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Autore: Gan_HOPE326    22/07/2009    3 recensioni
Ianah ha sedici anni, e vive in un mondo perfetto. Un luogo incantato in cui l'infelicità sembra non esistere. Ma dentro un tempio, oltre una scala, in fondo a un pozzo...
...qualcuno urla.
Genere: Dark, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mia altra storia scritta per il concorso “Il Sentiero dei Draghi” (oltre a “Vivere con Stile”)

La mia altra storia scritta per il concorso “Il Sentiero dei Draghi” (oltre a “Vivere con Stile”). Tema, anche in questo caso “l’utopia” e la “distopia”. Questa storia è anche arrivata tra le dieci finaliste, ma poi non è riuscita a salire sul podio. Se visiterete il sito del circolo “Il Sentiero dei Draghi” potrete trovare l’e-book in pdf contenente questa e le altre nove storie finaliste. Comunque, al momento, leggete questa – e commentate!

 

 

Double face

di Gan_HOPE326

 

Ancora, e sempre, noi urliamo.

Nel buio e nel dolore, ciascuno di noi solo in mezzo a milioni di altri uguali a lui, urliamo la nostra fame, la nostra sete, la nostra rabbia e le nostre mille altre sofferenze cui non riusciamo nemmeno a dare un nome, dovrebbe essere una parola tanto lunga e aspra e contorta ed amara che le lingue si seccherebbero e si piagherebbero al solo pronunciarla.

Urliamo perché nessuno può sentirci.

Urliamo per non sentire le urla degli altri.

Urliamo perché non possiamo fare nient’altro.

 

La città di Aygith è perfetta, proprio non si può descriverla altrimenti, questo Ianah lo pensa non appena mette piede fuori di casa e tutta quella bellezza inonda i suoi sensi. Lo splendore dei tetti, dei muri, del selciato, scolpiti in pietra ambrata e liscia, luminosi nella luce del Sole, anche se è solo quella soffusa e aranciata del tramonto. Le voci lontane dei venditori che intonano canti in lode delle proprie merci, modulate secondo note familiari. La sensazione del soffio dolce del vento tiepido sulla pelle. Gli odori, fieno fresco e pane e dolci appena sfornati e spezie in casse di legno stagionato, tutti misti in un unico incantevole profumo. Il sapore che l’aria stessa sembra avere.

La ragazza resta ferma per un lungo momento e assapora tutto questo; poi si riscuote e comincia a camminare. Lentamente, perché la strada da fare è poca, e poi vuole godersi la passeggiata, l’ultima che farà come una normale ragazza di sedici anni in queste vie. L’ultima. Ad ogni passo, un’emozione strana, ambigua, tremolante si intrufola nel petto di Ianah. Non è proprio paura, nessuno ha mai paura ad Aygith. Però. Deve essere qualcosa che c’entra con quel senso di fine. Di solito, ben poche cose finiscono, ad Aygith. La vita della città si ripete in cicli ormai familiari, consolidati in secoli di tradizione. Perché dovrebbe cambiare, poi? E’ perfetta così. La vita degli uomini, invece, finisce, quella sì: ma lo fa con dolcezza, al giusto momento, quando la vecchiaia se li porta via piano piano. Ad Aygith la morte non ti strappa alla vita; ti prende tra le braccia e ti culla finché non ti addormenti per sempre.

Ianah adesso cammina nella via degli artigiani, un passo dopo l’altro, ne mancano ormai sì e no un migliaio all’arrivo, e mentre passa riceve i saluti e gli auguri di coloro che incontra. La fioraia Lilin le regala un giglio da mettere tra i capelli, ti renderà ancora più bella, giura, come se ce ne fosse bisogno. La salutano il vecchio sarto Kock e il falegname Maiak, e poi Terjan il liutaio, Gidet il fabbro, Krise l’orafa. Ciascuno di loro solleva gli occhi dal proprio lavoro per un momento, le fa un cenno e poi torna all’opera, con passione, con amore per l’oggetto che sta nascendo tra le sue mani. Non c’è stanchezza nei loro gesti, non può esserci. Il loro lavoro servirà a rendere Aygith ancor più bella. Non si può che esserne felici.

E infine, varcando la cinta circolare delle mura d’oro che racchiude il centro della città, Ianah raggiunge il Tempio. Altissima torre di giada che si stringe salendo verso il cielo, la base un possente piede di gigante, la cima un’aggraziata danzatrice delle nubi. E cupola dorata che splende rivaleggiando col Sole stesso. E finestre di vetro sfumato in infinite varietà di colori. Semplicemente, il Tempio.

Alla base della scalinata, scopre Ianah, c’è sua madre che la attende, secondo l’usanza. Lei corre in fretta verso di lei.

Buona fortuna per la Prova, le dice la donna, teneramente.

La ragazza annuisce, poi corre su, per le scale, verso la soglia del Tempio, dove la attendono i Guardiani schierati in fila, suo padre, e la Prova.

 

La vestizione è un rito lungo e complesso, ma dopo un’ora è quasi finita. I Guardiani assistono in silenzio: spetta al padre del novizio compierla. Prima c’è la tunica di lino bianco, da indossare sotto l’armatura. Poi una lunga serie di accessori in cuoio e metallo. Schinieri, guanti, cotta, spallacci. Il padre di Ianah veste la figlia lentamente, e nel frattempo le ripete di non preoccuparsi, che andrà tutto bene, certamente supererà la Prova, non è difficile. E figlio o figlia primogenito di Guardiano diventa sempre Guardiano a sua volta, è la tradizione. Comunque non c’è da preoccuparsi, non sei preoccupata, vero, Ianah? Certo non più di te, papà.

L’uomo sorride mentre finisce di allacciare alla vita della ragazza la cintura con lo spadino. Poi l’elmo. Glielo posa sul capo tenendolo tra due mani leggermente tremanti. Il pennacchio di piume di hyka vibra un po’. Ecco, fatto, dice infine, e si allontana per osservarla, orgoglioso; Ianah però fissa il medaglione dorato sul suo petto.

Quello non me lo dai?, chiede.

Il medaglione è il simbolo dei Guardiani, dice il padre. Lo avrai domattina, dopo aver superato la Prova. Seguimi, ora.

Tra il silenzio degli altri Guardiani, padre e figlia entrano in una stretta porta e scendono per una scala a chiocciola. Buia. Lunga. Arrivano alla fine quando sembra che fine non ce ne sia più e si ritrovano in una stanza di pietra, una pietra grigia, brutta e mal tagliata che Ianah non ha mai visto, con poche fiaccole fumose a fare luce e, al centro del pavimento, una pozza d’acqua che è solo un buco slabbrato più o meno circolare. Il liquido ondeggia piano ed è nero.

E poi ci sono i suoni. Strascicati, disarmonici, spiacevoli. Eppure umani. La ragazza prova una sensazione strana: disagio, la chiamerebbe, se la conoscesse. Chiede al padre cosa siano quei suoni.

Sono urla, Ianah.

Cosa sono le urla?

Voci di uomini disperati.

Disperati? Cioè?

Non pensarci. E’ l’acqua della pozza a fartele sentire. Non sono… reali. Ascolta, devi solo restare qui per questa notte. Chiaro? Solo questa notte. Resta qui. Non farti distrarre. Recita l’insegnamento dei Guardiani. Lo ricordi?

Sì, papà. Noi crediamo nella Bilancia del Mondo. C’è peso e contrappeso: e quanto viene tolto verrà dato. E via dicendo. Lo so a memoria, dalla prima all’ultima parola.

Brava.

Però non sono sicura di capire cosa voglia dire, fa Ianah con un sorriso.

Capirai quando sarai una Guardiana, conclude il padre.

Imbocca di nuovo le scale, sale su e scompare nel buio.

 

Ianah guarda giù, nella pozza, e scorge il proprio elmo, ridotto a un triste luccichio dorato ad almeno un paio di metri di profondità. E’ successo che dopo la prima ora Ianah proprio non riusciva a resistere al tormento di quei suoni, quelle urla, e ha cominciato a cercare di distrarsi, parlando a voce alta, tirando di scherma con lo spadino; alla fine si è sporta sul bordo della pozza sperando di vederci qualcosa, e l’elmo le è scivolato giù. Plof. Così.

Perdere l’elmo non è un bel modo di cominciare la propria carriera di Guardiano, immagina Ianah, e magari è anche abbastanza per fallire la Prova. E più ancora di quelle urla la ragazza teme di deludere suo padre. Perciò si sfila in fretta tutto quello che può dell’armatura, tutto il metallo e la roba pesante. Resta a piedi nudi con la tunica di lino. Prende un respiro, si tuffa.

L’acqua è fredda. Gelida. E sembra viscida sulla pelle, come un groviglio di infiniti tentacoli. Divora la luce, non è davvero trasparente. Le fiaccole già non si vedono più, Ianah è solo a un metro di profondità, continua a nuotare, ma le braccia fanno male e l’aria si consuma in fretta, perché in quest’acqua si fa fatica, tanta. Ma ormai c’è quasi. Ha raggiunto il fondo, e l’elmo.

No.

L’elmo, ma non il fondo.

L’oggetto metallico galleggia assurdamente sospeso nell’acqua. Non ha senso, ma la ragazza non ha il tempo di riflettere, vuole solo prenderlo, lo sfiora, si slancia in avanti, e nello stesso istante in cui lo raggiunge e lo afferra sente un capogiro scuoterla. Il sangue le fa uno strano su e giù nelle vene e la bocca dello stomaco le si stringe mentre Ianah capisce di non sapere più dove sia la superficie. La logica le dice che deve essere dietro di lei, lei non si è mai voltata, ma i suoi sensi le dicono di proseguire in avanti, che quello è l’alto, e infatti Ianah lo fa, continua in quella direzione, spinge con le braccia, e quando è troppo stanca per nuotare procede afferrandosi con le mani alle pareti del pozzo, come se stesse scalando un muro, sempre con il dubbio di stare sbagliando direzione e stare solo scendendo verso la morte.

La superficie arriva salvifica. Per prima cosa Ianah beve una sorsata d’aria, avidamente, grata; poi riapre gli occhi mezzo accecati dall’acqua.

Non è più nella stanza. E’ all’aperto. Il paesaggio è spaventosamente monotono; ovunque, grigie montagne di cenere, un suolo di sassi taglienti, nemmeno un albero, sotto uno scuro cielo più che notturno. E soprattutto le urla. Non è più come nella stanzetta sotto il Tempio; qui l’aria stessa sembra fatta di urla. Saltano su e giù impazzite tra cielo e terra, cielo dove pesanti nuvole violacee continuano a dissolversi, turbinare e riformarsi, e terra, dove tra le dune e la sabbia nera si agitano e barcollano bianchi spettri di cenci che, capisce Ianah adesso con orrore, non sono altro che uomini e donne nudi, ridotti al minimo di sé, uomini che ora avanzano verso di lei, occhi scavati, petto scheletrico, sguardi da bestie in gabbia, mugghiando e ululando con le bocche spalancate. La ragazza caccia un urlo e vorrebbe rituffarsi in acqua ma non ci riesce prima che una mano scheletrica le afferri il braccio. Viene trascinata fuori dalla pozza tra parole sconnesse e ammassate l’una sull’altra, chi è, che cos’è, che cos’è, una donna, una ragazza, e cos’è questa cosa che ha addosso – e mani afferrano e strappano la tunica di lino – ha un odore che non ho mai sentito, cosa c’è qua dentro, è una cosa bianca e morbida – Ianah si è portata in tasca una pagnotta fresca come spuntino – si mangia, assaggia, assaggia – bocche si chiudono su quel pane disgustosamente zuppo d’acqua nera e lo divorano con ingordigia – allora forse anche lei, anche lei, sì, sì – e Ianah ha il tempo di sentire un morso all’altezza del polso destro prima di riuscire a liberarsi con un grido da quella marmaglia, non è tanto difficile perché sono molti ma hanno corpi spaventosamente magri e pallidi, liberarsi e tuffarsi nuovamente in acqua. Le mani si tendono verso di lei. Le restano pochi secondi per andarsene; prende un ultimo profondo respiro di quell’aria fetida e si prepara a immergersi.

L’ultima cosa che vede di quel mondo orrendo è lo sguardo di un uomo, in mezzo agli altri, puntato su di lei. Un uomo che non si agita né annaspa verso di lei, solo la fissa con occhi gelidi che improvvisamente capiscono qualcosa. Tu vieni dall’altra parte del pozzo, dice.

Ianah scompare sotto la superficie. Il suo capo e i suoi capelli dorati si curvano in avanti per scendere sott’acqua, ed è come se annuisse. L’uomo resta immobile, poi grida forte: lei viene dall’altra parte, lei viene dall’altra parte. Tutti gli altri raddoppiano le proprie grida rabbiose e bramose e corrono a tuffarsi nella pozza ruggendo.

L’uomo, fermo, lascia che gli corrano intorno, e aspetta.

 

Aiuto, aiuto, la voce si intrufola su per le scale a chiocciola, rimbomba nello stretto cunicolo di pietra, aiuto, giunge nelle sale superiori del Tempio, dove il padre di Ianah e gli altri Guardiani vegliano in attesa, aiuto, e in pochi istanti è un clangore di armature, uno schioccare di stivali d’acciaio su pietra, i Guardiani sono in piedi e corrono giù, con le mani alle spade. Trovano Ianah seminuda, fradicia di acqua nera, che striscia sul pavimento verso l’uscita e continua a implorare aiuto, aiuto. Suo padre la raccoglie e fa presto a coprirla con un mantello e portarla in un angolo, insieme a due degli altri. Qualcuno si affaccia sull’orlo del pozzo.

Il primo degli uomini dell’altra parte sbuca fuori dall’acqua con un verso animalesco; un Guardiano indietreggia disgustato, poi estrae la spada ed è veloce a finirlo. Dal collo tagliato uno schizzo di sangue spruzza fino addosso a Ianah, che ora si guarda allucinata le mani rosse. Sangue in vita sua ne ha visto solo quanto ne può sgocciolare dal naso di un bambino che ha fatto un ruzzolone. Che succede, balbetta, che gli hanno fatto. L’hanno ucciso, spiega suo padre, stringendola. Non avere paura, è tutto a posto, adesso. E’ morto.

Il Guardiano ribalta col piede il cadavere del bruto. Che schifo, dice. L’hanno seguita, mi sa. Significa che la ragazza ha visto l’altra parte, ha visto Htigya.

Htigya?, chiede Ianah, Quel posto orribile?

Sì, quello. E’ una cosa che sanno solo i Guardiani. Avremmo dovuto dirtela dopo. Non dovevi saperla così. Ecco, guarda: e così dicendo il padre si sfila il medaglione d’oro, quello che la figlia gli ha chiesto prima. C’è in rilievo la figura di una spiga di grano rigogliosa su un sole. Nel porgerglielo lo gira, con un breve movimento delle dita, e ne mostra l’altra faccia, che Ianah non ha mai visto.

E’ nera e opaca come carbone, e vi campeggiano un ramo secco e un teschio.

Questo medaglione, comincia a spiegare, rappresenta il Mondo, Ianah. Ciò che noi custodiamo è il vero senso della Bilancia. Il Mondo è fatto come questo medaglione: due facce, e su ognuna vi sono montagne, città, e persone. Noi viviamo su questa, e indica la faccia dorata, cioè Aygith; l’altra è quella che hai visto, Htigya. L’unico collegamento tra i due lati è quella pozza. Attraversandola, tu sei passata dall’altra parte, l’avrai anche provata quella sensazione di capogiro, sì?, è la gravità che si sposta, quella, l’alto e il basso che si ribaltano. I Guardiani difendono questo passaggio. Quelli dall’altra parte non sanno nulla. Se qualcuno di loro arriva per caso fin qui, dobbiamo impedire che vada a raccontarlo.

E lo uccidete.

Sì.

Perché? Perché vivono in quel modo?

Ianah, è stato stabilito così. E’ una forma di equilibrio. E’ la Bilancia. Come la materia non si può creare né distruggere, così anche gioia e dolore hanno un loro modo di conservarsi. Loro devono esistere perché esistiamo noi. Sono la nostra controparte. Aygith la splendente e Htigya l’oscura, città gemelle e indivisibili. La loro sofferenza bilancia la nostra abbondanza, le loro urla i nostri canti. Il passaggio deve restare aperto, anche questo è stato stabilito; ma se li lasciassimo passare, se unissimo le due metà, tutto cadrebbe in un solo grigiore, un mondo in cui tutti sono costretti a vivere in una perpetua alternanza di felicità e sofferenza, un mondo assurdo, confuso. Vorresti vedere sparire la bellezza di Aygith per questo?

La ragazza non risponde nemmeno, sconvolta com’è, e guarda invece verso la pozza. Un’altra ventina di quelle persone sono riuscite ad arrivare a nuoto da questa parte; i Guardiani hanno trucidato tutti con sistematica seraficità. I più sono stati decapitati, qualcuno trafitto. Uno ha la testa spaccata in due ed è ancora scosso da qualche spasmo. Il sangue rosso e l’acqua nera allagano il pavimento.

Dovrai tenere il segreto, le dice il padre. Non potrai essere una Guardiana, hai fallito la Prova. Ma non dovrai riferire a nessuno quello che hai visto. La maggior parte della gente di Aygith non tollererebbe un simile orrore. Questo è un fardello che portiamo solo noi Guardiani, per il bene di tutti. D’accordo?

Ianah si stringe un po’ più forte nel mantello che la veste e chiude leggermente gli occhi che fino ad ora ha tenuto spalancati.

Non mi importa nulla di non diventare Guardiana, sussurra. E non dirò niente a nessuno. Solo, portami fuori di qui. Non voglio più sentire queste urla in vita mia.

 

A Htigya, l’uomo che ha capito fissa la pozza nella quale sono spariti i suoi compagni. Vede un filo rosso salire fino alla superficie. Ci intinge il dito, lo assaggia. Sangue. Capisce che dall’altra parte non esiste speranza. Probabilmente non c’è modo di superare chi guarda quel passaggio; e se anche fosse sufficiente essere in gran numero, nessuno si persuaderà ad oltrepassarlo. Quelli che l’hanno fatto si sono convinti solo perché hanno visto la ragazza, ma adesso sono tutti morti.

Ma lui andrà a dirlo, decide. Girerà la sua terra in lungo e in largo. Lo racconterà a tutti, che esiste un mondo migliore, e che loro ne sono esclusi. Anche se servirà solo, per contrasto, ad aumentare la loro disperazione, a rendere più acute e dolorose e penetranti le loro urla. In fondo, urlare è l’unica cosa che possono fare.

Urliamo, quindi, pensa mentre si allontana.

 

La prima ad accorgersene è Ianah, una notte. Le succede perché lei quelle urla le sogna spesso, ora, e quando si sveglia di soprassalto le sente svanire assieme al sonno. Stanotte non svaniscono. Stanotte, distanti, flebili, sono reali. La ragazza capisce che ora non potrà più liberarsene, nemmeno di giorno, da sveglia, mai. Si rannicchia tra le lenzuola e le viene da piangere.

Poi è la volta degli animali, che si fanno inquieti. Alcuni deperiscono e muoiono. Altri impazziscono. Un cavallo imbizzarrisce e storpia un ragazzino con un calcio; non è mai successo niente del genere ad Aygith. Nessuno sa cosa fare. Il ragazzo non viene curato, la gamba gli si gonfia sempre di più e si fa nera. Muore di cancrena un mese dopo, quando ormai le urla sono diventate così forti che possono sentirle tutti. La gente di Aygith conosce per la prima volta la perdita, e la vita della città si disfa poco a poco, avvelenata dalla paura e dall’angoscia che quelle urla trasmettono.

I Guardiani organizzano una spedizione a Htigya per indagare. Salta fuori che c’è qualcuno che gira e predica in quelle terre l’esistenza di un altro luogo da cui loro sono esclusi. La gente di Htigya si è fatta più rabbiosa, le sue urla sono più aspre. La spedizione riposta indietro anche un prigioniero, ma, abituato com’è al dolore, resiste ad ogni tortura ed è impossibile estirpargli informazioni sul sobillatore. Una seconda spedizione parte, e non torna più. Tra i suoi membri c’è anche il padre di Ianah.

Ad Aygith la vita serena è solo un ricordo. Le urla hanno distrutto la tranquillità, hanno devastato gli allevamenti, hanno minato la ragione degli abitanti; ora cominciano ad essere tanto potenti da insidiare gli edifici. Le vetrate del Tempio scoppiano una ad una, lasciando l’edificio imbruttito da molti fori frastagliati. Poco tempo dopo non resta una sola finestra intatta in tutta la città, e sono i muri a cominciare a creparsi. Le case più deboli iniziano a crollare.

Presto non avranno più limite. Presto la predicazione giungerà in ogni angolo di Htigya, e allora le urla supereranno ogni immaginazione. A quel punto, sotto la spaventosa pressione di quei suoni, vibrando all’unisono con migliaia e migliaia di gole sofferenti, le montagne si sbricioleranno, il suolo si frantumerà, laghi e fiumi tracimeranno, la città verrà rasa al suolo, e infine il disco stesso del Mondo si spezzerà in due, distrutto dalle grida. Quel giorno, prima che la morte giunga per tutti, gli abitanti di Aygith avranno il tempo di provare un ultimo istante di dispiacere per la loro magnifica città destinata a scomparire, e avranno ragione; e gli abitanti di Htigya potranno solo gioire per aver finalmente ottenuto vendetta, o giustizia, e aver messo fine all’ipocrita bugia di un’abbondanza fondata sulla sofferenza, di canti che coprono le urla.

E avranno ragione anche loro.

 

 

 

 

Distribuito secondo licenza Creative Commons 2.5

http://creativecommons.org/licenses/byncsa/2.5/deed.it

 

 

  
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