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Autore: Io_amo_Freezer    07/04/2019    1 recensioni
Quattro ragazzi che non si sono mai conosciuti ma con un legame forte nel petto si incontreranno al college. Tra problemi, misteri e studio riusciranno a scoprire qual è la vera ragione di quel legame?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il sangue! Benedetto sangue! Lo avrebbe riavuto, lo avrebbe sentito ancora e avrebbe goduto di piacere nel poter abbandonare nuovamente il dolore. Sarebbe stato bene finalmente! Senza dolore.
E magari, anche senza la vita infine.
Non meritava tutto questo, singhiozzò, tentennando e afferrando la prima forbice che trovò nel rovistare dentro a un armadietto sotto al lavabo, per quanto fosse sottile e minuta, appartenente forse a quel mostro; ma, sghignazzando sicuro e puntando in fretta la piccola punta alla gola, mentre la sagoma allo specchio davanti a sé, rotta ed euforica, con le ciocche scompigliate, e vibranti di un giallo posseduto, in contrasto con l’opaco del suo volto, dava un senso di amaro terrore in quell’aria sempre più sinistra, contro la finestra poco distante da sé, che quasi vibrava dinanzi alla sua pazzia. Per quanto quell’oggetto fosse così minuscolo da essere inesistente a tratti, poteva rivelarsi l’arma fatale che cercava e che, con un solo affondo, gli avrebbe donato la pace che tanto agognava: sorrise, aveva trovato il suo destino, ciò che doveva fare. Non doveva vivere, non doveva rovinare la vita agli altri, farli preoccupare; e non doveva essere così, così pietoso e inutile… Era giusto così. Doveva essere giusto così!
Un tuono, forse due o tre, pari a un frastuono come se stesse per crollare la casa, tanto ampio fu percepito alle sue orecchie, e tanto fu frenetico l’impatto di tutti e tre di quegli strepiti, così in successione, così forti mentre volle premere con intensità e decisione, più di quel gesto udito; strizzando gli occhi, ma quel trambusto lo fece boccheggiare, ragguagliare in un sussulto che fece cadere quell’arma estremamente pericolosa, che rombò a terra nel tremolare su sé stessa a intermittenza, senza fine, ma producendo, un nuovo suono, però sempre più lieve intanto che osservò, scrutò, al di fuori di quella finestra. Si concesse pochi secondi, e poi si rintanò al di sotto del lavandino, approfittando dei tiretti scuri che impedivano la sua visuale: non aveva avuto il tempo necessario per capire; era come se si fosse appena risvegliato da un incubo, anche per via di quel suono abnorme e che si era rivelato solo un bussare, fin troppo raccapricciante nell’essere comparso nella notte, dietro a una finestra e con tanta determinazione; ma non aveva capito da dove provenisse, e ora osservava, tra gli spasmi, la porta principale del bagno davanti a sé, capendo che Rahzar avesse bisogno del bagno e lo stesse pretendendo… Tutto quel baccano era opera sua, quel frastuono per spaventarlo e fargli capire che stava per morire comunque…
No… No, non era lui… No, perché… La porta era chiusa…; inclinò il capo, perplesso: se fosse stato Rahzar, l’avrebbe già buttata a terra, anche se non fosse stata sigillata. Non capiva, però, se non era stato il mostro, allora tutto quel rumore non lo avrebbe comunque svegliato lasciandolo di malumore, no? Aveva paura, e infatti stava tremando, e non perché aveva freddo, ormai il gelo era svanito per tutta quell’adrenalina nata nello spaventarsi di colpo… Però… Se si era destato, ora c’è l’avrebbe avuta con lui… Che doveva fare? Era agitato, e non riusciva a regolarizzare il fiato eccessivo.
Doveva provarci. Sospirò, rilassando i polmoni, eppure invano dato come il suo cuore corse, e, come un riparo, sotto la luce del lampione fuori, che condusse il suo fascio a dar vita all’argento della forbice che giaceva a terra e che la riflesse in alto, sul soffitto come un rimbalzo, illuminando e dando un senso di maggiore inquietudine nel comprendere che, accanto all’arma, qualche goccia vermiglia si fosse impossessata del pavimento, così come della stessa lama. Farfugliando parole senza senso, e sgranando gli occhi, lasciò ai minuti di scorrere ma non di permettergli di ottenere la volontà di controllare la propria pelle, che iniziava a farsi più bruciante e calda, ma non servì a dargli quella curiosità, bensì solo quella di sporgersi e notare nuovamente la finestra. Cacciò un sospiro enorme, mostrando vapore, o forse fu un’allucinazione, davanti a quei tanti occhi che lo osservavano, con le mani sulla lastra di vetro, e alcune di esse a ticchettare, come a volerlo tranquillizzare, o avvisarlo, o altro ancora; anche per via dei loro sguardi: non erano arrabbiati, nemmeno chi lo era sempre…
Erano lì.
E ora avrebbe dovuto scappare ancora, quindi. Sì, e per cosa?, ironizzò nella mente; Per nulla. Diamine, lo avevano ritrovato. Era un imbecille! Ma non poteva aprirgli: Rahzar avrebbe sentito, si sarebbe svegliato…! E anche se non fosse… ma sarebbe accaduto di sicuro; e si strinse le mani contro al petto, tra loro, alla ricerca di una risposta, perché di certo non poteva lasciarli entrare dopo essere fuggito così! E soprattutto… Magari avevano letto la lettera e non erano d’accordo? Strano. Impossibile… Avrebbero dovuto lasciarlo perdere, sarebbero stati più felici…
E poi… Se apriva sarebbe tornato tutto come prima…, ma lì, puntò gli occhi nuovamente a terra, capendo che doveva davvero. Doveva! Doveva assolutamente compiere quel gesto! E poi, magari stava sognando: loro non potevano averlo trovato, così, di punto in bianco: sì, stava sognando. Era la sua testa, le sue allucinazioni, che corrompevano la sua visuale…
Doveva sbrigarsi allora. Si strinse nelle spalle e l’afferrò nuovamente con uno scatto, allungandosi e tornando immediatamente indietro, interrompendo la luce, quel breve sprazzo di speranza, per puntarsela stesso alla gola, in un secondo, come se non aspettasse altro. La speranza lo avrebbe ucciso, doveva. Con entrambe le mani, e con la testa che piantò al muro, si tenne pronto. Maciullandosi le labbra tra i denti portò gli occhi al cielo, e sospirò malinconico: sperò almeno di poterla rivedere. Lo avrebbe odiato, sì; anche lei, ma almeno l’avrebbe rivista.
-Stai fermo.- esclamò, tenendo saldamente quell’orrendo e ripugnante oggetto tra le mani e ritraendolo, portandolo indietro fino a gettarlo, schifato, dietro di sé. Però il suo tono era calmo, quasi dolce…
Non capiva chi fosse, non ne aveva tanta voglia, era meglio stare a fissare il soffitto, con la bocca semiaperta a cacciare vapore, o forse solo aria. L’arma, quella che aveva tanto agognato, era svanita nel nulla, e ora, nella sua mano, non c’era niente: vuoto, come lo era quel senso di angoscia, di disperazione… Quel, “Doveva farlo!”, era andato appena qualcosa lo aveva circondato… Sentiva calore, e questa volta era tangibile, così come il sentimento di spensieratezza che aveva voluto sentire dentro prima, durante quei ricordi…
-Non c’è bisogno di questo, di fare questo Mikey. Siamo qui. Siamo con te.-
-R… Ragazzi?- tentennò nell’udire distintamente una nuova voce, quella di Leonardo. Spalancò gli occhi, portandosi più seduto e sbattendo maggiormente la schiena contro il muro, assieme alla testa prima che iniziasse ad agitare le gambe convulsamente, in procinto di scappare, affannato e sentendosi infreddolito nel sudore che lo cospargeva, che gocciolava a terra come pioggia insieme alle lacrime: non aveva mai smesso o aveva ricominciato? Non gli importava, in subbuglio com’era e con loro tre davanti a tranquillizzarlo nello sfiorarlo, o tentare di farlo: non sapevano come interagire in quell’attimo, erano in difficoltà e lo si notava anche dai loro sguardi inclini al dubbio, dai loro occhi che trasmettevano amarezza e dalle smorfie inquiete mentre lo osservavano.
-N… No! Via, anda…!-
-Shh! Sh, sh, shh! No, no, tranquillo, tranquillo.- lo tenne stretto, Raph, abbandonando in fretta l’arto che, di scatto, aveva raggiunto la bocca, nuovamente libera ma non più in procinto di gridare, e continuando a cullarlo, a coccolare la sua chioma così luminosa in quel buio, come dei raggi che si espandevano nei loro occhi, alla ricerca di speranza, di ritrovare il loro Michelangelo in tutta quella paura, quella miserabile disperazione.
-Abbiamo optato per arrivare qui dalla finestra appena abbiamo capito che, dietro la porta c’era qualcun altro, oltre a te… Ma sta per arrivare la polizia, se ti trovano e dici che ti ha rapito, andrà bene.- bofonchiò allora, Donnie, torturando il suo localizzatore tra le dita, non sapendo se fosse stato giusto informarlo, ma non sapeva come reagire, cosa fare, in un momento del genere e con Mikey in quelle condizioni senza vita sotto la lieve scia di vento fresco che arrivava dalla finestra che aveva aperto il rosso con lo stesso metodo per la porta sul tetto. Trattenendo però il fiato insieme a tutti, soprattutto il più giovane che boccheggiò con le pupille a vibrare nel sentire il suono famigliare di qualcuno che, voltandosi nel letto e trascinandosi le coperte era finito con i piedi per terra con un forte tonfo, ben prominente e tuonante.
-Che cazzo hai adesso, bastardo?-
-P-p-p… Perché la polizia, perché?- mormorò, non tanto forte ma esalando un ultimo fiato con vigore: non era un problema, sapeva già e comunque che si sarebbe destato. Se lo aspettava, e sarebbe stato punito: era giusto. Ma la polizia no… Quello era un problema, Rahzar lo avrebbe ucciso se lo avesse saputo.
-Non ti toccherà, lo giuro.- sbottò Raph, tenendolo ancora più a sé, protettivo come una madre e donandogli un’ultima carezza prima di alzarsi e cacciare i Sai dal fodero nella cinta scura e marrone, stringendoli in entrambe le mani; nervoso e con un forte ringhio che superò la porta, tanto da far smuovere il mostro, che smise di piegare la maniglia, ma solo per un secondo prima di completare quell’atto e spalancarla.
-No! No! No, no! Va via! Via!- tornò a contrarsi, divincolando le braccia davanti al petto e poi verso il terreno a darsi forza come se dietro di sé non ci fosse il muro e potesse fuggire mentre le gambe spinsero in avanti un paio di volte, come a denigrare il buio e quelle persone davanti a sé, prima di richiudere le ginocchia accanto al suo petto, attaccando le mani alle sue ciocche con fare disperato, con il fiato accelerato e le pupille sempre più rimpicciolite e vibranti di pazzia, sempre più vacillanti lontani dalla lucidità.
-Sono qui, Mikey, siamo qui: ti vogliamo bene. Questo dolore ti sta distruggendo, ti sta spezzando, ma siamo qui: siamo ancora qui!- si fece sentire, all’ultimo, Donnie, chinandosi e lasciando stare quell’arnese a terra; prendendo il minore per una spalla, con una mano, e avvolgendogli il busto con l’altra dopo aver appurato, tastandola, che la ferita sulla gola non aveva lacerato nessuna parte interna importante. Sentì Raph sospirare dopo aver assistito a quella scena, con il cuore che si era stretto nella preoccupazione, scomparsa appena il genio era intervenuto; per poi puntarsi addosso a quell’essere, spingendolo indietro bruscamente e colpendolo usufruendo dei manici dei suoi Sai, intanto che Leonardo sfoderò una delle sue katana dalla custodia sulla schiena, seguendo a ruota l’amico, e atterrando, nel saltare e fare una giravolta in aria, Rahzar, percuotendolo alla gola con il tallone da fargli perdere conoscenza.
Lo guardarono entrambi con ripudio, lasciandolo poi a terra per raggiungere nuovamente il bagno, ritrovando Donnie in piedi e con, tra le braccia, il più piccolo che teneva il volto celato dietro al collo del genio; singhiozzando e con tono rauco, mentre il castano sospirò un mezzo sorriso nell’udire il suono rassicurante delle sirene.
-Sono arrivati, andiamo, voi aspettate, okay?- esordì Leo, più leggero e sollevato nel sentire come tutto stesse andando nella direzione che avevano sperato.
-Arrivato… Chi è arrivato?- mormorò scettico, Mikey in quel momento; tranquillo come se si fosse appena destato da un brutto sogno, innocente come se non fosse mai crollato nella disperazione, e ancora stretto contro Donnie che sorrise, scuotendo il capo dolcemente prima di parlare:
-La polizia, ma non devi preoccuparti. Ora andiamo a casa.- sorrise; almeno, ora, c’era da aggiungere anche un aggressione, da parte di quell’essere. Sperava che sarebbe stato in carcere a vita, o almeno il tempo giusto affinché Splinter adottasse il loro biondo e caro amico. Anche se, oramai, avrebbe perso l’affido in ogni caso: dato quel rapimento e anche per chissà cosa avrebbero trovato in quella stanza o nella sua macchina.
-Casa…?- farfugliò, amaro e con la bocca impastata mentre sentiva la gola pulsare, o meglio, il lieve taglio che era rimasto come simbolo di ciò che stava per fare, e che continuava a sanguinare e a cospargere di rosso la sua pelle, e forse anche il colletto di quel, così triste ora, pigiama.
-Ehi, Mikey!- si avvicinò con il suo solito tono forte anche se, per una volta, pacato, Raph, dopo che ebbe acceso la luce in quel bagno troppo tetro e sporco, lasciando agli occhi di tutti di abituarcisi con difficoltà, ma facendo sobbalzare il più giovane per quel richiamo, che si voltò verso di lui timoroso, mordendosi in fretta il labbro inferiore, strizzando le palpebre appena lo vide avanzare con una mano nella sua direzione prima che essa si trasformasse in una calda carezza. -Sono felice che tu stia bene.-
-Ohm… M-Mi… Io non…- sospirò in quei bisbigli prima di voltarsi nuovamente e celare il capo contro il petto del genio, anche se con ancora l’arto del focoso sulla sua chioma. Non sapeva che dire: voleva scappare, e lo aveva fatto, voleva uccidersi, e quasi c’era riuscito… Un “Mi dispiace” non sembrava il caso, e neanche essere perdonato, a conti fatti… Non poteva dire niente, e non voleva dire niente, eppure non voleva essere lasciato lì: desiderava che lo portassero con loro, come effettivamente stavano facendo, standogli vicino. Ma non se lo meritava, mentre la polizia faceva irruzione con violenza e circondava quell’uomo fino a incatenarlo con solide manette e intanto che un agente si avvicinò a lui per prendere la loro versione dei fatti, più veritiera che mai… Ora doveva parlare, immaginava… Sì, doveva. Questa volta era il momento.
 
 
 
Era a casa. Di nuovo. O almeno quella che condivideva con quelle persone. Era ancora in braccio a Donnie quando venne circondato da Splinter e le ragazze, che, a differenza di quel poliziotto, lo accolsero tra sorrisi e sospiri di sollievo, oltre che qualche rimprovero, sempre dolce, e qualche abbraccio. Ma la voglia di parlare era passata dopo aver rivelato ogni cosa, tra i singhiozzi, a quell’autorità. Certo, avrebbe dovuto fare altrettanto in tribunale, con l’appoggio di quei ragazzi che gli avevano detto che sarebbero venuti, questa volta… Ma non ne aveva la forza. Mentre venne adagiato sul divano, l’unica cosa che gli passò per la testa era chiudere gli occhi e lasciarsi andare tra le nuvole, verso quell’amica che tanto le mancava e che, forse ora, dopo aver fatto tutto quello, dopo non essere morto, non essere stato abbandonato e aver consegnato la criminalità alla giustizia, l’avrebbe accettato a braccia aperte.
Tra le voci di tutti loro, che festeggiavano, lui non poteva che esprimere un sorriso amaro e malinconico, nella speranza di morire per davvero, questa volta, intanto che Cat stava seduta al suo fianco, vicino al suo addome, sul bordo dei cuscini di quel mobile, e Donnie che guariva la sua gola, stando in ginocchio, per terra. Tutti sicuri, tutti felici. Lui era solo tremendamente contento di non essere stato abbandonato. Ma ora voleva lasciare andare tutta quella tristezza, tutta quella disperazione. Voleva spirare il suo ultimo respiro, davvero. 
 
 
 
Schiuse gli occhi con il vivido ricordo di Rahzar negli occhi che lo fece rabbrividire, ma poi, da un fascio di luce che arrivava da dietro di sé a illuminare il suo volto, a scaldarlo come a ricordargli che era vivo e che l’aria entrava ancora nei suoi polmoni; arrivando anche a colui che aveva davanti, comprese che non era stato un sogno: era davvero tornato in quella casa, con loro… Lo dimostrava l’essersi svegliato immerso nel suo letto, sotto le coperte e assieme a quei ragazzi. Aveva Raphael proprio davanti, e gli altri due, Donnie e Leo, di certo erano alle sue spalle. Mugugnò silenzioso prima di sbadigliare e stropicciarsi un occhio dopo aver celato la bocca spalancata per quel verso d’aria che aveva dimezzato: non voleva farsi udire, però aveva dovuto trattenersi nel percepire una lieve fitta, un pizzico alla gola, e che, nel tastarla, ritrovò fasciata: di sicuro era stato medicato, e quindi anche cambiato d’abito. Schiuse gli occhi nuovamente, riscoprendo come stessero ancora dormendo tutti, e si voltò per averne una certezza anche per gli altri ragazzi. A quel punto gli venne solo in mente di alzarsi, strisciare via verso il basso, in quel nuovo pigiama verdognolo e lungo, e andare via, per salvarli da sé stesso, dai suoi modi di rovinare tutto a tutti; eppure… Eppure voleva rimanere lì per sempre. Quella sensazione non voleva abbandonarlo e lui non sapeva come riuscirsi, o se volesse davvero lasciarla; si lasciò sfuggire un sorriso, quasi con l’impellenza di abbracciarli, gli è lo urlava il cuore: voleva stringerli e coccolarsi un po’ a loro.
Desiderava un po’ di affetto, ma non gli sembrava il caso mentre si spingeva via verso il terreno, contro la base del letto, svanendo nelle coperte fino a sfiorare il pavimento con le dita e ricomparire e chinarsi a terra sulle ginocchia, proseguendo con un amaro sorriso. Restare, o no, alla fine era diventato un desiderio superfluo dopo quello che era accaduto… E ormai era alla porta, fece un mezzo ghigno; non aveva più tanta voglia di dormire, tanto meno di restare fermo in mezzo a loro… Poteva, come unica alternativa, uscire e…
-Mikey, fermo.-
-Ah.- sobbalzò, voltandosi di scatto e sgranando gli occhi alla vista di Raphael, per un attimo ebbe il timore che lo avrebbe punito, che avrebbe aumentato la presa sul polso che aveva agguantato prima che aprisse la porta, ma continuò a ricredersi: era calmo, così come la sua voce intanto che anche gli altri due si erano messi in piedi, e lo avevano raggiunto. In un silenzio simile al suo, tanto non si erano uditi.
-Tutto bene?-
Michelangelo respirò a fondo, lentamente e osservando il sorriso benevolo di Leo per un attimo, studiandone i particolari e come sembravano, tutti, sorvolare su ciò che era successo; prima di portare gli occhi in basso, al terreno, preferendo il silenzio al suono tremendo e irrispettoso delle parole. Dare voce ai pensieri era inutile, ora che li aveva traditi nuovamente: non se la sentiva di continuare quella farsa. Fare l’amichevole, se alla fine voleva morire... Era meglio tacere.
-Beh, cosa ne dite di cominciare la mattinata con una bella colazione, eh?- provò allora, Donatello, ridacchiando e aprendo la porta al posto del biondo, ancora muto e senza respiro.
-Sì, andiamo.- concordò l’azzurro, dando una pacca sulla spalla a entrambi intanto che il genio era già in corridoio. -Sono certo che sarà una bella giornata. E possiamo sempre cucinare insieme, no, Mikey?-
-Ma tu fai esplodere tutto.- bofonchiò affranto, senza nemmeno accorgersi di quelle vocali e consonanti che erano danzate via dalle sue labbra, e che fecero ridere gli altri mentre Leo fece una finta smorfia offesa, felice però che non tenesse un mutismo selettivo nei loro confronti, o almeno sperava.
-Ti farò ricredere delle mie capacità culinarie.- esordì allora.
-Temo per la cucina, e per il mio stomaco…- gemette allora, Raph, con una boccaccia risentita, ma sempre per scherzo intanto che anche Donnie disse la sua e Leo rispose a tono, oltraggiato della poca fiducia nei suoi confronti.
E così avanzarono tutti insieme, diretti ai fornelli e tenendosi tutti vicino al biondo, che, a capo basso, non riuscì a tenere il muso a lungo, solleticato da un sorriso in mezzo a tutta quella serenità di cui aveva sentito, fin troppo, la mancanza: se non c’è l’avevano con lui, forse poteva fare altrettanto e non tormentarsi, almeno per un po’.
  
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