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Autore: L o t t i e    08/04/2019    3 recensioni
𝟷.┊Guardò l'orologio da polso, segnava le sette e mezzo di sera.
𝟸.┊Il silenzio che seguì era assordante, peggiore di qualsiasi grido o frastuono.
𝟹.┊L'atmosfera era tesa.
𝟺.┊Quasi le dieci di sera. […] Per il momento avrebbero aspettato.

[tw: self-harm (ch 2)]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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deliri note dell'autrice:
𝗈𝗄𝖺𝗒, è 𝗅'𝗈𝗋𝖺 𝖽𝖾𝗅𝗅𝖾 𝗆𝗂𝖾 𝗇𝗈𝗍𝖾- 𝗊𝗎𝖾𝗌𝗍𝖺 𝗌𝗍𝗈𝗋𝗂𝖺, 𝗌𝖾𝗉𝗉𝗎𝗋 𝖼𝗈𝗋𝗍𝖺 (𝗊𝗎𝖺𝗍𝗍𝗋𝗈 𝖼𝖺𝗉𝗂𝗍𝗈𝗅𝗂 𝗂𝗇 𝗍𝗈𝗍𝖺𝗅𝖾) 𝗅𝖺 𝗌𝖾𝗇𝗍𝗈 𝗆𝗈𝗅𝗍𝗈 𝗉𝖾𝗌𝖺𝗇𝗍𝖾 𝖾 𝗂𝗇𝗍𝗂𝗆𝖺. 𝗅'𝗁𝗈 𝗅𝖾𝗍𝗍𝖺 𝖾 𝗋𝖾𝗏𝗂𝗌𝗂𝗈𝗇𝖺𝗍𝖺 𝗂𝗇𝖿𝗂𝗇𝗂𝗍𝖾 𝗏𝗈𝗅𝗍𝖾, 𝗋𝗂𝗌𝖼𝗋𝗂𝗍𝗍𝖺 𝖺𝗅𝗆𝖾𝗇𝗈 𝖽𝗎𝖾 𝖾 𝗌𝗈𝗇𝗈 𝗀𝗂𝗎𝗇𝗍𝖺 𝖺𝗅𝗅𝖺 𝖼𝗈𝗇𝖼𝗅𝗎𝗌𝗂𝗈𝗇𝖾 𝖼𝗁𝖾 𝗇𝗈𝗇 𝖺𝗋𝗋𝗂𝗏𝖾𝗋ò 𝗆𝖺𝗂 𝖺𝖽 𝖾𝗌𝗌𝖾𝗋𝖾 𝗌𝗈𝖽𝖽𝗂𝗌𝖿𝖺𝗍𝗍𝖺. 𝗅𝖺 𝗌𝗍𝗈 𝗉𝗎𝖻𝖻𝗅𝗂𝖼𝖺𝗇𝖽𝗈 𝗉𝖾𝗋 𝖽𝗂𝗌𝗉𝖾𝗋𝖺𝗓𝗂𝗈𝗇𝖾, 𝗉𝖾𝗋 𝗇𝗈𝗇 𝗏𝖾𝖽𝖾𝗋𝗅𝖺 𝗉𝗂ù 𝗇𝖾𝗅𝗅𝖺 𝖼𝖺𝗋𝗍𝖾𝗅𝗅𝖺 𝖽𝖾𝗅𝗅𝖾 𝗌𝗍𝗈𝗋𝗂𝖾 𝖼𝗁𝖾 𝗁𝗈 𝖽𝖺 𝖿𝗂𝗇𝗂𝗋𝖾 (𝗌𝗈 𝗀𝗂à 𝖼𝗁𝖾 𝗆𝖾 𝗇𝖾 𝗉𝖾𝗇𝗍𝗂𝗋ò, 𝖺𝗂𝗎𝗍). 𝗉𝖺𝗋𝗅𝖺 𝖽𝗂 𝖼𝗈𝗆𝗂𝗇𝗀 𝗈𝗎𝗍 𝖾 𝗎𝗇𝗈 𝖽𝖾𝗂 𝗉𝗋𝗈𝗍𝖺𝗀𝗈𝗇𝗂𝗌𝗍𝗂 è 𝖺𝗎𝗍𝗈𝗅𝖾𝗌𝗂𝗈𝗇𝗂𝗌𝗍𝖺 (𝗇𝗎𝗅𝗅𝖺 𝖽𝗂 𝗍𝗋𝗈𝗉𝗉𝗈 𝖽𝖾𝗍𝗍𝖺𝗀𝗅𝗂𝖺𝗍𝗈, 𝖻𝗎𝗍 𝗌𝗍𝗂𝗅𝗅) 𝗊𝗎𝗂𝗇𝖽𝗂 𝗌𝖾 𝗌𝗂𝖾𝗍𝖾 𝗌𝗎𝗌𝖼𝖾𝗍𝗍𝗂𝖻𝗂𝗅𝗂 𝖺 𝖼𝖾𝗋𝗍𝖾 𝖼𝗈𝗌𝖾 𝗏𝗂 𝖼𝗈𝗇𝗏𝗂𝖾𝗇𝖾 𝗍𝗈𝗋𝗇𝖺𝗋𝖾 𝗂𝗇𝖽𝗂𝖾𝗍𝗋𝗈 𝖺𝖽𝖾𝗌𝗌𝗈.
𝘲𝘶𝘪𝘯𝘥𝘪, 𝗅𝗎𝖼𝗂𝖿𝖾𝗋𝗈 𝖾 𝗆𝗂𝖼𝗁𝖾𝗅𝖺𝗇𝗀𝖾𝗅𝗈. 𝗂𝗅 𝗉𝗋𝗂𝗆𝗈 è 𝖾𝗌𝖺𝗌𝗉𝖾𝗋𝖺𝗍𝗈 𝖽𝖺𝗅𝗅𝖺 𝗍𝖾𝗌𝗍𝖺𝗋𝖽𝖺𝗀𝗀𝗂𝗇𝖾 𝖽𝖾𝗅 𝗌𝖾𝖼𝗈𝗇𝖽𝗈, 𝖽𝖺𝗅 𝗇𝗈𝗇 𝗉𝗈𝗍𝖾𝗋 𝗇𝖾𝖺𝗇𝖼𝗁𝖾 𝗍𝖾𝗇𝖾𝗋𝖾 𝗉𝖾𝗋 𝗆𝖺𝗇𝗈 𝗅𝖺 𝗉𝖾𝗋𝗌𝗈𝗇𝖺 𝖼𝗁𝖾 𝖺𝗆𝖺 𝗉𝗎𝖻𝖻𝗅𝗂𝖼𝖺𝗆𝖾𝗇𝗍𝖾, 𝗌𝖼𝗁𝗂𝖺𝖼𝖼𝗂𝖺𝗍𝗈 𝖽𝖺𝗅 𝖽𝗎𝖻𝖻𝗂𝗈 𝖾 𝗅'𝖺𝗅𝗍𝗋𝗈 è 𝖻𝗅𝗈𝖼𝖼𝖺𝗍𝗈, 𝗂𝗇𝗍𝗋𝖺𝗉𝗉𝗈𝗅𝖺𝗍𝗈 𝗇𝖾𝗅𝗅𝖺 𝖿𝖺𝖼𝖼𝗂𝖺𝗍𝖺 𝖽𝗂 𝖿𝗂𝗀𝗅𝗂𝗈 𝗆𝗈𝖽𝖾𝗅𝗅𝗈 𝖾𝗍𝖾𝗋𝗈 𝖼𝗁𝖾 𝗌𝗂 è 𝖼𝗈𝗌𝗍𝗋𝗎𝗂𝗍𝗈 𝗇𝖾𝗀𝗅𝗂 𝖺𝗇𝗇𝗂, 𝗂𝗆𝗉𝗂𝗀𝗋𝗂𝗍𝗈 𝖽𝖺𝗅𝗅𝖺 𝗌𝗂𝖼𝗎𝗋𝖾𝗓𝗓𝖺 𝖽𝗂 𝗉𝗈𝗍𝖾𝗋 𝖼𝗈𝗇𝗍𝗂𝗇𝗎𝖺𝗋𝖾 𝖺 𝗏𝗂𝗏𝖾𝗋𝖾 𝗎𝗇𝖺 𝖽𝗈𝗉𝗉𝗂𝖺 𝗏𝗂𝗍𝖺 𝗇𝖺𝗌𝖼𝗈𝗇𝖽𝖾𝗇𝖽𝗈 𝗅𝖺 𝗌𝗎𝖺 𝗋𝖾𝗅𝖺𝗓𝗂𝗈𝗇𝖾 𝖺𝗅𝗅𝖺 𝖿𝖺𝗆𝗂𝗀𝗅𝗂𝖺. 𝗂𝗇 𝗊𝗎𝖾𝗌𝗍𝖺 𝗌𝗍𝗈𝗋𝗂𝖺 𝗂 𝖽𝗎𝖻𝖻𝗂 𝖽𝗂 𝗅𝗎𝖼𝗂𝖿𝖾𝗋𝗈 𝗌𝖾𝗆𝖻𝗋𝖺𝗇𝗈 𝖼𝗈𝗇𝖿𝖾𝗋𝗆𝖺𝗍𝗂 𝖾 𝗅'𝖾𝗊𝗎𝗂𝗅𝗂𝖻𝗋𝗂𝗈 𝖽𝗂 𝗆𝗂𝖼𝗁𝖾𝗅𝖾 𝗏𝖺𝖼𝗂𝗅𝗅𝖺𝗋𝖾.








Anger




It's seeming more and more
Like all we ever do is see how far it bends
Before it breaks in half and then
We bend it back again

Billie Eilish, When I Was Older





Guardò l'orologio da polso, segnava le sette e mezzo di sera.
Lucifero fece un veloce calcolo mentale: per arrivare a casa dei genitori di Michelangelo avrebbero impiegato almeno un quarto d'ora in auto e, se fortunati, sarebbero arrivati in anticipo per la cena. Sempre se fossero riusciti a cenare: il cibo era l'ultimo dei loro interessi, in primo luogo quella cena era stata organizzata da Michele come pretesto per far finalmente coming out e presentare lui ufficialmente come suo ragazzo, anche se i suoi genitori ancora non lo sapevano. Lucifero li conosceva già, in un certo senso, religiosi fino al midollo - aveva colto fin dall'inizio il disgusto che provavano nei suoi confronti, non c'era da meravigliarsi. Quindi se fosse andato tutto bene avrebbero cenato, altrimenti sarebbero stati buttati fuori a calci. Ma almeno il suo ragazzo si sarebbe tolto quel peso e lui sarebbe stato lì a sostenerlo.
L'appartamento era silenzioso e quasi totalmente buio, ad eccezione della camera da letto dove il moro stava finendo di vestirsi e la luce soffusa che arrivava dal corridoio.
«Sei pronto?», urlò Lucifero rompendo il silenzio. Un sorriso a trentadue denti gli ornava il viso radiante felicità. Agguantò il giubbotto in pelle, l'euforia nelle vene ed un leggero sudore ad imperlargli i palmi delle mani.
L'ansia gli pizzicava piacevolmente il petto, inspirò a pieni polmoni per scrollarsela un po' di dosso e si diresse verso l'ingresso, dove il suo ragazzo, Michelangelo, lo stava aspettando immobile verso il muro con lo sguardo fisso sull'appendi abiti. «Ehi, persona bellissima», miagolò abbracciandolo da dietro, allungandosi per poggiare il mento sulla spalla dell'altro. «Tutto bene? Sei ansioso?», domandò con genuina premura cingendogli il torace.
Un sospiro sfuggì dalle labbra di Michele, l'aria gli sfiorò la guancia. «Luci...», iniziò il biondo. «Non ne sono più sicuro», mormorò poi, con la paura di farsi sentire.
Il sorriso di Lucifero vacillò. «Mh? Che vuoi dire?», chiese cercando di mantenere il tono di voce disinvolto.
«Lo so che te l'ho promesso, ma non me la sento.»
«Ehi... ci sono io con te, qualsiasi cosa accada. Va bene?»
La nausea, come due mani forti, strinse le budella di Michelangelo, lo stesso strizzò gli occhi, le sopracciglia abbassate, quasi provasse dolore. «Lo so, ma... non capisci. Luci-»
«Cosa dovrei capire?», la domanda lo interruppe in modo brusco. Scottato, il moro si allontanò di un passo, forse troppo. Entrambi sull'orlo di un burrone.
Michelangelo si voltò, si guardarono e i loro visi sembravano essersi improvvisamente trasformati in maschere tese e pronte a sfaldarsi da un momento all'altro, dipinte di mille colori: rabbia, dubbi, dolore. «I miei genitori, sai come sono», iniziò il biondo incespicando. Si passò una mano sul viso, sentiva la gola secca, il sangue ronzargli fastidioso nelle orecchie. «Sono loro che pagano i miei studi, la mia metà d'affitto, non so cosa potrebbe succedere.»
«Ci sono io con te», ribatté prontamente la voce piena di frustrazione di Lucifero, rimarcando per l'ennesima volta quel concetto. Era stremato, esasperato. “Non è abbastanza? Non sono abbastanza?”, erano le sue domande inespresse, galleggiavano tra quello spazio così piccolo ma abbastanza grande. Una piccola crepatura.
«Dobbiamo aspettare un altro po'», sentenziò l'altro.
«Abbiamo aspettato già due anni! Guardami. Michele, non sei stanco di vivere nell'ombra, con la paura di camminare per strada insieme a causa dei tuoi genitori, della tua famiglia?» gli chiese l'altro sperando di smuovere qualcosa.
Però Michelangelo esitò a rispondere, un attimo di troppo per i gusti di Lucifero. «Ah», continuò, la voce incrinata, «ma forse a te non pesa affatto. Solo quando ci provano con me, vero?»
«Lucifero, smettila: ne abbiamo già parlato.»
«Forse non abbastanza!»
«Senti, stiamo facendo tardi alla cena.»
«Vacci da solo a quella cazzo di cena!» urlò Lucifero. Lo spazio sembrò spandersi, poi contrarsi pronto ad implodere da un momento all'altro. La mente di Michelangelo non riuscì dapprima a comprendere quelle parole, non aveva mai sentito urlare il suo ragazzo in quel modo. Il silenzio li avvolse ancora per qualche attimo, prima di scostarsi come un sipario, i riflettori su Lucifero con il respiro ansante, continuò: «ma sappi che se esci da quella porta mi hai perso, è finita.» Deglutì, poi si umettò le labbra. Gli occhi verdi - torbidi e lucidi - erano assottigliati in segno di sfida. Il cuore gli pulsava nelle orecchie.
«Stai scherzando, spero. Smettila.»
A quel punto il moro sbottò una bestemmia, poi una risata nervosa, si strofinò velocemente il mento. «Sono serissimo.»
Michelangelo era impallidito visibilmente, sembrava marmo spruzzato di lentiggini, rigido, dai lineamenti duri, freddi. Aveva perso calore e osservava Lucifero con estremo disappunto, un pizzico di delusione dentro gli occhi celesti. Oscillò leggermente il capo, un movimento inusuale, come quello di una marionetta a cui cedono temporaneamente i fili. «Luci», il nomignolo assunse improvvisamente un sapore amaro. «N-non... non puoi chiedermi qualcosa del genere.»
«Avrei dovuto farlo prima. Scegli. Me o loro, se vuoi entrambi sai cosa devi fare», l'espressione e la voce non tradirono Lucifero, eppure il dolore di sputare quelle parole stava corrodendogli ogni organo e quell'ansia che prima gli pizzicava piacevolmente il petto adesso sembrava stringergli il cuore in una morsa, una dannata tortura. E per Michele?, si chiedeva, era per caso lo stesso? Iniziò a pensare che forse no, per Michelangelo quella era solo una liberazione. Già, Lucifero era solo un peso che lo allontanava dalla perfezione della sua vita, una macchia da pulire via.
«Ho capito», vi era una stonatura nella voce angelica del biondo.
Un'incrinatura nella vista di Lucifero mentre osservava la porta chiudersi.




  
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