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Autore: fumoemiele    07/04/2019    14 recensioni
John era una persona strana. Aveva rinchiuso sua moglie sotto strati di ghiaccio per congelarla, per conservarla, per evitare che deperisse mentre si sforzava di trovare una cura al suo male.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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John e Natalie
 
 
 

Penso che siamo tutti malati di mente. Quelli di noi fuori dai manicomi lo nascondono solo un po’ meglio.
(Stephen King)

John odiava i rumori della notte.
Odiava sentire le auto sfrecciare fuori dall’appartamento consumato, quando il sole ormai era sprofondato nell’orizzonte, lasciando solo il buio pesto. Odiava i lampioni che, nel viale pieno di ciottoli e cespugli informi, si accendevano a intermittenza e talvolta lo spaventavano, annunciando la presenza di qualcuno che però non c’era.
John era una persona strana. Aveva rinchiuso sua moglie sotto strati di ghiaccio per congelarla, per conservarla, per evitare che deperisse mentre si sforzava di trovare una cura al suo male. L’aveva rinchiusa in una bolla ghiacciata e sicura. L’aveva congelata, mentre gli studi sull’Alzheimer non fruttavano risultati e non davano a Natalie una cura concreta.
Talvolta ne sentiva la mancanza, e allora la scongelava solo per un paio d’ore e sperava che in quell’arco di tempo la sua memoria non marcisse, non cancellasse gli attimi passati insieme.  
La malattia non regrediva, ma Natalie non conservava mai i ricordi, al risveglio; le memorie di quella gabbia di ghiaccio erano distrutte. Non sapeva di perdere i giorni lì, in un limbo azzurrognolo e freddo.

Quella notte John la scongelò perché sentiva freddo, perché gli mancava il calore di una moglie innamorata e disposta a tutto per farlo felice.
Pianse, John, mentre la tirava fuori dai cubetti di ghiaccio e si assicurava che non restasse ferita, che non le si staccasse un arto per sbaglio.
Natalie si era svegliata infreddolita e stanca, la mente annebbiata dai ricordi cancellati, soppressi, eliminati da una matassa scura e spaventosa.
Sorridente, però, aveva trascinato le pantofole fino alla cucina. Aveva chiacchierato con suo marito, lo aveva baciato sulle labbra come tutte le sere, e aveva preparato una cena decente per entrambi, alla ricerca dei ricordi di quello che cucinava sua madre, ogni domenica sera, nel tentativo di ripescare vecchie ricette.
Si era guardata allo specchio per sbaglio e si era vista strana, deperita, con i capelli sfibrati. Si era vista invecchiata e non era riuscita a capirne il motivo, allora si era detta che la sua malattia aveva cominciato a cancellar via più momenti, più ricordi, più attimi. Aveva dimenticato ciò che aveva fatto negli ultimi mesi. Aveva dimenticato quale fosse il numero di telefono di John e aveva dimenticato il sapore delle sue labbra.
Aveva cancellato anche l’amore, la malattia.

Mentre il pollo cuoceva nel forno Natalie fissava il soffitto e John brontolava, fuori casa, cercando di racimolare della legna per alimentare il fuoco del camino.
Natalie fissava il lampadario e pensava, pensava, pensava… e le sembrava di aver passato troppo tempo ferma, perché le gambe le facevano male, la testa le girava un po’.

A John non sembrava importare granché delle condizioni fisiche di Natalie. Lei disse d’aver mal di testa, di non aver voglia di fare l’amore, e John si sentì rifiutato per la prima volta dopo tanto tempo. Di solito la scongelava e lei aveva voglia di lui.
Per un po’ tentò di convincerla. Poi riuscì a farla tornare al solito stato di passività, riuscì a farle capire che quelli erano i doveri a cui una moglie doveva aderire senza protestare. Brontolò anche qualcosa sull’avere bambini, ma Natalie pensò che non era possibile, e mentre sopportava e stringeva i denti e fare l’amore non le era mai parso così fastidioso, le tornarono in mente le sue urla. Le giunsero fino alla gola. La tentarono e poi tornarono a nascondersi.
La cena dal forno la levò John, un po’ bruciacchiata, due ore dopo. Quando l’aveva riportata nella cella e l’aveva congelata ancora perché non le serviva più, perché aveva sopperito la mancanza di lei, quindi era stato meglio bloccarla nel tempo. Fermare lei e la sua malattia.

John scongelò di nuovo Natalie, come se fosse un pezzo di carne lasciato nella cella frigorifera fino al fatidico giorno della cottura. Non la infilò nel forno, ma si approfittò di lei nello stesso modo. E nello stesso modo a Natalie rieccheggiò in testa il suono delle sue urla strozzate.
Le sue pupille saettavano da una parte all’altra della camera da letto. Superarono il corridoio e allora notò quella stanza che non ricordava, che nei suoi ricordi era stata cancellata.
Quando John finì di entrare in lei in modo rude e fastidioso, Natalie disse di dover fare pipì.
John la lasciò scivolare via dalla camera e Natalie rovistò un po’ in giro e la casa le parve cambiata, diversa da come la ricordava. Si convinse che era uno scherzo cattivo da parte della sua stessa testa, ma perché non riusciva a comprendere perché diavolo avessero costruito una cella frigorifera? A cosa serviva a lei e John? La guardò a lungo, ci entrò dentro. E allora riaffiorarono certezze spaventose.
Per un po’ fu convinta. Erano solo deliri, incubi.
Poi capì. La vita vera era sempre stata spaventosa. Più dei sogni, proprio a causa di quella concretezza.
Barcollò in cucina, indecisa, afferrò un coltello dalla punta affilata. Restò lì immobile a stringerlo fra le dita, accovacciata sotto al tavolo, rannicchiata su se stessa e impaurita. Più ci pensava e più le appariva chiaro quello che era successo in quegli ultimi… giorni, mesi, anni?
I ricordi non erano mai stati così veri. Sembravano quasi intoccati dal marcio. Mai sfiorati dai vermi.
John non ci mise molto a capire che qualcosa non andava. Inizialmente pensò che Natalie fosse morta e che l’avrebbe trovata sul pavimento del bagno, priva di sensi. Se la immaginò circondata dal piscio e dalle larve e si spaventò, aumentando il passo per raggiungerla. Non la trovò e allora deviò traiettoria fino alla cucina. Si guardò intorno, girò su se stesso. Poi sentì solo un dolore atroce sulla nuca. Una pugnalata secca e decisa, seguita da un’altra e un’altra ancora, mentre dalla sua gola schizzavano fuori urla strozzate. Il sangue di John le schizzò sul viso, le ricoprì le mani di rosso. Non vedeva John morto, in quel momento; vedeva solo tutto quello che le aveva fatto, un po’ alterato dalla malattia, un po’ troppo orribile per essere considerato reale.
Trascorse un’ora immobile, accasciata sul pavimento, il coltello ormai le era scivolato dalle dita e il corpo di John era caduto a terra con un tonfo sordo.
Intorno alla baita solo il silenzio. Le luci all’esterno si accendevano qualche volta, facendole sentire il terrore all’idea che qualcuno arrivasse lì. Cosa doveva fare? Come diavolo poteva uscire da quella situazione? Poteva davvero spiegare alla polizia quelli che erano i suoi sospetti, il perché aveva sentito la necessità di ammazzare suo marito?

Non arrivò nessuno per i primi due giorni e Natalie non trovò le forze di nascondere il cadavere.
Alla fine, stremata, digitò il numero della polizia e si costituì.
Spiegò loro quello che le era successo. Spiegò perché aveva ucciso John, spiegò cosa le aveva fatto.

La polizia ritenne che non fossero vere, le sue parole.
Natalie era matta. Non era mai stata congelata e scongelata come un prosciutto appeso in una cella frigorifera.
Ritenevano che la presenza stessa della cella non fosse una prova, dal momento che i due avevano sempre lavorato in macelleria. Il negozio stesso era al piano superiore della casa, e Natalie non sembrava ricordarsi della sua presenza.
Finì in manicomio e i suoi giorni li passò lì, lenti e inesorabili. Poi la mente ricominciò a oscillare e allora capì che anche in quella struttura i medici la congelavano e scongelavano come gli andava.
Riuscì a uccidere due infermiere, poi fu uccisa.
L’ultimo proiettile scagliato le aveva sfracellato il cranio. Era esploso e la poltiglia grigiastra e insanguinata si era rappresa sulle divise degli altri matti.




Ormai lo sapete, non è domenica se non me ne esco con un racconto breve. Mi diverto troppo a scriverli e le citazioni di King mi danno campo libero e ispirazione immediata.
Questa storia l'ho scritta ieri pomeriggio e l'ho corretta stamattina (sono le otto, capitemi), quindi sono piuttosto convinta ci saranno errori e ripetizioni di cui non mi sono accorta; casomai fatemeli notare così li correggo. 
Bene, spero di essere riuscita a intrattenervi un minimo. :) 
Alla prossima <3
 

 

   
 
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