei rivisto anche Joel, ma adesso che c’ero quasi il pensiero di separarmi da lui mi distruggeva da dentro.
«Giura che mi chiamerai ogni giorno.» lo afferrai per il braccio stringendolo con forza. «Enoch, ogni giorno
«Sembri un fidanzato psicopatico lo sai? E comunque farò di meglio, entro due settimane mi ritrovi davanti la tua porta.» Mi illuminai slanciandomi verso di lui, attaccandomi al suo collo con gridolini di gioia.
«Verrai davvero??» Mi baciò con trasporto mentre la voce metallica degli altoparlanti annunciava il mio volo in partenza di lì a poco.
«Avevi dubbi? Non puoi liberarti di me.» Ci guardammo intensamente per qualche secondo, non volevo lasciarlo andare ma il secondo richiamo mi strappò dalle sue braccia di malavoglia. I miei occhi restarono incollati alla sua figura finché non dovetti sparire oltre le porte, e anche allora il suo pensiero non mi abbandonò nemmeno per un secondo. Stavo vivendo la vita che volevo, la vita per la quale avevo combattuto fuggendo ormai sei anni prima da Mississipi, e questa stessa vita si era legata indissolubilmente a quella di Enoch.
Non solo oggi, non solo domani, né tra un anno ma per sempre.
 

 
( Ottawa – Canada )
 
«Potresti smetterla di disturbare?» Sgomitai tornando a selezionare le foto per il prossimo servizio in uscita, ma Enoch sembrava avere altri piani mentre mi trascinava steso sul letto bloccando ogni mia protesta con la sua bocca. Mugugnai qualcosa di incomprensibile mentre mi lasciavo andare infine alle sue carezze e ai suoi baci ricambiandoli con il medesimo desiderio. Le sue mani risalirono lungo la mia coscia, soffermandosi sui fianchi. Vivevamo nella nostra città dei sogni ormai da tempo, nonostante i miei continui viaggi e i suoi quello restava il nostro rifugio felice. Mi aveva chiesto di sposarlo durante una sua visita a Parigi, in un modo assurdo, si era seduto sulla panca dove lo attendevo e guardandomi aveva semplicemente detto: ‘’Ciao sono l’uomo della tua vita, vuoi sposarmi?’’ dandomi un anello che custodivo insieme al precedente, nonostante adesso all’anulare spiccasse la fede.
«Papà?» A quella voce spintonai colui che era diventato mio marito quattro anni prima balzando a sedere.
«Amore, che ci fai ancora sveglia?» Evon mi fissò con la sua bambola stretta al petto, aveva gli occhioni verdi identici a quelli del suo gemello Janus che probabilmente dormiva beatamente nel suo letto, accanto a noi in culla invece riposava Jeremiah, l’ultimo dei tre ancora troppo piccolo per condividere camera coi suoi fratelli.
«Cosa facevate tu e papà?»
«Stavamo per copulare.» Diedi un pizzicotto a Enoch che urlò come se gli avessi spezzato un braccio, che stronzo. «Evon, papà mi ha fatto male, difendimi.» non se lo fece ripetere due volte fiondandosi sul letto per ricadergli in braccio sfregandosi contro il suo collo. Era una stronza ruffiana proprio come Lui, tali e quali pur senza condividere una goccia di sangue.
«Ti difendo io, papy.» Sembrava una gattina che faceva le fusa, seguiva Enoch in maniera adorante e incondizionata a differenza del suo gemello che nutriva una palese preferenza per me. Almeno qualcuno in quella casa apprezzava la mia presenza, era confortante. Jeremiah a soli due anni donava amore incondizionato a entrambi, in quella casa stavamo tutti fuori di testa per quel bambolotto profumato e dagli occhioni blu intenso. I tre avevano caratteri totalmente diversi che già andavano delineandosi palesemente; Evon me la immaginavo a diciannove anni coi cartelli animalisti a urlare fuori dall’università, non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, adorava i documentari e il cibo spazzatura, comandando a bacchetta il gemello. Janus era più pacato, con un’indole curiosa che avrebbe fatto impallidire persino la mia, scrutava con attenzione ogni cosa cercandone i significati con precisa meticolosità. Una volta per richiamare la mia attenzione aveva sbattuto il pugno sul tavolo urlando ‘’BA-STA’’ con lo stesso tono deciso di Enoch quando battibeccavamo o li richiamava perché troppo monelli. Sorrisi a quel ricordo guardando Jeremiah nella culla, era ancora troppo piccolo, ma sapevo mi avrebbe reso ugualmente orgoglioso, avevo avviato le pratiche dell’adozione dopo il mio ultimo viaggio in Russia, non avrei potuto lasciarlo lì da solo senza più una famiglia.
«Evon, ne abbiamo già parlato, devi dormire nel tuo letto come i tuoi fratelli.» Le accarezzai i capelli biondissimi con dolcezza, li aveva quasi bianchi ed era bellissima. Ogni volta che Joel veniva a trovarci sembrava in venerazione di una Dea, e continuava a ripetere incessantemente ‘’è tutta suo zio’’ sotto lo sguardo geloso di Enoch, in quella famiglia non ce n’era uno sano di mente.
«Ha ragione papà, devi dormire nel tuo letto così noi possiamo scop— » gli tirai i capelli scoccandogli un dardo infuocato dagli occhi.
«Cos’è che potete fare voi?» Ci fissò con sguardo attento e furbo, era possessiva col padre oltre ogni logica, voleva persino che fosse lui a farle il bagno e se questo non era un problema alcune volte, quando Enoch era in viaggio diventava una tragedia per i miei nervi.
«Nulla tesoro, papà scherza..» le accarezzai il mento facendole il solletico, si piegò su se stessa ridendo e dimenticando la conversazione, era così bella l’innocenza dei bambini. Sentii il piede di Enoch accarezzare il mio in maniera lasciva, gli diedi un calcio ridendo.
«Papà raccontami ancora dell’Iran..» aggrottai la fronte.
«E tu che ne sai dell’Iran?»
«Ti ho sentito parlarne l’altro giorno, c’erano le bombe?» Serrai le labbra cercando un modo per addolcire le cose, non mi piaceva l’idea che sapesse di quanto gli uomini riuscissero a essere abominevoli. Ero soddisfatto del mio lavoro, facevo ciò che avevo sempre sognato fotografando in giro per il mondo e con un po’ di fortuna sarei riuscito ad aprire la mia galleria fotografica nel giro di pochi anni. Enoch accorse in mio aiuto distraendola con un giochino stupido che sapeva le piacesse, e continuammo per quasi un’ora finché non si addormentò. Ci guardammo duellando nel silenzio, sospirò perdente e io risi mentre scivolava fuori dal letto per prenderla in braccio e riportarla in camera sua.
Ne approfittai per stendermi e ripensare a tutta la mia vita fino a quel momento. Evrard viveva ancora a Stoccarda, cambiava donne come io cambiavo obiettivi alle mie macchine fotografiche, e sembrava che adesso il ricordo dell’ex moglie non facesse più così male. Madalyn esercitava ancora la professione di medico ma a NYC, aveva divorziato da Raymond e a quanto ne sapevo non andava più a trovare il padre in carcere. A volte chiamava, e una volta mi aveva persino chiesto le foto dei suoi tre ‘’nipotini’’, con Enoch parlava poco ma mi ero prefisso di risolvere le cose in un modo o nell’altro.
Sophia girava il mondo con il suo ormai quasi marito, dieci anni più grande di lei e amico del fratello che inizialmente non aveva preso benissimo quella relazione. Avevamo deciso di vederci almeno due volte l’anno, e fino a quel momento nessuno era venuto meno alla sua parola, anzi di lì a due giorni l’avremmo vista apparire alla nostra porta con la sua solita aria svampita mentre urlava ‘’Dove sono gli angeli della zia??’’, carica di regali .. solo per loro.
Nastya si era laureata, lavorava in un laboratorio e recentemente si era scontrata nuovamente con Jake dopo anni di lontananza. Incarnavano perfettamente l’idea che avevo io del destino, dopo me ed Enoch. Vedere come nemmeno gli anni avessero scalfito quelle due anime era confortante, ci sentivamo praticamente sempre al telefono e anche lei ci avrebbe raggiunto entro pochi giorni riempiendo la nostra casa di urla, come se già non fosse abbastanza caotica tra l’altro.
Shou era il mio pezzo forte in quel momento, si era preso una sbandata per una sua cliente che aveva lasciato il marito traditore per consolarsi tra le sue braccia. Quanto sarebbe durata? Chi poteva dirlo, era così instabile nei suoi sentimenti, e per quanto lo sgridassi provando a convincerlo a mettere la testa a posto era l’unico che ancora riusciva a resistermi.
E infine c’era Ruth, la mia adorabile Ruth.. le avevo proposto di vivere insieme, ma si era rifiutata. La famiglia adottiva che doveva occuparsi di lei temporaneamente a quanto pare era divenuta permanente; si era affezionata a loro e io non avevo avuto il cuore di strapparla da lì, seppur con dolore. Le braccia di Enoch mi cinsero attirandomi contro di se, seppellì il viso contro il mio collo baciandolo e strappandomi un brivido.
«Odori di buono..» lo diceva ogni volta e per me era sempre come la prima, mi voltai a guardarlo sistemandogli i capelli disordinati.
«Dopo quasi dieci anni, sii sincero, rifaresti tutto allo stesso modo?» Inarcò un sopracciglio già pronto a fare una delle sue battute stronze, gli strappai un pelo dal braccio facendolo quindi desistere e costringendolo a tornare serio.
«Uhm, no..» mi scostai appena per guardarlo con attenzione.
«E cosa cambieresti?» Supponevo parlasse dei due anni di assenza che avevano quasi distrutto la nostra storia.
«Cambierei l’inizio, quando ti vidi seduto di fronte l’università, col senno di poi avrei seguito l’istinto e mi sarei avvicinato, sedendomi accanto a te.» Gli stampai un bacio sulle labbra che sembrò dargli il giusto input per sollevarmi la maglia, lo fermai con una risatina.
«E cosa mi avresti detto?» Sollevò gli occhi come se stesse riflettendo attentamente se dirmelo o meno, alla fine tornò a guardarmi sorridendo furbamente.
«Ciao sono l’uomo della tua vita, vuoi sposarmi?»
 

 
  
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