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Autore: gayzombie_    09/04/2019    3 recensioni
[HankCon]
Due anni sono passati dalla rivolta degli androidi e dal riconoscimento dei diritti di questi ultimi. Connor, ora deviante, è in grado di scegliere: e ha scelto di continuare a lavorare in coppia con Hank, di vivere con lui e Sumo, di fare in modo che il tenente torni ad essere quello di una volta.
Hank ha scelto di lasciarsi conoscere, avvicinare, aiutare, e di rimettere assieme il proprio cuore andato in pezzi anni prima.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Connor/RK800, Hank Anderson, Sumo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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«Il suo problema è che non ha mai elaborato il lutto, Hank. Ha fatto della morte di Cole il perno attorno al quale ruota la sua intera esistenza e, dovrebbe saperlo, questo non è affatto sano.»
 
«Con tutti i soldi che le do potrebbe dirmi qualcosa che non so già, ogni tanto.»
Il tenente sbuffò, già visibilmente provato per aver sentito il nome “Cole” accostato alla parola “morte” nella stessa frase. Tamburellò nervosamente le dita sul lettino su cui era sdraiato, spostando lo sguardo sui quadri appesi alle pareti dello studio.
 
Lo psicoterapeuta gli rivolse un amaro sorriso, smettendo di prendere appunti: «Dobbiamo ammetterlo a voce alta, Hank, non crede?»
 
«I miei problemi non scompaiono magicamente se ammetto di averli.»
 
«Certo che no, altrimenti io a quest’ora sarei senza lavoro.» l’uomo ridacchiò, nel tentativo di sdrammatizzare, ma dovette smettere quasi immediatamente quando un’occhiata gelida da parte di Hank quasi lo fulminò sul posto. Si schiarì la voce, riprendendo con tono serio: «Non possiamo sperare di lavorare su questo se lei non ammette, per prima cosa, l’esistenza del problema. Provi a parlarne a voce alta, non la interromperò. Lasci fluire i pensieri.»
 
Il tenente Anderson scosse la testa, sbuffando di nuovo e incrociando le braccia al petto.
«Se avessi voluto autocommiserarmi a vuoto per un’ora sarei rimasto a casa col mio cane, è anche una compagnia più gradita. E non fa battute del cazzo.»
 
Nessuna risposta. Era già cominciato il “flusso di pensieri” che non doveva essere interrotto?
Inspirò profondamente, pensando a quanto Connor avesse insistito per farlo andare da un professionista e lasciarsi aiutare, e si convinse pian piano a formulare qualche parola di senso compiuto dietro l’altra:
 
«Sono… sono costantemente incazzato. Perché non c’è niente che vada nel verso giusto in questo mondo di merda, non può essere giusto un mondo in cui un bambino di 6 anni…»
Dovette fermarsi e prendere una boccata d’aria, dopo essersi reso conto che la voce aveva già iniziato a tremargli. «Un… un mondo in cui un bambino di 6 anni… muore… così, come se niente fosse, senza che nessuno muova un dito per impedirlo…»
 
Si ritrovò a cercare una qualche forma di conforto da parte dello psicoterapeuta, che da parte sua annuì, esortandolo a continuare.
 
«È da quel momento che ho iniziato a rendermi conto di quanta merda mi circondasse. C’era sempre stata, ovviamente, ma Cole me ne faceva dimenticare... e quando me ne ricordavo, pensavo solo che con il mio lavoro avrei potuto eliminarla quella merda, per permettere a lui di vivere in un mondo migliore. Pensavo… pensavo di essere io a rischiare la vita con quello che facevo ogni giorno, sempre a contatto con malviventi e con la peggiore feccia. Chi poteva immaginarsi che…»
 
«Hank, può piangere se ne ha bisogno. Dovrebbe farlo.»
 
Fortuna che aveva promesso di non interromperlo.
Il tenente lo guardò come se avesse appena pronunciato il peggiore degli insulti e, con l’aria più indignata possibile, quasi gli ringhiò contro: «Io non piango.»
 
Che cazzo, proprio ora che stava riuscendo a sbloccarsi e ad aprirsi un po’ quel coglione doveva rovinare tutto. Non aveva più voglia di dirgli niente, non aveva voglia nemmeno di vedere la sua stupida faccia.
 
«Piangere non la rende debole o meno uomo, lo sa, vero?»
 
«E lei il suo lavoro lo fa veramente di merda, lo sa, vero?»
 
«Impareremo a gestire tutta questa rabbia, Hank, deve solo avere fiducia in me e in lei stesso…»
 
Hank borbottò qualche insulto tra sé e sé, facendo per alzarsi e prendere la giacca, con l’intenzione di uscire e sbattere la porta in faccia a quel coglione incompetente, quando quest’ultimo  trovò il modo di distrarlo e fargli ritrovare la calma:
 
«Che mi dice della persona che l’ha convinta a venire qui? È un parente? Un amico?» chiese scrivendo qualcosa sul proprio blocco degli appunti, a testa bassa.
Come previsto, il tenente tornò in posizione più o meno rilassata, anche se perplesso e ancora abbastanza nervoso.
 
«Connor? È un amico.» si grattò distrattamente la nuca, spaesato; era la prima volta che parlava di Connor a qualcuno. «È… è complicato. Viviamo insieme, perché… lasci stare, è troppo lunga da spiegare, ma in breve è un androide. A meno che lei non viva su un altro pianeta, sa che casino c’è stato a Detroit un paio di anni fa. Lavoravamo insieme, ed è andata a finire che Connor è venuto a stare da me. Non aveva nessun altro, se non degli stronzi.»
Si interruppe, notando che l’altro aveva iniziato a sorridere sotto i baffi mentre scriveva:
«È divertente? Che cazzo ha da ridere?»
 
Lo vide scuotere la testa, senza togliersi quello stupido sorrisetto dalle labbra: «Non badi a me, continui pure. È solo che… ha iniziato a chiacchierare un sacco, ora che le ho fatto questa domanda.»
 
«Se vuole torno a guardare il muro, non c’è problema.»
 
«Le ho detto di continuare, non si curi di quello che le succede attorno. Lasci fluire…»
 
«Si, si, lascio fluire i pensieri. Ho capito.»
 
«Quindi, ha il suo cane e questo androide. La dice lunga su di lei, non le piacciono molto gli esseri umani, vero?»
 
«Mi fanno schifo, credevo di essere stato chiaro almeno su questo punto.»
 
«Ma Cole era un umano.»
 
Hank si irrigidì sentendo pronunciare di nuovo il nome di suo figlio così all’improvviso, e dovette prendersi qualche momento prima di poter rispondere in maniera lucida.
 
«Cole era un bambino… era diverso. Era innocente.»
 
«E Connor com’è? Ora che gli androidi hanno sviluppato una personalità, avrà anche lui la sua. Possiamo dire che è simile a un umano ormai, come mai lo tollera?»
 
«Perché…» si portò entrambe le mani alle tempie, come se potesse spremerle per ragionare più velocemente. «Perché è innocente anche lui. Non ha assorbito niente di tutta quella merda umana che ha avuto intorno.»
 
«È possibile che lei abbia stabilito con questo Connor la relazione padre-figlio che pensava di aver perduto per sempre? Come se la vita le avesse concesso una seconda possibilità?»
 
«Ma che cazzo, no!» fu la risposta brusca e immediata, e lo psicoterapeuta dovette reggersi ai braccioli della sedia per evitare di saltare dallo spavento. «Sta insinuando che ho rimpiazzato mio figlio o cosa?!»
Era scattato su a sedere, e da quella posizione avrebbe potuto facilmente mollargli una sberla.
Sarebbe stato liberatorio.
 
«Era una supposizione Hank, chiedevo solo la sua conferma.»
 
«Era una supposizione malata!»
Avrebbe voluto staccare uno dei quadri dal muro e spaccarglielo sulla testa. Cosa credeva, che si fosse comprato un bambolotto da accudire per compensare la perdita di Cole?
 
«La chiedo di scusarmi se la cosa l’ha turbata, ma devo prendere in considerazione ogni possibilità, capisce? Me ne parli lei, così potrò farmene un’idea più chiara. Vuole?»
 
«No, non voglio, ma tanto devo darle comunque i miei soldi. Soldi buttati dalla finestra.» rispose acido, lasciandosi ricadere pesantemente sul lettino e guardando ovunque tranne che nella sua direzione.
Sentiva il suo sguardo addosso, segno che era in attesa di sentirlo parlare.
“Lasciamo fluire questi cazzo di pensieri.”
 
«Connor è la persona che mi è stata accanto più di chiunque altro, e non è nemmeno una persona. L’ho conosciuto perché mi hanno letteralmente costretto a lavorarci in coppia, al tempo la voglia di prenderlo a pugni era tanta quanto quella che ho ora di picchiare lei. Perché… beh, le ho detto quello che è successo a mio figlio, lo sa già. Ma sono successe tante cose, l’ho conosciuto, forse… forse si può dire che mi ha migliorato la vita. Senza “forse”. Mi ha migliorato la vita. Quando c’è stata la rivolta degli androidi, ho cominciato a pensare che fosse meglio così, mi sono schierato dalla loro parte. Si meritano molto più di noi… sono molto più umani degli umani.» fece una breve pausa, fissandosi la punta delle scarpe. «In tutti gli anni che ho passato ad autodistruggermi, sa quante persone mi hanno chiesto come stavo? Come mi sentivo, se avevo bisogno di qualcosa, se volevo sfogarmi?»
 
L’uomo smise di scrivere, scuotendo la testa: «Quante persone, Hank?»
 
«Nessuna. E mezza Detroit sapeva cosa mi era successo.»
 
«Crede che se avesse avuto qualcuno accanto, avrebbe fatto scelte diverse?»
 
Hank sembrò pensieroso per qualche secondo, poi sospirò, scrollando le spalle: «Chi può dirlo, forse sarei finito così comunque. Ma almeno avrei saputo che a qualcuno interessava, che qualcuno non voleva vedermi a pezzi. Connor… Connor mi chiede come sto tutte le mattine. E quando non gli rispondo, per tutto il giorno fa il possibile per vedermi stare meno di merda. Un androide, capisce? E dicevano che non provavano emozioni o empatia, che erano dei pezzi di plastica… beh, lo dicevo anch’io. Ma il punto del discorso è… forse, se avessi avuto qualcuno per cui restare in piedi, avrei fatto uno sforzo e non sarei caduto così in basso. Non mi fregava un cazzo di me stesso, ma se avessi avuto qualcuno che non voleva vedermi così… penso che avrei fatto qualcosa, non per me stesso, ma per quella persona. Mi avrebbe motivato.»
 
«Ha fatto un’ottima auto-analisi, Hank. Ed è quello che sta succedendo in questo periodo, no? Sei qui per questo motivo.»
 
Il tenente guardò l’altro con aria interrogativa, come se non si fosse reso conto della correlazione tra le due cose: «In che senso?»
 
«Ora c’è qualcuno che vuole vederti in piedi.» sorrise il dottore, mostrandogli per la prima volta un’espressione non fastidiosa; sembrava quasi orgoglioso di lui.
Prima che Hank potesse fare altre domande, il timer suonò segnando la fine della seduta, lasciandolo spaesato e perplesso.
Per qualche motivo, la sua testa (che si era ormai abituata a ragionare in maniera cinica e stronza) gli aveva fatto credere che avesse accontentato Connor solo per esasperazione, per farlo stare zitto e non sentirgli più nominare le parole “psicologo”, “psicoterapeuta” e “hai bisogno di aiuto”.
E forse era vero, in parte, ma la principale motivazione dietro quella scelta era stata il bisogno di dimostrargli che era intenzionato a fare il possibile per migliorarsi, per ricominciare da capo.
Perché non voleva più vederlo preoccupato, e perché Connor si meritava qualcosa di meglio che vivere con un vecchio ubriacone e depresso, sommerso da immondizia, puzza di alcol e autocommiserazione.
 
«Ci vediamo alla prossima, Hank. Spero che questa prima seduta ti sia stata d’aiuto e ti offra uno spunto di riflessione.»
 
Il tenente Anderson borbottò qualcosa in risposta, per poi lasciare i soldi sul lettino.
   
 
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